Sinodo, le Onde Corte portano il Papa in Amazzonia. Il Programma brasiliano di Radio Vaticana riprende a trasmettere verso la regione amazzonica

Vatican News

Da oltre 61 anni il Brasile ascolta la voce del Papa attraverso la Radio Vaticana. Il primo agosto prossimo, il Programma brasiliano dell’emittente pontificia, dopo un periodo di assenza, torna a trasmettere in Onde Corte per l’Amazzonia. Con l’avvicinarsi del Sinodo pan-amazzonico (6-27 ottobre 2019), Radio Vaticana-Vatican News mostra così la sua attenzione verso un importante regione del Brasile che fa della radio il suo principale strumento di comunicazione. La voce del Papa potrà essere di nuovo ascoltata via radio dagli oltre 25 milioni di persone che abitano questo polmone del nostro pianeta. La decisione di trasmettere in Onde Corte viene incontro alla realtà geografica dell’Amazzonia, nella consapevolezza che tutti hanno il diritto di ricevere il messaggio di Cristo. 

Bolivia: allarme femminicidi, 73 dall’inizio dell’anno. Mons. Gualberti (Santa Cruz), “nessuno può restare indifferente”


SIR 

È allarme femminicidi in Bolivia. Sono già 73 dall’inizio dell’anno e l’allarme è stato lanciato da José Antonio Revilla, presidente del Supremo tribunale di giustizia (Tsj), il quale ha chiesto al Governo di dichiarare “l’allerta nazionale” rispetto al fenomeno e di elaborare un piano d’emergenza basato soprattutto sulla prevenzione

LANCIA LA FIGLIA DI 16 MESI DAL BALCONE, LA BIMBA È MORTA

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POI SI BUTTATA GIÙ ANCHE LUI, È GRAVE. DRAMMA NEL NAPOLETANO Ha lanciato la figlia di 16 mesi dal balcone del secondo piano e poi si è buttato giù: la bimba è morta e l’uomo è ricoverato in gravi condizioni all’ospedale Cardarelli di Napoli. La tragedia a San Gennaro Vesuviano. Secondo una prima ricostruzione, l’uomo di 35 anni era in casa con la moglie dalla quale si sta separando. Le ha chiesto, con una scusa, di andare in un’altra stanza, poi si è buttato con la figlia. La coppia avrebbe avuto una lite ieri sera. I carabinieri ascoltano i familiari per stabilire cosa abbia fatto scattare la follia omicida. 

FESTA DELLA MADONNA DEL CARMNE IN SANTO STEFANO Domenica 21 Luglio 2019 con triduo di preparazione

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Domenica 21 luglio 2019, sarà celebrata in Santo Stefano (Reggio Emilia) la festa della Madonna del Carmine.

PROGRAMMA

Triduo di preparazione

Giovedì 18 luglio, venerdì 19 luglio e sabato 20 luglio 2019 durante la Messa delle ore 19.00 in S. Stefano.

Domenica 21 Luglio 2019 Alle ore 10.00 Santa Messa presieduta dal parroco don Daniele Casini

Durante la celebrazione eucaristica ricordo per don Fabrizio Crotti, con qualche giorno di anticipo rispetto alla data del primo anniversario (30 luglio 2018).

Alle ore 18.30 preghiera dell’Akathistos, a seguire i Vespri solenni presieduti da don Vasco Rosselli.

Alle 20 nel cortile dell’oratorio cena con la comunità parrocchiale e gli ospiti

La chiesa di S. Stefano resterà aperta per accogliere i fedeli, i devoti e i membri della Confraternita della B.V. del Carmelo.

Statua lignea Madonna del Carmelo sec. XVIII

segnalazione web a cura di Giuseppe Serrone

Sala stampa vaticana: oggi le nuove nomine dopo la partenza di Alessandro Gisotti

a cura Redazione “Il sismografo”)

Nuovo Direttore della Sala stampa vaticana sarà l’italiano Matteo Bruni. La nuova Vice sarà la brasiliana Cristiane Murray.(LB-RC) Tutto indica che domani, lunedì 15 luglio, dovrebbe essere il giorno della pubblicazione delle nuove nomine che dovrebbero dare un assetto stabile alla Sala stampa della Santa Sede guidata “ad interim” dal giornalista di Vatican News Alessandro Gisotti (Roma, 24 giugno 1974) il quale, dalla sua nomina il 31 dicembre 2018 ad oggi, secondo un’opinione unanime e ben fondata, ha svolto un lavoro egregio, qualificato e altamente professionale, con un tratto umano particolarmente apprezzato da tutti.Gisotti ha voluto, oltre sei mesi fa, una nomina “ad interim” proprio per le ragioni che oggi lo portano a lasciare volontariamente l’importante incarico: la sua cara famiglia, in particolare i figli ancora piccoli. Alessandro Gisotti non tornerà però a Radio Vaticana come si era pensato in un primo momento. Domani diventerà Vice direttore editoriale del Dicastero per la comunicazione guidato dal Prefetto Paolo Ruffini. In pratica Gisotti sarà il secondo di Andrea Tornielli.In questi ultimi mesi si è lavorato molto per trovare il sostituto di Alessandro Gisotti che, com’è ben noto, aveva preso il posto a sorpresa, l’ultimo giorno del 2018, dello statunitense Greg Burke (che ora lavora presso l’Università di Navarra in Spagna).
Contemporaneamente alla nomina di un nuovo Direttore della Sala stampa, si è pensato anche alla nomina di un nuovo Vice, carica che l’uscita della spagnola Paloma García Ovejero aveva lasciato vacante. Si dice che nelteam fin dall’inizio, anche per volere del Santo Padre, si desiderava una donna. Tra l’altro due bravissime giornaliste interpellate per primo, una messicana e l’altra italiana, hanno gentilmente rifiutato la proposta. Una in particolare lo ha fatto per ben due volte.Domani, oltre l’annuncio della “partenza” di Alessandro Gisotti, sarà annunciato il nome del nuovo Direttore della Sala stampa, l’erede di Federico Alessandrini, Romeo Panciroli, Joaquín Navarro Valls e p. Federico Lombardi, e cioè, Matteo Bruni, dipendente della medesima Sala stampa da qualche anno dove si occupa di questioni organizzative e logistiche. La vice direzione della Sala stampa sarà affidata alla brasiliana del Programma in portoghese per il Brasile di Vatican News, Cristiane Murray.Da tenere in considerazione che le indiscrezioni riportate sono allo stato attuale delle cose. In queste settimane i nomi sono cambiati da un giorno all’altro e ciò potrebbe accadere ancora anche se ormai sembra piuttosto improbabile.

Torino. De Chirico e «l’antichità come futuro»

Alla Galleria d’Arte Moderna una mostra indaga l’influenza del “pictor optimus” sull’arte contemporanea, in particolare quello dell’ultimo periodo “neometafisico”

De Chirico e «l'antichità come futuro»

da Avvenire

Facciamo l’appello. Una mostra su Giorgio de Chirico è in corso fino al primo settembre a Genova a Palazzo Ducale. Finita questa, il 25 settembre è preannunciata da settimane una grande retrospettiva “tutto De Chirico” a Milano, nelle sale di Palazzo Reale, a cura di Luca Massimo Barbero, che radunerà circa cento opere anche da grandi musei stranieri. Nei primi mesi di quest’anno alla Fondazione Magnani Rocca è stata messa in scena l’accoppiata De Chirico-Savinio, un vecchio mantra che ripete e insinua il dubbio se Alberto non sia, in fondo, pittore più importante di Giorgio (certo fu un gigantesco scrittore, critico teatrale, musicologo e altro ancora). Alla fine dello scorso anno ha visto la luce la corposa (e faticosa: oltre cinquecento pagine) ricostruzione semiotica e analitica dei valori estetici delle immagini metafisiche di De Chirico, condotta da Riccardo Dottori e pubblicata dalla Nave di Teseo. Infine, questa mostra della Galleria d’Arte Moderna di Torino su De Chirico e la sua influenza sull’arte contemporanea (“Giorgio de Chirico. Ritorno al futuro”; fino al 25 agosto), in particolare l’ultimo De Chirico, quello più svalutato dalla critica, che si condensa nella categoria della Neometafisica. Si può considerarlo il conatus di De Chirico, una sorta di divertito gioco postmoderno che diventa metalinguismo riferito alle proprie fasi artistiche precedenti, dal periodo ferrarese della Metafisica (ma anche prima, in realtà, per esempio la formazione durante l’infanzia greca e poi il soggiorno parigino) fino alla citazione, i manichini e i gladiatori, ai ritorni su se stesso, ai depistaggi, al disinvolto esercizio della firma. Come dirà Andy Warhol, che lo amava particolarmente proprio per questa libertà che sconfina talvolta nella contraffazione di sé, «ripeteva i suoi dipinti di continuo». In mostra, una foto di Gorgoni del 1972 li riprende a New York rivelando nel chiaroscuro le loro contrapposte personalità: ironica e istrionica.

Prima di affrontare lo spunto che ci offre la mostra torinese curata da Lorenzo Canova e Riccardo Passoni, è giusto domandarsi che cosa possa significare questa concentrazione ravvicinata di mostre dedicate al pictor optimus. Indica forse che il pittore offre nuove suggestioni e ispirazioni? Non ne sono sicuro. Anche se la sua fantasia sontuosa e l’uso spregiudicato di una pittura che dall’eleganza scarta improvvisamente nella sciatteria, come accade appunto nella Neometafisica, può far pensare a un nume adatto al nostro tempo. L’affastellarsi di mostre in un tempo così contratto fa piuttosto pensare a un nuovo tentativo di sostegno del mercato di De Chirico, e magari proprio quei periodi che la critica ha spesso rifiutato. La critica, ma non gli artisti, come recita il motto – “Ritorno al futuro” – su cui si sdipana la mostra torinese. Scrive Canova che De Chirico ha decostruito il sistema dell’immagine stravolgendone i canoni tradizionali, «mettendo in crisi i suoi stessi codici fondativi». Se il primo De Chirico metafisico divide col dadaismo – come sostenne Maurizio Calvesi – «il recupero dell’oggetto così com’è», in realtà la categoria che opera trasversalmente sull’intero percorso creativo di De Chirico è proprio quella del metalinguismo, l’idea che la finzione sia a sua volta la finzione di una coscienza di quello che si sta facendo. Per De Chirico l’oggetto dipinto è inevitabilmente di testimone di qualcosa che sopravvive come dettaglio muto, è il reperto che ci parla dell’ultima Thule, dell’isola perduta (o che va a perdersi): l’arte stessa, travolta dalle distruzioni di un mondo che sembra non rendersi conto di ciò che produce: vuoto, morte, rovine, cancellazioni di ciò che ricordava alla nostra umanità quanto avevamo saputo osare anche contro il volere degli dèi. Attraverso De Chirico – scrive Canova – i contemporanei hanno riscoperto «uno scenario dove la rappresentazione iconica, esclusa e dannata per lungo tempo, si riproponeva come una nuova possibilità di salvezza per un’arte che doveva confrontarsi con la potenza visiva della comunicazione contemporanea». Ma è proprio su questa china che è discesa, fino a perdere la propria identità, l’arte contemporanea, divorata dalle regole della comunicazione.

Attenzione però, Canova parla di rappresentazione iconica, cioè di qualcosa che rimanda a una tradizione, ma in sé non è meno concettuale di altre esperienze che dominano la scena degli anni Settanta, quando De Chirico batte i soldoni della sua Neometafisica (e permea persino l’Arte Povera, come si capisce anche dalla foto di Claudio Abate su Kounellis- Apollo). Questo, in realtà, De Chirico lo pensava fin dagli anni Dieci: come definire, altrimenti, dipinti come Il canto d’amore del 1914 oggi al MoMA oL’incertezza del poeta del 1913 oggi alla Tate Gallery? La Neometafisica è dunque una dichiarazione aperta di ciò che negli anni Dieci e Venti era sottinteso: di che cosa parliamo quando parliamo d’arte? La mostra di Torino si avvale, per le opere del pittore, dei prestiti della Fondazione De Chirico e vi accosta opere di artisti contemporanei degli ultimi decenni del Novecento, che rendono davvero evidente e sorprendente l’influenza che il pittore ha giocato sulle loro menti. Non si tratta qui di discutere la qualità pittorica dell’ultimo De Chirico, ma di riscontrare la citazione che egli induce nel-l’altro: Mimmo Rotella gli rende omaggio con una grande lamiera nel 1988 rievocando la musa inquietante e lo intitola eloquentemente De Chirico; Emilio Tadini, Concetto Pozzati, Mario Schifano negli anni Settanta disseminano teste di manichini e muse in contrappunto al loro immaginario; Warhol lo celebra nell’82 con le Muse inquietanti quadruplicate e attraversate da intersezioni grafiche che rendono astratto (cioè reale) il senso dell’immagine dechirichiana; di grande impatto le “mediazioni” di Valerio Adami ( Pour Vous Madame, Pour Vous Monsieur, 1964), Philip Guston ( Wall, 1971) e Alessandro Mendini (Senza Titolo, 1986); un po’ troppo autoreferenziali i gladiatori di Salvo del 1978. Se in Interno metafisico con mano di David del 1968 De Chirico sembra ridurre un brano di anatomia michelangiolesca a un feticcio iconico, in realtà alcuni suoi notevoli disegni degli anni Cinquanta ne testimoniano l’attrazione forte per il genio toscano. E di seguito, quasi come trait-d’union fra i due, troviamo esposti alcuni smalti di Tano Festa che rendono più esplicita questa liaison artistica. Metafisico ma dechirichiano per sottrazione d’immagine è il grande pittore Fabrizio Clerici; poetico ma secondo il teatro d’ombre di matrice avanguardistica e tedesca è l’Oasi d’ombra di Gino Marotta; lontani, su una verticale zenitale, i parallelepipedi cementizi di Giuseppe Uncini; del tutto liberi da ogni ossequio al maestro, anzi con un intento competitivo, i due autoritratti (a trent’anni di distanza fra loro) di Luigi Ontani; allusivo rimando filosofico alla pittura di De Chirico, infine, La caduta del mondo di Giulio Paolini e di “pesante” contrappunto stilistico l’ala appesa a un telaio vuoto con la tela a sua volta appesa al chiodo, l’opera Senza titolo di Claudio Parmiggiani del 1988.

Altri ancora sono gli artisti esposti, in una mostra che persuade, più di ogni dimostrazione sui documenti, riguardo all’influenza della “Musa De Chirico” sulla scena artistica di fine secolo scorso. E il titolo della mostra potrebbe forse fare pendant con quello di un celebre saggio di Rosario Assunto del 1973, che fu uno dei testi filosofici fondanti del postmoderno italiano e del ritorno alla pittura, L’antichità come futuro. Una ipotesi che manca dall’agenda critica contemporanea (sempre che i critici di oggi dispongano ancora di un’agenda).

L’intervista. Giulietti: il vescovo cammini con la gente. Ma no alla «popolarità»

A colloquio con l’arcivescovo di Lucca per la festa del patrono san Paolino. «Il Papa mi indica come esempio? Occorre il coraggio di riformare anche con scelte non gradite»

L'ingresso a Lucca dell'arcivescovo Paolo Giulietti arrivato a piedi lo scorso 12 maggio

L’ingresso a Lucca dell’arcivescovo Paolo Giulietti arrivato a piedi lo scorso 12 maggio

avvenire

«Afondamento della nostra civiltà ci sono i valori della persona e della solidarietà. Ma se perdono le loro radici, che sono essenzialmente cristiane, rischiano di restare solo nominali o di scomparire». Il monito giunge daPaolo Giulietti che ieri ha celebrato per la prima volta da arcivescovo di Lucca la festa patronale di san Paolino, primo pastore di questo angolo di Toscana. «Il santo martire continua a dirci è che l’uomo non può ritenersi autosufficiente. Siamo debitori dell’operato degli altri», afferma Giulietti. E la seconda “lezione” è un invito. «Le nostre città non possono dimenticare i riferimenti che sono frutto dell’esperienza cristiana. L’affievolimento di punti fermi che si traduce in indifferenza o cattiveria nasce dallo scollamento fra i valori che tutti affermano e le radici che li rendono vitali».

Giulietti è un vescovo «popolare ». L’aggettivo è di papa Francesco che in un’intervista all’emittente messicana Televisa ha citato come «esempio» il nuovo pastore di Lucca, 55 anni, originario di Perugia.«Ma la popolarità di cui parla il Papa – spiega ad Avvenire – è sinoni- mo di vicinanza alla gente. Il gradimento è invece una tentazione. Grazie al cielo il vescovo non deve andare alla ricerca di consensi e quindi può permettersi anche scelte non sempre gradite». Bergoglio indica Giulietti come “prova” di una «Chiesa in crescita», non «in crisi». «Ritengo che siamo di fronte a una crisi di crescita – sostiene l’arcivescovo di Lucca –. Stiamo attraversando un’importante fase di passaggio: ereditiamo uno stile di essere Chiesa che ci ha consegnato il Concilio di Trento e che ha come volto l’esperienza centenaria delle nostre parrocchie; e siamo chiamati a costruirne uno nuovo che passa dal confronto con la secolarizzazione, da una diversa presenza ecclesiale, dalla valorizzazione del laicato, dal nuovo ruolo del clero che si riduce di numero. Già negli anni Settanta la Chiesa italiana prospettava la via dell’evangelizzazione. Oggi papa Francesco con l’Evangelii gaudiumci sollecita con forza a ripensare la Chiesa nell’orizzonte della missionarietà». E subito Giulietti fa sapere: «In un periodo di riforma i vescovi devono accettare di essere anche impopolari. Non si fanno cambiamenti a costo zero».


Paolo Giulietti è nato a Perugia il 1° gennaio 1964. Ha frequentato il Seminario regionale umbro ed è stato ordinato prete nel 1991. Dal 2001 al 2007 è stato responsabile del Servizio nazionale Cei per la pastorale giovanile. Divenuto vicario generale di Perugia-Città della Pieve, è stato nominato ausiliare della sua diocesi nel 2014 e ha ricevuto la consacrazione episcopale dal cardinale Gualtiero Bassetti. Papa Francesco lo ha nominato il 19 gennaio 2019 arcivescovo di Lucca dove ha fatto il suo ingresso lo scorso 12 maggio.


E qual è una decisione impopolare? «Qui a Lucca è in corso una ristrutturazione territoriale. Che ha portato con sé un cambiamento non di poco conto: nelle parrocchie più piccole non c’è più la Messa domenicale. La celebrazione si concentra in alcune località perché sia davvero significativa, partecipata, animata. Di fatto, una celebrazione di qualità. Qualcuno si lamenta e scrive ai giornali. Comprendo che è una scelta non facile da accettare, ma necessaria per il rinnovamento della Chiesa».

Le parole di papa Francesco su Giulietti sono state ispirate dal suo ingresso a Lucca, il 12 maggio scorso. Più di duemila ragazzi (poi adulti e persino disabili e malati) si sono uniti al suo “arrivo” a piedi in città. Per le vie del centro tutti affacciati alle finestre; la gente in strada o nelle piazze a salutarlo. «Il popolo ha visto: “Questo nuovo pastore non viene in una limousine”», ha sottolineato il Papa. «Nulla di programmato – chiarisce adesso l’arcivescovo –. Sono giunto in pellegrinaggio da Perugia. Avevo bisogno di silenzio. E ho solo voluto condividere l’ultimo tratto di cammino. Invece è diventata un’esperienza sinodale. Però conta quanto ripete Francesco: servono pastori che non siano amministratori, burocrati o funzionari, ma padri di famiglia».

Giulietti che è stato responsabile Cei della pastorale giovanile dal 2001 al 2007 si sofferma sui ragazzi. «Il rapporto con le nuove generazioni è una sfida sia per la Chiesa sia per tutta la società italiana. Riguarda non solo la comunità cristiana ma anche il volontariato, le istituzioni, la scuola. Dobbiamo tararci per essere capaci di comunicare con loro, accoglierli e farli diventare protagonisti. Il Sinodo dei vescovi con l’esortazione Christus vivit e il nuovo documento Cei Dare casa al futurosono due bussole su cui lavorare».

Da marciatore e profondo conoscitore dei cammini dello spirito (su cui ha scritto numerose guide), non risparmia una stilettata alla gestione della Via Francigena che taglia anche la Toscana. «Sta smarrendo la sua identità: è troppo parcellizzata ed è trattata con un approccio per lo più turistico». Secondo Giulietti, il pellegrinaggio a piedi «è una straordinaria esperienza spirituale per l’uomo contemporaneo. Una pratica di ecologia integrale, direbbe il Papa, perché guarda all’interiorità, al rapporto con gli altri, a quello con l’ambiente. E la Francigena che rappresenta un significativo patrimonio per l’Italia non è sfruttata: a Santiago di Compostela si contano 300mila pellegrini l’anno; la nostra Via annovera appena 10mila arrivi a Roma. Tutto ciò ne fa un’occasione perduta».

Somalia. Raccontava storie positive, giornalista uccisa in assalto di al-Shabaab

L’attacco di cinque miliziani in un hotel di Chisimaio, nel sud del Paese. Almeno 26 le vittime e 56 i feriti

La giornalista Hodan Naleyah (dal suo profilo Facebook)

La giornalista Hodan Naleyah (dal suo profilo Facebook)

da Avvenire

Hodan Naleyah era appena rientrata dal Canada, dov’era cresciuta, nella sua Mogadiscio, decisa a raccontarne l’altro volto. Quello che resiste alla violenza e all’instabilità cronica di una nazione da troppo tempo ferita. Quello che prova faticosamente a costruire in mezzo alle macerie di un’interminabile guerra civile.

Con quest’obiettivo aveva contribuito a fondare “Integration Tv”, la prima emittente online somala in lingua inglese nata per “mettere in collegamento le comunità somale e condividere storie stimolanti che migliorino la società”. Prima di buttarsi a capofitto nel progetto, però, Hodan aveva deciso di prendersi una breve vacanza a Chisimaio, nel sud del Paese.

Là, però, si è trovata coinvolta nell’ennesimo attacco di al-Shabaab.Venerdì, un commando di cinque miliziani ha preso d’assalto l’hoteldove alloggiava la giornalista, Asasey, e là è stata uccisa insieme al marito, Farid Jama Suleiman. Con loro sono state massacrate almeno altre 26 persone, 56 sono rimaste ferite. Tra le vittime si contano anche tre cittadini del Kenya, tre della Tanzania, due americani, un canadese, un cinese e un inglese. Anche gli attentatori sono stati uccisi dalle forze dell’ordine.