Musei. A Palazzo Pitti nuove sale dedicate alle icone russe dei Medici

Il museo fiorentino esporrà in modo permanente 78 icone raccolte dai Medici e dai Lorena: composta da icone del XVI e XVIII secolo è la collezione più antica di questo tipo fuori dalla Russia
Particolare della “Decollazione del Battista” di bottega moscovita (fine del XVI- inizio del XVII secolo) della collezione delle Gallerie degli Uffizi. L'opera sarà esposta a Palazzo Pitti

Particolare della “Decollazione del Battista” di bottega moscovita (fine del XVI- inizio del XVII secolo) della collezione delle Gallerie degli Uffizi. L’opera sarà esposta a Palazzo Pitti

avvenire

Palazzo Pitti a Firenze accoglierà all’interno di nuove sale la storica collezione di 78 icone russe raccolte dai Medici e soprattutto dai Lorena nel corso del Settecento e dell’Ottocento. L’allestimento, per la prima volta permanente, sarà ambientato in quattro grandi sale affacciate sul cortile al piano terra di Palazzo Pitti e decorate con affreschi seicenteschi. Al termine dei lavori, previsto
entro Natale, le sale entreranno a far parte del normale percorso di visita della ex reggia.

Il direttore delle Gallerie degli Uffizi Eike Schmidt presenta oggi il progetto a Mosca, nell’ambito di una conferenza internazionale.
L’insieme di 78 icone costituisce la più antica collezione del genere al mondo al di fuori della Russia e risale in buona parte al
secondo quarto del XVIII secolo.

Non è noto quando queste icone russe siano giunte in Italia e per quali vie. Si sa però che si trovavano già a Firenze nel 1761: forse dono di qualche ambasciatore al granduca o, più probabilmente, omaggio della comunità ortodossa di Livorno a Francesco Stefano di Lorena, che aveva autorizzato la costruzione in città della chiesa di rito ortodosso della Trinità, eretta fra il 1757 e il 1760.

I due esemplari più antichi, però, un’icona mariana e quella raffigurante laDecollazione del Battista, databili fra la fine del XVI secolo e l’inizio del XVII, erano entrate nelle collezioni dei Medici e si trovavano fra le suppellettili della cappella di Palazzo Pitti già nel 1639.

Nel 1796 iniziò una diaspora delle icone: un tempo accolte agli Uffizi, finirono per la maggior parte depositate prima alla villa medicea di Castello, dove rimasero fino all’inizio dello scorso secolo, per esser poi spostate all’Accademia – dal 1958 al 1968 – quindi a Palazzo Pitti e di nuovo, dal 1984, all’Accademia. Nel 2013 la preziosa raccolta venne di nuovo trasferita agli Uffizi, dove durante la stagione natalizia del 2014 fu esposta in una mostra organizzata dagli Amici degli Uffizi.

Tra le opere più significative della collezione, i due pannelli che compongono il Menologio, ossia il calendario delle festività religiose ortodosse divise per semestri, da settembre a febbraio e da marzo a gennaio: ogni icona si compone di venti file orizzontali con scene sacre e e figure di santi, ciascuna identificata da un’iscrizione.

Le tavole sono sempre rimasti agli Uffizi, per la loro evidente importanza, come l’icona con Santa Caterina d’Alessandria, databile al 1693-1694 grazie al punzone nella oklad di argento dorato (il rivestimento metallico che copre alcune parti delle icone). La principessa martire è raffigurata con attributi molto simili a quelli dell’arte occidentale: la palma e la ruota del martirio, i libri e la sfera armillare che alludono alla sua vasta conoscenza. L’opera è attribuita all’atelier del Palazzo dell’Armeria, la bottega che
lavorava alla corte dello zar nel palazzo del Cremlino a Mosca, ed è affine allo stile di Kirili Ulanov, uno dei più noti maestri
dell’atelier moscovita fra XVII e XVIII secolo.

“C’è un filo rosso che unisce, attraversando la storia, la Russia all’Italia, ed in particolare Firenze – spiega il direttore delle Gallerie degli Uffizi, Eike Schmidt – Ad esempio, sulle rovine della residenza medicea di Pratolino i Demidoff fecero costruire la loro magnifica villa, e una targa su un palazzo proprio in Piazza Pitti, davanti alla Reggia granducale, ci ricorda che qui, nel gennaio del 1869, Fedor Dostoevskij completò il suo capolavoro L’idiota.L’importantissima raccolta di icone degli Uffizi, forte di ben 78 esemplari, è una precoce testimonianza di questo legame, e finalmente, per la prima volta, essa potrà essere ammirata nel suo splendore – e nella sua completezza – dai turisti di tutto il mondo”.

Le sale che verranno dedicate alle icone russe non sono mai state interamente e permanentemente aperte al pubblico. Le pareti e i
soffitti affrescati nel ‘600 saranno valorizzati dall’allestimento curato dall’architetto Mauro Linari, che ha ideato un percorso con
teche leggerissime e ben armonizzate agli ambienti. Da dicembre, con l’apertura ufficiale, sarà regolarmente visibile anche un altro
spazio, finora accessibile solo saltuariamente nell’ambito di eventi ed occasioni speciali: la Cappella Palatina, con gli affreschi
ottocenteschi di Luigi Ademollo ed il suo antico organo. Sarà un accostamento quindi tra tradizione cattolica e immagini del culto ortodosso, visibili nelle sale adiacenti.

Venezia 2019. La sindrome di Down raccontata in un film per famiglie

Presentato “Mio fratello rincorre i dinosauri” con Alessandro Gassmann e Isabella Ragonese. L’attore: «È una storia che mi piace perché utilizza la commedia per toccare argomenti importanti»
Una scena del film “Mio fratello rincorre i dinosauri” di Stefano Cipani con Alessandro Gassmann e Isabella Ragonese

Una scena del film “Mio fratello rincorre i dinosauri” di Stefano Cipani con Alessandro Gassmann e Isabella Ragonese

da Avvenire

«È una storia che mi piace perché utilizza la commedia per toccare argomenti importanti, che parla di comunicazione, di vergogna e presenta una famiglia che con la nascita di Giò è costretta ad ascoltarsi di più. Credo che se ci fossero più famiglie Massariol il nostro Paese sarebbe un Paese migliore». L’ha detto Alessandro Gassmann protagonista di Mio fratello rincorre i dinosauri del regista esordiente Stefano Cipani presentato all’interno delle Giornate degli autori, in concomitanza con la 76esima Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia e in uscita giovedì in 250 copie.

Finalmente un bel film per famiglie, forte e tenero al tempo stesso, che nasce dal best seller di Giacomo Mazzariol, storia vera ed autobiografica di una famiglia di Castelfranco Veneto alla prese con l’arrivo di un fratello con la sindrome di Down. Alessandro Gassmann e Isabella Ragonese sono il padre e la madre di Jack, un tredicenne che ha sempre desiderato un fratello maschio con cui giocare e quando nasce Giò, i suoi genitori gli raccontano che è un bambino speciale.

Da quel momento Giò, nel suo immaginario diventa un supereroe dotato di poteri incredibili, ma quando cresce e scopre che invece il fratellino soffre della sindrome di Down, questo diventa per lui motivo di vergogna da nascondere alla fidanzatina e ai compagni di scuola. Fino a che la travolgente vitalità di Giò riuscirà a coinvolgerlo e a fargli cambiare il punto di vista, proprio come un supereroe.
«Siamo tutti meravigliosamente diversi – ha continuato Gassmann – e in una società dove la disabilità, ma anche qualsiasi altra diversità, è vissuta con un certo malessere, chiusura, paura se non addirittura aggressività questo film aiuta molto, utilizzando la commedia che è secondo me l’arma più potente del cinema».

Accanto a Gassmann, oggi al Lido, un cast composto da giovanissimi, fra cui Antonio Uras e Lorenzo Sisto nel ruolo di Giò, e Francesco Gheghi in quello di Jack e la star spagnola Rossy De Palma in quello di Zia Rock la quale aggiunge. «Ho due amiche che hanno figli “speciali” nella loro casa, persone di una purezza superiore. Quello che può sembrare un problema, invece si è rivelato un dono della vita, ha aperto una nuova porta d’amore».

«Già in precedenza avevo affrontato il tema della disabilità e ho quasi sempre lavorato con bambini – aggiunge il regista Stefano Cipani -. Questo film è rivolto prima di tutto a loro nella speranza che imparino ad affrontare la paura, la vergogna e a vedere la disabilità con occhi nuovi».

Lo conferma lo stesso autore del libro, il giovanissimo Giacomo Mazzariol che ha partecipato alla realizzazione del film: «Là mia non è una grande storia, è una storia semplice che potremmo avere vissuto o che tutti abbiamo già incontrato. Sono felice che ne sia uscito un film per famiglie. Volevamo trovare un linguaggio universale non respingente per i coetanei del protagonista, affiancato da uno sguardo adulto e ironico».

Avvenire

Casa comune. Giornata per la custodia del Creato. Francesco chiama a pregare e ad agire

Video-messaggio di Francesco per l’intenzione di preghiera del mese: la nostra solidarietà con l’ambiente dove viviamo nasce dalla nostra fede. Politici, scienziati ed economisti lavorino insieme
(Ansa/Ap)

(Ansa/Ap)

da Avvenire

È una «Giornata mondiale di preghiera per la cura del creato» particolare quella che si celebra questa domenica. Istituita dal Papa nel 2015, l’iniziativa di quest’anno precede di poche settimane il Sinodo speciale dei vescovi su «Amazzonia: nuovi cammini per la Chiesa e per una ecologia integrale» che si terrà in Vaticano dal 6 al 27 ottobre e che vedrà appunto il tema del creato al centro dei lavori.

A sottolineare ancora di più quanto papa Francesco tenga alla «conversione ecologica» della Chiesa, c’è il suo video-messaggio per presentare l’intenzione di preghiera del Pontefice per il mese di settembre, sulla protezione degli oceani, rilanciato dalla gesuitica Rete mondiale di preghiera del Papa diretta da padre Frédéric Fornos. «Preghiamo in questo mese perché i politici, gli scienziati e gli economisti lavorino insieme per la protezione dei mari e degli oceani» dice Bergoglio nel video, «la Creazione è un progetto dell’amore di Dio all’umanità» e oggi gli oceani, che custodiscono «la maggior parte dell’acqua del pianeta e anche la maggior varietà di esseri viventi», sono «minacciati da diverse cause». «La nostra solidarietà con la “casa comune” – insiste il Papa – nasce dalla nostra fede».

Quella che vuole Francesco è un’attenzione ecologica ed ecumenica insieme. Oggi prende infatti il via anche «Tempo del Creato», iniziativa condivisa dalla Comunione anglicana, dalla Federazione mondiale luterana, dal Consiglio mondiale delle Chiese e dall’Alleanza evangelica mondiale e dalla Chiesa cattolica. Si tratta di un mese di «preghiera e di azione» per il Creato che terminerà il 4 ottobre, festa di san Francesco d’Assisi. Il sito SeasonOfCreation.org offre risorse e idee per partecipare.

Promotori in ambito cattolico sono in special modo il Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale insieme al Movimento cattolico mondiale per il clima e alla Rete ecclesiale panamazzonica. In una lettera inviata dal Dicastero vaticano ai vescovi del mondo lo scorso giugno, si ricorda che la scelta del 1° settembre come Giornata di preghiera per il Creato nasce nel mondo ortodosso, fu un’idea dell’allora patriarca di Costantinopoli Dimitrios nel 1989. È un comitato direttivo ecumenico a suggerire ogni anno un tema per la celebrazione. Quello per il 2019 è «La rete della vita», con riferimento alla biodiversità.

E alla biodiversità è dedicato infine anche il messaggio per la Giornata nazionale per la custodia del Creato da parte della Conferenza episcopale italiana (la Giornata è oggi, appunto, ma la celebrazione nazionale si svolgerà domenica prossima e sarà ospitata dalla diocesi di Cefalù). «Quante sono le tue opere, Signore (Salmo 104, 24). Coltivare la biodiversità» è il titolo ufficiale.

Nel loro messaggio i vescovi scrivono che è «importante favorire le pratiche di coltivazione realizzate secondo lo spirito con cui il monachesimo ha reso possibile la fertilità della terra senza modificarne l’equilibrio». Ed entrano nello specifico, quasi nel tecnico: «Sarà necessario utilizzare nuove tecnologie orientate a valorizzare, per quanto possibile, il biologico. Sarà altresì importante conoscere e favorire le istituzioni universitarie e gli enti di ricerca, che studiano la biodiversità e operano per la conservazione di specie vegetali e animali in via di estinzione.

Si tratterà, ancora, di opporsi a tante pratiche che degradano e distruggono la biodiversità: si pensi al land grabbing, alla deforestazione, al proliferare delle monocolture, al crescente consumo di suolo o all’inquinamento che lo avvelena; si pensi altresì a dinamiche finanziarie ed economiche che cercano di monopolizzare la ricerca (scoraggiando quella libera) o addirittura si propongono di privatizzare alcune tecno-scienze collegate alla salvaguardia della biodiversità».

Bologna. Zuppi: è una chiamata al servizio. La gioia dell’arcidiocesi

La notizia gli è arrivata mentre era a Lourdes: «L’affido alla Madonna»
L'arcivescovo di Bologna, Matteo Zuppi, con papa Francesco (Ansa)

L’arcivescovo di Bologna, Matteo Zuppi, con papa Francesco (Ansa)

da Avvenire

Emozione e gratitudine al Papa, ma anche senso di responsabilità e il proposito di essere sempre più al servizio dei poveri e degli ultimi. Sono questi i sentimenti espressi dall’arcivescovo di Bologna Matteo Zuppi appena appreso, ieri, che Papa Francesco lo ha nominato Cardinale e gli imporrà la berretta rossa nel Concistoro del 5 ottobre. L’annuncio è stato dato dallo stesso Francesco subito dopo l’Angelus domenicale: ha nominato 10 nuovi Cardinali, di varie parti del mondo, fra i quali un unico italiano, appunto monsignor Zuppi. Il quale si trovava a Lourdes, dove sta guidando fino ad oggi 2 settembre il pellegrinaggio regionale promosso dall’Unitalsi (oltre 800 persone) assieme ai vescovi di Forlì – Bertinoro Livio Corazza e di Parma Enrico Solmi.

«Visibilmente emozionato e grato – si legge nel comunicato ufficiale della diocesi di Bologna – monsignor Zuppi ha dichiarato al Centro servizi multimediali dell’Arcidiocesi: “Ringrazio il Papa per la fiducia e la stima. È un riconoscimento per tutta la Chiesa di Bologna, per la Comunità di cui faccio parte da tantissimi anni, ed è anche una grande responsabilità. Il cardinale veste di rosso perché deve testimoniare fino al sangue. Ecco, speriamo di essere buoni testimoni del Vangelo. Anche quello della domenica di oggi è chiarissimo: essere nell’amore al servizio degli altri, degli ultimi. Questa nomina, quindi, è ancora di più una chiamata al servizio che ora, proprio qui a Lourdes, affido alla Madonna”». Nel comunicato si sottolinea anche che, appresa la notizia della nomina «i vicari generali mons. Stefano Ottani e mons. Giovanni Silvagni a nome dell’Arcidiocesi di Bologna affermano: “La chiamata che oggi ha ricevuto il nostro Arcivescovo a far parte del collegio dei Cardinali ha commosso e riempito di gioia tutta la Chiesa bolognese. Mentre al Vescovo Matteo è chiesta una più stretta collaborazione con il Papa nel governo della Chiesa universale, sentiamo in questa nomina anche la conferma del cammino di rinnovamento missionario intrapreso dalla Diocesi. Al nuovo dono di Papa Francesco, tutte le componenti della Chiesa di Bologna vorranno corrispondere con la preghiera e il sostegno all’Arcivescovo, di cui ben conoscono lo spirito che lo anima nel servizio di Cristo e della Chiesa”». La diocesi felsinea ricorda anche che «la nomina si inserisce nella lunga tradizione di cardinali a Bologna e segnala anche lo speciale rapporto di mons. Zuppi con Papa Francesco, che lo ha inviato Arcivescovo a Bologna. La nomina è anche un riconoscimento della plurisecolare fedeltà della Chiesa di Bologna alla Sede Apostolica».

«È una notizia che Bologna accoglie con grande gioia – ha commentato il sindaco Virginio Merola – certi, come cittadini, che il Pontefice abbia riconosciuto in Matteo Zuppi le grandi qualità umane e spirituali che noi, da tre anni, incontriamo quotidianamente in lui, nelle sue parole, nei suoi gesti». E il presidente della Regione Emilia Romagna Stefano Bonaccini ha detto che «è una bellissima notizia per tutta la comunità regionale. Lo è perché monsignor Zuppi, in questi anni in cui ha retto l’Arcidiocesi di Bologna, ha saputo rappresentare un prezioso punto di riferimento, per tutti. Una figura, la sua, che si è caratterizzata, nell’ambito della propria missione pastorale, per l’apertura al dialogo, all’accoglienza, sempre pronto a prestare aiuto a chi più ha bisogno».

Concistoro 5 ottobre. Ecco chi sono i 13 nuovi cardinali. C’è anche Zuppi

da Avvenire

L’annuncio del Papa all’Angelus: ecco come si comporrà il futuro collegio cardinalizio dopo il sesto concistoro di Francesco, alla vigilia dell’apertura del Sinodo per l’Amazzonia
(Ansa d'archivio)

(Ansa d’archivio)

Papa Francesco non ama lasciare troppi posti liberi tra i cardinali elettori per lungo tempo. Così domenica ha annunciato che il 5 ottobre, vigilia dell’apertura del Sinodo per l’Amazzonia, creerà 13 nuovi cardinali di cui 10 votanti e 3 con più di ottanta anni. Con questo nuovo concistoro, il sesto in sei anni di pontificato, il numero dei cardinali elettori di nomina bergogliana supererà la maggioranza assoluta e nel Sacro Collegio tornerà un porporato “romano di Roma” (l’ultimo è stato il compianto Fiorenzo Angelini scomparso a 98 anni nel 2014).

Video

Questo l’elenco dei nuovi cardinali: il vescovo comboniano spagnolo Angel Ayuso Guixot, 67 anni, da maggio presidente del pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso; l’arcivescovo portoghese José Tolentino Mendonca, 54 anni a dicembre, dal 2018 archivista e bibliotecario di Santa Romana Chiesa; l’indonesiano Ignatius Suharyo Hardjoatmodjo, 69 anni, dal 2010 arcivescovo di Jakarta; il cubano Juan de la Caridad Garcia Rodriguez, 71 anni, dal 2016 arcivescovo di San Cristobal de La Habana; il cappuccino africano Fridolin Ambongo Besungu, 59 anni, dal 2018 arcivescovo di Kinshasa nella Repubblica democratica del Congo; il gesuita Jean-Claude Hollerich, 61 anni, dal 2011 arcivescovo di Lussemburgo e dal 2018 presidente della Comece; il guatemalteco Alvaro L. Ramazzini Imeri, 72 anni, dal 2012 vescovo di Huehuetenamgo; l’italiano Matteo Zuppi, 64 anni, dal 2015 arcivescovo di Bologna; il salesiano spagnolo Cristobal Lopez Romero, 67 anni, dal 2017 arcivescovo di Rabat in Marocco dopo aver lavorato in Paraguay dal 1986 al 2011; e il gesuita slovacco-canadese Michael Czerny, 73 anni, dal 2016 sottosegretario della Sezione Migranti del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale.

Zuppi è il primo esponente della Comunità di Sant’Egidio a ricevere la porpora. Romano di Roma, figlio di Enrico, storico direttore dell’Osservatore della Domanica, è, da parte di madre, pronipote del cardinale Carlo Confalonieri. Con lui il Pontefice per la prima volta concede la porpora ad una delle sedi considerate tradizionalmente cardinalizie della Penisola (non lo ha fatto – almeno finora – con Torino, Milano, Venezia e Palermo). Sedi che hanno in passato già ricevuto la porpora sono anche L’Avana (due volte), Jakarta (una volta) e Kinshasa (gli ultimi tre arcivescovi). Mentre è la prima volta che la berretta arriva in Lussemburgo, in Marocco e a Huehuetenamgo (ma nell’arcidiocesi della capitale guatemalteca – per altro vacante dal febbraio 2018 – ci sono stati già due cardinali).

Papa Francesco ha annunciato anche la creazione di tre porporati ultraottantenni e quindi senza diritto di voto, tra di essi un missionario italiano. Si tratta dell’arcivescovo inglese Michael Louis Fitzgerald, padre bianco, 82 anni, presidente del pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso dal 2002 al 2006 quando fu inviato nunzio in Egitto, del gesuita lituano Sigitas Tamkevicius, 81 anni a novembre, dal 1996 al 2015 arcivescovo di Kaunas e di Eugenio Dal Corso, originario del veronese dell’Opera don Calabria, 80 anni di cui 11 trascorsi in Argentina, arcivescovo emerito di Benguela in Angola dove è rimasto come semplice missionario.

Attualmente i porporati sono 215, di cui 118 elettori. Il prossimo 5 ottobre diventeranno 228 di cui 128 con diritto di voto in un eventuale conclave. Verrà superato quindi, ma non è la prima volta (era già successo anche nei pontificati precedenti ma non con Paolo VI), il limite di 120 fissato da papa Montini nel 1973. E per la prima volta i cardinali creati da Papa Francesco, 67, saranno la maggioranza assoluta. C’è da tenere presente comunque che entro il 15 ottobre 4 cardinali compiranno 80 anni (l’africano Monsengwo, il curiale polacco Grocholewski, l’italiano Menichelli e l’indiano Toppo), mentre altri 4 lo faranno tra il febbraio e il novembre 2019 (il libanese Rai, l’italiano Vallini con il connazionale curiale Baldisseri, lo statunitense Wuerl). Già dieci giorni dopo il Concistoro dunque il numero dei cardinali elettori scenderà a 124 (66 creati da Bergoglio, 42 da Benedetto XVI e 16 da Giovanni Paolo II), mentre bisognerà attendere un ulteriore anno per rientrare nel limite canonico di 120 (65+39+16).

Per quanto riguarda la distribuzione geografica delle porpore, il 5 ottobre su 128 elettori avremo 54 europei (di cui 23 italiani), 23 latinoamericani, 18 africani (contando anche Lopez Romero a Rabat), 16 asiatici, 13 nordamericani (contando anche Czerny) e 4 dall’Oceania. Al 15 ottobre avremo invece questa composizione: 52 europei (di cui 22 italiani), 23 latinoamericani, 17 africani, 15 asiatici, 13 nordamericani, 4 dall’Oceania. Mentre a fine 2019 la situazione sarà questa: 50 europei (di cui 20 italiani), 23 latinoamericani, 17 africani, 14 asiatici, 12 nordamericani, 4 dall’Oceania. Gli europei quindi sono ormai inesorabilmente meno della metà del Collegio degli elettori (erano 60 su 115 nel conclave del 2013, 58 su 115 in quello del 2005, 57 e 56 su 111 in quelli del 1978), mentre i latinoamericani (19 nel 2013, 20 nel 2005, 19 in quelli del 1978) finalmente sopravanzano gli italiani (28, 20 e 26-25).

Dopo il concistoro del 5 ottobre la nazione con più cardinali dopo l’Italia saranno ancora gli Usa (con 9 che scenderanno a 8 a fine 2020), seguirà la Spagna con 6, e quindi con 4 Francia, Brasile, India e Polonia (ma queste ultime due perderanno un cardinale nel giro di dieci giorni). Il Portogallo salirà a 3, raggiungendo – oltre a India e Polonia – anche Germania, Canada e Messico. Per avere tre porporati lusitani elettori bisogna risalire al 18mo secolo.

Cinque dei dieci nuovi cardinali elettori e tutti e tre gli ultraottantenni appartengono a istituti religiosi. Ci sono tre gesuiti, un comboniano (è la prima volta), un cappuccino, un salesiano, un padre bianco e un membro dell’Opera don Calabria (è la prima volta). Il 5 ottobre quindi i cardinali “religiosi” diventeranno 48 di cui 28 votanti. Tra questi ultimi i salesiani da 4 saliranno a 5, i gesuiti raddoppieranno da 2 a 4, i cappuccini da 1 a 2 (raggiungendo quindi i domenicani e spiritani). Degli otto cardinali che compiranno 80 anni tra ottobre 2019 e novembre 2020, solo il libanese Rai appartiene al clero regolare.

Con i nuovi cardinali non si diluisce ulteriormente il peso della Curia Romana, da cui provengono tre dei dieci neoporporati. Dopo il 5 ottobre i curiali ed ex curiali residenti a Roma saliranno a 30 su 128, per scendere a 28 su 120 nel giro di un anno. Nel precedenti concistori abbiamo avuto i casi inediti di un ausiliare creato cardinale (Rosa Chavez a San Salvador) o quello di un nunzio-cardinale (Zenari in Siria), questa volta c’è quello altrettanto singolare di un sotto-segretario di Curia (Czerny) che riceve la porpora. Con papa Francesco non si può anticipare se ciò preluda ad una nomina ad altro incarico più elevato oppure no. Significativo infine il fatto che l’archivista e bibliotecario torni a ricevere la porpora – per altro secondo una tradizione non codificata – dopo la parentesi del domenicano Jean-Louis Brugues (ivi nominato da Benedetto XVI nel 2012) e che riceva la berretta Fitzgerald, uno dei due – l’altro è Jean Jadot – presidenti del dicastero per il dialogo con le altre religioni (su nove, computando anche Ayuso Guixot) a non essere stati insigniti dalla porpora.

Con il suo sesto Concistoro papa Francesco avrà creato complessivamente 70 cardinali votanti: 26 europei, 15 latinoamericani, 11 asiatici, 10 africani, 5 nordamericani, 3 dell’Oceania. Oltre l’Italia – con 11 porpore di cui 4 curiali e 1 nunzio – le nazioni più “premiate” saranno la Spagna (5 di cui 2 curiali), gli Stati Uniti e Portogallo (3 di cui 1 curiale), Messico e Brasile (2), Canada (2 di cui 1 curiale). Ventidue i religiosi (di cui 4 gesuiti, 4 salesiani e 2 spiritani). Tredici i curiali.

Verso il Concistoro. Nuovi cardinali all’insegna di missionarietà, dialogo e ambiente

(Ansa)

Nuovi cardinali all’insegna della missionarietà, nel solco del dialogo interreligioso e della Laudato si’. L’elenco dei tredici prelati candidati alla porpora provenienti dall’Europa, dall’America latina, dall’Africa e dall’Asia sembra calcare una prospettiva ideale per un concistoro che è stato significativamente annunciato da papa Francesco nella Giornata mondiale di preghiera per il creato e si svolgerà il prossimo 5 ottobre alla vigilia dell’ouverture del sinodo sull’Amazzonica che chiama a riflettere su nuovi cammini per la Chiesa.

Di quest’ultima infornata, con tre ultraottantenni, una prima caratteristica balza infatti subito agli occhi: la maggioranza sono religiosi appartenenti ad ordini tradizionalmente missionari. Ben tre gesuiti, poi un salesiano, un comboniano, un vescovo dei frati cappuccini, dei Servi della Divina provvidenza, dei Missionari d’Africa. Otto su tredici sono religiosi. Non era finora mai successo. La seconda caratteristica è chequattro di coloro sono o sono stati chiaramente impegnati nel dialogo interreligioso, in particolare con l’islam, come il comboniano spagnolo Miguel Angel Ayuso Guixot, nominato lo scorso anno presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso insieme all’ultraottantennevescovo inglese Michael Louis Fitzgerald, dei Padri Bianchi, per molto tempo impegnato nel dialogo interreligioso e negli ultimi anni del suo servizio nella nunziatura apostolica in Egitto. A loro si uniscono il salesiano di origini spagnole Cristóbal López Romero, arcivescovo di Rabat el’arcivescovo di Jakarta, in Indonesia, Ignatius Suharyo Hardjoatmodjo. Nomine con le quali, considerati i contesti, dopo gli ultimi viaggi negli Emirati Arabi e in Marocco il Papa rimarca la necessaria prospettiva indicata dal documento sulla fratellanza umana firmato ad Abu Dhabi con il Grande Imam di Al Azhar.

Dei dieci nuovi cardinali elettori, anche i due vescovi diocesani in Europa sono missionari aperti alle frontiere: il lussemburghese Jean-Claude Höllerich, gesuita, che ha trascorso molti anni della sua vita in Giappone, e l’italiano arcivescovo di Bologna, Matteo Zuppi formatosi nel movimento di Sant’Egidio e da sempre prossimo alle realtà dell’emarginazione. Di frontiera, ma nel segno del dialogo interculturale, anche l’archivista e bibliotecario José Tolentino Mendonça, sacerdote e poeta, nonché prestigiosa firma di Avvenire per cui è stato anche titolare di apprezzate rubriche. Protagonista di vari dibattiti culturali, nel 2009 si è confrontato con lo scrittore premio Nobel per la letteratura José Saramago mentre l’anno scorso ha predicato gli Esercizi spirituali di Quaresima per la Curia Romana sull’elogio della sete.

Sorprende poi che tra le nomine curiali il gesuita Michael Czerny, nato in Cecoslovacchia e istruitosi in Canada e negli Stati Uniti, non sia neppure vescovo. Ma è l’attuale Sottosegretario della sezione Migranti del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale e oltre all’impegno per i migranti e rifugiati, il religioso, cultore della Laudato si’, avrà il ruolo chiave di segretario speciale nel prossimo Sinodo per la regione Panamazzonica. Czerny, che come gli altri ha dichiarato di non aver saputo nulla in anticipo, si trova al momento in Brasile proprio per un incontro preparatorio del Sinodo. In questa prospettiva è anche la scelta delguatemalteco Alvaro Leone Ramazzini Imeri, vescovo di Huehuetenamgo che si è distinto per l’impegno decennale e coraggioso a favore delle popolazioni indigene massacrate da regimi sanguinari e assediate da sfruttamenti e oppressioni. Ramazzini Imeri, fin da quando era vescovo di San Marcos, dal 1989 fino al 2012, ha ricevuto minacce di morte per la sua disponibilità a sostenere le popolazioni per il diritto alla terra. Il profilo dei nuovi cardinali mira così a rimarcare quello spirito missionario disposto ad identificarsi con i poveri in una dimensione universale di fraternità, che raccogliendo il grido delle sofferenze dei popoli e della terra, nostra Casa comune, sappia indicare con chiarezza ed onestà tale prospettiva di vita e di azione nella Chiesa. Aliena alla divisione, l’indifferenza, l’ostilità.

Avvenire

Madagascar, terra ricca di risorse ma povera e affamata

Vatican News
(Antonella Palermo) Il problema della malnutrizione cronica in Madagascar, dove Papa Francesco è atteso dal 6 all’8 settembre, è definito allarmante, secondo i dati dell’Indice mondiale della Fame. Varietà e disponibilità dei prodotti della terra restano condizioni potenziali su una realtà fatta di miseria. Interviste al vice direttore del Programma Alimentare Mondiale e a due religiosi. Il Papa sta per fare visita, nell’ambito del suo viaggio apostolico in Africa ricordato anche all’Angelus domenicale, alla grande isola malgascia, dove il 42% della popolazione soffre la fame.

Il presidente tedesco a Wielun nell’ottantesimo anniversario dell’inizio della seconda guerra mondiale. Berlino chiede perdono per le vittime polacche del nazismo

L’Osservatore Romano

Nella cerimonia commemorativa, ieri, dell’inizio della Seconda guerra mondiale — esattamente 80 anni fa — il presidente tedescoFrank-Walter Steinmeier ha chiesto «perdono» per le vittime polacche del nazismo. Steinmeier ha parlato davanti al presidente polacco Andrzej Duda a Wielun, in Polonia, dove il primo settembre 1939 la Germania nazista lanciò l’attacco che segnò l’inizio del conflitto mondiale. Presenti anche le delegazioni di oltre 40 Paesi con capi di Stato e di governo e presidenti di assemblee parlamentari.
Quella di Wielun è stata soltanto una delle diverse commemorazioni che si sono tenute anche a Varsavia e in altre città della Polonia. «Mi inchino di fronte alle vittime dell’attacco a Wielun, mi inchino di fronte alle vittime polacche della dittatura tedesca e chiedo perdono», ha detto Steinmeier ripetendo le tre frasi in polacco. «Sono stati i tedeschi che hanno perpetrato un crimine contro l’umanità in Polonia», ha sottolineato il capo di Stato nel discorso tenuto prima dell’alba per ricordare il momento esatto dell’attacco alla città polacca. Alle prime luci del giorno il centro infatti fu distrutto al 90 per cento dai bombardieri tedeschi e circa 1.200 persone persero la vita. Il conflitto causò poi 80 milioni di morti, di cui sei milioni in Polonia.
Il presidente polacco ha ringraziato Steinmeier per la sua partecipazione alla cerimonia per le vittime dell’attacco che ha definito «efferata barbarie». Steinmeier ha evitato di affrontare direttamente la questione delle richieste di risarcimenti per danni di guerra avanzate dal governo polacco, ma ha detto: «Non possiamo annullare ingiustizia e dolore patito. Non possiamo nemmeno farne una contabilità».
Assente alla cerimonia il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, che ha rinunciato alla partecipazione a causa dell’uragano Dorian in arrivo negli Stati Uniti. Non è a Varsavia nemmeno il presidente russo Vladimir Putin, che non è stato invitato alla cerimonia dalle autorità polacche. Assente anche il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, invitato all’ultimo momento e solo quale ex primo ministro polacco. Ha partecipato invece il cancelliere tedesco Angela Merkel. L’Italia è stata rappresentata dal presidente del Senato, Elisabetta Alberti Casellati.
La commemorazione con i due presidenti si è svolta sulla piazza Pilsudski nel centro della capitale polacca. Il programma ha incluso un cambio della guardia militare d’onore presso la Tomba del milite ignoto e l’inaugurazione della campana intitolata «La memoria e l’avvertimento», che con il suo rintocco ricorderà le vittime della Seconda guerra mondiale.
Il primo ministro polacco, Mateusz Morawiecki, e il vicepresidente della Commissione europea, Frans Timmermans, hanno preso parte invece all’iniziativa organizzata a Westerplatte. Si tratta della penisola che si affaccia sulla costa baltica separata da Danzica dal canale portuale e collegata alla terraferma da un sottile istmo sabbioso. Dal 1 all’8 settembre 1939 nella penisola di Westerplatte la Wehrmacht e la Kriegsmarine combatterono contro un esiguo presidio dell’esercito polacco, composto da circa 200 soldati. L’offensiva si concluse con l’occupazione del deposito militare polacco, il Wojskowy Skład Transportowy.
L’Osservatore Romano, 2-3 settembre 2019