I minori agli stand. Armi in vetrina e marketing. Il no della Verona non violenta

Avvio oggi a Verona della fiera Eos. In esposizione ci saranno armi da fuoco, a disposizione anche di ragazzi con meno di 18 anni. Ingresso libero fino a 13 anni
Una foto d'archivio di una fiera delle armi a Verona

Una foto d’archivio di una fiera delle armi a Verona – Archivio Ansa

Tornano le armi in vetrina e si portano dietro una scia di polemiche, veleni e pericolose coincidenze. Dopo il cortocircuito mediatico originato dalle dichiarazioni, prontamente smentite, del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giovanbattista Fazzolari, sull’ipotesi di «insegnare il tiro a segno a scuola», ipotesi bollata come «fake news» dal diretto interessato, a tenere banco è l’avvio oggi a Verona della fiera Eos, che ha preso il testimone dai saloni fieristici di Brescia e Vicenza. In esposizione ci saranno armi da fuoco, a disposizione anche di ragazzi con meno di 18 anni, cui è consentito l’accesso purché siano accompagnati da un adulto. Non solo: fino a 13 anni, l’ingresso è gratuito. Si dirà: il tutto deve avvenire con il consenso dei genitori. «Il problema – spiega Giorgio Beretta, analista dell’Osservatorio permanente sulle armi libere, l’Opal – è che questa fiera mette insieme tutto, dalle pistole e dai fucili per la difesa personale alle canne da pesca. È un’operazione spregiudicata, fatta di marketing e di ideologia ben mascherata».​

Sul punto si è espresso anche il Movimento Nonviolento guidato da Mao Valpiana, molto attivo nel capoluogo scaligero. «C’è un chiaro tentativo di banalizzazione del male: i fucili vengono presentati come oggetti innocui al pari di una torcia da campeggio, alla portata di bambini che vengono invitati a prendere in mano ed entrare in confidenza con armi da fuoco». Questa mattina, peraltro, all’esterno del Palaexpo-Veronafiere avverrà un volantinaggio contro l’iniziativa da parte di Opal e Rete italiana pace e disarmo, mentre nel pomeriggio è stato promosso un incontro pubblico alla parrocchia di san Luca per riflettere sulla vicenda. Gira una foto del 2019, tra le associazioni che protestano per la facilità con cui si veicolano le armi: si vede l’allora ministro dell’Interno e attuale vicepremier Matteo Salvini imbracciare un fucile davanti a una folla di fotografi e curiosi, negli spazi della Hit di Vicenza. A preoccupare la società civile è soprattutto il clima culturale che si respira. È lo stesso Beretta ad esemplificare, spiegando che già «oggi, in Italia, i minori possono praticare il tiro a segno con armi ad aria compressa, a partire dall’età di 10 anni. E se vogliono farlo con vere armi da fuoco già dai 14 anni, è sufficiente una semplice autorizzazione scritta da parte dei genitori. La pratica viene promossa dalle associazioni del settore, le quali sostengono che tutto questo favorirebbe la disciplina e l’autocontrollo».

È passato ai più inosservato come, proprio a inizio febbraio, la Federazione italiana tiro a volo, la Fitav, abbia infatti avviato un progetto che si chiama “Care” (acronimo che sta per “Cultura, autocontrollo, regole, emozioni”). L’obiettivo? Portare lo sport del tiro a volo negli istituti scolastici di primo e secondo grado, cioè nelle scuole medie e superiori. Finanziato da “Sport e Salute” nell’ambito degli “80 milioni per lo sport italiano” destinati alla promozione dello sport di base, il progetto – spiega la Fitav – «ha come obiettivo la formazione dei docenti di Scienze motorie». Semplici protocolli, si dirà, tutti da verificare e soprattutto affidati a professionisti preparati ed esperti. Resta il fatto, al di là di coincidenze e cortocircuiti mediatici, che una qualche parola chiara andrebbe a questo punto pronunciata. Senso di responsabilità, regole chiare e trasparenza verso l’opinione pubblica lo impongono.

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La mostra a Verona. Dorazio, trame di colore come architetture

Piero Dorazio, “Balance and counterbalance”, 1965

Piero Dorazio, “Balance and counterbalance”, 1965 – opera esposta nella mostra “La nuova pittura. Opere 1963-1968” a Verona

Scienza cromatica e gesto, tocco e segno che dissestano la geometria (ma non la regola) e rigenerano la memoria dell’arte, in una continuità di ricerca da “Forma 1” in poi, hanno sostanziato prima il lucido richiamo al senso delle avanguardie storiche, poi la vera e propria difesa dell’identità della pittura moderna e della sua autonomia. Parliamo dell’opera di Piero Dorazio (l’«architetto della cromia» secondo la definizione di Marcello Venturoli) la cui pittura va per cicli. Il naturalismo pittorico iniziale della fine degli anni Quaranta del secolo scorso – contrappuntato da opere neoplastiche monocromatiche e rilievi in legno dipinto e plexiglas – via via si frantuma sino quasi alla perdita dell’immagine per diventare, nel 1948, vero astrattismo: colore su colore, gradualità su registri azzurri, verdi, gialli, viola, linee in negativo. Nel 1953, in quello stesso clima in cui nascono i “buchi” di Fontana, le formulazioni di Dorazio spaziano da un rigoroso geometrismo a forme libere e immaginifiche fino a diventare trame e segnare uno dei periodi più pregnanti della carriera dell’artista. Le prime di queste risalgono al 1959. Sono in carboncino su carta dove è più immediato fissare un’idea, perentorie, nerissime su bianco, ma è il colore a prendere il sopravvento e, a partire dal 1963, la struttura reticolare delle trame cede il passo a un nuovo impianto compositivo orchestrato di volta in volta su registri lineari, su campiture a puzzle, su fiammate di colore, sul frammento, sulle compenetrazioni appuntite, sui ritmi ripetuti di segni sinuosi, su fasce che si intersecano. Inizia da qui, per indagare il successivo quinquennio, questa mostra veronese curata da Francesco Tedeschi che, grazie a una trentina di selezionatissime opere, si focalizza su quella che è stata definita la “nuova pittura” di Dorazio. È distribuita tra la Galleria d’Arte Moderna Achille Forti e la Galleria dello Scudo da dove parte il percorso espositivo con Passato e presente, olio su tela del 1963, in cui l’intreccio del segno è superato dalla stesura di fasce policrome a fitta sequenza verticale. E se ancora la struttura reticolare, costituita da lunghe linee sottili, permane in opere come My best (1964) e Percorso male inteso (1965), è evidente come in queste tele si assista a un diradarsi e a un disciplinarsi della trama e all’affiorare di una griglia regolare sovrimpressa ai tracciati diagonali. È ciò che testimoniano due opere entrambe del 1966 che rappresentano due omaggi ad artisti verso i quali Dorazio ha manifestato particolare interesse. Si tratta di Tranart (a Gino Severini) e Ottimismo-pessimismo (a Giacomo Balla) opere che, se da una parte risentono di suggestioni provenienti dalla pittura americana in auge in quegli anni con la quale Dorazio entra in contatto in seguito alla sua permanenza negli Usa dove la sua opera registra prestigiosi riscontri, dall’altra segnalano come la sua ricerca sia il frutto di profondi legami con la storia dell’arte nazionale. Alla Galleria Forti sono due grandi tele ad accogliere il visitatore, entrambe presentate (insieme ad altre che figurano in questa mostra “La nuova pittura. Opere 1963-1968”, fino al 30 aprile) nella sala personale dell’artista alla XXXIII edizione della Biennale di Venezia del 1966: Cercando la Magliana del 1964 e Balance and counterbalance del 1965, opere che segnalano una vocazione architettonica che porta a nuove invenzioni compositive e a una rottura dell’ordine. Ciò per ottenere un equilibrio dinamico e al contempo a rifuggire da ogni irrigidimento, come dimostra l’utilizzo della linea curva e la sua fluidità in opere quali Endless Federico (I) (per Federico Kiesler) del 1965, Tira e molla, del 1966 e Litania, del 1968. © RIPRODUZIONE RISERVATA Verona, Galleria d’Arte Moderna Achille Forti e Galleria dello Scudo Piero Dorazio

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