Storia, nutrimento per i giovani. Un dibattito secolare, da Voltaire a Croce

Togliere lo studio del passato ai ragazzi significa attenuare le loro facoltà naturali come la curiosità, la voglia di giudicare, di intervenire, di fare essi stessi la storia

Benedetto Croce pensava che la storia ci renda migliori, con una sua capacità maieutica

Benedetto Croce pensava che la storia ci renda migliori, con una sua capacità maieutica

avvenire

Un vasto dibattito s’è sviluppato di recente sulla questione della storia, come materia da apprendere e studiare a scuola, come parte essenziale di una cultura che deve lievitare in ogni luogo del sapere. Su un punto si è raggiunto un certo consenso, sul fatto che la storia non può essere dimidiata nella sua identità, né diluita per la presunta trasversalità in altre discipline, come pulviscolo utile ai rami della conoscenza.

La trasversalità è certa, ma senza i fondamenti di una branca autonoma del sapere, essa perde consistenza, fornisce pezzetti di conoscenza privi di logica e organicità, azzera la ricerca di quel “senso del fluire delle generazioni”, che è base dell’evoluzione umana. I grandi dibattiti, di cui sono piene le biblioteche del mondo, riguardano gli interrogativi che tornano in ogni epoca. Cosa è la storia, in che misura è veritiera, o utile agli uomini, se insegna a migliorare. Le discussioni si nutrono delle rispettive culture di riferimento, razionaliste, storiciste, altre di tipo teleologico.

La svolta illuminista, che ha Voltaire come grande alfiere, ritiene che la storia migliori gli esseri umani solo se privata d’ogni idealità, o idea di provvidenza, guardata con crudo raziocinio; e relega la storia antica in un orizzonte favolistico, perché non saremo mai in grado di conoscerla davvero. In realtà, anche Voltaire coltiva uno spunto finalistico quando afferma che essa riflette «i costumi e lo spirito delle nazioni», ma il razionalismo estremo non gli fa cogliere la complessità e la bellezza dell’azione dell’uomo che costruisce il presente e il futuro, fino a sostenere che alcune verità sono utili, altre inutili, e lo porta a tagliare, ignorare ciò che non serve al presente. Tra scetticismo e razionalismo, l’unica filosofia della storia consisterebbe nella critica della tradizione, si basa sulla Ragione e la Verità, ma così essa diviene spettacolo truce e rutilante, colmo di incoerenza e irrazionalità. Per le culture teleologiche, che includono quelle di ispirazione religiosa, la storia non è un insieme di meri fatti e date, ma un concatenarsi di processi guidati da una freccia del divenire, ha più finalità.

Benedetto Croce pensa che essa ci renda migliori, con una sua capacità maieutica, perché è l’inverarsi di uno spirito che supera i singoli eventi, li permea e avvolge, nell’ambito di una evoluzione che non procede a caso. La ricerca di un senso della storia è base d’ogni storicismo, quello idealistico che ci chiude in un determinismo che priva l’uomo di tanti spazi di libertà.

O quello di Henri Bergson che vede nelle due fonti dell’etica e della religione le forze creatrici della storia, perché a ogni svolta etica corrisponde una grande innovazione nel mondo del diritto e nelle leggi. Si apre lo spazio alla libertà dell’uomo, avvertito sin dalla classicità e da chi attinge alla religione e alla sua evoluzione, per individuare traguardi e sconfitte, a seconda dei valori cui ci si ispira.

Questo dibattito mostra la centralità della storia per l’esperienza umana, e chiedersi se essa abbia un senso è una domanda che per Dante non può nemmeno porsi, perché «nelle cose evidenti, è fastidioso dover addurre delle prove». Accettando invece la domanda, si stende lo sguardo su questioni che affascinano gli uomini d’ogni tempo: e una riflessione speciale può concernere un aspetto speciale della storia, quello del suo rapporto con i giovani, la sua utilità e centralità, per la loro maturazione.

Per i ragazzi, la conoscenza della storia è il primo cibo necessario per “situarsi” nel mondo e nella realtà, il resto è crescita, cultura, desiderio di sapere. Togliere, o ridurre, il primo nutrimento ai giovani significa attenuarne facoltà naturali come la curiosità, la voglia di giudicare, intervenire, fare essi stessi la storia. Vorrebbe dire, per Salvatore Settis, colpire il carattere costitutivo che essa ha per la formazione della persona e il suo rapporto con la realtà.

Per Liliana Segre non si deve «rubare il passato ai ragazzi», perché così facendo, si finisce col togliere loro la capacità critica che si viene formando nell’età giovanile, mentre storia e analisi critica sono elementi indissociabili, esprimono la libertà con la quale l’essere umano guarda a sé stesso, alle vicende che l’hanno preceduto, costruito, lo preparano a vivere il futuro. Solo così, potranno porsi antichi interrogativi, e fornire insieme risposte nuove.

Sono celebri gli opposti pareri su alcuni caratteri della storia, quello di Tucidide, per il quale «la storia si ripete», e l’altro di Vilfredo Pareto per cui «la storia non si ripete mai», e ancora di G. Macaulay Trevelyan per il quale le due affermazioni sono egualmente vere.

Pezzetti di verità e d’ironia si ritrovano nell’opinione di Enoch Powell, per il quale «la storia è cosparsa di guerre che tutti sapevano che non sarebbero accadute», o di Alexis de Toqueville secondo cui «la storia è una galleria di quadri dove ci sono pochi originali e molte copie »; all’opposto, per Elias Canetti occorre «imparare dalla storia che da essa non c’è niente da imparare». In realtà i giovani comprendono presto, con l’ardimento loro proprio, che dalla storia si può imparare se ci si impegna a studiarla, anche perché a chi si rifiuta di imparare non servono né la storia, né la filosofia, o altre branche del sapere.

Gaetano Salvemini è attirato dal lato oscuro degli eventi umani, perché solo l’immaginazione può riempire le lacune del puzzle della storia, mentre per Thomas Carlyle «le epoche felici dell’umanità sono le pagine vuote della storia», e in essa «contano anche i fatti non avvenuti». Per i ragazzi questi paradossi aiutano a pensare, introducono una dialettica che non ha mai fine. Infine, c’è il capitolo dell’attualità della storia, che può iniziare con il pensiero di Paul Johnson, secondo cui «lo studio della storia è un potente antidoto all’arroganza contemporanea».

Nella modernità le lacune tendono a diminuire anche perché la storia si svolge sotto i nostri occhi, ed è quasi impossibile oscurare, insieme al bene, il male che si compie, soprattutto il male assoluto, che conosciamo e che sconvolge e ferisce i giovani più degli altri. L’arroganza resiste anche di fronte al male, l’arroganza di chi non vuole vedere, sapere, di chi addirittura (c’è anche questo) rivendica il male compiuto e vuole ripeterlo, scimmiottarlo, nasconderlo con tanti negazionismi. Resta soprattutto l’arroganza di chi vuole privare i giovani della capacità critica necessaria a chi voglia conoscere quella storia che parla dei valori, arricchisce la persona, la fa crescere.

Basta pensare ai simboli che evocano e riassumono fatti ed epoche storiche, ma se la storia si cancella, anche il simbolo si svuota, non parla più. Poi alla storia che abitua a ragionare, cercare nessi di casualità, e attira i giovani per una più profonda comprensione dell’uomo e della sua creatività. Se però si emargina, si spezzetta e frantuma il nostro ragionare, si finisce con gli slogan, le frasi fatte, che costituiscono l’odierno flagello della non cultura, si finisce con il pensiero unico che annulla il pensiero.

La storia è esattamente il contrario, si oppone agli slogan, alla superficialità, ai tweet, alla fretta. Per Norberto Bobbio una cultura viva chiede di «valutare tutti gli argomenti prima di pronunciarsi, controllare le testimonianze, non pronunciarsi e non decidere mai a guisa di oracolo dal quale dipenda una scelta perentoria e definitiva».

La storia si presenta ai giovani come la scienza del cambiamento, un orizzonte in perenne movimento, ed è così vasta da aprire la mente a mille ricerche e a tante prospettive nuove. Essa, però, chiede la riflessione della coscienza, l’inclusione di tutti, anche dei perdenti, mentre viene spesso utilizzata come uno scenario dal quale si vuole cacciar via qualcuno, espellere l’uno o l’altro dei protagonisti.

Nel nascondimento della storia, a seconda dei negazionismi, si possono espellere gli immigrati, i popoli che si muovono, o che non hanno voce, perché essi semplicemente non si esistono. Si può abolire lo studio della religione, di una delle forze motrici dell’evoluzione, della cultura, della spiritualità di un popolo o interi continenti. O ancora, si può ridurre la naturalità dell’uomo a una scheggia della sua antropologia, stravolgendo la stagione dei diritti umani, sostituendoli con i desideri, le pretese, dell’individuo, con tutto ciò che è effimero.

E si può proporre la storia solo di se stessi, umiliando quella degli altri, ignorando che ogni qualvolta lo si è fatto, essa s’è di nuovo macchiata di sangue, di conflitti, egoismo. Infine, è questione dei giorni nostri, si vuole cancellare l’etica, la compassione, e la compromissione, dalla storia dell’uomo ignorando le conseguenze che ne derivano, per la dignità dell’uomo, per l’ingigantirsi degli egoismi, per chiudersi e coltivare i propri piccoli trofei, ignorare i traguardi più grandi dell’umanità. Studiare, coltivare la storia, vuol dire invece, per l’uomo, per i giovani soprattutto, proseguire un cammino che valorizza l’opera umana, dona significato e valore ai contributi che ciascuna generazione reca in termini di conoscenza, sapienza, spiritualità. Essa è il più grande teatro che si possa immaginare, senza che alcun autore scriva alcun testo o inventi scenari, perché ogni cosa è stata scritta, sofferta, realizzata direttamente dagli esseri umani.

Dopo un anno di lavori si è concluso il restauro della cripta nel cuore di Milano, dove san Carlo Borromeo si recava spesso a pregare.

La cripta del Santo Sepolcro a Milano (Maurizio Montagna)

La cripta del Santo Sepolcro a Milano (Maurizio Montagna)

avvenire

Un cielo stellato nel cuore della Milano romana. Un intero ciclo decorativo tardo-medievale è tornato alla luce dopo oltre un anno di restauri nella chiesa ipogea di San Sepolcro. Un luogo di pace dietro il complesso dell’Ambrosiana, a due passi dal traffico di piazza Cordusio. Ed è proprio qui che si trova l’“ombelico” della città, come lo definì san Carlo Borromeo, che si recava a pregare in questa chiesa due volte alla settimana; circa un secolo prima Leonardo da Vinci disegnò una mappa della città, tracciando al centro un quadrato nero dove indicava la chiesa come il “vero mezzo”, ossia il cuore di Milano.

L’isolato di San Sepolcro ricopre d’altronde la zona centrale diMediolanum, all’incrocio tra cardo e decumano, dove sorgevano il foro romano, la zecca (piazza Affari, non a caso, è a due passi da qui) e i principali edifici pubblici come la Curia, la Basilica e il Capitoliumdedicato alla triade capitolina di Giove, Giunone e Minerva, oltre alle tantetabernae, negozi e botteghe artigiane. E nel piano interrato di Palazzo Mezzanotte, sede della Borsa, si conservano i resti di quello che, secondo alcuni studiosi, potrebbe essere il teatro romano. Strana città, Milano, che nel corso dei secoli ha seppellito il suo passato, senza perderne però la memoria. Lo stesso arcivescovo Mario Delpini, intervenuto ieri a benedire il luogo, ha ricordato la «metropoli frenetica che esibisce i suoi grattacieli, e la città nascosta che conserva luoghi come questo. C’è chi le potrebbe contrapporre, ma invece siamo invitati a provare simpatia e gratitudine per il passato e la memoria».

Il capoluogo lombardo, ha aggiunto, è «una città esibita, produttiva e nascosta. Oggi siamo qui a scoprire ciò che è nascosto, a ritrovare la fiducia, la stima di sé che caratterizza i milanesi in un luogo dove si ricorda che il sepolcro non è la definitiva scomparsa della vita, ma piuttosto una culla della speranza», ricordando le tante volte in cui san Carlo vi si raccoglieva in preghiera. Curiosamente, nel corso dei secoli il polo religioso si è spostato lentamente a est, dove sorsero la basiliche di Santa Tecla e Santa Maria Maggiore, sulle quali venne poi eretta la cattedrale dedicata alla Natività della Beata Vergine Maria. In quanto al foro, ormai decaduto, vi venne costruita sopra una chiesa dedicata alla Santissima Trinità, che intorno al 1100 venne dedicata al Santo Sepolcro, in occasione della prima Crociata, dall’allora arcivescovo Anselmo da Bovisio; la forma venne adattata sul modello del Santo Sepolcro di Gerusalemme. Se la chiesa superiore che vediamo oggi ha subìto varie traversie – rifatta in stile barocco nella prima metà del ’700, venne riportata esternamente all’originario aspetto romanico a fine ’800 –, quella inferiore ha mantenuto l’aspetto romanico, con le colonne di spoglio provenienti da qualche tempio pagano che sorgeva qui.

Riaperta da una decina d’anni, la chiesa ipogea, o cripta, soffriva di numerosi problemi climatici, come l’umidità che si era estesa su tutte le pareti. I lavori, iniziati nel 2018, sono stati condotti dalla Soprintendenza di Milano grazie al finanziamento di un milione di euro del ministero per i Beni culturali. Oltre al rinnovo dell’impiantistica per assicura- re all’ambiente condizioni ambientali stabili e alla nuova illuminazione, sono state rimosse le tinteggiature che nei secoli scorsi avevano ricoperto le volte: circa duecento metri quadrati di affreschi medioevali sono tornati così alla luce. Un ciclo ornamentale pressoché integro con stelle ed elementi vegetali che corrono sulle volte del presbiterio, databili alla fine del Duecento. «Stelle fitomorfiche con palmette e raggi a fiamma di candela che si espandono lungo le volte, mentre in altre parti si estendono in modo più regolare a tappeto», ha spiegato la soprintendente Antonella Ranaldi. Una vera sorpresa, ha aggiunto, è stata la comparsa di un angelo accanto al sacello centrale, all’interno di un tondo a monocromo rosso: forse l’arcangelo Michele che annuncia la Resurrezione, un’immagine legata ai riti dell’accensione del cero nelle veglie pasquali e nelle processioni che partivano da qui per dirigersi in Duomo. Un emozionato Marco Ballarini, prefetto della Veneranda Biblioteca Ambrosiana, ha mostrato invece gli altri frammenti di affreschi restaurati, tra cui unaCrocifissione di sapore bizantineggiante e, a poca distanza, un lacerto con tre figure in piedi – Giovanni Battista con ai lati la Maddalena e una santache potrebbe essere Elena, la madre di Costantino (per il legame con la Terrasanta) – mentre è ancora da studiare la paternità di una cinquecentesca Madonna col Bambino e Santi Rocco e Giovanni Battista,che rimanda alla scuola di Bernardino Luini. E ancora, una Cena in casa di Simone e una Madonna di Loreto, in un vero e proprio sovrapporsi di affreschi e decorazioni di varie epoche – gli stucchi dell’abside con gli strumenti della Passione, come la statua di san Carlo in preghiera, in terracotta policroma, arrivano al ’600 –, che saranno pubblicati e analizzati in un volume di prossima uscita per Silvana editoriale, a cura della soprintendente Ranaldi. 

Le volte stellate catturano l’attenzione, è vero; ma se si abbassa lo sguardo, si nota che anche la pavimentazione è rimasta pressoché intatta, con le lastre marmoree di epoca augustea, provenienti dal foro romano che si trova pochi centimetri più sotto. «Le pietre del pavimento sono quelle calpestate da sant’Ambrogio e sant’Agostino – ha spiegato Ballarini –. Qui la Confraternita della Sacra Corona allestì uno dei primi centri per malati poveri con distribuzione gratuita di medicinali; qui fu aperta la cosiddetta Scuola della Dottrina Cristiana, una delle prime esperienze di catechesi che diventava anche occasione di alfabetizzazione. Non a caso, il cardinale Federico fece costruire l’Ambrosiana accanto alla chiesa di San Sepolcro, istituendo così un ideale collegamento con il deposito culturale e religioso di cui essa era portatrice. Questo è il patrimonio che ci è stato affidato, con il difficile compito che l’accompagna: tramandarlo senza tradirlo»

Reggio Emilia. Inchiesta affidi a Bibbiano, 4 bambini tornano alle loro famiglie

Erano coinvolti con altri tre minori nell’inchiesta ‘Angeli e Demoni’. Qualche tempo fa la decisione del Tribunale dei minorenni di Bologna. Salvini in visita: segnalate casi di abusi

archivio Ansa

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Avvenire

Quattro dei sette bambini coinvolti nell’inchiesta ‘Angeli e Demoni’ sugli affidi, aperta dalla Procura di Reggio Emilia, sono tornati a vivere con i genitori naturali. La decisione del Tribunale per i Minorenni di Bologna, a quanto si apprende, non è recentissima ed è emersa nelle verifiche e nei controlli avviati dagli uffici giudiziari minorili su segnalazione della Procura reggiana di anomalie e illeciti da parte dei servizi sociali della Val d’Enza. 

Intanto oggi a Bibbiano è arrivato il ministro dell’Interno, Matteo Salvini: “Sono quasi diecimila in Emilia-Romagna i bimbi sottratti negli ultimi anni ai genitori – ha detto -. Andremo fino in fondo. Non avrò pace finché l’ultimo dei bimbi, sottratto ingiustamente a mamma e papà, sarà tornato a casa”.

Il vicepremier ha anche annunciato che entro i primi giorni d’agosto verrà approvata al Senato una commissione d’inchiesta sulle casefamiglie in Italia: “C’è un disegno di legge cui sta lavorando Licia Ronzulli (senatrice di Forza Italia, presidente della Commissione bicamerale per l’infanzia e l’adolescenza, ndr)”, ha spiegato, aggiungendo che occorre anche “rivedere l’affido condiviso” e il “diritto di famiglia”, per “rimettere al centro i bambini”, perché “il bambino va sempre tutelato quando gli adultilitigano. Chi sbaglia sulla pelle dei bambini deve pagare il doppio“. “E lo dico – ha detto il ministro dell’Interno proprio dal paese del Reggiano al centro dell’inchiesta sui presunti affidi illeciti di minori – con tutto il rispetto delle case famiglie che fanno bene il loro lavoro, assistenti e servizi comunali che fanno bene il loro lavoro”.

In seguito il ministro Salvini ha invitato “chiunque sia a conoscenza di altri abusi, ovunque in Italia, a segnalarli al ministero dell’Interno, anche in forma anonima: faremo tutte le verifiche del caso”.

In realtà nell’inchiesta di Bibbiano le case famiglie non c’entrano: ad essere finiti sotto la lente della magistratura sono i metodi con i quali i bambini venivano indotti a raccontare presunti abusi subiti in famiglia.

La vicenda di Bibbiano ha preso una piega marcatamente politica: anche Luigi Di Maio annuncia una visita a Bibbiano con il ministro Bonafede “per illustrare la squadra speciale che si occupa di tutela dei minori”.