Il santo del giorno 11 agosto: Chiara

Amore e umiltà i passi per arrivare fino a Dio

Nel 1206 quando Francesco si spogliò dei propri abiti come segno di affidamento totale a Dio, una ragazza dodicenne di Assisi, Chiara, rimase profondamente colpita da quel gesto. Sette anni dopo toccò a lei seguire i passi del Poverello e affidarsi totalmente al Signore proprio attraverso la guida di Francesco. Nella Regola per l’Ordine delle Sorelle Povere, la fondatrice partì dalla scelta di riporre ogni propria certezza nel cuore di Dio e formulò l’invito a dare alla propria vita la ‘forma del Vangelo’. E i due cardini del cammino delle Clarisse per raggiungere questa meta risiedono nell’amore e nell’umiltà.

Chiara era nata nel 1194 e nel 1213, dopo aver maturato una scelta spirituale radicale ispirata da Francesco andò alla Porziuncola dove il santo le tagliò i capelli e le fece indossare il saio. Il padre tentò di riportare Chiara a casa ma lei trovò rifugio nella chiesa di San Damiano, dove nacquero le Clarisse, la cui prima regola fu dettata proprio da Francesco. Chiara morì nel 1253.

Altri santi. Sant’Alessandro il Carbonaio, vescovo (III sec.); beato Maurizio Tornay, martire (19101949).

Letture. Romano. Dt 34,1-12; Sal 65; Mt 18,15-20.

Ambrosiano. 2Re 19,9-22.32-37; Sal 47 (48); Lc 12,8b-12.

Bizantino. 2Cor 6,11-16a; Mc 1,23-28.

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Il santo del giorno 5 Agosto. Madonna della Neve

Il segno dell’impossibile che cambia la storia

L’ immagine della neve che scende ad agosto, nel cuore dell’estate romana, permette di capire cosa significa credere oggi: è compiere un gesto controcorrente che rompe ogni aspettativa e che irrompe nella storia dell’umanità portando qualcosa di nuovo. Su questa esperienza oggi la liturgia permette di riflettere grazie alla celebrazione della dedicazione della Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma, una festa che nella tradizione popolare è nota come Madonna della neve. La Basilica, infatti, venne edificata da papa Liberio nel IV secolo – e per questo è chiamata anche Liberiana – in seguito a un segno prodigioso: sul monte Esquilino nevicò e il Pontefice fece edificare una chiesa proprio tracciando il perimetro dell’area sulla quale era caduta la neve. La tradizione colloca il miracolo al 5 agosto dell’anno 352 e lo collega a una visione avuta sia da Liberio che da un patrizio romano, Giovanni, che poi finanziò la costruzione: Maria apparve loro chiedendo di costruire l’edificio nel punto che avrebbero trovato ricoperto dal manto bianco.

Altri santi. Sant’Emidio, vescovo e martire (279-309); santa Margherita da Cesolo, vedova (1325-1395).

Letture. Romano. Nm 20,1-13; Sal 94; Mt 16,13-23.

Ambrosiano. 1Re 11,41–12,1-2.20-25a; Sal 47 (48); Lc 11,37-44.

Bizantino. 1Pt 1,1-2, 10; Mt 21,28-32.

Santo del giorno 2 Agosto

L’ umanità piegata dalla sofferenza ed emarginata è lo spazio dove Dio si rivela e dove il suo amore compie i segni più grandi. E fu proprio per accompagnare quell’umanità che s’impegnò sant’Alfonso Maria de’ Liguori, vescovo e dottore della Chiesa. Nato a Napoli il 27 settembre 1696 in una famiglia nobile, studiò filosofia e diritto. Per un periodo si dedicò all’avvocatura, ma dopo un’esperienza negativa decise di seguire la via della consacrazione sacerdotale. Ordinato prete nel 1726, quattro anni più tardi incontrò i pastori durante un momento di forzato riposo; si convinse così della necessità di farsi apostolo in mezzo a loro e a tutti i poveri. Lasciata Napoli, con alcuni compagni, guidati dal vescovo di Castellammare di Stabia, fondò la Congregazione del Santissimo Salvatore (i Redentoristi), che fu approvata poi da papa Benedetto XIV. Nel 1760 venne nominato vescovo di Sant’Agata, dedicandosi alla sua diocesi con dedizione e mantenendo la carica di rettore maggiore della Congregazione. Morì il 1 agosto del 1787 a Nocera de’ Pagani dove si era ritirato per motivi di salute.

Altri santi. Santi Maccabei, fratelli martiri (168 a.C.); san Leone di Montefeltro, vescovo (III sec.).

Letture. Romano. Es 16,2-4.12-15; Sal 77; Ef 4,17.20-24; Gv 6,24-35.

Ambrosiano. 1Re 7,51-8,14; Sal 28 (29); 2Cor 6,14-7,1; Mt 21,12-16.

Bizantino. 1Cor 4,9-16; Mt 17,14-23a.

Santo del giorno 20 Luglio 2021 Elia. Le logiche di Dio provocano i potenti

Il santo del giorno

Le logiche di Dio provocano i potenti

D io non agisce secondo le nostre logiche, i suoi progetti hanno tempi diversi dalle nostre aspettative e attraverso ciò che accade attorno egli ci educa a cogliere la sua presenza. A testimoniare questa pedagogia divina è sant’Elia, profeta vissuto tra il X e il IX secolo a.C. in Palestina. Il suo nome significa ‘il mio Dio è Jahvè’, che di fatto è lo spirito di tutta la sua attività, narrata nei Libri dei Re. Sotto il regno di Acab, che aveva imposto il culto di Baal, Elia si scagliò contro il sovrano e lo scontro con i profeti pagani si consuma in un confronto dai toni forti che dimostra tutta la potenza di Dio. Elia però non ottiene il riconoscimento sperato e, anzi, si ritrova ancora vessato dal re e dalla regina Jezebel. Ma a scuoterlo dal suo torpore e dallo sconforto fu un angelo che lo convocò sull’Oreb per incontrare Dio dopo un viaggio di 40 giorni e 40 notti. Fu in quell’incontro intimo e delicato che Elia capì il senso dell’agire divino, ritrovando la motivazione per sfidare i sovrani, prendersi cura dei deboli e scegliere il suo successore, Eliseo, per essere poi portato in cielo su un carro di fuoco.

Altri santi. Sant’Apollinare di Ravenna, vescovo e martire (II-III sec.); san Frumenzio, vescovo (IV sec.).

Letture. Romano. Es 14,21-31; Es 15; Mt 12,46-50.

Ambrosiano. 1Sam 9,15-10,1; Sal 19 (20); Lc 10,13-16.

Bizantino. Gc 5,10-20; Lc 4,22-30.

Il santo del giorno 7 Luglio Antonino Fantosati

Religioso missionario martire in Cina

I l cuore dei cristiani batte con il respiro del mondo e supera le barriere che la storia, le culture e le distanze geografiche pongono tra popoli e nazioni. La vita di sant’Antonino Fantosati fu animato da questo stesso palpito e culminò nel sacrificio totale che questo prete francescano fece di sé al popolo cinese. Era nato a Trevi il 16 ottobre 1842 e a 16 anni vestì l’abito religioso francescano a Todi. Nel 1865 fu ordinato prete e nel 1867partì missionario per la Cina, assieme ad altri otto francescani, fra cui padre Elia Facchini, che morì martire due giorni dopo di lui, e un gruppo di Suore Canossiane. A Uccian, capitale del Hupè e residenza principale della Missione, dovette vestire abiti cinesi e prese il nome in lingua locale di Fanhoae- te. Nel 1868 era nell’Alto Hupè, meta del suo apostolato, dove rimase per sette anni. Nel 1878 venne nominato amministratore apostolico dell’Alto Hu-pè e nel 1889 vicario apostolico dell’Hu-nan Meridionale. Nel suo impegno missionario dovette subire diversi accuse e persecuzioni. Il 7 luglio 1900 venne ucciso dalla folla aizzata dai «boxers».

Altri santi. Beato Benedetto XI, papa (1240-1304); beato Pietro To Rot, martire (1912-19456).

Letture. Romano. Gen 41,5557;42,5-7.17-24; Sal 32; Mt 10,1-7.

Ambrosiano. Gs 4,11-18; Sal 65 (66); Lc 9,10-17.

Bizantino. 1 Cor 7,12-24; Mt 14,3515,11.

da Avvenire

26 Dicembre Santo Stefano

1226 ;Stefano, il primo martire cristiano, era uno dei primi sette diaconi, il cui dovere era quello di porsi al servizio della Chiesa e degli apostoli. Come servo di Cristo, Stefano era contento di essere come il suo Signore, e, nel momento della sua morte, fu molto simile a lui. Potrebbe sembrare che il Vangelo di oggi sia stato scritto a proposito di santo Stefano. Quando si trovò di fronte al sinedrio, lo Spirito Santo lo ispirò ed egli parlò con audacia; non solo respinse le accuse che gli erano state mosse, ma accusò a sua volta i suoi accusatori. Il suo sguardo era sempre rivolto al Signore, tanto che il suo volto splendeva come quello di un angelo e rifletteva la gloria di Cristo, che era in lui. La somiglianza tra santo Stefano e il suo Signore non è solo esteriore: nel momento della sua morte, Stefano rivelò le intime disposizioni del suo cuore, pregando perché i suoi assassini fossero perdonati, una preghiera che diede frutti più tardi, con la conversione di san Paolo. Santo Stefano, il cui nome significa “corona”, si procurò la corona del martirio dopo esservisi preparato con una vita di fedeltà al servizio di Cristo.

Ognissanti, una festa senza fine

Nel giorno dedicato alla solennità di Tutti i Santi, festeggiamo non soltanto i santi conosciuti, ma anche tutti quei santi anonimi che in silenzio, nella vita di ogni giorno, hanno praticato la pienezza del Vangelo. Una festa che ci invita alla speranza

Tutti Santi - ognissanti

Come per gli angeli, dal numero incalcolabile, così i santi ci fanno pensare a una moltitudine immensa, che nessuno può contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua (cfr Ap 7, 9).
Chi sono i santi?
Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste (Mt 8, 48). I santi non sono eroi, ma persone normali che, nella loro debolezza, imitano Gesù nel dare la vita, per grazia di Dio. È l’amore che ha il potere di trasformare qualunque uomo e lo rende santo.

Lo scrittore cattolico francese Ernest Hello, vissuto nel XIX secolo, scrive: «Ci furono Numerosi tra essi che ricevettero una singolare denominazione ufficiale: si chiamavano Santi. I Santi. Concedetemi di fermarvi su questa parola: i Santi. Dimenticate gli uomini, per ricordare solo l’uomo. Pensate a voi stessi. Guardate nel vostro abisso. Pensate a che cosa deve accadere, perché un uomo sia Santo. Eppure, è accaduto» (Fisionomie di Santi, Fògola, Torino 1977).

Stupefacente armonia
Ernest Hello continua: «Il mondo soprannaturale, come il mondo naturale, contiene l’unità nella varietà e proprio questo è il senso della parola Universo. Gli Eletti [i Santi] variano tra loro per intelligenza, attitudine, vocazione. Hanno doni diversi e grazie diverse. Eppure, un’invisibile somiglianza sta al fondo della grandissima diversità. Portano tutti il medesimo segno: il segno dello stesso Dio. Le loro vite, tutte prodigiosamente differenti tra loro, contengono in diversissime lingue lo stesso insegnamento. Nella loro varietà non sono mai contraddittorie. Sono legate tutte alla Storia, mischiate alle sue innumerevoli complicazioni; eppure, la purezza dell’insegnamento che ci portano è assolutamente intatta… Hanno tutte la stessa fede; cantano tutte il medesimo Credo. Non vi pare stupefacente questa unanimità?».

La chiamata alla santità
Papa Francesco spiega molto bene qual è la via della santità e lo ripete spesso: «…siamo tutti chiamati alla santità. I Santi e le Sante di ogni tempo, che oggi celebriamo tutti insieme, non sono semplicemente dei simboli, degli esseri umani lontani, irraggiungibili. Al contrario, sono persone che hanno vissuto con i piedi per terra; hanno sperimentato la fatica quotidiana dell’esistenza con i suoi successi e i suoi fallimenti, trovando nel Signore la forza di rialzarsi sempre e proseguire il cammino. Da ciò si comprende che la santità è un traguardo che non si può conseguire soltanto con le proprie forze, ma è il frutto della grazia di Dio e della nostra libera risposta a essa. Quindi la santità è dono e chiamata… è una vocazione comune di tutti noi cristiani, dei discepoli di Cristo; è la strada di pienezza che ogni cristiano è chiamato a percorrere nella fede, procedendo verso la meta finale: la comunione definitiva con Dio nella vita eterna. La santità diventa così risposta al dono di Dio, perché si manifesta come assunzione di responsabilità. In questa prospettiva, è importante assumere un quotidiano impegno di santificazione nelle condizioni, nei doveri e nelle circostanze della nostra vita, cercando di vivere ogni cosa con amore, con carità» (Angelus, 1 novembre 2019).

Non solo i santi del calendario
Francesco continua: «Così sono i santi: respirano come tutti l’aria inquinata dal male che c’è nel mondo, ma nel cammino non perdono mai di vista il tracciato di Gesù, quello indicato nelle Beatitudini, che sono come la mappa della vita cristiana. Oggi è la festa di quelli che hanno raggiunto la meta indicata da questa mappa. Non solo i santi del calendario, ma tanti fratelli e sorelle “della porta accanto”, che magari abbiamo incontrato e conosciuto. Oggi è una festa di famiglia, di tante persone semplici e nascoste che in realtà aiutano Dio a mandare avanti il mondo». (Angelus, 1 novembre 2017)

Come si diventa santi?
L’esortazione apostolica Gaudete et exsultate è tutta dedicata alla chiamata alla santità: Papa Francesco cerca «di incarnarla nel contesto attuale, con i suoi rischi, le sue sfide e le sue opportunità. Perché il Signore ha scelto ciascuno di noi per essere santi e immacolati di fronte a Lui nella carità (Ef 1,4)» (GE 2).

Diventare santi è possibile seguendo la grande regola che ci ha lasciato Gesù e ritroviamo nel Vangelo di Matteo. Scrive Papa Francesco: «Se cerchiamo quella santità che è gradita agli occhi di Dio, in questo testo troviamo proprio una regola di comportamento in base alla quale saremo giudicati: Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi (Mt 25, 35-36) … Essere santi non significa, pertanto, lustrarsi gli occhi in una presunta estasi. Diceva san Giovanni Paolo II che “se siamo ripartiti davvero dalla contemplazione di Cristo, dovremo saperlo scorgere soprattutto nel volto di coloro con i quali egli stesso ha voluto identificarsi”. Il testo di Matteo 25, 35-36 “non è un semplice invito alla carità: è una pagina di cristologia, che proietta un fascio di luce sul mistero di Cristo”. In questo richiamo a riconoscerlo nei poveri e nei sofferenti si rivela il cuore stesso di Cristo, i suoi sentimenti e le sue scelte più profonde, alle quali ogni santo cerca di conformarsi» (GE 95-96).

Cielo e terra, duplice dimensione della Chiesa
Benedetto XVI ha osservato: «Questa festa ci fa riflettere sul duplice orizzonte dell’umanità, che esprimiamo simbolicamente con le parole “terra” e “cielo”: la terra rappresenta il cammino storico, il cielo l’eternità, la pienezza della vita in Dio. E così questa festa ci fa pensare alla Chiesa nella sua duplice dimensione: la Chiesa in cammino nel tempo e quella che celebra la festa senza fine, la Gerusalemme celeste. Queste due dimensioni sono unite dalla realtà della “comunione dei santi”: una realtà che comincia quaggiù sulla terra e raggiunge il suo compimento in Cielo» (Angelus, 1 novembre 2012).

Il Pantheon, prima basilica dedicata a Tutti i Santi
Riferimenti alla festa, ma limitata ai martiri, si riscontrano già nel IV secolo nei padri della Chiesa, come in Giovanni Crisostomo ed Efrem il Siro. Anche la data cade in un giorno diverso, il 13 maggio, quando, tra 609 e 610, per volere di papa Bonifacio IV, l’antico tempio dedicato a tutti gli dei, il Pantheon, viene trasformato in una basilica consacrata alla Vergine e a tutti i martiri, la Dedicatio Sanctae Mariae ad Martyres.

Nell’VIII secolo, con Gregorio III, la data della ricorrenza viene spostata al 1° novembre, anniversario della consacrazione delle reliquie «dei santi apostoli e di tutti i santi, martiri e confessori, e di tutti i giusti resi perfetti che riposano in pace in tutto il mondo» in una cappella di San Pietro in Vaticano. La data viene così a essere fissata nell’attuale, diventando di precetto con il re Luigi il Pio nell’835, su sollecitazione di papa Gregorio IV.

Il legame della Festa dei Santi con la Commemorazione dei Defunti
Sembra non essere un caso che la festa di Ognissanti preceda di un giorno quella dei defunti e il motivo viene spiegato dal papa emerito Benedetto: «Per questo è molto significativo e appropriato che dopo la festa di Tutti i Santi la Liturgia ci faccia celebrare domani la Commemorazione di tutti i fedeli defunti. La “comunione dei santi”, che professiamo nel Credo, è una realtà che si costruisce quaggiù, ma che si manifesterà pienamente quando noi vedremo Dio “così come egli è” (1Gv 3,2). È la realtà di una famiglia legata da profondi vincoli di spirituale solidarietà, che unisce i fedeli defunti a quanti sono pellegrini nel mondo. Un legame misterioso ma reale, alimentato dalla preghiera e dalla partecipazione al sacramento dell’Eucaristia. Nel Corpo mistico di Cristo le anime dei fedeli si incontrano superando la barriera della morte, pregano le une per le altre, realizzano nella carità un intimo scambio di doni» (Angelus 1 novembre 2005).

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San Benedetto e l’uomo europeo. 11 Luglio 2020. Nella memoria liturgica del padre del monachesimo occidentale

In occasione della consacrazione della ricostruita chiesa cattedrale di Montecassino, avvenuta il 24 ottobre 1964, Paolo VI proclamò san Benedetto Patrono principale d’Europa. Con quel gesto il Pontefice asseverò il ruolo decisivo che il monachesimo benedettino aveva giocato nel medioevo, mediante la fitta rete dei suoi monasteri, nel forgiare il continente europeo attraverso un’unità senza pari di fede e di cultura. Anche un agnostico come il sociologo Léo Moulin ammise che san Benedetto e i suoi monaci potevano senz’altro essere definiti «i “Padri d’Europa” nel senso pieno del termine, sia dal punto di vista storico che sociologico».

Nondimeno, va subito ricordato che tutto ciò che i monaci benedettini furono in grado di realizzare dev’essere ricondotto a quel principio unificatore della loro vocazione, ossia il quaerere Deum, la ricerca di Dio (cfr. Regola di san Benedetto [=rb] 58, 7). «Essi — come ha affermato Benedetto XVI — volevano fare la cosa essenziale: impegnarsi per trovare ciò che vale e permane sempre, trovare la Vita stessa. Erano alla ricerca di Dio. Dalle cose secondarie volevano passare a quelle essenziali, a ciò che, solo, è veramente importante e affidabile».

I monaci benedettini, dunque, non avevano innata la vocazione a colonizzare, a dissodare o a creare fattorie che erano vere e proprie imprese d’avanguardia dove si conducevano audaci esperimenti di agronomia e si istruivano in maniera illuminata le masse rurali. Né avevano, come loro scopo precipuo, quello di prosciugare le paludi, di costruire mulini e vivai, di incrementare l’arte dell’apicoltura, di prendersi cura dei boschi o di specializzarsi nella produzione vinaria, olearia e casearia. Così come non avevano come finalità primaria quella di recuperare e trasmettere la cultura antica o di crearne una nuova.

Eppure, se in risposta alle esigenze dei tempi, i monaci, oltre che grandi evangelizzatori, si rivelarono anche dei grandi «educatori economici» (H. Pirenne) e propagatori culturali, ciò fu la risultante di un’esistenza vissuta nella diuturna ricerca di Dio, condotta nella sequela di Gesù e alla luce del suo Vangelo, il che, ovviamente, si configurava anche come ricerca della verità sull’uomo e sulla sua autentica realizzazione. È da qui, infatti, che ha preso forma quell’umanesimo benedettino — «parte importante dell’umanesimo cristiano» (Ludmiła Grygiel) — che ha segnato in maniera duratura e profonda l’ethos europeo.

Tuttavia, oggigiorno, nel clima socio-culturale nel quale si dibatte l’Europa secolarizzata e post-umana, dove le meta-narrazioni riguardanti il Dio cristiano sono fortemente in declino, viene spontaneo chiedersi se il messaggio di san Benedetto possa ancora essere fonte di ispirazione per i cittadini europei. Noi crediamo di sì. Ecco alcuni esempi di come tale messaggio abbia ancora qualcosa da dire alle menti e ai cuori dei nostri contemporanei.

Innanzitutto l’esortazione di san Benedetto ad essere artigiani di pace e di unità, ricercando e custodendo entrambe nella verità e nella carità (cfr. rb, Prol. 17; 4, 25; 65, 11). Non è un caso se il Breve apostolico con cui Paolo VI dichiarò san Benedetto Patrono principale d’Europa inizi con le parole «Pacis nuntius», “messaggero di pace”, ed «Effector unitatis», “costruttore di unità”. Solo facendosi promotori di pace e di unità, infatti, sarà possibile vivere in armonia con sé stessi, con gli altri e con il creato, e contribuire efficacemente all’edificazione di un mondo più giusto e umano. Il tutto all’insegna di una “cultura del dialogo” che «implica un autentico apprendistato, un’ascesi che ci aiuti a riconoscere l’altro come un interlocutore valido» (Papa Francesco).

Un altro valore presente nella rb è il rispetto per ogni essere umano. Fedele al Vangelo, san Benedetto esorta ad «Onorare tutti gli uomini» (rb 4, 8), perché in ogni essere umano è presente il Cristo. È un invito ad avere uno sguardo nuovo nei confronti dei propri simili, uno sguardo che, attingendo al comandamento cristiano dell’amore, si concentri sull’unicità e sulla dignità di ogni persona; uno sguardo aperto alla dimensione plurale, soprattutto sul piano culturale e religioso; uno sguardo che favorisca l’inclusione, la condivisione e la solidarietà, specialmente verso i malati, i pellegrini, i forestieri (che in monastero non mancano mai: cfr. rb 36, 4), ossia verso gli umili, i poveri, gli ultimi. Insomma, san Benedetto ci sprona a riconoscere in ogni uomo e donna un fratello e una sorella da accompagnare, da accudire, da educare, da far progredire, da evangelizzare, da amare e da condurre felicemente verso il porto della vita eterna.

Un altro aspetto che merita attenzione è la preziosità della vita quotidiana. Quest’ultima è per san Benedetto il luogo in cui riconoscere i segni della prossimità di Dio nella propria vita (cfr. rb 19, 1); il luogo in cui vivere la santità evangelica in una forma ordinaria, di modo «che l’eroico diventi normale, quotidiano, e che il normale, quotidiano diventi eroico. Bisogna ammirare la semplicità di tale programma, e nello stesso tempo la sua universalità» (Giovanni Paolo II). Un’eco di ciò è rintracciabile nell’esortazione apostolica Gaudete et exsultate di Papa Francesco, là dove egli esorta i cristiani a vivere la “santità quotidiana”. Per san Benedetto, poi, non vi è nulla che non contribuisca in qualche modo al proprio cammino di santità, a tal punto da esortare i suoi monaci a maneggiare con cura gli attrezzi del monastero, come una zappa, un mestolo o uno stilo. Essi pure, infatti, sono strumenti attraverso i quali cercare Dio, e per questo vanno maneggiati come se fossero vasi sacri dell’altare (cfr. rb 31, 10).

Infine, per percepire la presenza di Dio nel nostro quotidiano, san Benedetto conferisce grande importanza anche alla “stabilità”. Il paradigma del cambiamento d’epoca che stiamo attraversando è quello della complessità e della velocità, e ciò è spesso causa di ansia, di disorientamento e di destabilizzazione. La stabilità a cui allude san Benedetto (cfr. rb 58, 17), oltre che di natura fisico-spaziale, è anche e soprattutto interiore. Essa ha a che fare con un cuore saldamente fondato sulla roccia che è Cristo, al quale assolutamente nulla dev’essere anteposto (cfr. rb 72, 11), e sul suo Vangelo, guida sicura per il cammino di quaggiù (cfr. rb , Prol. 21).

La Regola di san Benedetto continua dunque a essere fonte di ispirazione sia per il credente sia per ogni uomo di buona volontà che desideri contribuire all’edificazione di un’Europa dal volto umano, «un’Europa capace di dare alla luce un nuovo umanesimo», per il quale servono «memoria, coraggio, sana e umana utopia» (Papa Francesco). Benedictus benedicat!

di Donato Ogliari
Abate ordinario di Montecassino

Osservatore Romano