Solo l’offerta di sé a Dio cambia davvero la storia. Santa del giorno 4 Settembre Rosalia

Solo offrendo noi stessi, la nostra stessa vita, nell’unico abbraccio d’amore cui Dio ci ha destinati, saremo in grado di cambiare la storia e costruire un mondo nuovo. È questo il messaggio profetico che oggi ci giunge da santa Rosalia, la santa più cara ai palermitani e loro patrona. Nata a metà del XII secolo in un momento in cui si cercava di ricostruire il tessuto cristiano della Sicilia dopo il dominio arabo durato dall’827 al 1072, Rosalia Sinibaldi era di famiglia nobile. Ai fasti della corte reale, però, preferì una vita da anacoreta, intuendo che la testimonianza da religiosa era in quel momento la strada più efficace per ridare speranza alla sua terra. Si ritirò quindi prima in una grotta a 90 chilometri da casa, vicino a un monastero basiliano, poi sul Monte Pellegrino, non lontano da una comunità benedettina, e qui morì nel 1160. Nel 1624 Palermo fu colpita dalla peste, che fu sconfitta dopo che le reliquie di santa Rosalia furono portate in processione per la città. Per questo nel 1666 venne dichiarata patrona del capoluogo siciliano.

Altri santi. San Mosè, profeta (XIV-XIII sec. a.C.); san Bonifacio I, papa ( V sec.).

Letture. Romano. Col 1,21-23; Sal 53; Lc 6,1-5.

Ambrosiano. Dt 10,12-11,1; Sal 98 (99); Rm 12,9-13; Gv 12,24-26.

Bizantino. 1Cor 4,17-5,5; Mt 24,1-13.

Il santo del giorno 11 agosto: Chiara

Amore e umiltà i passi per arrivare fino a Dio

Nel 1206 quando Francesco si spogliò dei propri abiti come segno di affidamento totale a Dio, una ragazza dodicenne di Assisi, Chiara, rimase profondamente colpita da quel gesto. Sette anni dopo toccò a lei seguire i passi del Poverello e affidarsi totalmente al Signore proprio attraverso la guida di Francesco. Nella Regola per l’Ordine delle Sorelle Povere, la fondatrice partì dalla scelta di riporre ogni propria certezza nel cuore di Dio e formulò l’invito a dare alla propria vita la ‘forma del Vangelo’. E i due cardini del cammino delle Clarisse per raggiungere questa meta risiedono nell’amore e nell’umiltà.

Chiara era nata nel 1194 e nel 1213, dopo aver maturato una scelta spirituale radicale ispirata da Francesco andò alla Porziuncola dove il santo le tagliò i capelli e le fece indossare il saio. Il padre tentò di riportare Chiara a casa ma lei trovò rifugio nella chiesa di San Damiano, dove nacquero le Clarisse, la cui prima regola fu dettata proprio da Francesco. Chiara morì nel 1253.

Altri santi. Sant’Alessandro il Carbonaio, vescovo (III sec.); beato Maurizio Tornay, martire (19101949).

Letture. Romano. Dt 34,1-12; Sal 65; Mt 18,15-20.

Ambrosiano. 2Re 19,9-22.32-37; Sal 47 (48); Lc 12,8b-12.

Bizantino. 2Cor 6,11-16a; Mc 1,23-28.

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Il santo del giorno 5 Agosto. Madonna della Neve

Il segno dell’impossibile che cambia la storia

L’ immagine della neve che scende ad agosto, nel cuore dell’estate romana, permette di capire cosa significa credere oggi: è compiere un gesto controcorrente che rompe ogni aspettativa e che irrompe nella storia dell’umanità portando qualcosa di nuovo. Su questa esperienza oggi la liturgia permette di riflettere grazie alla celebrazione della dedicazione della Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma, una festa che nella tradizione popolare è nota come Madonna della neve. La Basilica, infatti, venne edificata da papa Liberio nel IV secolo – e per questo è chiamata anche Liberiana – in seguito a un segno prodigioso: sul monte Esquilino nevicò e il Pontefice fece edificare una chiesa proprio tracciando il perimetro dell’area sulla quale era caduta la neve. La tradizione colloca il miracolo al 5 agosto dell’anno 352 e lo collega a una visione avuta sia da Liberio che da un patrizio romano, Giovanni, che poi finanziò la costruzione: Maria apparve loro chiedendo di costruire l’edificio nel punto che avrebbero trovato ricoperto dal manto bianco.

Altri santi. Sant’Emidio, vescovo e martire (279-309); santa Margherita da Cesolo, vedova (1325-1395).

Letture. Romano. Nm 20,1-13; Sal 94; Mt 16,13-23.

Ambrosiano. 1Re 11,41–12,1-2.20-25a; Sal 47 (48); Lc 11,37-44.

Bizantino. 1Pt 1,1-2, 10; Mt 21,28-32.

Santo del giorno 20 Luglio 2021 Elia. Le logiche di Dio provocano i potenti

Il santo del giorno

Le logiche di Dio provocano i potenti

D io non agisce secondo le nostre logiche, i suoi progetti hanno tempi diversi dalle nostre aspettative e attraverso ciò che accade attorno egli ci educa a cogliere la sua presenza. A testimoniare questa pedagogia divina è sant’Elia, profeta vissuto tra il X e il IX secolo a.C. in Palestina. Il suo nome significa ‘il mio Dio è Jahvè’, che di fatto è lo spirito di tutta la sua attività, narrata nei Libri dei Re. Sotto il regno di Acab, che aveva imposto il culto di Baal, Elia si scagliò contro il sovrano e lo scontro con i profeti pagani si consuma in un confronto dai toni forti che dimostra tutta la potenza di Dio. Elia però non ottiene il riconoscimento sperato e, anzi, si ritrova ancora vessato dal re e dalla regina Jezebel. Ma a scuoterlo dal suo torpore e dallo sconforto fu un angelo che lo convocò sull’Oreb per incontrare Dio dopo un viaggio di 40 giorni e 40 notti. Fu in quell’incontro intimo e delicato che Elia capì il senso dell’agire divino, ritrovando la motivazione per sfidare i sovrani, prendersi cura dei deboli e scegliere il suo successore, Eliseo, per essere poi portato in cielo su un carro di fuoco.

Altri santi. Sant’Apollinare di Ravenna, vescovo e martire (II-III sec.); san Frumenzio, vescovo (IV sec.).

Letture. Romano. Es 14,21-31; Es 15; Mt 12,46-50.

Ambrosiano. 1Sam 9,15-10,1; Sal 19 (20); Lc 10,13-16.

Bizantino. Gc 5,10-20; Lc 4,22-30.

Il santo del giorno 7 Luglio Antonino Fantosati

Religioso missionario martire in Cina

I l cuore dei cristiani batte con il respiro del mondo e supera le barriere che la storia, le culture e le distanze geografiche pongono tra popoli e nazioni. La vita di sant’Antonino Fantosati fu animato da questo stesso palpito e culminò nel sacrificio totale che questo prete francescano fece di sé al popolo cinese. Era nato a Trevi il 16 ottobre 1842 e a 16 anni vestì l’abito religioso francescano a Todi. Nel 1865 fu ordinato prete e nel 1867partì missionario per la Cina, assieme ad altri otto francescani, fra cui padre Elia Facchini, che morì martire due giorni dopo di lui, e un gruppo di Suore Canossiane. A Uccian, capitale del Hupè e residenza principale della Missione, dovette vestire abiti cinesi e prese il nome in lingua locale di Fanhoae- te. Nel 1868 era nell’Alto Hupè, meta del suo apostolato, dove rimase per sette anni. Nel 1878 venne nominato amministratore apostolico dell’Alto Hu-pè e nel 1889 vicario apostolico dell’Hu-nan Meridionale. Nel suo impegno missionario dovette subire diversi accuse e persecuzioni. Il 7 luglio 1900 venne ucciso dalla folla aizzata dai «boxers».

Altri santi. Beato Benedetto XI, papa (1240-1304); beato Pietro To Rot, martire (1912-19456).

Letture. Romano. Gen 41,5557;42,5-7.17-24; Sal 32; Mt 10,1-7.

Ambrosiano. Gs 4,11-18; Sal 65 (66); Lc 9,10-17.

Bizantino. 1 Cor 7,12-24; Mt 14,3515,11.

da Avvenire

26 Dicembre Santo Stefano

1226 ;Stefano, il primo martire cristiano, era uno dei primi sette diaconi, il cui dovere era quello di porsi al servizio della Chiesa e degli apostoli. Come servo di Cristo, Stefano era contento di essere come il suo Signore, e, nel momento della sua morte, fu molto simile a lui. Potrebbe sembrare che il Vangelo di oggi sia stato scritto a proposito di santo Stefano. Quando si trovò di fronte al sinedrio, lo Spirito Santo lo ispirò ed egli parlò con audacia; non solo respinse le accuse che gli erano state mosse, ma accusò a sua volta i suoi accusatori. Il suo sguardo era sempre rivolto al Signore, tanto che il suo volto splendeva come quello di un angelo e rifletteva la gloria di Cristo, che era in lui. La somiglianza tra santo Stefano e il suo Signore non è solo esteriore: nel momento della sua morte, Stefano rivelò le intime disposizioni del suo cuore, pregando perché i suoi assassini fossero perdonati, una preghiera che diede frutti più tardi, con la conversione di san Paolo. Santo Stefano, il cui nome significa “corona”, si procurò la corona del martirio dopo esservisi preparato con una vita di fedeltà al servizio di Cristo.

Chi era. Carlo Acutis, una vita offerta per Gesù

Il ragazzo è vissuto tra il 1991 e il 2006. È morto a soli 15 anni stroncato da una leucemia fulminante a Monza. La sua biografia racconta di un “adolescente normale” ma sempre attento al trascendente

da Avvenire

Il ragazzo è vissuto tra il 1991 e il 2006. È morto a soli 15 anni stroncato da una leucemia fulminante a Monza. La sua biografia racconta di un “adolescente normale” ma sempre attento al trascendente

Avere 15 anni, un bell’aspetto e un equilibrio di carattere che in genere arriva più avanti negli anni, se arriva: l’energia e la leggerezza di un adolescente temperate da uno sguardo profondo sulle piccole cose della vita. Avere delle buone doti intellettuali, quelle che si possono verificare già all’inizio di un liceo impegnativo com’è sempre stato il Leone XIII, prestigioso istituto dei gesuiti a Milano. E avere alle spalle una famiglia ricca, molto ricca: la proprietaria della Vittoria Assicurazioni. Carlo Acutis aveva tutto questo, era un privilegiato, con le carte in regola per raggiungere qualsiasi obiettivo.

Ma fu stroncato nel giro di pochi giorni da una leucemia fulminante. Il senso ultimo di una fine così prematura, di un tale spreco esistenziale, rimane nella mente di Dio, ma nel tempo, con gli oc- chi della fede, più di qualcosa si è potuto capire del disegno della Provvidenza. E il prossimo 10 ottobre ciò sarà ancora più evidente con la proclamazione di Carlo Acutis beato. Il rito, come annunciato nei giorni scorsi dopo il rinvio per la pandemia, avverrà nella Basilica di San Francesco ad Assisi, città a cui Acutis si era molto legato – la sua famiglia aveva e ha ancora lì un’abitazione – e dove è stato sepolto, prima in cimitero, poi lo scorso anno, dopo essere stato dichiarato venerabile, nel Santuario della Spogliazione. Il pastore di Assisi–Gualdo Tadino– Nocera Umbra, l’arcivescovo Domenico Sorrentino, ha ricordato che «in questi mesi abbiamo affrontato la solitudine e il distanziamento sperimentando l’aspetto più positivo di internet, una tecnologia comunicativa per la quale Carlo aveva uno speciale talento, al punto che papa Francesco, nella sua esortazione Christus vivit lo ha presentato come modello di santità giovanile nell’era digitale». La notizia dell’onore degli altari per questo ragazzo nato il 3 maggio 1991 a Londra, dove i genitori si trovavano per lavoro, e morto il 12 ottobre 2006 all’ospedale San Gerardo di Monza era arrivata lo scorso 22 febbraio, con il riconoscimento di un miracolo avvenuto per sua intercessione. Nel 2013 un bambino brasiliano di circa 4 anni è stato guarito da una grave patologia al pancreas durante una novena che i genitori avevano iniziato su ispirazione di un sacerdote, che aveva fatto loro conoscere la figura di questo giovanissimo italiano morto in odore di santità.


Monsignor Apeciti: «La sua fama di santità è esplosa a livello mondiale in modo misterioso, come se Qualcuno, con la “Q” maiuscola volesse farlo conoscere». Il culto attorno alla figura è cresciuto ovunque La gioia dell’arcivescovo di Assisi Sorrentino Carlo Acutis, il ragazzo che diventerà beato il prossimo 10 ottobre


Del resto la stessa diffusione del culto di Acutis in numerosi Paesi di diversi continenti è stata giudicata dalla Chiesa un segno soprannaturale. Il fatto che la scia di luce lasciata da Acutis – di cui non ci sono rimasti scritti significativi e la cui biografia non presenta gesti o avvenimenti eclatanti – sia arrivata così rapidamente a tanti ha fatto a dire monsignor Ennio Apeciti, responsabile dell’Ufficio delle cause dei santi dell’arcidiocesi di Milano: «La sua fama di santità è esplosa a livello mondiale in modo misterioso, come se Qualcuno, con la “Q” maiuscola, volesse farlo conoscere. Attorno alla sua vita è successo qualcosa di grande, di fronte a cui mi inchino». «Siamo nati e non moriremo mai più» è la frase celebre di Chiara Corbella Petrillo, la 28enne sposa a madre romana morta nel 2012 dopo aver rimandato le cure di un tumore alla lingua pur di non mettere a rischio la vita del figlio che portava in grembo, di cui è aperta la causa di beatificazione. «Tutti nascono come originali, ma molti muoiono come fotocopie » è la frase divenuta celebre di Carlo Acutis che sintetizza il suo anelito cristiano, di uomo in erba che avvertiva la banalità delle vite spese nella mondanità e lontano da Dio. In ospedale, posto di fronte alla morte, disse: «Offro tutte le sofferenze che dovrò patire al Signore, per il Papa e per la Chiesa, per non fare il purgatorio e andare dritto in paradiso». È stato esaudito.

Il buon ladrone, primo santo cristiano, dimenticato dalla memoria della Chiesa

Giotto, «Il buon ladrone»  (Assisi, basilica di San Francesco)

osservatoreromano.va

«Gentil o hebreo o simplemente un hombre / Cuya cara en el tiempo se ha perdido / Ya no rescataremos del olvido / Las silenciosas letras de su nombre / Pero la historia no dejará que muera la memoria / De aquella tarde en que los dos murieron» (Jorge Luis Borges, Lucas, XXIII).

La tradizione è stata saggia a chiamare uno dei malfattori “buon ladrone” (cfr. Lc 23, 39-43). È una definizione appropriata, ricorda Timothy Radcliffe, perché lui sa come impossessarsi di ciò che non è suo. Mette a segno il più strabiliante colpo della storia. Ottiene il paradiso senza pagare per entrarvi. Come facciamo noi tutti. Dobbiamo solo apprendere ad accettare doni.

«Un posto nel calendario per il primo santo cristiano», così intitola Alessandro Pronzato il capitoletto dedicato al malfattore nei suoi Vangeli scomodi. E dice: «Ho sfogliato il calendario. Il ciclo liturgico, zeppo di santi non riserva neppure un posticino per lui. C’è un posto e ci sono feste, per tutti quelli che erano presenti sul calvario quel giorno. Un posto perfino per gli assenti. Per lui, il buon ladrone, primo santo cristiano, non c’è posto nel calendario. Insomma. Un personaggio scomodo, non troppo raccomandabile, neppure dopo la morte. Quindi, niente festa per lui. Intendiamoci. Non è che lui ci soffra per queste sgarberie dei liturgisti. Resta pur sempre l’unico santo canonizzato direttamente dal Cristo: “In verità ti dico: oggi sarai con me nel paradiso”. Ciò gli basta. E ne avanza. Accompagna Gesù nel suo ingresso in paradiso. Proprio lui. Il fuorilegge. L’escluso (anche dal calendario liturgico)».

Nessun posto per lui nel calendario: imbarazzante che del primo santo ci sia così taccagna memoria, ripete Marco Pozza. Un cantuccio in un ricordo chiese dal patibolo. Inaugurò invece il paradiso: il Cielo eccede sempre con chi lascia il certo per l’incerto…

Che fosse un brigante, un poco-di-buono, probabilmente un complice di Barabba, un semi-terrorista, un delinquente, un facitore-di-male, è piuttosto pacifico. Eppure, essere canonizzato in direttissima da Gesù stesso suona un tantino eccessivo, no? Senza purgatorio, senza regolari procedure canoniche bollate (e senza che nemmeno abbia fondato una congregazione di suore, aggiunge Giovanni Berti)!

È certo però che la Chiesa latina non gli concede nemmeno un cantuccio nelle celebrazioni del suo calendario liturgico, tranne che ricordarlo ogni tre anni quando nella domenica di Cristo Re (Anno c) si proclama il Vangelo secondo Luca. «Guardati dal dimenticare» (Dt 4, 9). La Chiesa caldea invece, assieme alle altre chiese di tradizione siriaca, festeggia il ladrone il lunedì dopo Pasqua, in un dramma liturgico prima dell’Eucaristia: il lunedì dell’Angelo loro lo chiamano il lunedì del Ladrone. In una sorta di auto sacramentale, un diacono impersona il cherubino che guarda gelosamente le porte chiuse del paradiso sbarrandone l’accesso, e un altro diacono il ladrone che dice di poter entrare, perché il Signore gli ha dato la chiave. Ne segue un acceso dialogo, senza esclusione di colpi, tra colui che sbarra l’ingresso e colui che insiste nell’accedervi, fino a che questi tira fuori una croce e la mostra al cherubino, il quale si arrende e festosamente abbraccia il ladrone e lo accompagna dentro. Altrettanto canta la liturgia bizantina del Venerdì santo: «Ha aperto le porte chiuse dell’Eden al ladro con la chiave del suo Ricordati di me».

Perché il ladro dice “Ricordati di me”, e non “salvami” come ci si potrebbe aspettare? Perché il ricordo al posto della salvezza? Sembra il segno di un’umiltà triplice, dice Fabrice Hadjadj: la prima umiltà è che il nostro ladrone si abbandona al buon cuore del Signore. Non si crede degno del regno che verrà, ma domanda solamente a Gesù di ricordarsi di lui; la seconda umiltà si intuisce dal fatto che il verbo “ricordarsi”, nel Vangelo secondo Luca, viene usato per la prima volta alla fine del Magnificat: Maria dichiara che l’onnipotente «si è ricordato della sua misericordia». Infine, la terza umiltà: il nostro non ha l’impazienza dell’altro ladrone, non dice “ricordati di me” subito, ma “quando entrerai nel tuo regno”. E Gesù non l’esaudisce… È sempre così nelle sue abitudini, la sorpresa, l’inesattezza sovrabbondante.

Perciò il patriarca Bartolomeo, nelle meditazioni per Via Crucis al Colosseo del 1994, inserì un’invocazione ispirata alla liturgia bizantina che ogni giorno fa dire al credente: Signore, non ti darò il bacio di Giuda, ma come ha fatto il ladrone, ti prego: ricordati di me quando sarai nel tuo regno. Ogni giorno, ogni volta che i fedeli di rito bizantino, ortodossi e cattolici, si avvicinano alla comunione, usano le parole del ladrone (mentre nel rito romano usiamo le parole del centurione). «Guardati dal dimenticare» (Dt 4, 9).

Ho detto che la Chiesa romana non ha incluso il buon ladrone nel proprio martirologio. A dire il vero, non è così: infatti, il buon ladrone è iscritto nel Martirologio romano il… 25 marzo, solennità dell’Annunciazione. Nell’antichità patristica, si pensava che il Signore fosse stato concepito e fosse anche morto un 25 marzo. Quindi, se quel giorno Gesù è morto e ha portato con sé il malfattore, ha senso ricordarlo lo stesso 25: è il suo dies natalis. Certo, simbolicamente può essere suggestivo: tra annunciazione e crocifissione c’è una corrispondenza, ben resa dal romeno Sandu Tudor, poi monaco Daniil: «Considera gli otto grandi momenti della vita del Salvatore: annunciazione, nascita, battesimo, trasfigurazione, crocifissione, risurrezione, ascensione, discesa dello Spirito Santo. È l’ottava del mistero dell’umiltà di Dio per la nostra salvezza. Sovrapponendo i primi quattro momenti agli altri quattro, si ottiene una corrispondenza polare perfetta che illumina il mistero della nostra salvezza: l’annunciazione corrisponde alla crocifissione, la nascita alla risurrezione, il battesimo all’ascensione, la trasfigurazione alla discesa dello Spirito Santo. È il mistero della croce a costituire l’annuncio dell’angelo; è la risurrezione che ci permette di rinascere dall’alto; è l’ascensione al cielo che svela l’adozione a figli introducendoci nel regno; è la discesa dello Spirito Santo che ci permette di trasfigurarci nella luce divina».

Splendido e verissimo, nonché suggestivo. Ma, de facto, nella vita liturgica cattolica e quindi nella consapevolezza orante dei fedeli oggi questi collegamenti sono praticamente invisibili se non davvero inaccessibili. Significa semplicemente obliterare, cancellare, accantonare, cassare, rimuovere, far svanire la memoria del ladrone graziato. Ubi maior minor cessat.

Ho sottolineato la dimenticanza de facto (se non de iure) del ladrone nel calendario liturgico romano. Ma la “amnesia” non è totale, c’è ancora qualche resto di memoria, come brace che tiene il fuoco acceso sotto la cenere. La diocesi di Gerusalemme il 12 ottobre ha la memoria facoltativa del buon ladrone, mentre al Santo Sepolcro questa memoria è obbligatoria: i francescani della Terra Santa sono anche qui i custodi della memoria del ladrone proprio nel luogo storico e concreto che è il cuore dell’evento cristiano, dove avvenne la Pasqua di morte e risurrezione del Signore Gesù. «In verità ti dico: oggi con me sarai in paradiso»: nella nostra umanità, tribolata e pacificata, il Signore ci permette di godere della comunione con Lui.

È uno dei protagonisti delle riflessioni di Fabio Scarsato, nel libro del titolo significativo: Wanted. Esercizi spirituali francescani per ladri e briganti. I figli del Poverello si trovano a proprio agio con il poco-di-buono del Calvario. Giotto lo ha ritrattato rivestito di luce, in paradiso, abbracciato alla sua croce (cappella della Maddalena, nella basilica inferiore di Assisi). I rigoristi invece — puritani, giansenisti, pelagiani e meritocratici — si trovano a disagio con lui. Troppa misericordia. Eccessiva. Anche gli idealisti, gli gnostici e i manichei non si trovano a proprio agio. Troppa carne concreta, martoriata. Carne ineludibile. Ci fa bene, però: là, nello sguardo di Gesù al ladrone, splende l’amore pazzo del cuore di Cristo per i suoi, pecorelle ritrovate. «Guardati dal dimenticare» (Dt 4, 9).

Sul Tabor, Cristo si manifesta nella gloria tra Mosè ed Elia e si intrattiene con loro sulla «sua dipartita che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme» (Lc 9, 31); sul Golgota, Cristo è messo in croce tra due malfattori e si intrattiene con uno di essi sul paradiso. Una divina ironia vede qui la luce: in gloria, si parla della croce; in croce, si parla della gloria; a costo di spingere la tensione all’estremo. Che audacia, nel bel mezzo del supplizio, dire che il paradiso è per oggi stesso!

Tre crocifissi, uno il Salvatore, uno il salvato… e il terzo? Semplicemente non sappiamo. Luca non lo dice. Il racconto ha un open ending, come la parabola del figliol prodigo: la parabola non dice se il figlio arrabbiato finalmente accoglie l’invito del padre ad entrare nella festa per il fratello ritrovato o non (cfr. Lc 15, 32). Non lo dice, e quindi non lo sappiamo. Bellissima l’allusione al riguardo in una poesia di Scott Cairns, Another Crucifixion, pubblicata nel suo Slow Pilgrim. The Collected Poems. Scordare la storia del buon ladrone, non è un simbolo della nostra dimenticanza di riconoscerci intessuti nella sua stessa storia? Ci fa tanta paura tanta tenerezza? Ma non vogliamo forse che anche la nostra storia abbia un finale analogo, un happy ending davvero tale? «Guardati dal dimenticare» (Dt 4, 9).

Sogno un corso di esercizi spirituali sotto la guida del buon ladrone: potrebbe essere un modo di ricuperare la memoria delle meraviglie di Dio, con l’aiuto dell’operaio dell’undicesima ora (e il 59° minuto) di Mt 20, 1-16. Scandalosamente stupendo. Come nel testamento del martire trappista Christian De Chergé, non vorremo dire con lui «che ci sia dato di incontrarci di nuovo, “larrons heureux” (ladroni colmati di gioia, ladroni graziati, ladroni beati) in paradiso»?

Oppure ognuno di noi non vorrebbe pregare con sant’Efrem il Siro: «Ricordati anche di me insieme al ladrone, perché alla sua ombra io possa entrare nel tuo regno» (Inni Pasquali, Sulla Crocifissione vi, 20)?

di Guglielmo Spirito