Italia convegno nazionale della comunità del diaconato permanente. Custodi del servizio e dispensatori di carità

L’Osservatore Romano

(Rosario Capomasi) «Ci siamo incontrati in un tempo in cui il dolore e le povertà delle periferie dell’esistenza sono sempre più acuti e drammatici, e al tempo stesso sono più alti e duri i muri eretti per respingerli, in nome di identità spesso usurpate o travisate, che, come denuncia Papa Francesco, trasformano milioni di vite in “scarti”». È un passo del messaggio finale del 27° convegno nazionale della Comunità del diaconato permanente svoltosi dal 31 luglio al 3 agosto scorsi a Vicenza per celebrare solennemente il 50° anniversario della reintroduzione del diaconato permanente in Italia e aperto a presbiteri, diaconi e candidati, religiosi e laici.
Il convegno, dal titolo «Diaconato – Periferie – Missione. Diaconi custodi del servizio, dispensatori di carità», è stato organizzato in collaborazione con Caritas italiana, diocesi di Vicenza e Pia Società San Gaetano, e ha visto la presenza di diversi relatori tra cui il patriarca di Venezia Francesco Moraglia. «Cinquant’anni fa — si legge nel messaggio — prese concretezza l’intuizione del concilio ecumenico Vaticano II che, docile al soffio dello Spirito Santo, ha risvegliato da un sonno millenario il diaconato nella forma permanente di uomini celibi e sposati. Qui a Vicenza, il 22 dicembre 1969, vennero ordinati i primi sette diaconi, religiosi della Pia Società San Gaetano, e qualche mese dopo un altro fu ordinato a Crotone». Successivamente, il diaconato si diffuse in tutte le diocesi (tra le prime, quelle di Napoli, Torino e Reggio Emilia) e oggi i diaconi in Italia sono oltre 4.500.
In un tempo in cui la diaconia è chiamata a «maturare sempre più la consapevolezza di essere nel mondo e nelle circostanze attuali, sale della terra e luce del mondo, voce di profezia, che a partire dalle periferie proclamano la novità del Vangelo» (Messaggio di Papa Francesco al convegno), i diaconi si dichiarano pronti a fare proprio «l’invito pressante di Papa Francesco ad andare verso e dimorare nelle periferie esistenziali e geografiche dei nostri fratelli e sorelle, insieme a tanti altri cristiani, a credenti di altre fedi, alle persone di buona volontà, consapevoli che questa è, oggi e sempre, la missione della Chiesa nel mondo».
Diaconato, periferie, missione: tre pilastri alla base del cammino che li attende come “custodi del servizio” e “dispensatori di carità”. «Abbiamo voluto chiamare così il convegno — ha spiegato Enzo Petrolino, presidente della Comunità del diaconato in Italia — per diversi motivi: la periferia perché è un tema su cui sta spingendo molto Papa Francesco, e la missione perché il Pontefice ha espresso il desiderio di vedere i diaconi impegnati nelle missioni. “Diaconi custodi del servizio” è una frase pronunciata dal Papa in occasione della sua visita alla diocesi di Milano nel marzo del 2017, sulla vocazione specifica a cui è chiamato il diacono, mentre “dispensatori di carità” è un’espressione contenuta in un documento di qualche anno fa dei vescovi italiani».
Nell’omelia della messa di apertura, il patriarca di Venezia aveva invitato i diaconi a «testimoniare attraendo»: «Questo è il risultato di un modo d’essere pienamente umano — ha sottolineato Moraglia — che esprime, innanzitutto, affidamento a Dio, Padre misericordioso, insieme a realismo, alla gioia e alla libertà nei confronti del mondo», aggiungendo che «i diaconi non temono di sporcarsi le mani camminando lungo le strade del mondo ma sono chiamati a percorrere le strade degli uomini che, prima d’essere le strade delle nostre città, sono le strade delle anime». E sono proprio queste strade, queste periferie esistenziali e geografiche che i diaconi si dicono pronti a percorrere per essere testimoni e artefici della missione della Chiesa.
Di qui l’impegno, espresso nella parte finale del messaggio, a «promuovere lo sviluppo umano integrale, confortati dalla chiarezza inequivocabile del Vangelo di Cristo». In che modo? Divenendo veri “custodi del servizio” e “dispensatori di carità”, mantenendo sempre alta l’attenzione verso i poveri e gli ultimi, contrastando «vecchi e nuovi egoismi, dentro e fuori la Chiesa, non inseguendo e alimentando sterili polemiche che dividono, ma offrendo una costante testimonianza di fraternità concreta e senza confini, vissuta senza paura e motivata con il comandamento dell’amore che Gesù ha offerto per primo e ci ha affidato».
Per un tale impegno apostolico, però, occorre anche qualcosa in più, aggiungono i diaconi: non solo lasciarsi «scuotere da una sana inquietudine, e con essa “contagiare” gli ambienti in cui viviamo e operiamo anche con le nostre spose e le nostre famiglie, per rinnovare con realismo creativo la pastorale della carità delle comunità e la nostra presenza nella società»; ma anche «animare e promuovere spazi per una ministerialità di servizio e di liberazione, con uno stile costruttivo e rispettoso, fedele alla verità, capace di leggere i segni dei tempi».
Seguendo queste direttive, nel solco tracciato dal programma pastorale dell’Evangelii gaudium, è possibile dare un contributo sostanziale alla Chiesa affinché «ritrovi a tutti i livelli la centralità dell’annuncio del Vangelo e della sua fedele traduzione in atti concreti e coerenti» e, al contempo «fare della diaconia la nostra via alla santità e dell’appartenenza ecclesiale, la forza che ci apre all’ascolto, all’accoglienza e al dialogo con tutte le identità».
L’Osservatore romano, 9-10 agosto 20

Commento al Vangelo. XIX Domenica Tempo ordinario – Anno C

Rubens, La moneta del tributo

Rubens, La moneta del tributo

di Ermes Ronchi Avvenire

XIX Domenica
Tempo ordinario – Anno C

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito. Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. […]».

Siate pronti, tenetevi pronti: un invito che sale dal profondo della vita, perché vivere è attendere. La vita è attesa: di una persona da amare, di un dolore da superare, di un figlio da abbracciare, di un mondo migliore, della luce infinita che possa illuminare le tue paure e le tue ombre. Attesa di Dio. «E verrà, se insisto\ a sperare, non visto…\Verrà,\ già viene\ il suo bisbiglio» (C. Rebora). Le cose più importanti non vanno cercate, ma attese (S. Weil). Lo stesso Dio «sitit sitiri», dicevano i Padri, Dio ha sete che abbiamo sete di lui, desidera essere desiderato, ha desiderio del nostro desiderio. Ed è quello che mostrano i servi della parabola, che fanno molto di più di ciò che era loro richiesto. Restare svegli fino all’alba, con le vesti già strette ai fianchi, con le lampade sempre accese, è un di più che ha il potere di incantare il padrone al suo arrivo. Quello dei servi è un atteggiamento non dettato né da dovere né da paura, essi attendono così intensamente qualcuno che è desiderato, come fa l’amata nel Cantico dei Cantici: «dormo, ma il mio cuore veglia» (5,2). E se tornando il padrone li troverà svegli, beati quei servi. In verità vi dico – quando Gesù usa questi termini intende risvegliare la nostra attenzione su qualcosa di importante – li farà mettere a tavola e passerà a servirli. È il capovolgimento dell’idea di padrone: il punto commovente, sublime di questo racconto, il momento straordinario, quando accade l’impensabile: il Signore si mette a fare il servo! Dio viene e si pone a servizio della felicità dei suoi, della loro pienezza di vita! Gesù ribadisce, perché si imprima bene, l’atteggiamento sorprendente del Signore: si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. È l’immagine clamorosa, che solo Gesù ha osato, di Dio nostro servitore; quel volto che solo lui ha rivelato e incarnato nell’ultima sera, cingendo un asciugamano, prendendo fra le sue mani i piedi dei discepoli, facendo suo il ruolo proprio dello schiavo o della donna. La fortuna dei servi della parabola, la loro beatitudine – ribadita due volte – non deriva dall’aver resistito tutta la notte, non è frutto della loro fedeltà o bravura. La fortuna nostra, di noi servi inaffidabili, consiste nel fatto di avere un padrone così, pieno di fiducia verso di noi, che non nutre sospetti, cuore luminoso, che ci affida la casa, le chiavi, le persone. La fiducia del mio Signore mi conquista, mi commuove, ad essa rispondo. La nostra grazia sta nel miracolo di un Dio che ha fede nell’uomo. Io crederò in lui, perché lui crede in me. Sarà il solo Signore che io servirò perché è l’unico che si è fatto mio servitore.
(Letture: Sapienza 18,6-9; Salmo 32; Ebrei 11,1-2.8-19; Luca 12,32-48)

La Vergine. Quando e perché si festeggia la nascita di Maria

Salvini il 5 agosto ha augurato buon compleanno alla Madonna. La Chiesa ne festeggia ufficialmente la venuta al mondo l’8 settembre. Viaggio alle origini del culto.
Dante Gabriel Rossetti, L'infanzia della Vergine Maria

Dante Gabriel Rossetti, L’infanzia della Vergine Maria

Avvenire

A riavviare il dibattito, a rilanciare il quesito non è stato un biblista né un teologo , bensì il vice premier. Nell’ansia di trovare giustificazioni “celesti” alle sue discutibili scelte politiche, lunedì scorso il ministro Salvini ha festeggiato l’approvazione del “decreto sicurezza bis” ringraziando la Madonna «nel giorno del suo compleanno».

Il 5 agosto di Medjugorje

La chiesa di San Giacomo a Medjugorje

La chiesa di San Giacomo a Medjugorje

Ma davvero la Vergine è nata il 5 agosto? Ovviamente mancando dati anagrafici del tempo e documenti ufficiali, nessuno lo sa con certezza, ma di sicuro con le sue parole il leader leghista ha voluto strizzare l’occhio a quella parte del mondo cattolico che guarda con particolare attenzione a Medjugorje (vicenda su cui la Chiesa non ha ancora preso una decisione definitiva). Sarebbe stata infatti proprio Maria, nel 1984, durante un’apparizione nella città dell’Erzegovina, a rivelare ai presunti veggenti che quella era la data del suo compleanno. E che in più si festeggiava il bimillenario della sua nascita terrena. Un richiamo perentorio ma non del tutto nuovo visto che si ricollega a testimonianze di esperienze analoghe fatte da mistici come don Stefano Gobbi, il sacerdote lombardo scomparso nel 2011, fondatore del Movimento sacerdotale mariano a seguito di un’ispirazione interiore avuta durante un pellegrinaggio a Fatima.

La Madonna della Neve

La Basilica di Santa Maria Maggiore

La Basilica di Santa Maria Maggiore

Quanto alla data, il 5 agosto è comunque un giorno mariano visto che la Chiesa festeggia la Madonna della Neve, nel ricordo del manto bianco che avvolse il colle Esquilino in piena estate romana portando papa Liberio alla costruzione di Santa Maria Maggiore, nel quarto secolo. Basilica pontificia che è il segno più tangibile e noto di un culto molto diffuso nel nostro Paese dove si contano oltre 150 edifici sacri intitolati a Nostra Signora della Neve.

Nella vita della Chiesa infatti le festività affondano le loro radici oltreché nelle esistenze dei protagonisti, nelle caratteristiche degli eventi stagionali, spesso intrecciandoli l’una con l’altra. Vale anche per l’8 settembre, data che celebra ufficialmente la nascita della Vergine. Una ricorrenza che come spesso accade per gli anniversari mariani affonda le sue radici in Oriente e che va ricollegata al Menologium Basilianum calendario che poneva in quei giorni l’inizio dell’anno ecclesiastico. Così la nascita di Maria va interpretata come una sorta di stella del mattino, titolo che spesso qualifica la Vergine, come annuncio della venuta del Salvatore, come aurora del sole di giustizia.

Il Protovangelo di Giacomo

Giotto: L'incontro tra Gioacchino e Anna alla Porta D'oro

Giotto: L’incontro tra Gioacchino e Anna alla Porta D’oro

A introdurre la celebrazione in Occidente fu invece, nel VII secolo, papa Sergio I che prese le mosse, come già detto, dalla tradizione orientale, a partire dal Protovangelo di Giacomo. Si tratta di un testo datato intorno all’anno 150, “apocrifo”, cioè escluso dal canone delle Sacre Scritture perché ritenuto privo di ispirazione divina, che tratta abbondantemente della vita della Vergine e della nascita di Gesù, attingendo anche dai Vangeli di Luca e Matteo. In particolare vi si narra la sofferenza di Anna e Gioacchino, i genitori della Madonna, in quanto sterili e poi visitati dalla grazia del Signore con la nascita di Maria. Particolarmente delicata la scena del ritorno a casa di Gioacchino dopo l’autoesilio, immortalata dal dipinto di Giotto nella Cappella degli Scrovegni a Padova. «Anna se ne stava sulla porta, e vedendo venire Gioacchino, gli corse incontro e gli si appese al collo, esclamando: “Ora so che il Signore Iddio mi ha benedetta molto. Ecco, infatti, la vedova non più vedova, e la sterile concepirà nel ventre”». E proprio a Gerusalemme, presso la casa dei genitori di Maria, nel IV secolo venne edificata la basilica di sant’Anna, nel giorno della cui dedicazione veniva celebrata la natività della Madre di Dio. L’8 settembre dunque si riferirebbe innanzitutto a quell’evento.

Santa Maria Nascente

Il Duomo di Milano è dedicato a Santa Maria Nascente

Il Duomo di Milano è dedicato a Santa Maria Nascente

Naturalmente anche la nascita di Maria ha ispirato artisti e architetti. L’esempio più evidente e famoso è il Duomo di Milano dedicato appunto a Santa Maria Nascente ma la devozione in tal senso è molto diffusa pressoché in tutta la Lombardia dove si affianca al culto di Santa Maria Bambina, sviluppatosi anche grazie alle riproduzioni in cera che ritraggono la Vergine neonata realizzate nelle prima metà del 1700 da suor Chiara Isabella Fornari.

Sempre e solo Gesù

Dunque, alla fine quand’è nata Maria? Certezze sulla data non ce ne sono ed in fondo saperlo non è poi così decisivo. L’importante semmai è ricordare che, nella tradizione cattolica, Maria ci riporta sempre a Gesù, che la Vergine è nata e vissuta per essere Sua Madre. Non a caso di lei sola, insieme a san Giovanni Battista, si celebre oltre alla “nascita in cielo” anche la venuta in questo mondo. Inutile allora discutere o peggio litigare per difendere l’una o l’altra data. Cio che conta invece è guardare al modello di Maria, è pregarla, è imparare a gustarne la tenerezza di Madre, che ascolta e sta accanto a tutti i suoi figli, specie i più poveri e dimenticati. Disse san Pier Damiani: «Dio onnipotente, prima che l’uomo cadesse, previde la sua caduta e decise, prima dei secoli, l’umana redenzione. Decise dunque di incarnarsi in Maria». E san Luigi Maria Grignion de Montfort : «Dio Padre ha radunato una massa di acque che ha chiamato mare; Egli ha pure riunito un insieme di tutte le grazie che ha chiamato Maria».

Le tappe. Cosa succede ora: iI timing e i nodi della crisi dell’Esecutivo giallo-verde

Voto di (s)fiducia al Senato, poi le consultazioni di Mattarella e due possibili scelte: esecutivo di transizione o governo dimissionario per le elezioni
'Parlamentarizzare' la crisi allunga i tempi e mette a rischio il varo della legge di bilancio da parte della nuova maggioranza. L’ipotesi 'esecutivo di transizione'

‘Parlamentarizzare’ la crisi allunga i tempi e mette a rischio il varo della legge di bilancio da parte della nuova maggioranza. L’ipotesi ‘esecutivo di transizione’

Avvenire

A meno che il premier Conte non si dimetta subito senza passare dall’Aula, imprimendo un’accelerazione alla crisi, il pallino passa in mano ai presidenti delle Camere Fico e Casellati. Sono loro due, adesso, insieme ai capigruppo, che devono valutare i tempi e i modi più opportuni per portare la crisi in Aula. L’ipotesi ieri più accreditata è che Conte chieda la fiducia solo al Senato, la prima Camera che gli ha dato il mandato a governare più di 14 mesi fa. Un passaggio sarebbe sufficiente e renderebbe superfluo un ‘raddoppio’ a Montecitorio.

A Palazzo Madama si innescherebbe ufficialmente la crisi: Conte chiederebbe la fiducia, non la otterrebbe e di conseguenza si recherebbe dimissionario al Colle, decretando la fine del governo Conte. A seguire si apre la fase due. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella svolge le consuete consultazioni con i gruppi parlamentari guidati dai rispettivi leader. Se le Camere sfiduciano Conte il 20 agosto, le consultazioni possono svolgersi già il 21. Non dovrebbero durare più di una giornata. A conclusione, il capo dello Stato comunicherebbe le sue decisioni: se ritiene – cosa al momento poco probabile – che ci sia una nuova maggioranza possibile, potrebbe offrire incarichi esplorativi o un pre-incarico. Ma non sembra questa la circostanza. Piuttosto, Mattarella dovrebbe trovarsi di fronte a un mare di veti incrociati.

In tal caso, avrebbe due strade. La prima: sciogliere le Camere e lasciare in carica per gli affari correnti il governo dimissionario di Giuseppe Conte. La seconda: fare una proposta al Parlamento per un governo di transizione che, se bocciata, condurrebbe il Paese alle urne. Con questi passaggi, si arriverebbe intorno al 26-27 agosto.

Sciogliendo le Camere in quei giorni, si potrebbe andare al voto il 27 ottobre, nel pieno della sessione di bilancio. Un bel rischio. Considerando poi che le nuove Camere vengono convocate 20 giorni dopo il voto, e che prima di mettere mano al governo si eleggono i presidenti di Montecitorio e Palazzo Madama, il nuovo esecutivo metterebbe le mani sui conti molto tardi.

Servirebbe un’intesa specifica con l’Europa per avere più tempo. Il tutto in un contesto segnato dal rischio di un forte aumento delle aliquote Iva. Tutto questo, come detto, a meno che Conte, valutata nelle prossime ore la degenerazione della situazione politica, non decida di dimettersi. Al momento così non pare. M5s vuole una ‘crisi lunga’ e ha i numeri in Parlamento per imporre i suoi tempi e la sua strategia. E in questi tempi relativamente lunghi possono innescarsi meccanismi e dinamiche al momento imprevedibili.

Salvini, il voto anticipato, deve ancora sudarselo.

Dialogo fra Religioni

«In Arabia Saudita, Marocco e Algeria si registra un clima distensivo. E dopo il viaggio di papa Francesco anche negli Emirati Arabi tira aria nuova. In Tunisia poi ora è ammessa perfino l’abiura
L’incontro tra papa Francesco e il grande imam sunnita di al-Azhar, Ahamad al-Tayyib, ad Abu Dhabi lo scorso 4 febbraio (Ansa/Luca Zennaro)

L’incontro tra papa Francesco e il grande imam sunnita di al-Azhar, Ahamad al-Tayyib, ad Abu Dhabi lo scorso 4 febbraio (Ansa/Luca Zennaro)

Il suo intervento di due anni fa al Meeting su nichilismo e jihadismo riscosse un grande interesse e fu additato come uno dei contributi più originali ascoltati nella kermesse riminese negli ultimi anni. Olivier Roy, sociologo francese, è copresidente del Robert Schuman Centre for Advanced Studies all’European University Institute di Firenze. I suoi saggi su religioni, islam e fondamentalismo sono considerati chiavi di lettura imprescindibili per capire e orientarsi nelle tensioni geopolitiche attuali. Il suo libro più recente è L’ Europa è ancora cristiana? Cosa resta delle nostre radici religiose, edito da Feltrinelli. Quest’anno Roy tornerà a Rimini per dialogare con il segretario generale della Lega Musulmana Mondiale Muhammad Bin Abdul Karim Al-Issa.

Professor Roy, iniziamo dalle parole: «conoscersi, capirsi, convivere». Sono questi i concetti che fungono da fil rouge del suo intervento al prossimo Meeting di Rimini. Basta questo per un spiegare i rapporti tra Occidente e islam e fra cristianesimo e islam?
La sua domanda sottintende due ordini di problemi, che potremmo riassumere con questi interrogativi: chi dialoga con chi? Inoltre, parliamo di semplice coesistenza tra diversi, oppure di due comunità che vivono giustapposte, o ancora della convergenza di questi due gruppi diversi su alcune azioni comuni? Per affrontare il primo punto, direi che se la questione riguarda cristiani e musulmani, il dialogo è di ordine religioso. Ma questo pone un’altra questione: e quelli che non hanno una visione di fede, i secolaristi, dove li mettiamo? Al Meeting di Rimini mi confronterò da ‘laico’ con un esponente islamico importante, già ministro della giustizia del Regno saudita. Questo dialogo tra persone religiose avviene su alcuni valori comuni, che non sono più quelli dell’Europa cristiana. Infatti il rifiuto della verità come assoluta, la rilevanza della libertà sessuale dell’individuo, il matrimonio omosessuale sono evidentemente principi non appartenenti alla tradizione cristiana. Possiamo dunque dire che oggi cristiani e musulmani parlano tra di loro come rappresentanti di due civiltà che si rifanno a tradizioni religiose.

Lei, come ha appena ricordato, a Rimini dialogherà con il segretario generale della Lega musulmana mondiale. Negli ultimi anni nota un’apertura maggiore del mondo musulmano rispetto al dialogo con l’Occidente oppure prevalgono chiusura e diffidenza?
Bisogna distinguere anche in questo caso due piani: quello dell’islam ufficiale e quello dell’islam ‘popolare’. Ufficialmente, possiamo riscontrare effettivamente un’apertura al dialogo avvenuta negli ultimi anni. Il Regno saudita, per esempio, con l’avvento al potere del principe Mohammad bin Salman, ha promosso una strategia di apertura e di dialogo che finora non si era mai vista, tramite la quale è stata messa da una parte l’ala più intransigente del wahabismo. Anche negli Emirati arabi uniti si assiste a qualcosa del genere: il recente viaggio di papa Francesco, con la celebrazione di una messa pubblica, attesta questa apertura. In Marocco l’islam ufficiale ha preso le distanze dal salafismo e favorisce quei movimenti spirituali che derivano dal sufismo, corrente religiosa molto più moderata. In Tunisia e in Algeria non abbiamo regimi politici direttamente ispirati dall’islam politico, tanto che in Tunisia da qualche tempo è ammessa perfino l’abiura dell’islam, fatto fino a poco tempo fa veramente impensabile. A livello di popolazione, invece, è più difficile dire se abbiamo una tendenza maggiore al dialogo. Quello che posso osservare in Francia è che gli imam che fino a una decina di anni fa appartenevano alla corrente salafita, oggi sono molto più tolleranti.

Papa Francesco considera il dialogo con l’islam una delle priorità del suo pontificato. Lo si vede dai viaggi in terre a maggioranza islamica, lo si è visto con la dichiarazione di Abu Dhabi. Da osservatore e da sociologo, come valuta questa azione di confronto interreligioso?
Torniamo alla questione precedente: su cosa si può dialogare? Sui grandi valori come la pace? Sì, certamente, ma si rischia di stare sul vago. Molto più interessante, mi pare, invece, quanto è stato fatto da Francesco e da Ahmad al Tayyeb, il grande imam di Al-Azhar. Quest’ultimo ha fatto alcuni affermazioni molto precise e di grande valore a corollario della dichiarazione di Abu Dhabi. Quando ha concordato con papa Francesco nel condannare la violenza in nome della religione, ha affermato che la tolleranza non riguarda solo rispettare una minoranza, nel caso specifico quella cristiana presente in Egitto o in Medio oriente. No, al Tayyeb ha detto qualcosa in più: non esistono minoranze, ma cittadini di religioni diverse. I cristiani non devono avere lo statuto di dhimmi, ovvero persone di serie B, ma sono cittadini come gli altri. Questi sono frutti importanti del dialogo avviato da papa Francesco. Questo confronto non può certo avvenire a livello teologico, perché in quel caso le verità di fede di ciascuna religione restano indisponibili e non mutabili. Del resto, non è necessario aprire i testi sacri per capire che cristiani e musulmani sono fratelli, basta la semplice constatazione della comune appartenenza umana.

Un’ultima curiosità: lei è stato al Meeting di Rimini già nel 2017. Cosa ha trovato di interessante in questa kermesse culturale tanto da decidere di tornarci due anni dopo?
Sono stato ‘corteggiato’ molto dagli organizzatori del Meeting. Del resto anche in Francia partecipo ad eventi di carattere cattolico pur non appartenendo a questo mondo. Al Meeting ho trovato un cattolicesimo popolare che non ho riscontrato in Francia. Ho incontrato delle persone molto inserite nella società e che hanno voglia di discutere e confrontarsi con altri sulle grandi questioni del nostro tempo.

Al Meeting di Rimini

«Conoscersi per capirsi, capirsi per convivere» è il titolo dell’incontro in programma martedì 20 agosto al Meeting di Rimini (ore 15, Auditorium Intesa Sanpaolo B3) tra Muhammad Bin Abdul Karim Al-Issa, segretario generale della Lega Musulmana Mondiale, e il sociologo Olivier Roy. Introduce il confronto Wael Farouq, docente di Lingua e Letteratura Araba all’Università Cattolica di Milano. L’attenzione del Meeting al confronto col mondo islamico è testimoniata da diversi altri appuntamenti: domenica 18 agosto, Nazir Ayyad, Secretary-General of Al-Azhar Research Academy, interverrà all’incontro «Libertà di, libertà per. Le fedi e la polis » con mons. Ivan Jurkovic, osservatore della Santa Sede presso le Nazioni Unite a Ginevra; mercoledì 21 agosto Osama Sayyid Al-Azhari, consigliere per gli affari religiosi del presidente dell’Egitto, dialogherà con mons. Alberto Ortega Martín, nunzio apostolico in Iraq e Giordania, su «Dalla tolleranza alla stima». Venerdì 23 agosto, infine, il postulatore dei martiri d’Algeria, Thomas Georgeon, parlerà di «Liberi di credere ». ( L.Fazz. Avvenire)

San Lorenzo Diacono e martire 10 agosto

Martire a Roma, 10 agosto 258

Lorenzo, da ragazzo, ha visto le grandiose feste per i mille anni della città di Roma, celebrate nel 237-38, regnando l’imperatore Filippo detto l’Arabo, perché figlio di un notabile della regione siriana. Poco dopo le feste, Filippo viene detronizzato e ucciso da Decio, duro persecutore dei cristiani, che muore in guerra nel 251. L’impero è in crisi, minacciato dalla pressione dei popoli germanici e dall’aggressività persiana. Contro i persiani combatte anche l’imperatore Valeriano, salito al trono nel 253: sconfitto dall’esercito di Shapur I, morirà in prigionia nel 260. Ma già nel 257 ha ordinato una persecuzione anticristiana.
Ed è qui che incontriamo Lorenzo, della cui vita si sa pochissimo. E’ noto soprattutto per la sua morte, e anche lì con problemi. Le antiche fonti lo indicano come arcidiacono di papa Sisto II; cioè il primo dei sette diaconi allora al servizio della Chiesa romana. Assiste il papa nella celebrazione dei riti, distribuisce l’Eucaristia e amministra le offerte fatte alla Chiesa.
Viene dunque la persecuzione, e dapprima non sembra accanita come ai tempi di Decio. Vieta le adunanze di cristiani, blocca gli accessi alle catacombe, esige rispetto per i riti pagani. Ma non obbliga a rinnegare pubblicamente la fede cristiana. Nel 258, però, Valeriano ordina la messa a morte di vescovi e preti. Così il vescovo Cipriano di Cartagine, esiliato nella prima fase, viene poi decapitato. La stessa sorte tocca ad altri vescovi e allo stesso papa Sisto II, ai primi di agosto del 258. Si racconta appunto che Lorenzo lo incontri e gli parli, mentre va al supplizio. Poi il prefetto imperiale ferma lui, chiedendogli di consegnare “i tesori della Chiesa”.
Nella persecuzione sembra non mancare un intento di confisca; e il prefetto deve essersi convinto che la Chiesa del tempo possieda chissà quali ricchezze. Lorenzo, comunque, chiede solo un po’ di tempo. Si affretta poi a distribuire ai poveri le offerte di cui è amministratore. Infine compare davanti al prefetto e gli mostra la turba dei malati, storpi ed emarginati che lo accompagna, dicendo: “Ecco, i tesori della Chiesa sono questi”.
Allora viene messo a morte. E un’antica “passione”, raccolta da sant’Ambrogio, precisa: “Bruciato sopra una graticola”: un supplizio che ispirerà opere d’arte, testi di pietà e detti popolari per secoli. Ma gli studi (v. Analecta Bollandiana 51, 1933) dichiarano leggendaria questa tradizione. Valeriano non ordinò torture. Possiamo ritenere che Lorenzo sia stato decapitato come Sisto II, Cipriano e tanti altri. Il corpo viene deposto poi in una tomba sulla via Tiburtina. Su di essa, Costantino costruirà una basilica, poi ingrandita via via da Pelagio II e da Onorio III; e restaurata nel XX secolo, dopo i danni del bombardamento americano su Roma del 19 luglio 1943.

Patronato: Diaconi, Cuochi, Pompieri

Etimologia: Lorenzo = nativo di Laurento, dal latino

Emblema: Graticola, Palma

Martirologio Romano: Festa di san Lorenzo, diacono e martire, che, desideroso, come riferisce san Leone Magno, di condividere la sorte di papa Sisto anche nel martirio, avuto l’ordine di consegnare i tesori della Chiesa, mostrò al tiranno, prendendosene gioco, i poveri, che aveva nutrito e sfamato con dei beni elemosinati. Tre giorni dopo vinse le fiamme per la fede in Cristo e in onore del suo trionfo migrarono in cielo anche gli strumenti del martirio. Il suo corpo fu deposto a Roma nel cimitero del Verano, poi insignito del suo nome.