Sguardi: a voce bassa

Ricerche scientifiche recenti documentano come il silenzio rischi sempre più di essere in via di estinzione. Dopo gli umani, anche gli animali, per sovrastare il frastuono di traffico, onde sonore e macchinari, sono costretti ad alzare la voce. Le cavallette che vivono accanto alle strade devono “gonfiare i polmoni” per parlarsi, come sott’acqua le balene assordate dalle navi. Le comunicazioni più disturbate sono quelle amorose. Il dilemma di fronte al quale si trovano le rane studiate nell’università di Melbourne è esemplare: alle femmine piacciono i maschi dalla voce grave e profonda, ma i maschi, per riuscire a farsi ascoltare, accentuano gli acuti, disorientandole. Gli adattabili passeri hanno cambiato i loro canti in melodie poco articolate e facili da percepire. Non potremo più contare sul «conforto e diletto» di cui parla Leopardi elogiando gli uccelli nelle Operette morali. «E ciò credo io che nasca principalmente (…) da quella significazione di allegrezza che è contenuta per natura, sì nel canto in genere, e sì nel canto degli uccelli in ispecie. Il quale è, come a dire, un riso, che l’uccello fa quando egli si sente star bene e piacevolmente». Controcorrente, confidando che il silenzio, il canto, l’allegrezza e il privilegio di ridere continuino a rimanere tra noi, lo dico a voce bassa, il mio saluto di fine anno e il mio grazie.

avvenire.it

Il linguaggio delle immagini artistiche fonte di spiritualità

Proponiamo in questa pagina alcuneimmagini artistiche molto eloquenti, che possono costituire un ottimo contributo per la didattica. Raggruppiamo le opere in quattro aree tematiche, tutte adatte al tempo natalizio e non solo.

(Per la visualizzazione, cliccare sul link relativo a ciascun artista e tornare a questa pagina cliccando sulla freccia del browser in alto a sinistra)

ANNUNCIAZIONE

Simone Martini (Siena,1284circa -Avignone,1344),

Beato Angelico(Vicchio1395circa-Roma,1455),

Andrea della Robbia(Firenze,1399/1400circa-Firenze,1482)

Sandro Botticelli(Firenze144-Firenze,1510)

Leonardo da Vinci(Vinci,1452-Amboise,1519)

Domenico Beccafumi(Montaperti,1486-Siena,1551)

John William Waterhouse(Roma,1849-Londra,1917)pittorebritannico preraffaellita

NATIVITA’
Giotto (Vespignano, 1267 circa -Firenze, 1337
Filippo Lippi (Firenze, 1406 circa-Spoleto, 1469)
Giorgione(Castelfranco Veneto, 1477 circa-Venezia, 1510)
Lorenzo Lotto (Venezia, 1480-Loreto, 1556/1557)
Michelangelo Merisi, noto come Caravaggio, (Milano, 1571-Porto Ercole,1610)

ADORAZIONE DEI MAGI
Giotto (Vespignano, 1267 circa-Firenze, 1337)
Gentile da Fabriano (Fabriano, 1370 circa-Roma, 1427)
Leonardo da Vinci (Vinci, 1452-Amboise, 1519)
Andrea Mantegna (Isola di Carturo, 1431-Mantova, 1506)
Sandro Botticelli (Firenze, 1445-Firenze, 1510)

ANNUNCIO AI PASTORI
Miniatura (Bibbia del monastero di Saint Bertin, Francia, 1200 ca)
Sano di Pietro (Siena, 1405 – 1481)
Jacopo da Ponte, detto Jacopo Bassano (Bassano del Grappa, 1510 circa -1592)
Antonio d’Enrico, detto Tanzio da Varallo (Vercelli, 1580 circa – Varallo 1632 o 1633
Pieter Mulier detto il Tempesta (Haarlem, 1637 – Milano, 1701)

(Raccolta a cura di Francesca Favilli staff Occhio al Duomo)

fonte: portale irc

Lo sguardo sulla nostra vita: porta che va aperta

Non c’è spazio in noi per Dio, ha detto il Papa la notte di Natale, riecheggiando il peregrinare per Betlemme della partoriente per cui «non c’era posto nell’alloggio». Non c’è posto, ha aggiunto, «perché noi vogliamo noi stessi, le cose che si toccano, la felicità sperimentabile, il successo dei nostri perso­nali progetti». Siamo, ha detto ancora, così riempiti da noi stessi, che non resta spazio per Dio.

Nella notte Natale, la voce del Papa come la parola di un padre, che ai figli non può tace­re di ciò che loro più di tutto manca. E, a­scoltandolo, ci siamo sentiti fotografati nel profondo. Non ci lamentiamo forse in tanti di una fede da poco, di avvertire Dio come a­stratto, di non vedere, di non toccare davve­ro quella gioia che ci è promessa? Quanti di­cono: io domando, ma non c’è risposta. O invece, ci ha chiesto il Papa, non è Dio stes­so a essere respinto da noi? Non siamo noi, che teniamo chiusa la porta, che la sbarria­mo con cura perché abbiamo altro da fare, e nemmeno un minuto per lo Sconosciuto che bussa? La questione di Dio, poi, «non sem­bra mai urgente», osserva Benedetto. In ef­fetti: non adesso che sono giovane, non ora che cerco un lavoro, ora che ho i figli picco­li, o la famiglia da mantenere. Dio? È come una questione a latere. Ci penseremo davvero un giorno, da vecchi.

Ma ciò che dice il Papa è invece proprio l’ur­genza della metànoia di san Paolo: del la­sciarsi trasformare nel modo stesso di pen­sare. Dove la forma che indica un ‘essere a­giti’ è fondamentale, perché dice non di un proprio sforzo, ma di un lasciare fare a un Al­tro. Di un consentire a che entri, Colui che sta alla porta. In una conversione che secondo Benedetto deve arrivare «alla profondità del nostro rapporto con la realtà». (E difficil­mente di una tale metamorfosi un uomo è capace da solo; è quasi impossibile poi, da so­li, rinascere da vecchi, come desiderava Ni­codemo quando andava di notte a interpel­lare Cristo – quasi che il buio lo proteggesse, in quella domanda assurda e audace).

Così nel Natale, giorno spesso ridotto a va­cuo sentimentalismo, a fiaba per bambini, la voce di Benedetto XVI ha chiamato a una conversione del cuore inteso in senso bibli­co: cioè sentimento e ragione insieme.

Cioè ragione non ristretta – come è stato a molti di noi insegnato – a facoltà che misura soltanto ciò che può pesare, esplorare, dimostrare; ma una ragione invece allargata, che non neghi la possibilità che qualcosa la trascenda, e venga prima, e vada oltre il pensiero dell’uomo e la natura stessa della materia, per quanto la conosciamo. «Lasciatevi trasformare», domanda la frase della Lettera ai Romani proclamata l’altra notte in San Pietro. Aprite la porta, lasciate che sia Lui, a operare. Esortazione cui fa seguito nell’omelia quel forte «transeamus» pronunciato dal Papa, e da lui stesso tradotto come un andare di là, osare il passo che va oltre; osare la traversata dalle nostre abitudini, in là, verso l’essenziale. Verso il Dio che in Cristo si è fatto bambino, ha spiegato Benedetto, perché sa che il suo splendore ci spaventa. Un Dio che alle soglie del mondo si è presentato come un figlio appena nato, di cui nessuno ha paura, e che è istintivo accogliere e amare.

Ma, tutto questo forse noi non crediamo già di saperlo, e da sempre? Non siamo così abituati alla storia di Betlemme, che pensiamo che non ci sia più nulla da capire, nulla che c’entri con l’oggi? Come allora si può riscoprire la formidabile novità del Vangelo? «Lasciatevi trasformare», è la parola del Natale in San Pietro, a pochi giorni dal 2013, Anno della Fede. Qualcuno bussa. Occorre solo aprire, e deporre l’orgoglio di chi sa tutto, è capace, ‘a posto’, autosufficiente; lasciare che entri, come splendidamente recita la liturgia bizantina, «Colui che è presente in ogni luogo, ed ogni cosa porta a compimento».

Marina Corradi – avvenire.it

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Cultura: frammenti sparsi di una spiritualità al femminile

di ROBERTO CARNERO

Laura Bosio

Laura Bosio è nata a Vercelli nel 1953. Appassionata di musica e teatro, si è affermata come scrittrice nel 1993 con il romanzo I dimenticati. Vive da alcuni anni a Milano (Foto di M. BAZZI/ANSA).

«La spiritualità, e forse, in particolare, quella delle donne, non è sentimentalismo; al contrario, è desiderio di superare, fino a estinguerle, le vicissitudini delle sensazioni e dei sentimenti». Così Laura Bosio sintetizza uno degli aspetti fondanti di una spiritualità al femminile. Tema che indaga nel suo recente volume D’amore e di ragione. Donne e spiritualità (Laterza, pp. 100, H 10), attraverso la lettura e il commento di pagine di filosofe, poetesse, mistiche e scrittrici, dall’antichità a oggi. Laura Bosio ha esordito nella narrativa con I dimenticati (Feltrinelli, 1993, Premio Bagutta Opera prima), seguito da Annunciazione (Mondadori, 1997; nuova edizione Longanesi, 2008), Le ali ai piedi (Mondadori, 2002), Teresina. Storie di un’anima (Mondadori, 2004), Le stagioni dell’acqua (Longanesi, 2007, finalista Premio Strega) e Le notti sembravano di luna (Longanesi, 2011).

D'amore e di ragione. Donne e spiritualità indaga in profondità la spiritualità delle donne

D’amore e di ragione. Donne e spiritualità indaga in profondità la spiritualità delle donne.

scheda libro online su ibs >>>

Laura Bosio, com’è nata l’idea di questo libro?

«Il libro prosegue, ampliandola, una ricerca cominciata nel 1999 con il volume antologico La ricerca dell’impossibile, pubblicato da Oscar Mondadori, su un’idea di Ferruccio Parazzoli, e poi continuata in un intervento al Festival della mente di Sarzana nel 2010. L’intento è quello di raccogliere voci di una spiritualità femminile che non rinvia necessariamente a un credo religioso: frammenti di lettere, autobiografie, trattati, romanzi, poesie, dialoghi, accostati liberamente in una trama di associazioni che trovano punti di contatto inattesi. Mi è piaciuto immaginare che queste voci siano riunite in un “museo”, dove alle pareti non compaiono dipinti ma parole, e ogni voce risuona con la vicina e con quelle delle altre stanze… Voci limpide e concrete di donne come Saffo o Eloisa, Chiara d’Assisi o Ildegarda di Bingen, Jane Austen o Marina Cvetaeva, Juana de la Cruz o Elsa Morante, la sufi Rabi’a o la tibetana Ma gcig. I loro testi sono di per sé importanti, sul piano del linguaggio, dell’invenzione, del pensiero».

Esiste uno specifico femminile in ambito spirituale?

«Spiritualità è un termine ampio. Per circoscrivere il campo e restare a come l’ho inteso in questo libro, lo definirei respiro interiore, spazio dove l’io arriva ad aprirsi. Non credo che esista uno specifico femminile in ambito spirituale, visto che tutti, uomini e donne, siamo fatti dello stesso strano impasto. Sono uomini i primi grandi esseri spirituali della storia che ci è arrivata. Certo, una storia dove le donne non avevano molta voce in capitolo. Verso l’interiorità delle donne si è sempre avuto un qualche rispetto, purché rimanesse nei confini di quel corpo dove la società le aveva segregate, esiliate dentro sé stesse. Ma proprio lì, in quell’interiorità e in quel corpo che la necessità di sopravvivere ha reso plurale, c’era altro da scoprire, e c’è ancora. Dentro e oltre, due parole della spiritualità, sono parole delle donne: dentro come accoglienza e oltre come disponibilità a gettarsi oltre ogni orizzonte. Le ricerche interiori, spirituali, non hanno ricadute soltanto personali, ma sociali, niente affatto intimistiche. Elémire Zolla, controcorrente, diceva che gli esseri spirituali sono candidati a diventare “eroi del nostro tempo”, duttili, leggeri, disposti a spostarsi in altri livelli di esistenza. Né uomini né donne, più di quanto siano bianchi o neri, eterosessuali o omosessuali, vecchi o giovani».

Lei pone una differenza tra spiritualità e religione, nel senso che la prima dimensione non necessariamente trova risposta nella seconda. Vuole spiegare meglio?

«A me pare che le Chiese, le istituzioni, con i loro dogmatismi, le loro sordità, gli arroccamenti in difesa di tradizioni o privilegi indifendibili, sono spesso il contrario della spiritualità, di quello spazio interiore di cui si diceva: di quel respiro che ci sottrae all’asfissia e permette che l’incontro con l’altro, o l’Altro, diventi un’occasione che dà senso al nostro vivere. Prendiamo un’esperienza radicale come quella mistica. Le Chiese, pur accogliendola nella loro tradizione più alta, si sono sempre mostrate caute: il rapporto tra dogmatica e mistica è stato teso e sofferto, e in molti casi ha prevalso la reciproca incomprensione. Chi cerca il divino secondo il modo della libertà mal sopporta i limiti di un’ortodossia rigida e capziosa. Gli stessi santi hanno seguito vie diverse, tutte impervie. Alcuni si sono fatti idioti e hanno abbracciato la strada della controcultura; altri si sono fatti maleducati, per manifestare la loro avversione al potere; altri bambini, sbeffeggiatori della gravità e del decoro; altri ancora, acrobati, giullari. Prendo a prestito parole di Rabi’a, vissuta nell’Iraq dell’VIII secolo in totale povertà, dispensatrice di sapienza ai grandi del suo tempo, considerata la madre del sufismo, la linea mistica più illuminata dell’islam: “Rendi il tuo cuore vigile”, si legge nei Detti. “Se sarà vigile, vedrai con gli occhi del cuore il cammino, e ti sarà facile raggiungere la dimora”. Aggiungo due versi di Else Lasker-Schüler, berlinese, ebrea, morta a Gerusalemme nel 1945, autrice di opere messe al rogo dai nazisti: “Vogliamo conciliarci la notte / se ci abbracciamo non moriamo”».

«Il rapporto tra dogmatica e mistica è stato teso e sofferto, e in molti casi ha prevalso la reciproca incomprensione. Chi cerca il divino secondo il modo della libertà mal sopporta i limiti di un'ortodossia rigida e capziosa»

«Il rapporto tra dogmatica e mistica è stato teso e sofferto, e in molti casi ha prevalso la reciproca incomprensione. Chi cerca il divino secondo il modo della libertà mal sopporta i limiti di un’ortodossia rigida e capziosa» (Foto di M. MAGLIANI/ARCHIVI ALINARI).

Come ha affrontato personalmente il problema della fede?

«Proprio su Jesus, qualche anno fa, era uscita una “Lettera al mio Dio” di alcuni scrittori. In quella che avevo immaginato, mi ponevo queste domande. Mi chiedevo: chi è il non credente? E rispondevo: è un uomo che non crede a un’immagine. Chi è il credente? È un uomo che si rivolge a un “tu”. Concludevo riconoscendo che io mi sentivo entrambi. Ecco, è così che mi sento ancora. Parlo al Dio della religione che ci ospita: a quella parte di Dio che è scesa e si è incarnata. A un “tu” che non è onnipotente, ma conosce il male e lotta insieme a me, o almeno con quella parte di me che si apre faticosamente al rapporto con gli altri, contro la sofferenza sterile. E lo sento indulgente verso il piacere che ci libera temporaneamente dall’angoscia. Se il “regno dell’amore” verrà, sarà forse grazie a quell’abbassamento, che eliminando la distanza ci consente di amare, e non di odiare, come a volte si sarebbe tentati, il mondo e noi stessi. E che mi porta a non inseguire salvezze in misteriose anime universali o in astratte armonie cosmiche, ma qui, sulla terra, luogo della crudeltà e dell’idiozia, ma anche della bellezza e del silenzio. È certo che la dimensione verticale, verso l’alto e verso il basso, è entrata nel mio orizzonte».

Una figura di cui parla è quella di Teresa d’Avila. Che cosa l’affascina di lei?

«È un’esperienza seguirla nella sua vita, nella Spagna dorata e insanguinata del Cinquecento dove è vissuta, ha combattuto, ha costruito. E scoprire nella sua scrittura e nella sua estasi amorosa, scolpita per sempre da Bernini (foto in alto a sinistra, ndr), una rivoluzionaria coscienza di sé. È come se la “guerriera di Avila” sfuggisse al suo mondo, alla sua epoca, e ci raggiungesse in questo terzo millennio. In vari passi del Castello interiore richiama all’autoeducazione necessaria per raggiungere il “cuore fermo”, la condizione che aiuta il pensiero nel suo lavoro più oneroso: cercare aperture di senso quando ogni misura del vivere sembra mancare, progettare ritmi e direzioni dell’esistere anche quando il disorientamento prevale e c’è il rischio di lasciarsi muovere in maniera cieca e sorda dall’esterno».

Un’altra Teresa che cita è Teresa di Lisieux. Ce ne vuole parlare?

«È stata un’autentica avventura per me incrociare la “piccola Teresa”, spinta di nuovo da Parazzoli. Avevo letto la Storia di un’anima, senza esserne particolarmente attirata: mi infastidivano i suoi diminutivi tardo-ottocenteschi, babbino, mammina, uccellino, fiorellino, li sentivo distanti, anche respingenti. Ma poi, sollecitata, ho provato a rileggerla senza filtri e il suo pensiero d’amore mi ha conquistata. I diminutivi si sono capovolti in accrescitivi, la patina ottocentesca è svanita, e mi è arrivata la sua forza, il suo coraggio, anche la sua bizzarria. La stessa priora del convento di Lisieux la trovava “un poco comica, un poco mistica”. Nel suo libro più eccentrico, e forse più provocatorio, Ortodossia, Chesterton mette a segno uno dei suoi paradossi. Durante la permanenza sulla terra, osserva, Gesù non ha mai nascosto né le lacrime né la collera: ha pianto con gli uomini, si è indignato per l’ingiustizia delle leggi, ha patito con loro e come loro. Però ha sempre coperto qualcosa. Qualcosa di troppo grande perché potesse mostrarcelo mentre camminava veloce in mezzo a noi: “La sua allegrezza”. È come se Teresina, mirando dritta al cuore dei Vangeli, quella allegrezza l’avesse trovata».

A un certo punto lei scrive che «lo humour è un tratto e una spia di ogni ricerca spirituale autentica». Perché?

«Per molti spiritualità e umorismo non vanno insieme, ma a me sembra che sia vero il contrario. Umorismo e umiltà, verso la quale tendono gli esseri spirituali, hanno una curiosa vicinanza, non solo di grafia e di suono. Entrambe le parole rimandano a un elemento acquoso e fertile, l’umorismo a umor, l’umidità, e l’umiltà a humus, la terra. Sembra quasi che lo humour sia il nome laico dell’umiltà. Il loro effetto è lo stesso: rovesciando la prospettiva, tutti e due impediscono di prendersi troppo sul serio».

Da quali altri personaggi femminili ha imparato in campo spirituale?

«Etty Hillesum, ad esempio, o María Zambrano, o Emily Dickinson, che ha scritto versi come questi, con un riso dolce e impertinente: “Che grande noia essere qualcuno! / Quanto volgare dire il tuo nome / per tutto giugno – come fa la rana – / a un pantano che ti ammira”».

jesus ottobre 2012

La spiritualità del quotidiano

di Maurizio Tripi

ROMA, sabato, 17 aprile 2010 (ZENIT.org).- Il libro “Il discernimento. Teoria e prassi” (Paoline edizioni) di padre Pietro Schiavone è “uno studio completo, ricco e profondo (…) un’arte complessa ma necessaria per non cedere alle aggressioni del soggettivismo e del relativismo”.

Così precisa nella prefazione, al libro, il Cardinale Salvatore De Giorgi, Presidente della Federazione Italiana Esercizi Spirituali.

Frutto di anni di ricerca e insegnamento, di direzione spirituale e pratica pastorale, il volume offre, fin dalle prime pagine, un’ampia chiarificazione dell’espressione “discernimento degli spiriti”, soffermandosi a lungo sul significato del termine “discrezione” ed esponendo le finalità, l’importanza e l’attualità dell’argomento, sia per la vita spirituale personale che per l’opera di evangelizzazione.

Molti i riferimenti al Magistero e soprattutto ai grandi dottori e mistici della storia della spiritualità, con un posto particolare riservato a Ignazio di Loyola, con i suoi Esercizi Spirituali.

Il Cardinale De Giorgi ha presentato Pietro Schiavone al Santo Padre Benedetto XVI come “degno discepolo di sant’Ignazio e insigne maestro di Esercizi Spirituali”.

“Lo dicevo – ha scritto il porporato – con motivata convinzione e con gratitudine per il notevole e prezioso contributo che padre Pietro ha dato, dà e darà alla promozione degli Esercizi Spirituali secondo sant’Ignazio”.

Pietro Schiavone è infatti uno dei massimi esperti in assoluto dell’argomento. Ed il libro appena pubblicato è considerata “l’opera più completa sul discernimento”.

Il volume è particolarmente indirizzato a quanti guidano Esercizi Spirituali, docenti e studenti di teologia spirituale, o a quanti vogliono semplicemente accostarsi agli Esercizi ignaziani.

Per approfondire un tema così interessante ZENIT ha intervistato padre Schiavone.

Padre, il suo libro si può definire uno studio completo, ricco e profondo sul “discernimento”. Ci può dare, in sintesi, una definizione di questo termine?

Schiavone: Con discernimento si intende il vagliare ogni cosa per tenere ciò che è buono e astenersi da ogni specie di male. In particolare: dobbiamo distinguere tra discernimento spirituale e discernimento delle mozioni degli spiriti. Il primo consiste nella ricerca delle motivazioni a favore e/o contrarie a una scelta. L’aggettivo spirituale si riferisce al necessario collegamento con lo Spirito Santo e, quindi, all’attenzione alle motivazioni che hanno rapporto con la gloria di Dio e la promozione umana integrale. Motivazioni di ordine economico, finanziario, psicologico… hanno un loro posto, ma quello che deve essere preso in più seria considerazione è l’edificazione del Corpo mistico e la costruzione della città terrena. Il discernimento delle mozioni degli spiriti riguarda le sollecitazioni che le forze di bene e di male, operano in noi per rasserenare e distendere (consolazione), oppure agitare e scoraggiare (desolazione).

Si dice che il discernimento sia un’arte difficile da apprendere e riservata agli addetti ai lavori. È vero? Si può sfatare questa idea?

Schiavone: I padri e le madri spirituali, i superiori e le superiore, i responsabili di formazione, chiunque altro preposto al governo di una diocesi, di una parrocchia, di una comunità e anche di una famiglia, di un ente, di un ufficio, non possono non rendersi conto del perché di una scelta. Si consideri il caso: di chi deve scegliere la facoltà universitaria, la scuola di specializzazione, il mestiere; di chi bussa alle porte di un seminario o di un noviziato; di chi intende sposarsi, iscriversi a un’associazione di volontariato, prestare un servizio che richiede particolare impegno.

In un mondo sempre più globalizzato perché si rende sempre più necessaria la pratica del discernimento?

Schiamone: Per vivere effettivamente da persone adulte e mature, per essere fedeli agli impegni, per impostare la propria, unica vita non sul capriccio e sull’istinto, ma su motivazioni che danno senso e sapore all’esistenza, che, quindi, realizzano, che fanno affrontare con maggiore speranza di riuscita le inevitabili difficoltà.

Quando e perché fare discernimento?

Schiavone: Quando? Soprattutto in caso di scelte di maggiore importanza, che impegnano per un periodo prolungato, a maggior ragione se per tutta la vita. Perché? Chiamati a prestare culto spirituale a Dio, dobbiamo offrire quello che è a Lui gradito, dobbiamo, cioè, “farne”, con e nella vita, la volontà. Evidentemente dopo averla cercata e trovata. Per mezzo del discernimento.

Si può imparare da soli ad apprendere l’arte del discernimento oppure c’è bisogno di una guida?

Schiavone: Dotati di intelligenza, dobbiamo, tutti, riflettere e ragionare, motivare e scegliere. Non a caso si parla di età della discrezione, di capacità di associare, paragonare, considerare vantaggi e svantaggi. Questo richiede che si vada a scuola e che si studi, che si facciano esercizi di analisi

logica e grammaticale, di matematica e di traduzione. A maggior ragione nel caso di discernimento delle mozioni. Anche perché si può prendere per ispirazione, illuminazione (e anche apparizione e rivelazione!) di Dio quanto, invece, è o capriccio umano (vanagloria, malizia, tornaconto), o frutto di fantasia, o, peggio, azione di spirito cattivo, che, come scrive Paolo, si maschera da angelo di luce; o di quel mondo che propone principi e modelli antievangelici.

A chi consiglia questo suo studio, frutto di anni di ricerca, di insegnamento?

Schiavone: Oltre a quelli elencati nella risposta alla seconda domanda, lo consiglierei a tutti, a condizione che si abbia un minimo di cultura. Per il semplice fatto che tutti dovremmo essere più attenti a operare scelte a occhi aperti e, come si suole dire, a ragion veduta.

La sua esperienza pastorale cosa le ha insegnato? Di che cosa hanno bisogno l’uomo e la donna di oggi?

Schiavone: Di ragionare, riflettere, capire, agire con consapevolezza e convinzione, da una parte; di dare spazio, dall’altra, all’affettività spirituale: per percepire i “tocchi dello Spirito” (le consolazioni e le desolazioni) e decifrare questo “linguaggio di Dio nella sua conversazione con l’anima".

Può elencare i punti indispensabili da tener presente quando si deve decidere su qualcosa di importante?

Schiavone: Dio è Padre e, come tutti i “papà” (si ricordi che Gesù ci ha insegnato di chiamarlo Abbà!), ha un suo sogno per ciascuno dei suoi figli; lo Spirito del Padre e del Figlio è sempre amorosamente presente e sempre agisce per aprirci a questa paterna, realizzante volontà; esistono altre forze di bene, e anche di male, che operano per portare, rispettivamente, su vie di bene o di male; lasciarsi condurre dallo Spirito di Amore, collaborare con Lui e responsabilmente operare scelte di vita; sintonizzarsi con il Signore Gesù, che della volontà del Padre ha fatto la sua ragion d’essere, tenendo conto della propria spiritualità (carisma) come vissuta e trasmessa dal proprio protettore e/o fondatore; mettersi sotto la protezione della Madonna dell’Annunciazione, virgo prudens, meglio discernens.

Dove e come allenarci al discernimento?

Schiavone: La palestra che meglio inizia ai due tipi di discernimento sono gli Esercizi Spirituali. Si veda quanto ho riportato a p.24: “Non pochi pensatori cristiani hanno elaborato criteri di discernimento, ma Ignazio sta al ‘vertice di questi tentativi’” (Boros). Ritengo di potere affermare che filo conduttore dello studio è Rm 12,1-2: “Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale. Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto”. Faccio, infine, notare che lo studio esamina anche le classiche regole di discernimento che il Santo di Loyola pone alla fine degli Esercizi.