In Albania la Chiesa della rinascita. «Tragico l’esodo delle famiglie»

Una minoranza nel Paese ma in crescita. L’arcivescovo Massafra: risorti dalle macerie del comunismo, siamo una forza morale. «No alla criminalità che mina la società»
La Messa fra le rovine del monastero di Rrash-Kullaj in Albania

La Messa fra le rovine del monastero di Rrash-Kullaj in Albania – @ArqipeshkviaShkoder

Fra le navate della Cattedrale di Scutari, in uno degli altari laterali compaiono i volti dei trentotto martiri di Albania. Tutti beati. E tutti vittime della persecuzione contro la Chiesa cattolica organizzata dal regime comunista sotto Enver Hoxha. Le immagini in bianco e nero riempiono un’intera parete. «Ci riteniamo e siamo realmente figli dei nostri martiri della dittatura del XX secolo. E l’esperienza della persecuzione ci ha insegnato a perseverare nella fede, a essere piccolo gregge fedele al suo pastore e maestro e alla sede di Pietro dalla quale spesso hanno tentato di staccarci», racconta l’arcivescovo di Scutari-Pult, Angelo Massafra. Oggi la comunità cattolica è una minoranza nel Paese: poco più 500mila fedeli su una popolazione di quasi 3 milioni di abitanti. Ma in crescita. «Siamo risorti dalle macerie e possiamo presentarci di fronte alla società come forza morale», spiega Massafra.

 

L’arcivescovo di Scutari-Pult, Angelo Massafra, in una parrocchia della sua diocesi

L’arcivescovo di Scutari-Pult, Angelo Massafra, in una parrocchia della sua diocesi – @ArqipeshkviaShkoder

 

Frate minore francescano, originario di un antico centro arbëreshë della Puglia, San Marzano di San Giuseppe, è vescovo in Albania dal 1996: prima a Rrëshen, poi a Scutari. Lo scorso febbraio è stato eletto per la terza volta presidente della locale Conferenza episcopale. E in questa veste parteciperà all’incontro dei vescovi del Mediterraneo che si terrà a Firenze dal 23 al 27 febbraio e che avrà al centro il tema della cittadinanza letto alla luce della fraternità e dell’abbraccio fra i popoli. «Ogni possibilità di incontro non è solo costruttiva, ma anche espressione di vera ecclesialità così come ci sta insegnando il cammino del Sinodo voluto da papa Francesco – afferma l’arcivescovo –. Ovviamente il tema della pace ha numerose declinazioni: come Chiese abbiamo questa missione che ci deriva dal Vangelo e non possiamo sottrarci a un compito che per quanto impegnativo ha bisogno del nostro coinvolgimento personale e comunitario. Ben vengano, allora, iniziative che aiutano a sensibilizzare alla cultura della pace al di là di ogni barriera».

 

 

Si terrà a Firenze dal 23 al 27 febbraio il secondo incontro “Mediterraneo, frontiera di pace” promosso dalla Cei che porterà in Toscana i vescovi delle Chiese affacciate sul grande mare in rappresentanza di tre continenti (Europa, Asia e Africa). Al centro dell’incontro, ispirato alle intuizioni del “profeta di pace” Giorgio La Pira, il tema della cittadinanza letta alla luce della fraternità fra i popoli in un’area segnata da guerre, persecuzioni, emigrazioni, sperequazioni. Assieme ai vescovi, arriveranno a Firenze i sindaci delle città del Mediterraneo per un forum “parallelo”

 

Eccellenza, la Chiesa albanese, benché piccola, è in espansione mentre in gran parte dell’Europa la comunità cattolica arranca. Come lo spiega?

Non penso sia solo una questione di numeri. Tanto più che l’Albania sta registrando un movimento migratorio e uno svuotamento senza precedenti: famiglie intere lasciano la propria terra aspirando a situazioni di vita migliori. Piuttosto, parlerei di una crescita nella logica della maturazione di un’appartenenza ecclesiale. Certamente c’è ancora molto lavoro da fare , ma i tempi sembrano maturi per una svolta decisiva, dopo quelli fisiologici della ripresa dal periodo buio della dittatura. Del resto la Chiesa è impegnata qui in molti ambiti: dalla carità alla formazione, dalla cultura all’assistenza a poveri, malati e emarginati. Tutto ciò avviene grazie al contributo dei missionari e delle missionarie, ma anche al generoso coinvolgimento dei fedeli e alla collaborazione con istituzioni locali e straniere.

Si soffre per il numero ridotto di sacerdoti?

La situazione in alcune zone rasenta la drammaticità in quanto impossibilitati a offrire un servizio pastorale. E, mentre ci si organizza senza risparmio per soddisfare il bisogno religioso nei villaggi, anche i più sperduti, lavoriamo molto per le vocazioni. Tutto ciò in un contesto sociale ormai allineato agli standard europei che rende arduo consentire ai giovani di rispondere alla chiamata alla vita religiosa e sacerdotale.

 

La consacrazione dell’Albania al Cuore immacolato di Maria lo scorso maggio

La consacrazione dell’Albania al Cuore immacolato di Maria lo scorso maggio – @ArqipeshkviaShkoder

 

Siete una Chiesa povera, anzi poverissima.

Ogni Chiesa vive grazie al contributo dei propri membri e alla cooperazione tra Chiese. I nostri fedeli, nella maggior parte dei casi, non sono persone abbienti, ma povera gente che contribuisce come può, spesso in beni di natura. Ma nella mia mente scorre anche l’infinità di progetti di aiuto realizzati con le Chiese di tutto il mondo.

A Firenze si parlerà del rapporto fra Chiesa, società e istituzioni politiche. In Albania la comunità ecclesiale gode di stima.

Restiamo un riferimento con indubbie e comprovate storie di impegno per il bene del Paese, la sua libertà, la sua rinascita, la rivendicazione dei diritti fondamentali dei cittadini. Le istituzioni politiche ne sono consapevoli e ci ammirano. Comunque non è facile dialogare soprattutto in un ambiente secolarizzato come il nostro.

In Albania c’è un clima di armonia tra le religioni, compreso l’islam. E la tolleranza religiosa ha storicamente caratterizzato il Paese.

È ben noto che le popolazioni balcaniche sono caratterizzate da una certa esuberanza che può sfociare nello scontro verbale e fisico. Penso che tale consapevolezza abbia contribuito anche a trovare forme di convivenza pacifica: occorre sempre puntare sul positivo e su ciò che unisce, piuttosto che sulle differenze. Non mancano punte di fondamentalismo, ma neanche persone di buona volontà seriamente dedite alla ricerca del bene.

 

Una processione lungo le strade di Scutari

Una processione lungo le strade di Scutari – @ArqipeshkviaShkoder

 

Scuole, ospedali, centri di aiuto gestiti dalla Chiesa sono semi di fraternità?

Certo, sin dalla tenera età. Al nido i bimbi di ogni estrazione sociale e religione sono aiutati a entrare in relazione fra loro. Nelle nostre scuole si è aperti all’accoglienza di tutti, senza distinzione, senza fare proselitismo. Un po’ più difficile è agire in centri non di competenza della Chiesa, dove pure siamo presenti, come gli ospedali.

Restano i segni dell’ateismo di Stato?

Oggi la sfida sociale più importante è il perseguimento del bene comune: cosa non facile perché brucia ancora la ferita inferta dalla dittatura al punto che c’è un rifiuto di fronte a quanto potrebbe, anche solo in teoria, minare il bene privato. Ma la secolarizzazione non deriva direttamente dall’esperienza dittatoriale, quanto piuttosto dal clima contemporaneo. Non così per l’ateismo: esso è una conseguenza del comunismo dal quale con difficoltà ci si è ripresi dopo la sua caduta. Però resistono gruppi e frange di nostalgici.

Il Mediterraneo è terra di migrazioni. Dall’Albania si parte ma non si ritorna…

Coloro che rientrano sono ben pochi e chi vive da tempo in un altro Stato, dove ha messo su famiglia o ha figli ormai grandi, non si sente più albanese. L’idea di un rientro in patria, d’altro canto, fa i conti sia con la persistente carenza di infrastrutture e servizi, sia con la criminalità che tende a minare la sussistenza delle imprese con la richiesta di tangenti. Ciò ci dice quanto sia necessario correre ai ripari perché si creino condizioni di vita dignitose e giuste, di lavoro ben retribuito, di politica competente e onesta che scoraggino la fuga dall’Albania.

 

L'uscita di una Messa in Albania

L’uscita di una Messa in Albania – @ArqipeshkviaShkoder

 

L’Europa ha dimenticato il sud del continente?

Dipende di quale Europa stiamo parlando: se di quella geografica o di quella istituzionale ed economica. Perché, se insistiamo a far coincidere l’Europa solo con quest’ultima specificazione, non ci sarà mai una vera comunità europea. Le leggi di mercato che determinano la gran parte delle scelte, anche politiche, non fanno un buon servizio alla costituzione di una vera Europa perché dividono ed escludono. L’Albania ha consapevolezza di essere in Europa anche a dispetto di ogni discriminazione di tipo economico. E ritengo che, al contrario di quanto sta accadendo, l’allargamento ai Paesi ad Est del Mediterraneo sia il primo passo per un coinvolgimento successivo.

Tema pandemia. Lei è stato colpito dal Covid ed è rimasto in ospedale per oltre un mese. L’emergenza sanitaria ha aggravato le ingiustizie?

Abbiamo assistito con dolore a morti e sofferenze causate dal virus, ma anche a straordinari gesti di solidarietà. Le disuguaglianze già esistenti nel Mediterraneo sono state messe maggiormente in evidenza dalla pandemia e solo chi non ha occhi si rifiuta di vederle e di attivarsi per porvi rimedio. Ecco perché il coronavirus dovrebbe spingere ad adottare i provvedimenti per superare ogni divario sociale ed economico.

A lezione dall’Albania, subito in soccorso del popolo afghano

A man pulls a girl to get inside Hamid Karzai International Airport in Kabul, Afghanistan August 16,...

Chi ha conosciuto questo mondo e, con fatica, se ne è liberato, oggi manda aerei in aiuto a Kabul

Quello che sta accadendo in questi giorni a Kabul è un genocidio in piena regola e sta avvenendo sotto i nostri occhi. Uomini, donne, anziani, adolescenti e bambini costretti a scappare senza meta per cercare rifugio dalle persecuzioni dei talebani che hanno conquistato Kabul. Non è un caso che questo avvenga ora; per chi non è a digiuno di storia contemporanea sa bene che la scelta di Biden di ritirare le truppe dal suolo afgano potrebbe essere pura strategia rispetto a quello che accadrà nei prossimi mesi, in un delinearsi di nuovi fronti sulla scacchiera geopolitica mondiale. Ma mentre il mondo intero rimane sgomento per i messaggi video e per le foto che ci arrivano da là, fa notizia la scelta del Premier dellAlbania, Edi Rama, di inviare aerei in Afghanistan per soccorrere la popolazione civile e offrire così un rifugio momentaneo a chi fugge la persecuzione.

Il premier albanese espone la sua scelta in un lungo post su Facebook in cui spiega le ragioni che lo hanno spinto ad agire immediatamente. Ha ricordato che in Albania trovarono rifugio gli ebrei e che nessuna di quelle duemila persone che fuggirono dal regime di Hitler venne consegnata ai nazisti. In questo modo, oltre a dare una lezione all’Occidente, Edi Rama, leader di una giovane democrazia in un paese in larga parte musulmano, ha preso anche una posizione chiara che suona come monito all’ondivago e contraddittorio ′sentiment′ diffuso nelle democrazie occidentali rispetto a quanto sta succedendo in Afghanistan: senza se e senza ma, i talebani sono i nazisti del nuovo millennio.

Mi rincuora sapere che questa volta la mia Patria natia abbia saputo dimostrare allOccidente cosa significa mettersi in gioco al di là delle trame e degli interessi politico-economici. Mi auguro che nelle prossime ore anche la mia Patria adottiva dimostri di essere allaltezza della propria Costituzione democratica facendosi parte attiva nel soccorso ai civili afgani. E mi scuso se la dico senza tanti giri di parole, ma la differenza fra due culture di morte come quella nazista e quella talebana sta solo nel fatto che per i nazisti si trattava di affermare la superiorità di una razza sulle altre, per i talebani si tratta di affermare una superiorità di genere: il vero obiettivo dei talebani è un patriarcato folle e perverso, volto all’annientamento morale e fisico della donna.

La mercificazione e la reificazione delle donne è un fatto ancestrale proprio di molte culture nel mondo. Queste abitudini inveterate non si possono, evidentemente, mettere in discussione in Afghanistan. Quelli che oggi scappano da questa terra, quelli che si aggrappano alle ali degli aerei, sono uomini e donne che si sono compromessi con gli ideali di uguaglianza occidentali e che non sono più disposti a subire una cultura criminale che accetta di far sposare bambine di 8 anni per poi seppellirle il giorno dopo la prima notte di nozze.

Mi torna in mente un film albanese che mi colpì molto (14 vjeç dhëndër”, 14 anni sposo): una famiglia  benestante, almeno rispetto alla povertà collettiva, decide di far sposare il loro unico figlio di 14 anni con una fanciulla di 20 anni, forte e robusta ma di famiglia poverissima, affinché faccia da serva in casa. La ragazza si oppone come può, scappando e salendo sul tetto di casa, minacciando il suicidio. La madre la supplica di sposarsi per dare la possibilità alle sorelle di crescere con qualche mezzo economico in più. Mossa dal senso di colpa, la giovane Marigo cede. C’è una scena del film che narra perfettamente la condizione delle donne nellAlbania rurale di quegli anni: Marigo, come tante altre donne, di ritorno dalla campagna, porta sulle spalle un carico di legna, come un mulo da soma. Due uomini, intenti a prendere il caffè, osservano con compiacimento il ritorno delle donne dai campi. Siamo gli uomini più fortunati! Al mondo non esistono donne come le nostre, dice uno. Ma l’altro gli risponde: No amico mio, non sono loro le migliori, i migliori siamo noi: servirci è il minimo che possono fare”.

Chi ha conosciuto questo mondo e, con fatica, se ne è liberato, oggi sta mandando gli aerei in soccorso a Kabul.

huffingtonpost

Perché trasferirsi in Albania è la scelta ideale i pensionati italiani

L’Albania offre molti aspetti interessanti, proprio a favore dei pensionati privati interessati a un trasferimento all’estero
Il 24 giugno 2021 il Parlamento albanese ha approvato una legge sui permessi di soggiorno agli stranieri. La legge faciliterà l’iter di richiesta di residenza per diversi soggetti interessati, tra cui anche i pensionati. Per i pensionati italiani interessati ad accedere alla defiscalizzazione della pensione in Albania (totalmente esentasse), sarà necessario dimostrare che la propria pensione sia di almeno mille euro al mese.

Perché scegliere l’Albania
L’Albania offre molti aspetti interessanti, proprio a favore dei pensionati privati interessati a un trasferimento all’estero. Oltre alla tassazione 0% senza limiti di tempo, parliamo, per esempio, di:

Vicinanza all’Italia
Clima mediterraneo
Costo della vita pari a circa un terzo rispetto al costo medio della vita in Italia
Costo degli affitti molto basso
Un bellissimo territorio da esplorare
Popolazione locale amichevole e accogliente, soprattutto nei confronti degli italiani
Possibilità di parlare in italiano senza necessità di imparare una seconda lingua straniera
Comunità italiana in continua espansione
Dove trasferirsi?
L’Albania, il “Paese delle aquile” è un piccolo Stato indipendente con una superficie di 28.700 Km quadrati e circa 2 milioni e 800 mila abitanti. Conta ben 420 km di costa, lungo la quale sorgono proprio le località più interessanti per il trasferimento, mentre l’entroterra è caratterizzato da zone montuose e collinari.

Una delle città da tenere in considerazione nel prossimo futuro è sicuramente Valona. Una città che abbina un basso tenore di vita alla presenza di numerosi servizi e non è soggetta alla stagionalità tipica di altre località costiere puramente turistiche.

Inoltre, va tenuto conto anche della comodità di raggiungere la città dall’Italia: il traghetto Brindisi-Valona ha una frequenza giornaliera tutto l’anno e, nel giro di qualche anno, la città avrà anche il suo aeroporto internazionale. Per quanto riguarda Valona, vi consigliamo questo articolo dell’agenzia italiana Reframed, specializzata nell’assistenza al trasferimento in Albania di pensionati italiani.

In questa pagina invece troverete una panoramica sul trasferimento in Albania, sia in città marittime sia interne, come per esempio la bella Argirocastro, nominata dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità.

Per chi fosse interessato invece a comprare casa in loco, potrà trovare in questo articolo molti buoni motivi per prendere in considerazione questa idea.

Per ulteriori approfondimenti: REFRAMED SRL, agenzia italiana per trasferirsi all’estero e studio di consulenza fiscale estera.

altraeta.it

Ermal Meta, il concerto all’Air Albania Stadium spostato a settembre

Il concerto di Ermal Meta all’Air Albania Stadium annunciato per il 26 luglio, è spostato a settembre 2022. L’Albania giocherà nei primi giorni di settembre le qualificazioni per i Mondiali di Calcio 2022 e presto sarà confermata la nuova data del concerto.

Non essendoci la certezza che il manto erboso possa essere ripristinato dal 27 luglio in poi, l’evento di Tirana con protagonista Ermal Meta, viene rimandato. A breve sarà annunciato il recupero di Jesolo per il tour nei palasport del 2022.

LA STORIA Tra Albania e Santa Sede un legame profondo

Trent’anni di relazioni diplomatiche ma l’amicizia vanta radici molto più antiche. Il ruolo di Clemente XI

Roma

C’è un legame profondo che unisce l’Albania con la Santa Sede. Nel 2021 ricorre il trentesimo anniversario delle relazioni diplomatiche, ma il legame di amicizia affonda le sue radici nei secoli ed è testimoniato anche dalla figura di papa Clemente XI (16491721), Giovanni Francesco Albani, nato a Urbino ma da famiglia (per parte di padre) di origine albanese, di cui quest’anno si celebra il terzo centenario dalla morte. Un Pontefice che con la sua terra d’origine ebbe sempre un rapporto speciale. Ai giorni nostri, nel 1993, dopo più di cinquant’anni di dittatura comunista, Giovanni Paolo II volle visitare, seguito poi nel 2014 da papa Francesco. Un doppio filo rosso che è stato al centro dell’evento organizzato dall’ambasciata della Repubblica di Albania presso la Santa Sede nella Sala Zuccari del Senato Il ruolo di Papa Clemente XI per il risveglio

identitario albanese nella cultura italiana del tempo.

Un Papa che, ricorda la capo missione dell’ambasciata della Repubblica di Albania presso la Santa Sede, Majlinda Dodaj in apertura dell’evento, si è speso molto per la salvaguardia della lingua e della cultura albanese. «Trenta anni fa l’Albania si è aperta alla religione e al mondo dopo quasi 59 anni di isolazionismo – ricorda –. Ma anche se l’esperimento comunista aveva eliminato le istituzioni religiose, non poteva eliminare le convinzioni. Ecco perché nonostante il terrore statale verso la fede il popolo ha continuato a conservare il credo di Dio e di nascosto a praticare i riti religiosi». La visita di Giovanni Paolo II, aggiunge la capo missione, è stata per il popolo albanese «l’apertura di una porta, il riconoscimento per tutti i diritti fondamenta-li, compresi quelli religiosi. Da lì la Chiesa albanese ha iniziato a guardare con speranza al futuro. La stessa speranza che ha portato papa Francesco con la nomina a cardinale di don Ernest Simoni, segno per tutte le Chiese e i sacerdoti del mondo che oggi soffrono la persecuzione». Non va dimenticato inoltre, la sua conclusione, «che il Vaticano ha avuto un ruolo importante per la rinascita dell’Albania ». Il popolo albanese ha fede solida e radici culturali spesso sconosciute ai più. Radici e lingua che papa Albani nei sui 21 anni sul soglio di Pietro ha concorso a custodire. «Un Papa dal giudizio storico complesso», sottolinea il presidente del Pontificio Consiglio della cultura, il cardinale Gianfranco Ravasi durante il suo saluto in sala Zuccari, ripercorrendo il suo pensiero nel rapporto tra cattolicesimo universale e cattolicesimo francese, come pure «il mecenatismo culturale che rendono questa figura meritevole di approfondimento anche per il suo contributo alla diffusione della cultura albanese e arbereshe ». Ecco perché è ancor più vero – il passaggio successivo del porporato – «quando si dice che “chi non ricorda non vive”, soprattutto in tempi smemorati in cui ci troviamo. Non viviamo in pienezza insomma se dimentichiamo le radici». Queste sono «le sorgenti che fanno sì che un popolo possa continuare a vivere ». Al cardinale, perché lo consegni a Francesco, è stata infine donata l’opera dell’artista albanese Franco Azzinari in cui è raffigurato l’incontro virtuale tra Clemente XI e Bergoglio con sullo sfondo la Basilica di San Pietro.

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Nella Sala Zuccari del Senato un incontro su papa Albani con la capo missione dell’ambasciata albanese presso la Santa Sede, Dodaj e il cardinale Ravasi. L’importanza dei viaggi di Giovanni Paolo II e Francesco

In un dipinto l’incontro virtuale tra Clemente XI e Bergoglio

2021 È L’ANNO DELLE MINORANZE LINGUISTICHE UN PROGETTO SULLA CULTURA ARBËRESHË

Costumi albanesi in Calabria

Nasce un importante progetto per la valorizzazione e il rilancio della cultura minoritaria arbëreshe nel meridione d’Italia. Il progetto è coordinato dalla Fondazione Universitaria Unical “F. Solano” con la partecipazione di cinque atenei italiani (Calabria, Palermo, Salento, Venezia-Ca’ Foscari e Milano “Statale”). E proprio in questi giorni è stata trasmessa alla commissione nazionale Unesco la proposta di candidatura della cultura immateriale degli albanesi d’Italia a patrimonio universale. Il 2021 deve diventare l’anno delle minoranze linguistiche: la Calabria ha un patrimonio di culture (occitana, arbëreshë e grecanica) da difendere, valorizzare e rilanciare in un progetto di ampio respiro che può diventare un’attrazione irresistibile per il turismo culturale ed esperenziale.

Ne parliamo con Francesco Altimari, presidente della Fondazione Universitaria Unical “F. Solano”, oggi uno degli accademici italiani più legati al mondo arbëreshë,  intellettuale calabrese puro, vero ambasciatore dell’Arbëria, professore universitario che ha girato il mondo solo per raccontare la magia delle tradizioni italo-albanesi della sua terra, scrivendo saggi di altissimo valore scientifico e accademico.

«A nome di un nutrito gruppo di lavoro costituito da illustri studiosi e da numerosi detentori e praticanti – dice – è stata presentata in questi giorni alla Commissione Nazionale Unesco dalla Fondazione universitaria Unical “Francesco Solano”, che ho l’onore di presiedere, la candidatura della cultura immateriale degli albanesi d’Italia a patrimonio universale”.

– Meraviglioso. Non si poteva immaginare di più, e di meglio, per il mondo degli italoalbanesi d’Italia. L’Arbëresh, dunque, patrimonio immateriale dell’Unesco. Professore Altimari, immagino sia fiero di tutto questo?

«Non posso dirlo io, ma intimamente lo sono, per aver portato a compimento, con la presentazione della candidatura una missione che non è personale. Essa ha coinvolto assieme a me tanti illustri studiosi e colleghi che hanno dedicato il loro tempo e la loro scienza allo studio di questi fenomeni culturali e con alcuni dei quali abbiamo lavorato strenuamente insieme in questi mesi difficili. Il progetto coinvolge soprattutto tanti gruppi, e semplici praticanti, che con tenacia hanno conservato nel tempo questa memoria».

– Una bella ambizione, non crede?

«La Fondazione Solano si è fatta solo interprete di questa missione primaria, portando avanti e coordinando, con i colleghi delle altre Università coinvolte, un lungo lavoro di ricognizione sul campo per individuare questa rete di tradizioni rituali che è stato da noi progettato e realizzato grazie alla collaborazione attiva di numerosi detentori e praticanti di tali elementi rituali, che coprono gran parte delle nostre comunità».

– Cosa intende con il termine “praticanti di elementi rituali”?

«Intendo fare riferimento a organizzazioni, gruppi e persone di varia estrazione sociale e culturale che nelle loro quaranta lettere di adesione auspicano che venga ora finalmente riconosciuto la peculiarità di questo loro ricco patrimonio che rappresenta il vero bene comune dell’Arbëria. Parliamo di un patrimonio sostanzialmente ignorato dalle istituzioni e salvaguardato materialmente sinora solo grazie all’impegno diretto dei gruppi di praticanti e alla tenacia delle comunità interessate. Si tratta anche di rilevanti “pratiche educative” che nel disinteresse generale hanno alimentato nel passato l’auto-tutela della comunità quando la nostra identità minoritaria non era ancora riconosciuta dallo Stato».

– Perché a questo progetto sui riti arbëreshë del ciclo della primavera avete dato il nome “Moti i Madh”? “Tempo Grande”?

«Moti i Madh vuol dire “Tempo Grande. Si tratta di un insieme di eventi di tipo musicale, coreutico, teatrale ecc, oggi inglobate all’interno del ciclo pasquale di tradizione cristiana orientale, che in parte continuano antiche ritualità della grande stagione della rigenerazione della natura e dell’umanità. Appunto, il “Tempo Grande”. È stato il genio di Girolamo De Rada a coniare questa espressione, che nella cultura albanese fa riferimento al tempo di Scanderbeg -. un passato che continua ad avere significato anche nel presente – ripreso anche dallo scrittore arbëresh Carmine Abate nel suo celebre romanzo – epopea degli arbëreshë Il mosaico del Tempo Grande.

– Ci fa un esempio?

«Dopo oltre mezzo millennio, come “tasselli” di un unico mosaico, questa rete di riti si ritrova tra gli albanesi d’Italia, coprendo l’intero arco del periodo primaverile, documentata da un ricco patrimonio di letteratura orale, che ha significative corrispondenze anche nei Balcani. Pensiano per esempio alla “Vallja” del periodo pasquale, con i canti di Scanderbeg, simbolo forte di una Arbëria “resiliente”. Pensiano alle suggestive cerimonie, comprese quelle nuziali, che si intrecciano con le celebri  “rapsodie” di Costantino e Garentina, o di Costantino il piccolo, ma anche ai canti paraliturgici dell’intero ciclo pasquale, alle cosiddette “kalimere,  al “banchetto degli invisibili”, per richiamare col titolo della celebre monografia del collega Mario Bolognari i coinvolgenti riti di commemorazione dei defunti nella nostra tradizione orientale, ma anche a tanti saperi tradizionali che ritroviamo nello spazio arbëresh, dall’Abruzzo alla Sicilia».

– È abbastanza non crede?

«Vede, quando si tratta di ridare volto vita e storia alla tradizione di un popolo come il nostro niente è mai abbastanza. Purtroppo essa è stata per troppo tempo sottovalutata e offuscata dal disinteresse e dall’incuria delle istituzioni. Ora gli altri questa tradizione ce la invidiano, non trattandosi come qualcuno si ostina ancora a credere, e a praticare, solo vuoto folklore, ma espressione di una civiltà “resiliente” che va riscoperta e rilanciata. In questa riscoperta della tradizione rientrano anche tanti prodotti tipici dell’artigianato, ma anche i ricchi costumi femminili arbëreshë, così come anche i prodotti della tessitura, nonché quelli dell’alimentazione, riferita sia ai cibi rituali che ai cibi tradizionali».

– Nel presentare oggi questo vostro progetto che aspettative nuove si aprono per il mondo arbëresh?

«Queste pratiche rituali, di cui chiediamo l’iscrizione nel registro Unesco delle buone pratiche della cultura immateriale, non sono solo nostre, ma testimoniano una eredità antica e un tempo comune a tutta l’area europea. E anche oltre. Esse per fortuna, nonostante le discriminazioni subite, sono ancora vive presso gli Arbëreshë, gli Albanesi d’Italia, storicamente presenti da circa sei secoli in 50 comunità in sette regioni italiane».

– Intuisco che non sempre vi siate sentiti difesi e tutelati?  

«Assolutamente vero. Purtroppo, la nostra minoranza, così come tutte le altre minoranze interne, come anche le consorelle minoranze grecaniche e occitane calabresi, a differenza delle iper-garantite minoranze di confine, sono rimaste ancora molto indietro e senza una adeguata tutela. Prive, come sono tutt’oggi di rappresentanza politica nelle diverse istanze elettive. Sia da parte dello Stato che da parte delle Regioni interessate. Rischiano pertanto seriamente di scomparire per sempre, per la forte pressione assimilatrice che subiscono dalla società globalizzata».

– Questo significa che l’Unesco potrebbe essere la chiave di volta di questo riscatto?

«Vede, il vero paradosso è che ciò avviene quando queste comunità minoritarie sono state riconosciute, ormai da oltre vent’anni, come minoranze linguistiche storiche dalla legge quadro nazionale n. 482/1999, anche se con mezzo secolo di ritardo dalla promulgazione della Costituzione repubblicana che all’art. 6 ne riconosce la tutela. Con un riconoscimento internazionale e prestigioso come quello garantito dall’Unesco, la nostra comunità potrà forse cominciare a ritrovare maggiore fiducia in sé, se vedrà riconosciuti i suoi beni culturali non come esclusività del proprio patrimonio erroneamente e riduttivamente ritenuto “etnico”, ma come patrimonio comune e condiviso di valenza universale. Speriamo che non sia troppo tardi.

– È stato un lavoro complesso?

«Quando si inseguono dei sogni, nulla è facile e scontato. E questo sogno, che non è mio personale, parte invece da molto lontano, Parte dall’azione di ricerca e sensibilizzazione promossa sinergicamente dalla metà degli anni ’70 del secolo scorso dalle cattedre universitarie di Albanologia dell’Università della Calabria e di Palermo, allora rette dai nostri indimenticabili maestri, i proff. Francesco Solano e Antonino Guzzetta, e alla cui memoria va il nostro pensiero. Poi sono arrivato io, in tandem assieme con il carissimo amico e collega Matteo Mandalà, titolare della cattedra albanologica palermitana».

– Man mano che gli anni passavano il gruppo è diventato sempre più numeroso?

«In realtà questa nostra azione è stata portata avanti, perfezionata e resa poi funzionale grazie al concorso di un’equipe interdisciplinare, coordinata dalla Fondazione Solano, in cui in questi mesi sono stati coinvolti studiosi di altre cattedre universitarie di Albanologia, ma anche colleghi di Antropologia, di Etnomusicologia e di Storia delle culture afferenti alle Università della Calabria, di Palermo, del Salento, di Venezia e Milano “Statale”. Ma ci sono anche esperti di candidature Unesco, oltre che giuristi e informatici che collaborano con la Fondazione».

– Un lavoro di squadra intende?

«Una squadra di altissimo valore professionale e scientifico. Con me e Matteo Mandalà hanno collaborato Nicola Scaldaferri, Monica GenesinEugenio ImbrianiGiuseppina TuranoGiovanni Macrì e Battista Sposato. A loro, che in questi mesi che non si sono risparmiati nel mettere al servizio della comunità arbëreshe, con autentico spirito di volontariato, il loro impegno professionale per questo obiettivo comune, va il mio primo vero e grande grazie.

– Nella proposta all’Unesco c’è tutta la vostra storia e tradizione?

«Certamente si, anche se siamo ora solo alla prima tappa. In corso d’opera la proposta andrà rigorosamente implementata e ulteriormente documentata, partendo dalla dettagliata mappa che abbiamo già allestito e consegnato, che delinea gli ambiti di intervento nelle diverse aree albanofone, che attraverso la prima rete dei praticanti-collaboratori, a cui auspichiamo se ne aggiungano altri, coprono quasi tutta l’Arbëria. Tutto questo, come lei lo definisce, sono soltanto alcune delle tante espressioni culturali e rituali tipiche che rientrano in questa proposta di candidatura della cultura immateriale arbëreshe. Nella fase realizzativa saranno ovviamente coinvolte a ogni livello tutte le nostre comunità e in forme nuove di partecipazione, attraverso le nuove tecnologie, pensiamo di coinvolgere tutti i cittadini arbëreshë interessati, anche quelli che vivono oggi fuori dai nostri Comuni, nella “diaspora della diaspora”. Ma siamo aperti a condividere questo percorso con tutti i soggetti istituzionali e associativi che vorranno darci una mano, anche esterni alla comunità, che mostrano un reale interesse e hanno a cuore la nostra cultura, perché concepiamo l’Arbëria come un bene culturale comune».

– Rilevo, con ammirazione, che non siete soli, in questa non facile impresa…

«Per fortuna, no. Mi permetta di ricordare al riguardo l’autorevole sostegno dato a questa nostra proposta di candidatura dal FAI, il Fondo per l’Ambiente Italiano, certamente il più rappresentativo organismo che opera nel nostro Paese a livello nazionale in ambito culturale e ambientale: Tutto questo ha portato alla stipula di un apposito protocollo d’intesa tra il FAI e la nostra Fondazione per condividere insieme il percorso intrapreso per l’iscrizione dei riti e dei canti tradizionali del Moti i Madh nel registro di buone pratiche di salvaguardia, secondo la convenzione Unesco 2003. La delegazione FAI di Cosenza, guidata dall’avvocato Laura Carrattelli, è stata incaricata dalla sede nazionale e dalla sede regionale, di seguire con la propria attività collaborativa, tramite azioni di supporto e di promozione, l’evento connesso alla presentazione del dossier di candidatura della cultura immateriale arbëreshe».

– E il Mibact, il Ministero dei Beni Culturali?

«C’è anche quello, sì. Grazie alla sensibilità e all’attenzione ricevuta in questi mesi dalla Sottosegretaria del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, Anna Laura Orrico, che ringraziamo per aver compreso la rilevanza di questo bene culturale che può e deve essere un fattore di crescita e di sviluppo delle nostre aree, soggette nell’ultimo decennio ad un pauroso crollo demografico che rischia di farle scomparire».

– Ma so che avete anche altri sostenitori importanti alle spalle…

«Sì, è vero! C’è l’apprezzamento e il supporto che è stato garantito alla proposta di candidatura Moti i Madh, che troverà forme di ulteriori collaborazioni e condivisioni, dal Governo della Repubblica d’Albania attraverso il Ministero della Cultura Albanese nelle persone del Ministro Elva Margariti, ma anche dal Vice-Ministro Meri Kumbe, che ringraziamo entrambe sentitamente per la concreta attenzione rivolta alla nostra cultura e per la proficua collaborazione avviata con la nostra Fondazione e con le cattedre universitarie italiane di albanologia».

– Vedo che trascorre anche questi giorni di festa chiuso in casa a lavorare al suo progetto, professore.

«Ma questa, mi creda, è la mia vita. Trovo del tutto normale agire inseguendo questa filosofia di vita. Alla fine, sono un uomo fortunato. Perché riesco a coniugare la mia passione con il mio impegno professionale. Oggi si parla tanto, soprattutto nel mio mondo accademico di “terza missione”, a proposito di quelle attività con cui l’Università, attraverso le sue risorse umane, scientifiche e tecnologiche, riesce ad intervenire sul territorio che la ospita contribuendo al suo sviluppo culturale, ma anche quello sociale ed economico. In virtù degli insegnamenti ricevuti dai nostri padri accademici, e per noi che ci occupiamo di albanologia, per giunta nelle regioni che ospitano gli Arbëreshë, è stato naturale, anzi direi scontato, operare con questo spirito di servizio. La definirei, la prima missione extra-moenia. Questi “nostri” progetti potranno dare un apporto concreto al nostro mondo, e potranno disseminare nella nostra comunità, ripeto ancora purtroppo non tutelata e senza difese immunitarie, quei saperi e quelle conoscenze scientifiche avanzate che possono invece contribuire fattivamente alla sua crescita».

– Come crede che andrà a finire?

«Il progetto, dicevo, è stato avviato e siamo alla prima tappa. Per arrivare al traguardo bisogna continuare a lavorare intensamente e di buona lena. Serve ancora costituire delle reti di collaborazione articolate, che coinvolgano gli enti preposti, le associazioni, gli studiosi, i singoli operatori culturali e scolastici, i musei e le scuole del territorio, e via di questo passo. Quello che oggi è fondamentale fare è una efficace disseminazione e condivisione dell’esperienza legata a questa candidatura».

– È vero che punterete in futuro anche su esperti e studiosi più giovani rispetto a lei professore?

«Certamente sì. Ma già ora noi contiamo di avvalerci del contributo dei nostri valenti giovani laureati, e di altre qualificate ed importanti professionalità, che per fortuna non mancano nel nostro mondo. Alcuni di loro sono già attivamente impegnati nei nostri progetti. Ma contiamo soprattutto nell’apporto nel comitato scientifico di altri insigni specialisti, italiani e albanesi, a conferma del grande e riconosciuto valore scientifico che tali specificità rivestono non solo per la nostra cultura, ma anche per la ricostruzione, come dicevo, dell’antica base culturale comune della nostra Europa».

-Insomma, mi pare di capire che, comunque vada, sarà un successo?

«L’ha detto lei. Io lo prendo come un augurio per il 2021. Grazie, comunque, per quanto anche voi farete per noi, e per la nostra causa». (pn)

calabria.live

Ferrovie: In Albania a gennaio via ai lavori sulla Tirana-Durazzo

C’è una data per i lavori sulla disastrata tratta ferroviaria tra Tirana e Durazzo: gennaio 2021.

Lo ha reso noto il viceministro dell’Energia e delle Infrastrutture albanese Artan Shkreli. Parlando durante la consueta conferenza stampa di fine anno, il viceministro ha detto che l’obiettivo di questa infrastruttura è quello di collegare la capitale albanese con la città costiera sull’Adriatico in soli 19 minuti.

“Viene considerata la possibilità di elettrificare questa tratta ferroviaria“, ha dichiarato il viceministro evidenziando che anche l’aeroporto Rinas sarà servito dal collegamento. Lo scorso ottobre la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (Bers) ha annunciato il vincitore del bando di gara per la costruzione della ferrovia Tirana-Durazzo, in Albania.

L’azienda italiana Inc spa, con base a Torino, si è aggiudicata il contratto la realizzazione del progetto ferroviario Tirana-Durazzo-Rinas.

Albania: Parlamento si riunirà lunedì per approvare nuovi ministri Esteri e Difesa

(Agenzia Nova) – Il Parlamento albanese si riunirà lunedì 4 gennaio in sessione straordinaria per votare gli ultimi cambiamenti apportati alla squadra di governo. Il primo ministro albanese, Edi Rama, ha inviato una lettera al presidente dell’assemblea legislativa, Gramoz Ruci, che ha deciso di convocare il Parlamento la riunione lunedì alle 17. Secondo la Costituzione, il Parlamento riprende i lavori ufficialmente il terzo lunedì di gennaio, ma poiché i cambiamenti apportati all’esecutivo sono ritenuti molto importanti, è necessario anticipare la data prevista, in questo caso il 18 gennaio. Il premier ha accettato a dicembre le dimissioni del ministro degli Esteri facente funzione, Gent Cakaj, e ha nominato all’incarico Olta Xhacka che sinora ricopriva l’incarico di responsabile del dicastero della Difesa. Al suo posto è stato proposto all’incarico Niko Peleshi.