Ucraina: medaglia Nobel russo venduta a 103 mln dollari Muratov devolverà tutto il ricavato all’Unicef

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La medaglia del premio Nobel per la pace del giornalista russo Dmitry Muratov è stata battuta all’asta a New York a 103 milioni di dollari.

Il ricavato andrà tutto all’Unicef per aiutare i bambini sfollati a causa della guerra in Ucraina.

Muratov, insignito della medaglia d’oro nell’ottobre 2021, ha contribuito a fondare il quotidiano russo indipendente Novaya Gazeta. Era il caporedattore della pubblicazione quando è stata chiusa a marzo a causa della repressione del Cremlino nei confronti dei giornalisti. (ANSA).

Cisgiordania: un palestinese ucciso da esercito Israele

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(ANSA) – TEL AVIV, 19 GIU – Un palestinese è stato ucciso oggi nei pressi della barriera di separazione nei pressi della città di Qalqilya, in Cisgiordania.

Lo riferisce il ministero della sanità locale, citato dall’agenzia Wafa che identificato l’uomo in Ahmed Taysir Ghanem di Nablus.

Secondo l’esercito, citato dai media, il palestinese stava tentando di danneggiare la barriera. (ANSA).

LA DISTRUZIONE DELLA GUERRA, IL SOGNO DI DIO PER LA PACE

A 100 giorni dall’inizio dell’aggressione russa all’Ucraina tocchiamo con mano quanto è vero che «tutto è connesso». Solo lo sguardo alle tante vittime inermi potrà orientare una politica che miri alla pace

Cari amici lettori, abbiamo superato da poco il 100° giorno di guerra tra Russia e Ucraina. Ci passano sotto gli occhi le prime immagini di bombardamenti su Kiev, la fuga di tanti ucraini, gli orrori dei massacri insensati di civili, il timore per il possibile disastro per le centrali nucleari colpite da attacchi russi, i civili e militari chiusi nell’acciaieria Azovstal, l’uso di armi termobariche, lo spettro di una escalation nucleare, il rapimento di bambini ucraini portati in Russia, e da ultimo l’incombente spettro della fame in altre parti del mondo (Africa, Vicino Oriente) dipendenti dai rifornimenti di grano ucraino bloccati nei porti.

In Europa abbiamo vissuto la paura di essere privati del gas e petrolio russi: si è persino preso in considerazione un ritorno (“temporaneo”) al carbone (che sarebbe un grave passo indietro nella lotta contro il cambiamento climatico). In questa guerra più che mai tocchiamo con mano come «tutto è connesso», concetto chiave dell’«ecologia integrale» di cui parla papa Francesco in Laudato si’ (n. 138). I fattori ambientali, economici e sociali sono intrecciati: è la drammatica realtà anche della guerra. La guerra distrugge vite umane e rapporti familiari e sociali, distrugge la fraternità che è il sogno di Dio per l’umanità (Fratelli tutti, n. 26), distrugge le città e le attività industriali, mette in pericolo l’ambiente (vedi il disastro evitato per un soffio a Chernobyl e altre centrali nucleari) e i fragili equilibri tra le nazioni, dove quelle svantaggiate sono quelle che maggiormente patiscono le conseguenze “a distanza” del conflitto. Papa Francesco in Fratelli tutti richiamava il tema “ambiente” in relazione alla guerra: «Ricordo che la guerra è la negazione di tutti i diritti e una drammatica aggressione all’ambiente» (n. 257; cfr. LS n. 57).

Osservazione che poteva sembrare marginale, e invece ora si sta rivelando drammaticamente vera. Non si può che sottoscrivere integralmente quanto si legge poco dopo: «La guerra è un fallimento della politica e dell’umanità, una resa vergognosa, una sconfitta di fronte alle forze del male» (FT n. 261). Qual è allora lo sguardo cristiano sulla realtà della guerra, che dovrebbe contribuire a costruire una politica che mira alla pace? «Non fermiamoci su discussioni teoriche, prendiamo contatto con le ferite, tocchiamo la carne di chi subisce i danni. Rivolgiamo lo sguardo a tanti civili massacrati come “danni collaterali”. Domandiamo alle vittime. Prestiamo attenzione ai profughi… Consideriamo la verità di queste vittime della violenza, guardiamo la realtà coi loro occhi e ascoltiamo i loro racconti col cuore aperto. Così potremo riconoscere l’abisso del male nel cuore della guerra e non ci turberà il fatto che ci trattino come ingenui perché abbiamo scelto la pace».

La guerra, male in sé, trascina con sé altri mali a cascata. L’unico vero realista, verrebbe da dire, è colui che cerca la pace. Preghiamo, cari amici, perché queste considerazioni facciano breccia anche in coloro che prendono le grandi decisioni della storia. 

Famiglia Cristiana

Papa Francesco: «Gesù e Buddha: costruttori di pace e promotori della nonviolenza»

«Anche Gesù visse in tempi di violenza. Egli insegnò che il vero campo di battaglia, in cui si affrontano la violenza e la pace, è il cuore umano […]. Egli predicò instancabilmente l’amore incondizionato di Dio che accoglie e perdona e insegnò ai suoi discepoli ad amare i nemici […], tracciò la via della nonviolenza, che ha percorso fino alla fine, fino alla croce, mediante la quale ha realizzato la pace e distrutto l’inimicizia». Riportiamo il discorso completo che il Pontefice ha tenuto Sabato 28 Maggio alla delegazione di autorità del Buddhismo in Mongolia

Illustri Signori!

Con grande cordialità e stima do il benvenuto a voi, Leader Buddisti dalla Mongolia, e a S.E. Mons. Giorgio Marengo, Prefetto Apostolico di Ulaanbaatar, che vi accompagna. Esprimo la mia gratitudine per la vostra prima visita in Vaticano quali rappresentanti ufficiali del Buddismo mongolo. Essa si propone di approfondire le vostre relazioni amichevoli con la Chiesa Cattolica, per promuovere la comprensione e la collaborazione reciproca al fine di costruire una società pacifica. L’occasione è particolarmente significativa, poiché quest’anno ricorre il 30° anniversario della Prefettura Apostolica nel vostro bel Paese, come pure delle relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e la Mongolia.

La pace è oggi l’ardente anelito dell’umanità. Pertanto, attraverso il dialogo a tutti i livelli, è urgente promuovere una cultura della pace e della nonviolenza e lavorare per questo. Questo dialogo deve invitare tutti a rifiutare la violenza in ogni sua forma, compresa la violenza contro l’ambiente. Purtroppo, c’è chi continua ad abusare della religione usandola per giustificare atti di violenza e di odio.

Gesù e Buddha sono stati costruttori di pace e promotori della nonviolenza. «Anche Gesù visse in tempi di violenza. Egli insegnò che il vero campo di battaglia, in cui si affrontano la violenza e la pace, è il cuore umano […]. Egli predicò instancabilmente l’amore incondizionato di Dio che accoglie e perdona e insegnò ai suoi discepoli ad amare i nemici (cfr Mt 5,44) […], tracciò la via della nonviolenza, che ha percorso fino alla fine, fino alla croce, mediante la quale ha realizzato la pace e distrutto l’inimicizia (cfr Ef 2,14-16)». Perciò, «essere veri discepoli di Gesù oggi significa aderire anche alla sua proposta di nonviolenza» (Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1 gennaio 2017, 3).

Il messaggio centrale del Buddha era la nonviolenza e la pace. Insegnò che «la vittoria si lascia dietro una scia di odio, perché il vinto soffre. Abbandona ogni pensiero di vittoria e sconfitta e vivi nella pace e nella gioia» (Dhammapada, XV, 5 [201]). Sottolineò inoltre che la conquista di sé è più grande di quella degli altri: «Meglio vincere te stesso che vincere mille battaglie contro mille uomini» (ibid., VIII, 4 [103]).

In un mondo devastato da conflitti e guerre, come leader religiosi, profondamente radicati nelle nostre rispettive dottrine religiose, abbiamo il dovere di suscitare nell’umanità la volontà di rinunciare alla violenza e di costruire una cultura di pace.

Sebbene la presenza di comunità più formali di fedeli cattolici nel vostro Paese sia abbastanza recente e il loro numero esiguo ma significativo, la Chiesa si impegna pienamente a promuovere una cultura dell’incontro, seguendo il suo Maestro e Fondatore il quale ha detto: “Amatevi come io vi ho amato” (cfr Gv 15,12). Rafforziamo la nostra amicizia per il bene di tutti. La Mongolia ha una lunga tradizione di pacifica convivenza di diverse religioni. Il mio auspicio è che questa antica storia di armonia nella diversità possa continuare oggi, attraverso l’effettiva attuazione della libertà religiosa e la promozione di iniziative congiunte per il bene comune. La vostra presenza qui oggi è in sé stessa un segno di speranza. Con questi sentimenti, vi invito a continuare il vostro dialogo fraterno e le buone relazioni con la Chiesa Cattolica nel vostro Paese, per la causa della pace e dell’armonia.

Grazie ancora per la vostra gradita visita; e spero che il vostro soggiorno a Roma sia ricco di gioia e di interessanti esperienze. Sono anche certo che il vostro incontro con i membri del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso vi darà l’opportunità di esplorare le vie per promuovere ulteriormente il dialogo buddista-cristiano in Mongolia e nella regione.

Auguro a voi e a coloro che rappresentate, nei diversi monasteri buddisti in Mongolia, abbondanza di pace e di prosperità.

Quest’anno il premio Dossetti per la pace va a mons. Corrado Lorefice vescovo di Palermo

Il premio per la pace 'Giuseppe Dossetti' all'arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice – La Libertà online

Più che mai oggi abbiamo bisogno di credibili operatori di pace, e uno di questi lo riconosciamo in Mons. Corrado Lorefice, Arcivescovo di Palermo che venerdì 13 maggio 2022, riceverà a Reggio Emilia il XIII “Premio per la Pace Giuseppe Dossetti”, riconoscimento che gli viene assegnato “per la sua azione costante verso la pace, il dialogo interreligioso, la cura, la carità e l’attenzione ai poveri”. Tra le tante opere e parole evangeliche al servizio dei poveri che potremmo citare a proposito di Mons. Lorefice, sia prima che dopo la sua consacrazione ad arcivescovo di Palermo nel 2015, mi pare ci sia la sua profonda sensibilità che lo avvicina alla spiritualità e all’operato dello stesso Don Dossetti e del Cardinal Lercaro, grande anima del Concilio Vaticano II. Figure a lui molto care e vicine idealmente, sulle quali ha scritto lo splendido testo edito nel 2011 “Dossetti e Lercaro: la Chiesa povera e dei poveri nella prospettiva del Concilio Vaticano II”, con un’analisi puntuale e rigorosa della “fede” che ispirò questi due grandi profeti del nostro tempo.

Un premio, dunque, che sembra agganciarsi alla lunga eco della vitalità del Concilio, se riascoltiamo le parole dello stesso Cardinal Lercaro, nel suo famoso discorso su “Chiesa e povertà” (intervento pronunciato il 6 dicembre 1962 nel corso della Congregazione Generale 35).  In questo breve passo il cardinale afferma: “Che nel lavoro da svolgere dal concilio d’ora in poi trovi, non soltanto un posto, ma vorrei dire il primo posto, la formulazione della dottrina evangelica della divina povertà del Cristo nella chiesa: il mistero dell’elezione divina che ha scelto la povertà come un segno e un modo – «sacramentum magnum, dico in Christo et in ecclesia» (Ef 5,32) – come un segno e un modo preferenziale di presenza e di forza operativa e salvifica del Verbo incarnato tra gli uomini.”

Un’attenzione ai poveri che sembra proprio anche il fil rouge di tutto l’operare apostolico di Mons. Lorefice che,  da arcivescovo di Palermo, continua a muoversi come instancabile annunciatore tra la gente di una bella notizia, per citare le parole pronunciate nella sua recente visita lungo le strade del quartiere CEP – San Giovanni Apostolo di Palermo: “Qui ci sono tante storie di sofferenza, tanti sogni non ancora realizzati, tante realtà negate; ma c’è anche il profumo del Crisma, ci sono i segni del Messia, di colui che prende su di sé le sofferenze degli altri… Tornando alla commozione, io oggi mi sono commosso perché oggi io non sono venuto a fare la predica su Gesù ma perché l’ho incontrato nella sua Parola e nella sua carne: in quei volti che ho incrociato, in quelle mani che ho stretto, in quelle case che mi hanno ospitato; io oggi non ho fatto una buona azione ma ho continuato a incontrare lo stesso Gesù che incontro quando celebro l’Eucaristia e ascolto la sua Parola. E poi, se non c’è la strada non c’è Vangelo – non c’è Evangelo (εὐ in greco significa “bello”) – perché noi non possiamo annunciare una notizia bella, non possiamo dire che i sogni si realizzano; e Vangelo non è mai astratto, mai come in questo caso il Vangelo è la strada».

Un cammino di Vangelo per le strade di Palermo che è presente anche nel suo recente libro “Il Vangelo e la strada”, scritto in collaborazione con Anna Staropoli e Vito Impellizzeri, quasi una sorta di percorso di discernimento comunitario e sinodale tra le strade e la gente della sua città a partire dall’Enciclica “Fratelli Tutti” di Papa Francesco: questo infatti lo sta portando a visitare via via uno dopo l’altro tutti i quartieri più poveri e disagiati per ascoltare proprio tutti. Un dialogo con la città che per Lorefice ha sempre avuto molti volti, e ha saputo rinnovare anche tradizionali appuntamenti ufficiali come il consueto discorso alla città che si tiene ogni anno per il Festino di Santa Rosalia, patrona di Palermo. Anche in questa occasione, ben lungi da ogni retorica, Lorefice ha saputo parlare al cuore dei palermitani creando manifesti programmatici di puro vangelo, che scuotessero le coscienze e incoraggiassero ognuno ad un bene comune coraggioso, da costuirsi insieme senza paura. Ne citiamo solo qualche passo, molto più eloquente di qualsiasi commento.

Dal primo coraggioso discorso, appena insediato da pochi mesi, nel 2016, dove subito chiariva verso quale giustizia si schierava: “Si può apparire potenti, si possono avere tanti soldi vivendo da mafiosi, da sfruttatori, ma non facciamoci annebbiare, non fatevi annebbiare care ragazze e cari ragazzi che siete qui stasera: chi vive così è un disperato, chi vive così non gusta nulla della vita! È solo un latitante della vita!! … Per questo voglio rivolgermi da qui agli uomini che hanno violato e ferito così profondamente la nostra Città, a tutti quelli che intendono continuare su questa strada: ‘Fermatevi! Riflettete! Pensate a quando il sole tramonta, scende la sera, e voi tornate a casa, dalla vostra famiglia, dai vostri figli. E sapete di non poter essere fieri davanti a loro di aver annientato la bellezza, di aver dato fuoco agli alberi, di aver violato la natura, di aver estorto denaro e trafficato narcotici devastanti la mente ed il cuore delle nuove generazioni, di aver disprezzato la giustizia e l’onestà. Risvegliate il vostro cuore. Non rimanete in questo nulla. Vi dico stasera, da vescovo – cioè da uno che è chiamato a ‘vegliare’ sulla Chiesa e sulla Città – che nonostante tutto voi siete e io mi sento vostro fratello, che sono qui pronto ad ascoltare le vostre parole, a sentire il risentimento o la mancanza da cui si genera la vostra determinazione nel male. Sono qui ad aspettarvi e a darvi un’occasione, a piangere come Gesù ma anche a sperare. Non tradite Palermo e non tradite voi stessi!”

E più avanti, nel 2020, in piena pandemia, si rivolgeva alla stessa “Santuzza” con queste parole: “È come se tu stasera ci ricordassi che la pandemia, ogni pandemia, è stata ed è una grande lezione di sobrietà… Rosalia, tu ci inviti a riscoprire la lentezza, le piccole cose, la gioia di gesti e di atti di cui non ci rendevamo più conto, che non apprezzavamo più. Dire una parola buona, guardare negli occhi chi ci ama, aspettare che venga su il caffè e berlo accanto alle persone con cui condividiamo la vita, innaffiare una pianta o scambiare quattro chiacchiere per il puro piacere della compagnia, dare una mano al vicino, alla vicina di casa di cui non ci siamo mai accorti. Mi ha colpito molto che nel tempo del lockdown, abbia potuto conoscere e frequentare ogni giorno dal balcone le famiglie che abitano di fronte al vescovado…”

Nell’ultimo discorso del 2021 presentava, infine, con calore lo stile di un possibile stare insieme evangelico: “la sfida oggi, della casa e della città: nonostante la diversità di visioni e di interessi, ritrovare nuovamente la rete umana di cui facciamo parte. Essere interconnessi non è né un’imposizione dall’alto, né un precetto morale: è un’istanza di identità e di sopravvivenza. Restare in questa interconnessione, restare nella condivisione, è l’unica via per la vita piena. Questo per i cristiani è la Pentecoste. Lo Spirito unisce perché comprende e rispetta ogni lingua. Come quando si mette in atto la traduzione da una lingua all’altra che ha la stessa dignità della prima, così una comunione è vera se ad ogni lingua, ad ogni persona, ad ogni gruppo viene riconosciuta pari dignità”.

Un premio, diremmo, certamente meritato quello a Monsignor Lorefice, anche perché inserito in un tempo sinodale della Chiesa dove, per dirla con le sue stesse parole, “la comunità cristiana si rimette in ascolto innanzitutto del suo Signore e poi ascolta tutti, ma proprio tutti, anche coloro che non hanno una partecipazione attiva – magari sporadica – alle nostre comunità, anche coloro che, lontani dalla Chiesa seppur battezzati, possono offrire molto in questo momento.”

Fonte: Vino Nuovo