LE COLLINE DEL PROSECCO DA OGGI SONO PATRIMONIO UNESCO

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MOAVERO E ZAIA, ‘VALORE UNICO DI CONEGLIANO E VALDOBBIADENE’ “Le colline del prosecco” di Conegliano e Valdobbiadene “da oggi sono Patrimonio Mondiale dell’Umanità dell’Unesco. Grazie alla loro bellezza paesaggistica, culturale, agricola unica e al gran lavoro promozionale di squadra del sistema-Paese”. Lo annunciano su Twitter il ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi e il presidente della regione Veneto Luca Zaia. La proclamazione è avvenuta oggi a Baku (Azerbaigian), in occasione della 43° sessione del Comitato del Patrimonio mondiale Unesco, con delibera unanime dei 21 Stati membri del Comitato, a conferma dell’alta qualità della candidatura italiana. 

Ragazza in auto annega in mare,18enne travolto da amico

(ANSA) – ROMA, 7 LUG – Tutte giovanissime le vittime di incidenti stradali in questo primo weekend di luglio. Tragedie non direttamente legate all’esodo per le vacanze ma in molti casi con dinamiche ancora tutti da chiarire. 

Una ragazza di 24 anni di Vico del Gargano, nel foggiano, è morta annegata dopo essere finita con la sua auto in mare. L’incidente è avvenuto la scorsa notte nel porticciolo di Foce Varano. In auto con la vittima anche il fidanzato che però è riuscito a mettersi in salvo. Stando alla ricostruzione dell’accaduto la ragazza era alla guida della Fiat Panda quando, per cause ancora in corso di accertamento, è finita in acqua. 

Nel comasco invece, a Longone al Segrino, un 18enne è stato travolto e ucciso dall’auto di un amico con cui era stato poco prima a una festa. Il ragazzo alla guida è risultato per poco positivo all’alcoltest ma, essendo neopatentato, è scattata nei suoi confronti l’accusa a piede libero di omicidio stradale. 

Sempre in Lombardia, a Pogliano Milanese, altro investimento ma in questo caso volontario. Un uomo, cacciato dalla discoteca Fellini, è salito a bordo della sua Bmw e si è lanciato contro due addetti alla sicurezza, uno dei quali, marocchino di 34 anni, è rimasto ferito e ne avrà per 15 giorni. L’uomo è ora ricercato dai carabinieri. 

In Umbria un ragazzo di 20 anni è morto e altri due di 24 sono rimasti feriti in modo grave, in seguito a un incidente stradale avvenuto lungo la statale nei pressi di Gubbio. I tre, secondo le prime informazioni dei vigili del fuoco, viaggiavano a bordo di un’auto che è andata a sbattere contro un palo segnaletico. Non ci sarebbero altri veicoli coinvolti. 

Ancora una vittima, questa volta in Sicilia. Un 26enne è morto in un incidente stradale avvenuto nella zona centrale di Siracusa. Secondo la ricostruzione della Polizia municipale, D’Angeli si trovava in sella ad uno scooter quando per cause da accertare si è scontrato con una macchina, una Toyota Yaris. Il giovane è deceduto sul colpo, inutili i tentativi dei soccorritori di rianimarlo. La Procura di Siracusa ha aperto un’inchiesta. 

Infine un ragazzo di 17 anni è morto, investito mentre era in sella alla sua bici, nella frazione Sesso di Reggio Emilia. Il ragazzino è stato urtato da un’auto guidata da un 22enne che procedeva nella stessa direzione, in una zona molto buia. Dalle prime informazioni l’automobilista sarebbe negativo all’alcol test.(ANSA).

Caso affidi, la fiaccolata a Reggio Emilia a favore dei bambini finisce in contestazione

Gazzetta di Reggio Reggio Emilia, duecento persone circa hanno partecipato, in centro a Reggio Emilia, alla «fiaccolata a sostegno dei diritti dei minori e delle loro famiglie in seguito agli eventi che stanno emergendo dall’operazione Angeli e Demoni e che vede coinvolto il nostro territorio», come scritto su Facebook dagli organizzatori. Una manifestazione «affinché questi eventi non accadano mai più», promossa da un gruppo di cittadini «al di fuori da ogni finalità politica», che partecipa al dramma dei piccoli e delle famiglie coinvolte. Davanti al municipio, è scoppiata un’accesa discussione

Vangelo della domenica. La vostra pace scenderà su di lui (Lc 10,1-12.17-20)

(a cura Redazione “Il sismografo”) 

In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi.Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada.In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra.Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”. Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle sue piazze e dite: “Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino”. Io vi dico che, in quel giorno, Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città».I settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome». Egli disse loro: «Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli».Parola del Signore.
Commento di mons. Pierbattista Pizzaballa
Il Vangelo di Luca è il solo a raccontare due volte l’invio in missione dei discepoli: la prima volta, all’inizio del capitolo 9, riguarda i Dodici ed è riservata al popolo di Israele; la seconda -che leggiamo oggi e che si trova al capitolo 10- si allarga ad un numero più ampio, ai 72 discepoli, ed è destinata a tutti, anche ai popoli pagani.
All’evangelista sta particolarmente a cuore affermare che la vita del discepolo è partecipare alla stessa missione di Gesù: Gesù è l’inviato del Padre (cfr v. 16; anche Gv 9) per portare tutti gli uomini all’incontro con Lui, ad una vita da figli; e chi accoglie la salvezza, a sua volta si mette in cammino, dietro a Lui, per contagiare altri con la stessa esperienza di vita: non è qualcosa di facoltativo, non è un optional; è essenziale. Il messaggio cristiano, se si tiene per sé, muore.
Inviando i suoi, Gesù non fa progetti, non insegna strategie, non pianifica il cammino: semplicemente educa ad uno stile, ed è uno stile che ha tutto il gusto della novità del Vangelo. Non fa programmazioni, dunque, ma “getta” i suoi nella vita, li fa entrare nelle case e nelle piazze, lì dove l’uomo vive. Chiede di mangiare con la gente, di aver cura dei loro malati, di partecipare delle loro sofferenze.
Il messaggio cristiano non è un’idea, ma ha bisogno di una casa, di una città, dove entrare e plasmare la vita.
Lo ritroviamo, questo stile paradossale, in alcune espressioni del discorso di Gesù ai suoi missionari.
“Vi mando come agnelli in mezzo ai lupi” (Lc 10,3): il “programma” della missione è un programma pasquale, perché certamente dovrà farsi carico del male presente nella realtà che si incontra. Il Signore non manda i suoi a fare una passeggiata, a raccontare delle cose interessanti che verranno accolte con facilità e disponibilità. Non promette facili risultati, non illude nessuno. Il Signore manda i suoi ad entrare nella morte del mondo, per annunciare che proprio lì –per grazia- accade la salvezza. E questo messaggio accoglierà certamente ostacoli e rifiuti, come è accaduto per Gesù stesso.
Eppure Gesù li manda, sapendo che partire significa donare la vita; e chiede di farlo nello stile dell’agnello mansueto, perché solo questo atteggiamento di mitezza potrà vincere il male. Non con la forza, non con il potere, non con i propri mezzi, ma con l’umile testimonianza dell’amore.
“Non portate borsa, né sacca, né sandali” (Lc 10,4).
Quando si parte per un viaggio, si cerca di prevedere e di prendere con sé tutto ciò che potrà servire. Gesù fa il contrario, e chiede di non portare nulla. Perché?
Perché il successo della missione non dipenderà dai mezzi o dall’equipaggiamento, ma dalla testimonianza umile della vita, che annuncia un Dio che si è fatto povero e solidale.
I discepoli partono poveri perché sappiano aver bisogno dell’altro, sappiano far spazio dentro di sé all’altro, sappiano innanzitutto chiedere. Amare l’altro non è solo dargli qualcosa, ma anche aver bisogno di lui.
Partono poveri, perché possano fidarsi di Colui che li ha mandati, e di coloro che li accoglieranno.
I missionari non sono persone che hanno tutto, che sanno tutto, che pensano di avere tutto ciò di cui gli altri hanno bisogno. Partono umili, perché solo se hanno imparato ad aver bisogno possono davvero incontrare l’altro: così si lasceranno evangelizzare anche loro per primi, e proprio dalle persone che incontreranno.
“Non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada” (Lc 10,4). Anche questo è molto strano. Il riferimento è ad un episodio dell’Antico testamento (2Re 4,29), in cui il profeta Eliseo manda il suo servo Giezi a ridare vita al figlio della Sunnamita: non c’era tempo da perdere, il viaggio era urgente, non ci si doveva perdere in convenevoli. Allora è come se Gesù dicesse ai suoi: guardate che è questione di vita e di morte, state portando la vita ai morti. Non perdete tempo, perché questo è il tempo favorevole, è l’ora della salvezza.
“Se vi sarà un figlio della pace, la pace scenderà su di lui, altrimenti tornerà su di voi” (Lc 10,6). La pace è il grande annuncio di Gesù: pace tra cielo e terra, tra Dio e gli uomini, pace ai vicini e ai lontani, pace tra gli uomini di nuovo fratelli. È la pace del Risorto, quella che ha vinto la morte, che ha riconciliato l’uomo con Dio, che l’ha liberato dalla morte. Ed è una pace che non si può perdere: gli apostoli sono chiamati a darla, ma se non viene accolta, l’apostolo non perde la sua pace, che ritorna a lui.
La pace vera è quella del Risorto, che è già passata attraverso il rifiuto, attraverso la morte: è dunque una pace mite, e non può andare perduta.
“Rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti in cielo” (Lc 10, 20). I discepoli partono, e il Vangelo ce li descrive già di ritorno, lieti per i loro risultati pastorali. Il Signore non sminuisce la loro gioia, ma la interpreta come un segno del Regno che sta venendo sulla terra.
E poi non lascia che i suoi si fermino ai risultati.
Il discepolo è un uomo libero: libero dai successi pastorali, e quindi anche dagli insuccessi.
La sua gioia vera è quella di chi sa che la propria vita (e anche quella di tutti coloro ai quali ha portato la buona notizia) è scritta nei cieli, cioè è custodita in Dio.

Vaticano L’Angelus di Papa Francesco. “La missione si basa sulla preghiera; che è itinerante; che richiede distacco e povertà; che porta pace e guarigione, segni della vicinanza del Regno di Dio”

(a cura Redazione “Il Sismografo”) 

Testo dell’allocuzione del Papa
Cari fratelli e sorelle,  buongiorno! L’odierna pagina evangelica (cfr Lc 10,1-12.17-20) presenta Gesù che invia in missione settantadue discepoli, in aggiunta ai dodici apostoli. Il numero settantadue indica probabilmente tutte le nazioni. Infatti nel libro della Genesi si menzionano settantadue nazioni diverse (cfr 10,1- 32). Così questo invio prefigura la missione della Chiesa di annunciare il Vangelo a tutte le genti.A quei discepoli Gesù dice: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe perché mandi operai nella sua messe!» (v. 2). Questa richiesta di Gesù è sempre valida. Sempre dobbiamo pregare il “padrone della messe”, cioè Dio Padre, perché mandi operai a lavorare nel suo campo che è il mondo. E ciascuno di noi lo deve fare con cuore aperto, con un atteggiamento missionario; la nostra preghiera non dev’essere limitata solo ai nostri bisogni, alle nostre necessità: una preghiera è veramente cristiana se ha anche una dimensione universale. Nell’inviare i settantadue discepoli, Gesù dà loro istruzioni precise, che esprimono le caratteristiche della missione. La prima – abbiamo già visto –: pregate; la seconda: andate; e poi: non portate borsa né sacca…; dite: “Pace a questa casa”… restate in quella casa… Non passate da una casa all’altra; guarite i malati e dite loro: “è vicino a voi il Regno di Dio”; e, se non vi accolgono, uscite sulle piazze e congedatevi (cfr vv. 2-10). 
Questi imperativi mostrano che la missione si basa sulla preghiera; che è itinerante, non è ferma; che richiede distacco e povertà; che porta pace e guarigione, segni della vicinanza del Regno di Dio; che non è proselitismo ma annuncio e  testimonianza; e che richiede anche la franchezza e la libertà evangelica di andarsene evidenziando la responsabilità di aver respinto il messaggio della salvezza, ma senza condanne e maledizioni. Se vissuta in questi termini, la missione della Chiesa sarà caratterizzata dalla gioia: «I settantadue tornarono pieni di gioia» (v. 17). Non si tratta di una gioia effimera, che scaturisce dal successo della missione; al contrario, è una gioia radicata nella promessa che – dice Gesù – «i vostri nomi sono scritti nei cieli» (v. 20). Con questa espressione Egli intende la gioia interiore e indistruttibile che nasce dalla consapevolezza di essere stati chiamati da Dio a seguire il suo Figlio. Cioè la gioia di essere suoi discepoli. Oggi, per esempio, qui in Piazza, ognuno di noi può pensare al nome che ha ricevuto nel giorno del Battesimo: quel nome è “scritto nei cieli”, nel cuore di Dio Padre. Ed è la gioia di questo dono che fa di ogni discepolo un missionario, uno che cammina in compagnia del Signore Gesù, che impara da Lui a spendersi senza riserve per gli altri, libero da sé stesso e dai propri averi. Invochiamo insieme la materna protezione di Maria Santissima, perché sostenga in ogni luogo la missione dei discepoli di Cristo; la missione di annunciare a tutti che Dio ci ama, ci vuole salvare e ci chiama a far parte del suo Regno.