I santi del 28 Ottobre 2017

Santi SIMONE E GIUDA   Apostoli – Festa
I secolo dopo Cristo
Il primo era soprannominato Cananeo o Zelota, e l’altro, chiamato anche Taddeo, figlio di Giacomo. Nei vangeli i loro nomi figurano agli ultimi posti degli elenchi degli apostoli e le notizie che ci vengono date su di loro sono molto scarse. Di Simone sappiamo che era nato a Cana ed era soprannominato lo zelota, forse perché aveva militato nel …
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San SIMONE   Apostolo – Festa
Cana di Galilea? – Pella (Armenia) o Suanir (Persia), 107
Simone, da Luca soprannominato Zelote, forse perché aveva militato nel gruppo antiromano degli Zeloti, da Matteo e Marco è chiamato Cananeo (Mt 10, 4; Mc 3,18). Secondo la tradizione, subì un martirio particolarmente cruento. Il suo corpo fu fatto a pezzi con una sega. Per questo è raffigurato con questo attrezzo ed è patro…
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San GIUDA TADDEO   Apostolo – Festa
sec. I
Il santo che si festeggia oggi assieme a Simone «il cananeo», pur appartenendo al gruppo dei 12 apostoli, non va confuso con l’omonimo apostolo traditore di Gesù, l’Iscariota. Si tratta infatti di Giuda fratello di Giacomo, detto Taddeo, che significa «magnanimo». Un nome ben conosciuto dalla tradizione ebraica quello di Giuda:…
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San RODRIGO AGUILAR ALEMAN   Martire Messicano
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San GIOVANNI ALCOBER   Domenicano, martire
Granada, 25 dicembre 1694 – Fuchen, 28 ottobre 1748
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San FRANCESCO DIAZ DEL RINCóN   Domenicano, martire
Ecíja (Andalusia), 2 ottobre 1713 – Fuchen (Cina), 28 ottobre 1748
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San FRANCESCO SERRANO   Vescovo e martire
Guenejea (Granada), 3 dicembre 1695 – Fuchen (Cina), 28 ottobre 1748
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San FERRUCCIO DI MAGONZA   Martire
Militava nell’esercito imperiale romano di stanza a Magonza, quando, convertitosi al cristianesimo e deposte le armi, fu arrestato, torturato e lasciato morire lentamente di fame in carcere in una località sulle rive del Reno, corrispondente all’odierna Kastel. L’epoca del suo martirio rimane, comunque, sconosciuta, anche se si collocherebbe ipoteticamente a…
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San FEDELE DI COMO   Martire
Sec. III
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Santa CIRILLA DI ROMA   Vergine e martire
Sec. III
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San SILVIO   Eremita in Normandia
VI sec.
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San DIOMEDE IL GIOVANE
Sec. IV
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San CIRILLO   Venerato a Cellio
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Santi VINCENZO, SABINA E CRISTETA   Martiri
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San GENESIO DI THIERS
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San GIOACCHINO ROYO PEREZ   Martire in Cina
Hinojosa (Teruel, Aragona), 4 ottobre 1691 – Fuchen (Cina), 28 ottobre 1748
Padre Gioacchino Royo Perez nacque a Hinojosa, diocesi di Teruel in Aragona, il 4 ottobre 1691 e a 18 anni, entrò fra i domenicani del convento di Nostra Signora del Pilar di Valenza, facendovi la professione un anno dopo. Prima ancora di ricevere l’ordinazione sacerdotale, a ventun anni il domenicano Royo venne destinato come missionario alle missioni cines…
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San SALVIO DI AMIENS   Vescovo
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San GERMANO DI TALLOIRES   Abate
† Talloires, Francia, 1018
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San FARONE DI MEAUX   Vescovo
† 670
Persuaso da sua sorella, Santa Fara, abbandonò la corte per servire solamente Dio. Nominato vescovo di Meaux in Francia, si dedicò alla conversione dei pagani, eresse parrocchie e fondò monasteri….
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San GIOVANNI DAT   Martire
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Sant’ ELIO DI LIONE   Vescovo
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San LEODARDO
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Beato BONONATO DE PREXANO
Insigne mercedario per pietà e scienza, il Beato Bononato de Prexano, religioso del convento di Sant’Eulalia in Barcellona (Spagna), ne fu anche il priore per ben 41 anni. Nel 1343 riunì il capitolo dove fu nominato Maestro Generale il Venerabile Vincenzo Riera suo compatriota.La sua vita non fu altro che un seguito di azioni sante e meritorie …
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Beato SALVATORE DAMIANO (SALVADOR DAMIAN) ENGUIX GARèS   Martire
Alcira, Spagna, 27 settembre 1862 – 28 ottobre 1936
Fedele laico dell’arcidiocesi di Valencia, in Spagna, Salvador Damian Engiux Garès, nacque il 27 settembre 1862 ad Alcira e fu battezzato il giorno seguente nella chiesa parrocchiale di santa Caterina. Fu un uomo di grande fede, generoso nel lavoro e buono di carattere. Membro dell’Azione Cattolica, fondò l’adorazione notturna nella sua città. Vedovo con cin…
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Beato GALLO (O GREGORIO)   Francescano
† 1335
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Beata MARIA ASUMPTA (JULIANA) GONZALEZ TRUJILLANO   Vergine e martire
El Barco de Ávila, Spagna, 19 giugno 1881 – Madrid, Spagna, 28 ottobre 1936
Suor María Asumpta Gonzalez Trujillano, al secolo Juliana, era una suora Francescana Missionaria della Madre del Divino Pastore. Fu un’apprezzata educatrice nelle svariate comunità di cui fece parte. Trascorse il suo ultimo periodo di vita nella Casa generalizia di Madrid, come sacrestana ed economa. Per mettere in salvo la dote sua e del…
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Beato GIUSEPPE RUIZ BRUIXOLA   Sacerdote e martire
Foios, Spagna, 30 marzo 1857 – Gilet, Spagna, 29 ottobre 1936
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Movimenti e religiosi in “missione”: alcune domande

La stampa religiosa ha recentemente evocato la visita in Giappone del cardinal Filoni, prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione, svoltasi sullo sfondo di un conflitto piuttosto grave tra i vescovi del paese e il movimento del Cammino neocatecumenale. Questo evento mi ha fatto riflettere, ed ecco alcune considerazioni in merito.

Ci sono sempre state, e probabilmente ci saranno sempre, delle tensioni tra l’amministrazione locale delle Chiese, assicurata dai vescovi che hanno ricevuto per questo carisma e ordinazione, e le iniziative evangelizzatrici provenienti da istituzioni anch’esse fondate e sviluppate sulla base di carismi dello Spirito, ma la cui attività supera i confini di chiese particolari. L’esempio classico è quello delle «relazioni reciproche» tra vescovi e religiosi, costantemente oggetto di adattamenti e riadattamenti nati dalla tensione tra il locale e l’universale. Le Chiese locali appartengono a un ambiente geo-fisico, geo-umano, geo-culturale determinato, in cui il vangelo è già inculturato o lo sta divenendo. I loro membri e i loro dirigenti pensano e praticano la missione a partire da questo dato e sono anche, secondo le indicazioni del Concilio, attenti al dialogo con gli altri cristiani, le altre religioni o saggezze.

D’altra parte, i religiosi o i movimenti hanno le risorse proprie del loro dono evangelico, che permette loro un’espansione che scavalca il locale. Essi sono dunque spontaneamente condotti ad annunciare il vangelo secondo il loro carisma e le istituzioni alle quali questo ha dato origine; essi possono essere tentati di prestare meno attenzione alle condizioni regionali. Dato che sono, d’altronde, canonicamente più o meno svincolati dalle autorità locali, essi si appoggiano all’autorità sopra-regionale, concretamente la Santa Sede, da cui ricevono o sperano di ricevere riconoscimento, appoggio e incoraggiamento. Una tensione è allora inevitabile; essa appartiene alla natura stessa delle cose e si vive normalmente attraverso dialoghi e adattamenti. Quando la situazione diventa troppo difficile, una mediazione può essere necessaria, ed è probabilmente quanto avviene oggi in Giappone.

Il contesto mutato

Una difficoltà specifica deriva forse dalla concreta situazione contemporanea. I grandi movimenti attuali, come l’Opus Dei, Comunione e Liberazione, l’Emmanuel, i Focolari, il Cammino neocatecumenale, i Legionari di Cristo e altri ancora godevano del favore di papa Giovanni Paolo II. Lo ricordiamo: l’intuizione al tempo stesso mistica e centralizzatrice di questo papa era che Dio lo aveva posto al vertice della Chiesa per orientarla – nella data al tempo stesso simbolica e reale dell’anno 2000 dopo Cristo – verso un movimento di santità e di evangelizzazione capace di restituirla alla purezza della sua chiamata.

I movimenti, ciascuno a suo modo, si sono organizzati e sviluppati alla luce di questa intuizione, implicante al tempo stesso un’apertura missionaria attiva ed esplicita, e una ferma ortodossia dottrinale. La chiarezza della decisione papale, la loro convinzione della validità del loro carisma e il loro zelo nel diffonderlo, la loro energia apostolica in questa linea hanno servito il disegno di Giovanni Paolo II.

Tuttavia, tali fattori hanno anche favorito al loro interno una tendenza all’esclusivismo e un’indipendenza probabilmente troppo grande rispetto agli sforzi spirituali ed evangelizzatori autorizzati da altri, a livelli più locali. Certo è che, con pratiche catechetiche e liturgiche proprie, con seminari per la formazione dei loro preti, i movimenti rischiano di agire da soli e di fornire appigli all’accusa di «setta» che talvolta viene loro indirizzata.

Una missione da ricomprendere

C’è anche la questione della natura e dei metodi della missione. Da una parte, si può essere più portati all’annuncio esplicito del vangelo, contando sulla forza della Parola. Dall’altra, prima di annunciare o nel modo di farlo, si può essere più attenti ai popoli concreti che ricevono tale annuncio. Nel primo caso, c’è il rischio di exculturare in qualche modo gli uditori, e di proporre loro un insieme di dottrine ed istituzioni che sono in sé buone, ma rischiano di rimanere estranee alle persone stesse a cui ci si rivolge. Nel secondo, c’è il rischio opposto di smussare il mordente della Parola e di non annunciare più Gesù Cristo. Sono le questioni poste, appunto in contesto giapponese, nel romanzo dello scrittore Shusaku Endo intitolato Silenzio, a cui il recente film di Martin Scorsese ha restituito attualità.

La teologia della missione ha certamente conosciuto un’evoluzione negli ultimi cinquant’anni. Rileggevo in questi giorni nei Pensieri di Pascal alcune pagine molto negative rispetto alle religioni. La conversione degli adepti di queste religioni, considerate come diaboliche e conducenti all’inferno, era allora una necessità per la salvezza, la cui urgenza ha provocato gli slanci missionari della modernità.

Ma come si situa oggi la missione nel contesto del dialogo interreligioso? Le altre religioni sono autentiche vie di salvezza, parallele alla via cristiana? Oppure potrebbero trovare posto in qualche modo tra le due visioni, negativa o rispettosa: esse hanno un loro valore proprio, ma che conduce inconsapevolmente alla rivelazione in Gesù Cristo che deve esser loro fatta? D’altra parte (ed è forse un altro modo di dire la stessa cosa): in che cosa consiste la missione? Qual è la sua natura? Si tratta, certo, di rivelare la persona di Gesù Cristo, a partire dal vangelo. Ma questa rivelazione ha percorso la sua strada nella storia, incontrato dei culti, delle culture, delle mitologie, delle filosofie. Fino a che punto il risultato completo di questo immenso lavoro fa parte dell’annuncio missionario? Che cosa rappresenta l’essenziale? Che cosa si deve trasmettere, che cosa si può lasciare al lavoro futuro dei convertiti?

O ancora: chi è l’attore primario della missione? La Chiesa, certo, ma innanzi tutto locale o immediatamente universale? A parità d’impegno missionario, certi attori pastorali vorranno applicare subito e in ogni circostanza gli orientamenti forniti dai documenti pontifici, in direzione dell’annuncio esplicito del vangelo, nelle forme e dottrine che esso ha assunto nel contesto romano… Oppure, ispirandosi certo alle direttive date, si cercheranno i mezzi per dire una parola udibile dagli interlocutori locali di cui si sarà tentato di comprendere la mentalità.

Gestire le contraddizioni

Se non mi sbaglio, si è tenuta a Madrid, subito dopo la GMG del 2011, una riunione sulle prospettive missionarie del domani. I giornali hanno allora riportato un’affermazione di Kiko, il fondatore del Cammino neocatecumenale, che si diceva pronto, a tempo debito, ad inviare migliaia di missionari in Cina. Bell’impegno, certo. Ma non bisognerebbe, pur essendo consapevoli del valore delle istituzioni del Neocatecumenato, inviare prima un numero più ristretto di persone per cercare di entrare in relazione profonda con la Cina: la sua lingua, la sua storia, la sua attitudine morale e religiosa, i suoi “letterati”, anche la storia dei suoi rapporti passati con il cristianesimo – tutto questo per annunciare Gesù Cristo in termini che, senza obliterare il salto necessario della fede, siano udibili per i cinesi? Tale fu la scelta di Matteo Ricci nel XVII secolo. È senz’altro la condizione necessaria perché l’adesione di fede sia solida e non vacilli.

Che cosa succederà in merito al presente conflitto? Ricordo una frase del teologo oggi scomparso Georges Kowalski: Bisogna gestire le contraddizioni. Lo diceva per la vita personale di ciascuno. Questo vale anche per la Chiesa. Per facilitare questa gestione, sarebbe forse utile ricordare le forti esortazioni di papa Francesco in Evangelii Gaudium

Settimananews.it

 

Educazione al rispetto, ecco le nuove linee guide della scuola

Primato educativo dei genitori, collaborazione tra scuola e famiglia, consenso informato, esplicitazione del concetto secondo cui la differenza uomo-donna è all’origine della vita, no palese e senza ambiguità alle cosiddette “teorie del gender”, chiara e condivisibile definizione di cosa si intenda per stereotipi di genere, importanza di togliere anche dal linguaggio tutte le forme di “mascolinizzazione”, contrasto alla violenza sulle donne e a tutte le forme di discriminazione. Ecco i punti chiavi delle “linee guida” riferite all’ormai famigerato articolo 1 comma 16 della legge sulla “buona scuola” e presentate a Roma alla presenza della ministra Fedeli. Il piano per introdurre le scuole il rispetto delle diversità e per contrastare violenze e discriminazioni tra i banchi prevede, oltre alle linee guide sulla parità di genere, una campagna sui social con l’hashtag #Rispettaledifferenze, un Piano nazionale in 10 azioni, linee di orientamento per prevenire e contrastare il cyberbullismo. La dotazione finanziaria è di 8,9 milioni di euro

Perché queste linee guida sono importanti?

Dopo anni di attesa, di polemiche, di anticipazioni più o meno azzardate, il documento presentato ieri dice finalmente una parola chiara su un tema decisivo. “Educare al rispetto, alla parità tra i sessi, alla prevenzione della violenza di genere”, è un dovere da parte di tutti. E, visto che si tratta di un ambito in cui si intrecciano convinzioni etiche, religiose e culturali, la scuola non può che collaborare con la famiglia. Non solo. Educare alla parità e opporsi alla violenza di genere non vuol dire sposare le teorie che sostengono erroneamente la necessità di superare la differenza maschile-femminile. Anzi, significa valorizzare la differenza nella logica del rispetto, della pari dignità, della reciprocità. E si tratta anche di un percorso educativo importante per i ruoli familiari e per l’impegno sociale e per il mondo del lavoro.

Perché le polemiche e le iniziative pubbliche?

Il timore che le cosiddette “teorie del gender” entrassero ufficialmente in una legge che riguarda la scuola non era infondato. Su queste pagina abbiamo documentato puntualmente, da almeno cinque anni a questa parte, la subdola infiltrazione di testi, prassi, teorie finalizzate a propagandare un’antropologia alternativa e del tutto inaccettabile. Dai tristemente noti libretti diffusi dal Dipartimento delle pari opportunità, alle proposte alternative di formazione extracurriculare, alle conferenze tutte orientate a diffondere in modo unilaterale la “cultura” di una sessualità fluida, intercambiabile e indefinita, sono stati purtroppo numerosi gli episodi problematici. Leggere quindi nelle bozze delle “Linee guida” – almeno quelle fatte circolare ufficiosamente nel mesi scorsi – che la scuola avrebbe dovuto tra l’altro puntare alla «decostruzione degli stereotipi di genere» aveva fatto balzare sulla sedia chi era a conoscenza di tutto questo pregresso. Che significa attribuire ad affermazioni così cariche di ambiguità? Da qui proteste e polemiche contro le “linee guida” del Miur.

Perché la proposta ha vinto sulla protesta?

Occorre però dire, che fin da subito, il ministero aveva escluso qualsiasi riferimento alle cosiddette “teorie del gender”. Sia Fedeli sia Giannini avevano assicurato – senza però mai metterlo nero su bianco – che il profilo educativo delle linee guida su violenza di genere e educazione alla parità non avrebbe fatto riferimento a concetti divisivi. L’associazionismo più consapevole – quello che fa riferimento al Forum delle famiglie – ha avuto il coraggio di non esasperare i toni, la pazienza di verificare il testo punto per punto, il buon senso di formulare contro-proposte accettabili che, al termine di un confronto comunque utile e costruttivo, è sfociato in un documento ragionevole e privo di ambiguità. Più che proteste di piazza sono serviti moderazione e disponibilità al dialogo.

Perché è importante aver eliminato le ambiguità?

La parte più importante del testo è quella che si richiama alla cosiddetta antropologia relazionale e che offre una serie di spunti per educare alla parità, alla differenza e alla reciprocità. In questa prospettiva – sottolineando opportunamente che solo l’incontro tra le differenza dà origine alla vita – il documento fa chiarezza sugli stereotipi da superare. Il gender, viene ribadito per due volte, non c’entra nulla o, meglio, vengono valorizzati gli spunti migliori dei cosiddetti gender studies che già tra gli anni Sessanta e Settanta rifiutavano di interpretare i rapporti tra i sessi in una logica di “disuguaglianza gerarchica” tra maschile e femminile. L’educazione alla parità esclude comportamenti obbligati e codificati per sempre, che bambini e bambine devono perpetuare in modo acritico. Insomma per essere “veri uomini” non è obbligatorio amare il calcio, impegnarsi in giochi violenti e risultare sempre e comunque competitivi. Così come una bambina non deve per forza essere attratta da giochi tranquilli, avere movenze da velina e risultare sempre “dolce e carina”. Il valore della differenza è ben più importante di questi stereotipi che spesso hanno prodotto, anche nelle relazioni familiari, sofferenze e incomprensioni.

Perché la parità è un antidoto alla violenza?

Nel testo si sottolinea in più punti la necessità di una collaborazione tra scuola e famiglia. Non solo perché i genitori rimangono i primi educatori dei loro figli, ma anche perché occorre che i messaggi educativi non risultino distonici. Una necessità che, quando si parla di prevenzione alla violenza contro le donne, risulta determinante. Solo se scuola e famiglia procedono insieme, spiegando il rispetto delle differenze e i fondamenti della parità, sarà possibile disinnescare i rischi che aprono la strada alla violenza. Solo smantellando la cultura della presunta superiorità maschile sarà possibile diminuire il numero dei partner abusanti, Ma anche aiutare le donne a non concepire per se stesse ruoli subalterni che inducono ad accettare soprusi e comportamenti violenti. La strada è lunga, ma averlo messo nero su bianco è sicuramente una scelta che apre alla speranza.

Diaco (Cei): alleanza più stretta tra famiglie e scuola

“Riguardo al progetto sull’educazione al rispetto e alle linee guida presentate oggi, mi piace notare che si chiede alla scuola un forte impegno per prevenire e contrastare tutte le forme di discriminazione, nella direzione indicata dall’art. 3 della Costituzione: le discriminazioni legate al sesso, alla razza, alla lingua, alla religione, alle opinioni politiche, alle condizioni personali e sociali. Di grande rilievo è poi l’educazione alla cittadinanza digitale e la lotta al cyberbullismo, a cui siamo fortemente richiamati dall’attualità quotidiana”. Ernesto Diaco, direttore dell’Ufficio nazionale per l’educazione, la scuola e l’università della Cei (Unesu), commenta al Sir il piano nazionale per l’educazione al rispetto. “Per raggiungere questi obiettivi – osserva -, il Ministero afferma chiaramente che le scuole devono fare la parte che spetta loro, con un’azione trasversale alle diverse discipline, senza sostituirsi alle famiglie, ma in continua sinergia con esse. Un’alleanza più stretta e non burocratica tra scuola e famiglia, che evidenzi la primaria responsabilità dei genitori e il compito degli insegnanti”.

avvenire

Giornata del Ringraziamento. Nei campi l’alleanza tra uomo e ambiente

Pubblichiamo il testo del Messaggio per la 67ª Giornata nazionale del Ringraziamento, che la Chiesa italiana celebrerà il 12 novembre 2017. Il titolo del messaggio è preso dal libro del Deuteronomio «…le primizie dei frutti del suolo che tu, Signore, mi hai dato» (Dt. 26, 10). La terra ospitale. Di seguito il testo

Ringraziamento per un dono
Fin dalla sua istituzione la Giornata del Ringraziamento si caratterizza ogni anno come invito a guardare ai frutti della terra – ed all’intera realtà del mondo agricolo – nel segno del rendimento di grazie. È, dunque, l’occasione per rinnovare uno sguardo sul mondo che coglie in esso ben più che la semplice natura: come sottolinea l’enciclica Laudato si’ di papa Francesco, la parola da usare è piuttosto creazione, molto più ricca ed espressiva.

Una pluralità di dimensioni, nuove opportunità per l’alleanza tra umanità e ambiente
Attorno al dono della terra, si intreccia una pluralità di dimensioni: vale la pena di esplicitarle nel loro intreccio, che anche oggi può presentarsi in tutta la sua attualità nella vita di tante famiglie del mondo agricolo.
La terra è, in primo luogo realtà affidataci per essere coltivata, in una pratica che genera lavoro, che produce cibo, benessere e sviluppo, contribuendo al contempo a dare significato alle esistenze dei tanti che vi sono coinvolti. Non è certo casuale che proprio in questi anni – lo sottolinea il Rapporto Censis 2016 – il nostro Paese veda una persistente e sempre rinnovata attenzione per la realtà dell’agricoltura, che anche per molti giovani appare come opportunità significativa in cui investire generosamente energie e competenze.

Una rinnovata attenzione che è anche il frutto della risposta delle imprese agricole italiane, generalmente familiari, e del loro associazionismo ad un modello di industrializzazione insostenibile dell’agricoltura mondiale, imposto come esito inevitabile della globalizzazione del paradigma tecnocratico.

Diversamente da quel modello, le nostre imprese agricole cercano di riconciliare la famiglia con l’economia di mercato, superando l’incompatibilità con l’«economia dello scarto» e promuovendo snodi di «economia civile».
Per farlo le nostre famiglie rigenerano una capacità inclusiva del lavoro che ne esemplifica la trasformazione da “lavoro come produzione” a “lavoro come servizio”; dove si realizzano beni che non sono solo merci, ma cibo, e contemporaneamente si impiega il tempo anche per la relazione, che in se stessa è cura, nello svolgimento dell’attività produttiva.

Con questa visione e concretezza del lavoro esse sentono vicine le parole della Laudato si’ dedicate alla necessità di difendere il lavoro, dove si afferma che «l’intervento umano che favorisce il prudente sviluppo del creato è il modo più adeguato di prendersene cura perché implica il porsi come strumento di Dio per aiutare a far emergere le potenzialità che Egli stesso ha scritto nelle cose» (n. 124).

In questa luce, la giornata del Ringraziamento è anche memoria viva ed efficace della rinnovata risposta degli agricoltori ai doni del Signore (dono delle terra, dono di se stesso), testimonianza del fatto che Dio è in mezzo al suo popolo.
In questo modo di abitarla e lavorarla, la terra emerge chiaramente come una realtà da custodire e trovano ascolto il forte richiamo dell’enciclica Laudato si’ alla cura della casa comune, la sua percezione di un’interdipendenza globale che «ci obbliga a pensare a un solo mondo, ad un progetto comune», il suo richiamo a «programmare un’agricoltura sostenibile e diversificata» (n. 164). L’enciclica approfondisce le ragioni della promozione di una rinnovata pratica di coltivazione della terra, declinata nel segno dell’attenzione all’ambiente, intensificando le buone pratiche già in atto in molte realtà dei nostri territori, favorendo forme di produzione a basso impatto, attente alla biodiversità, capaci di privilegiare le produzione autoctone e senza varietà geneticamente modificate. È anche un modo di contrastare lo sviluppo di quel mutamento climatico che proprio sull’agricoltura ha alcuni degli impatti più devastanti.

Ma la terra è anche una realtà che sempre più ha a che fare con l’ospitalità e l’accoglienza:
i mercati e le altre iniziative della vendita diretta degli agricoltori italiani sono diventati espressione – nei grandi centri urbani come nei piccoli borghi – della nuova economia capace nel contempo di restituire protagonismo alle imprese agricole, generare occupazione, migliorare la qualità della vita e delle relazioni sociali; anche in quest’ambito molti sono i cambiamenti significativi che si possono rilevare nel modo di fare agricoltura. Pratiche come quella dell’agricoltura sociale (tra l’altro preziosa occasione di inserimento lavorativo anche per molti immigrati) e dell’agriturismo danno espressione a queste dimensioni della nostra vocazione sulla terra e spesso lo fanno con originali intrecci di modalità inedite e di forme tradizionali.

Turismo sostenibile per lo sviluppo
Vorremo particolarmente sottolineare quest’anno l’importanza dell’ultimo fenomeno appena accennato: l’agriturismo ricollega tra loro la coltivazione della terra e l’ospitalità, aprendo nuove prospettive – potenzialmente cariche di futuro – per un mondo agricolo che sempre deve rinnovarsi per far fronte a sfide inedite. La bellezza dei nostri territori, del resto, quando è adeguatamente custodita e valorizzata, porta in sé una forza di attrazione importante, capace di offrire a molti quelle esperienze di meditazione e ricreazione nel contatto con la natura che sempre più vengono oggi ricercate. Di più, esse possono alimentarsi in quella sapiente cultura dell’accoglienza – frutto del lavoro di organizzazione della terra e dei beni ordinati alla produzione – e quell’attenzione per la qualità delle relazioni umane e sociali che costituiscono caratteristiche universalmente riconosciute al nostro paese.
Promuovere forme di turismo strettamente collegate alla terra ed al mondo agricolo, infatti, permette positive sinergie tra il lavoro di coltivazione e quello legato all’ospitalità, così come tra questi due e la sostenibilità. Coltura e cultura si intrecciano così in forme spesso innovative (ma anche profondamente legate alla tradizione), generando crescita in umanità e buona occupazione, perché sia possibile continuare ad avere cura della terra di Dio.

L’agriturismo asseconda il desiderio di tante persone di «fuggire» dalle frenesie imposte dal consumismo e dai ritmi della moderna società per ritrovare nelle campagne italiane nuove energie fisiche e interiori. Un’occasione, quindi, formidabile per aumentare la consapevolezza sul nostro patrimonio materiale e immateriale, fatto di bellezze storico-paesistiche, attività agricole compatibili con l’ambiente ed opportunità di crescita sociale e spirituale.

La Commissione episcopale
per i problemi sociali e il lavoro,
la giustizia e la pace,
la custodia del Creato
avvenire

Quando la dignità trionfa contro mafie e corruzione

LaRedoute
Ricordiamo alcuni testimoni che con il loro esempio si sono vigorosamente opposti all’ingiustizia. Il cardinale Salvatore Pappalardo, il giudice Rosario Livatino…

Il giudice Rosario Livatino (Fotogramma)

Lo scorso 21 settembre, in occasione del ventisettesimo anniversario dell’assassinio del giudice Rosario Livatino, papa Francesco riceveva in Vaticano i membri della commissione antimafia. Nell’occasione il pontefice affermava con vigore: è «decisivo opporsi in ogni modo al grave problema della corruzione che, nel disprezzo dell’interesse generale, rappresenta il terreno fertile nel quale le mafie attecchiscono e si sviluppano». Qui vogliamo ricordare alcuni testimoni che con il loro esempio si sono vigorosamente opposti all’ingiustizia e alla corruzione. All’origine di quel movimento che negli anni Settanta-Ottanta mise gravemente in crisi la mafia in Sicilia e nell’intero paese vi fu il cardinale Salvatore Pappalardo. Nato a Villafranca Sicula in provincia di Agrigento nel 1918, Salvatore compì gli studi liceali a Catania. Si orientò poi per la vocazione sacerdotale e chiese l’ammissione al pontificio seminario romano. Dopo gli studi di teologia venne ordinato sacerdote nel 1941 ed entrò nella segreteria di stato dove salì i gradini della diplomazia vaticana fino a diventare pronunzio in Birmania. Ritornato a Roma nel 1969, l’anno successivo venne nominato da Paolo VI arcivescovo di Palermo. Nel capoluogo siciliano egli prese vigorosamente posizione contro la mafia avviando una stagione di forte moralizzazione della vita pubblica.

Sentendosi in pericolo i mafiosi reagirono con la violenza compiendo una lunga serie di assassini. Grande scalpore destò nel 1982 l’omicidio del prefetto di Palermo, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e della sua moglie Emanuela Setti Carraro. Merita di essere sottolineato un particolare sul matrimonio di queste due persone. Nonostante i 30 anni di differenza tra il sessantenne generale e la trentenne Emanuela, la loro fu una vera storia d’amore. Il loro matrimonio durò solamente due mesi, ma la scena del generale che, colpito dai proiettili, cercò di proteggere con il suo corpo la più giovane donna racconta di una tenerezza umana e cristiana che rapisce il cuore. In occasione dei loro funerali il cardinale Pappalardo, trascinato da un giusto sdegno, esclamò: «Sovviene e si può applicare una nota frase della letteratura latina, di Sallustio, mi pare: ‘Dum Romae consulitur … Saguntum expugnatur’, mentre a Roma si pensa sul da fare, la città di Sagunto viene espugnata dai nemici! E questa volta non è Sagunto ma Palermo. Povera Palermo!». Il cardinale non ricordava perfettamente. La frase, infatti, è di Livio, ma nessuno pensò a quell’errore. Tutti ebbero invece l’impressione di aver trovato un autentico difensore della città. Raccogliendo il grido che veniva dal popolo egli esigeva dalle autorità un impegno severo nella lotta contro la mafia. Il cardinale Pappalardo lasciò la guida della diocesi di Palermo nel 1996 dopo 26 anni durante i quali seppe contrapporre alla ‘cultura mafiosa’ del territorio un deciso e rinnovato impegno pastorale. È morto a Palermo nel 2006.

Nell’elenco dei martiri della giustizia in Sicilia al primo posto viene spesso citato il giudice Rosario Livatino. Nato a Canicattì nel 1952, fin da bambino respirò in casa, dove il nonno e il papà erano avvocati, l’amore alla giustizia e l’impegno per la legalità. Nessuno, dunque, si meravigliò quando, al momento di scegliere la facoltà da frequentare all’università di Palermo, Rosario scelse diritto. Lo studio della disciplina è peraltro accompagnato dalla consapevolezza crescente che il servizio alla giustizia è una missione che richiede dedizione e abnegazione soprattutto in Sicilia. Ha scritto Ida Abate, sua professoressa al liceo: «Rispetto dello stato e del diritto erano per lui la religione del dovere che egli professava nella vita di tutti i giorni e che si intrecciava indissolubilmente, nella sua vita interiore, con una profonda fede in Dio». Con questi sentimenti egli si laurea in giurisprudenza nel 1975 e nel 1978 entra in magistratura. Scrive nell’agenda nella quale riporta le sue riflessioni: «Ho prestato giuramento; da oggi sono in magistratura… Che Iddio mi accompagni e mi aiuti a rispettare il giuramento e a comportarmi nel modo che l’educazione, che i miei genitori mi hanno impartito, esige».

Nel 1979 Livatino entra come pubblico ministero alla procura della repubblica di Agrigento, un incarico che manterrà per 10 anni, scandito da una quotidianità quasi ascetica. Ogni mattina si trasferiva da Canicattì ad Agrigento. Arrivato a destinazione, si dirigeva alla Chiesa di san Giuseppe per una breve preghiera, poi si recava in ufficio e si immergeva nel lavoro fino a sera inoltrata. Non mancavano i giorni in cui bisognava fare gli straordinari ed era sempre pronto ad addossarsi nuovo lavoro. Era, peraltro, anche un giudice che sapeva pensare e riflettere, che teneva delle lezioni di diritto che sono ancora oggi preziose. Parlando di fede e diritto affermava: «Rendere giustizia è realizzazione di sé, è preghiera, è dedizione per Dio… Il rapporto con Dio, inoltre, permette che la giustizia, che non è fine a se stessa, sfoci nella carità, che fa sì che la sanzione che il giudice deve a volte comminare non sia solo forza punitiva, ma servizio di speranza e di recupero per il condannato stesso». Non mancò nel 1986 un periodo di crisi durante il quale il Signore sembrava più lontano, il servizio alla giustizia più amaro per il timore che ne potessero venire delle ritorsioni ai genitori. Da questi mesi travagliati Rosario esce con la decisione di accostarsi alla cresima e di intensificare la sua vita di pietà. Ha scritto il suo parroco: «Giungeva in Chiesa con alcuni minuti di anticipo e si preparava alla partecipazione alla Santa Messa. Spesso si accostava al sacramento della riconciliazione e dell’Eucarestia».

Nel 1989 Livatino diventa giudice a latere. La sua vita non cambia, la guerra di mafia, tuttavia, diventa più feroce e le sue responsabilità aumentano. Sa di essere su una polveriera, ma va avanti e sulla sua agenda scrive: sub tutela Dei, sotto la protezione di Dio. Egli ha tra le mani le carte più scottanti, segue i processi più insidiosi, ma nessuno sembra preoccuparsi di lui. L’epilogo è dunque segnato. Il 21 settembre 1990 come ogni giorno Rosario percorre la statale 640 per recarsi al tribunale di Agrigento. Viene raggiunto da un commando di 4 sicari e barbaramente assassinato. Nel 1993 san Giovanni Paolo II, in occasione di una visita in Sicilia, incontrò i genitori di Rosario, e parlò del loro figlio come di un martire della giustizia. Nel 2011 ebbe ufficialmente inizio la causa di beatificazione del servo di Dio Rosario Livatino. Nel 2016, infine, l’anno del giubileo di misericordia è arrivata proprio al nostro giornale una lettera di conversione che era contemporaneamente una richiesta di perdono di uno dei suoi assassini. Scriveva dal carcere Domenico Pace: «la fede mi aiuta a sperare che il giudice Rosario Livatino mi abbia perdonato… Credetemi lo sento vicino, ogni istante è con me e mi aiuta a vivere con forza d’animo la pena infinita che sto scontando». Insieme al servo di Dio Livatino papa Francesco il 21 settembre ricordò come martiri della giustizia anche i giudici Falcone e Borsellino.

La loro storia di uomini di legge legati fin dall’infanzia da una profonda amicizia è nota. Per il loro lavoro accanito e intelligente si poté celebrare il maxiprocesso che, iniziato nel 1986, giungeva a compimento nel 1992. Finalmente il mondo vedeva la mafia dietro le sbarre, vedeva centinaia di mafiosi definitivamente condannati. Nello stesso anno della condanna, tuttavia, i mafiosi organizzarono la loro vendetta. A maggio venne ucciso il giudice Falcone con sua moglie Francesca Morvillo e la scorta, a luglio identica sorte toccò a Paolo Borsellino e alla sua scorta. A un mese dalla morte dell’amico, così Borsellino ricordò Falcone: «Perché non è fuggito, perché ha accettato questa tremenda situazione?… per amore. La sua vita è stata un atto d’amore verso questa città, verso questa terra che lo ha generato». Identica affermazione si può fare anche per lui che era a conoscenza che la sua ora era imminente, che in città era giunto il tritolo che doveva farlo saltare in aria. Don Cesare Rattoballi, che negli ultimi mesi gli fu vicino, gli domandò a sua volta: «Perché non te ne vai?». Prima di confessarsi rispose: «Prega per la mia famiglia». Fu papa Giovanni Paolo II a definirlo per primo un martire della giustizia, un giudizio che il 21 settembre scorso anche papa Francesco ha fatto suo.

Letture e film per avvicinarsi ai testimoni in terre difficili

Per il cardinale Pappalardo si veda la biografia ufficiale della Santa Sede. Su Emanuela Setti Carraro, Antonia Setti Carraro, «Ricordi, Emanuela?», Rizzoli, Milano 1993; Luigi Castano, «Emanuela Dalla Chiesa Setti Carraro, Una crocerossina secondo il Vangelo», Elledici, Torino 1993; sul giudice Livatino si legga Ida Abate, «Il piccolo giudice», editrice Ave, Roma 2005. Alla vicenda del giudice Livatino sono stati dedicati due film: Alessandro di Robilant, «Il giudice ragazzino», interpretato da Giulio Scarpati e da Sabrina Ferilli nel 1994; Pasquale Pozzessere, «Testimone a rischio», interpretato da Fabrizio Bentivoglio nel 1997. Ambedue i film ebbero consensi di pubblico e di critica. Per Paolo Borsellino si veda Maurizio Calvi-Crescenzio Fiore, «Figure di una battaglia; documenti e riflessioni sulla mafia dopo l’assassinio di G. Falcone e P. Borsellino», editrice Dedalo, Bari 1992; Rita Borsellino, «Il sorriso di Paolo», Ragusa 2005; Umberto Lucentini, «Paolo Borsellino», san Paolo, Cinisello 2008; si veda anche Piera Aiello-Umberto Lucentini, «Maledetta mafia», Cinisello 20012; Agnese Borsellino e Salvo Palazzolo, «Ti racconterò tutte le storie che potrò», Feltrinelli, Milano 2013.

Avvenire

Unicef Africa: entro il 2055 oltre un mld di bambini a rischio servizi



LaRedoute

Cresce la popolazione infantile in Africa e servono servizi e personale sanitario e scolastico adeguati. E’ quanto contenuto nel nuovo rapporto “Generation 2030 Africa 2.0” dell’Unicef. Le cifre sono da capogiro: entro il 2030 i bambini e i giovani sotto i 18 anni nel continente saranno 750 milioni, entro il 2055 supereranno il miliardo, ciò significa, sostiene l’Unicef, 5,6 milioni di nuovi operatori sanitari e 5,8 milioni di nuovi insegnanti per rispettare gli standard minimi internazionali e per raggiungere le migliori pratiche in campo scolastico. In tutto dunque circa 11 milioni di persone formate ex novo.
Il rapporto dell’UNICEF mostra che almeno la metà della popolazione del continente ha meno di 18 anni e i bambini rappresentano la maggior parte della popolazione in un terzo dei 55 Stati membri dell’Unione Africana. Attualmente in Nigeria si stima che nascano il 20% di tutti i bambini dell’Africa e il 5% del totale globale. Secondo le previsioni attuali, entro il 2050, nel mondo, 1 bambino su 13 che nasce sarà nigeriano.
Il rapporto identifica anche tre aree chiave di investimento: assistenza sanitaria, istruzione e protezione ed empowerment delle donne e delle ragazze. “Investire nella salute, nella protezione e nell’istruzione deve essere una priorità assoluta per l’Africa da adesso al 2030”, ha dichiarato Leila Pakkala, direttore regionale UNICEF per l’Africa orientale e meridionale. “Siamo in un momento cruciale per i bambini dell’Africa. Facendo la cosa giusta getteremo le basi per un dividendo demografico che potrebbe far uscire centinaia di milioni di persone dalla povertà estrema e contribuire a diffondere prosperità, stabilità e pace”.
Sulla base dei notevoli progressi compiuti per i bambini in Africa negli ultimi 25 anni, si legge nel rapporto, il potenziale di un miliardo di bambini è enorme. I progressi, che dovrebbero estendersi alle prossime generazioni, comprendono il dimezzamento della mortalità infantile, la crescita del numero di bambini che frequentano le scuole – in particolare delle bambine – e il rapido declino dei matrimoni precoci.

Il rapporto mostra anche che se accanto agli investimenti internazionali e nazionali nell’economia africana saranno prese decisioni politiche per promuovere la crescita lavorativa, l’Africa potrà raggiungere un dividendo demografico che farà aumentare il reddito pro capite fino a 4 volte entro il 2050. Altrimenti, se non si investirà sui giovani e i bambini in Africa, l’opportunità di un dividendo demografico di una sola generazione potrebbe tradursi in un disastro demografico, caratterizzato da disoccupazione e instabilità.
L’Unicef raccomanda 3 azioni politiche per creare condizioni socio-economiche per le prossime generazioni dell’Africa: migliorare i servizi sanitari, di previdenza sociale e protezione per rispettare gli standard internazionali, o maggiori risultati per i paesi vicini a questa realizzazione; adattare i sistemi per l’istruzione e la formazione professionale attraverso una riforma dei curricula e l’accesso alla tecnologia, per consentire un miglior apprendimento in modo che i bambini e i giovani dell’Africa siano formati per il mercato del lavoro del 21.esimo secolo; garantire il diritto alla protezione dalla violenza, lo sfruttamento, il matrimonio precoce e l’abuso.
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