Educazione al rispetto, ecco le nuove linee guide della scuola

Primato educativo dei genitori, collaborazione tra scuola e famiglia, consenso informato, esplicitazione del concetto secondo cui la differenza uomo-donna è all’origine della vita, no palese e senza ambiguità alle cosiddette “teorie del gender”, chiara e condivisibile definizione di cosa si intenda per stereotipi di genere, importanza di togliere anche dal linguaggio tutte le forme di “mascolinizzazione”, contrasto alla violenza sulle donne e a tutte le forme di discriminazione. Ecco i punti chiavi delle “linee guida” riferite all’ormai famigerato articolo 1 comma 16 della legge sulla “buona scuola” e presentate a Roma alla presenza della ministra Fedeli. Il piano per introdurre le scuole il rispetto delle diversità e per contrastare violenze e discriminazioni tra i banchi prevede, oltre alle linee guide sulla parità di genere, una campagna sui social con l’hashtag #Rispettaledifferenze, un Piano nazionale in 10 azioni, linee di orientamento per prevenire e contrastare il cyberbullismo. La dotazione finanziaria è di 8,9 milioni di euro

Perché queste linee guida sono importanti?

Dopo anni di attesa, di polemiche, di anticipazioni più o meno azzardate, il documento presentato ieri dice finalmente una parola chiara su un tema decisivo. “Educare al rispetto, alla parità tra i sessi, alla prevenzione della violenza di genere”, è un dovere da parte di tutti. E, visto che si tratta di un ambito in cui si intrecciano convinzioni etiche, religiose e culturali, la scuola non può che collaborare con la famiglia. Non solo. Educare alla parità e opporsi alla violenza di genere non vuol dire sposare le teorie che sostengono erroneamente la necessità di superare la differenza maschile-femminile. Anzi, significa valorizzare la differenza nella logica del rispetto, della pari dignità, della reciprocità. E si tratta anche di un percorso educativo importante per i ruoli familiari e per l’impegno sociale e per il mondo del lavoro.

Perché le polemiche e le iniziative pubbliche?

Il timore che le cosiddette “teorie del gender” entrassero ufficialmente in una legge che riguarda la scuola non era infondato. Su queste pagina abbiamo documentato puntualmente, da almeno cinque anni a questa parte, la subdola infiltrazione di testi, prassi, teorie finalizzate a propagandare un’antropologia alternativa e del tutto inaccettabile. Dai tristemente noti libretti diffusi dal Dipartimento delle pari opportunità, alle proposte alternative di formazione extracurriculare, alle conferenze tutte orientate a diffondere in modo unilaterale la “cultura” di una sessualità fluida, intercambiabile e indefinita, sono stati purtroppo numerosi gli episodi problematici. Leggere quindi nelle bozze delle “Linee guida” – almeno quelle fatte circolare ufficiosamente nel mesi scorsi – che la scuola avrebbe dovuto tra l’altro puntare alla «decostruzione degli stereotipi di genere» aveva fatto balzare sulla sedia chi era a conoscenza di tutto questo pregresso. Che significa attribuire ad affermazioni così cariche di ambiguità? Da qui proteste e polemiche contro le “linee guida” del Miur.

Perché la proposta ha vinto sulla protesta?

Occorre però dire, che fin da subito, il ministero aveva escluso qualsiasi riferimento alle cosiddette “teorie del gender”. Sia Fedeli sia Giannini avevano assicurato – senza però mai metterlo nero su bianco – che il profilo educativo delle linee guida su violenza di genere e educazione alla parità non avrebbe fatto riferimento a concetti divisivi. L’associazionismo più consapevole – quello che fa riferimento al Forum delle famiglie – ha avuto il coraggio di non esasperare i toni, la pazienza di verificare il testo punto per punto, il buon senso di formulare contro-proposte accettabili che, al termine di un confronto comunque utile e costruttivo, è sfociato in un documento ragionevole e privo di ambiguità. Più che proteste di piazza sono serviti moderazione e disponibilità al dialogo.

Perché è importante aver eliminato le ambiguità?

La parte più importante del testo è quella che si richiama alla cosiddetta antropologia relazionale e che offre una serie di spunti per educare alla parità, alla differenza e alla reciprocità. In questa prospettiva – sottolineando opportunamente che solo l’incontro tra le differenza dà origine alla vita – il documento fa chiarezza sugli stereotipi da superare. Il gender, viene ribadito per due volte, non c’entra nulla o, meglio, vengono valorizzati gli spunti migliori dei cosiddetti gender studies che già tra gli anni Sessanta e Settanta rifiutavano di interpretare i rapporti tra i sessi in una logica di “disuguaglianza gerarchica” tra maschile e femminile. L’educazione alla parità esclude comportamenti obbligati e codificati per sempre, che bambini e bambine devono perpetuare in modo acritico. Insomma per essere “veri uomini” non è obbligatorio amare il calcio, impegnarsi in giochi violenti e risultare sempre e comunque competitivi. Così come una bambina non deve per forza essere attratta da giochi tranquilli, avere movenze da velina e risultare sempre “dolce e carina”. Il valore della differenza è ben più importante di questi stereotipi che spesso hanno prodotto, anche nelle relazioni familiari, sofferenze e incomprensioni.

Perché la parità è un antidoto alla violenza?

Nel testo si sottolinea in più punti la necessità di una collaborazione tra scuola e famiglia. Non solo perché i genitori rimangono i primi educatori dei loro figli, ma anche perché occorre che i messaggi educativi non risultino distonici. Una necessità che, quando si parla di prevenzione alla violenza contro le donne, risulta determinante. Solo se scuola e famiglia procedono insieme, spiegando il rispetto delle differenze e i fondamenti della parità, sarà possibile disinnescare i rischi che aprono la strada alla violenza. Solo smantellando la cultura della presunta superiorità maschile sarà possibile diminuire il numero dei partner abusanti, Ma anche aiutare le donne a non concepire per se stesse ruoli subalterni che inducono ad accettare soprusi e comportamenti violenti. La strada è lunga, ma averlo messo nero su bianco è sicuramente una scelta che apre alla speranza.

Diaco (Cei): alleanza più stretta tra famiglie e scuola

“Riguardo al progetto sull’educazione al rispetto e alle linee guida presentate oggi, mi piace notare che si chiede alla scuola un forte impegno per prevenire e contrastare tutte le forme di discriminazione, nella direzione indicata dall’art. 3 della Costituzione: le discriminazioni legate al sesso, alla razza, alla lingua, alla religione, alle opinioni politiche, alle condizioni personali e sociali. Di grande rilievo è poi l’educazione alla cittadinanza digitale e la lotta al cyberbullismo, a cui siamo fortemente richiamati dall’attualità quotidiana”. Ernesto Diaco, direttore dell’Ufficio nazionale per l’educazione, la scuola e l’università della Cei (Unesu), commenta al Sir il piano nazionale per l’educazione al rispetto. “Per raggiungere questi obiettivi – osserva -, il Ministero afferma chiaramente che le scuole devono fare la parte che spetta loro, con un’azione trasversale alle diverse discipline, senza sostituirsi alle famiglie, ma in continua sinergia con esse. Un’alleanza più stretta e non burocratica tra scuola e famiglia, che evidenzi la primaria responsabilità dei genitori e il compito degli insegnanti”.

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