Foglietto, Letture e Salmo XIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)

XXIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)

Grado della Celebrazione: DOMENICA Colore liturgico: Verde

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Gesù reagisce vivamente di fronte alla minaccia che pesa ancora una volta sulla sua comunità a causa dell’ambizione sfrenata di avere i primi posti, di conquistare il potere. La sua lezione è molto severa, quasi solenne. Egli propone in compenso una nuova economia sociale: quella di una comunità senza potere la cui sola regola è servire, fino a offrire la propria vita per i fratelli, bevendo il calice fino all’ultima goccia. E per tutti i suoi membri, perché tutti sono fratelli. All’immagine del capo che comanda si oppone quella del capo che serve. Ed ecco che i capi avranno paradossalmente un solo compito: servire. Il suo prototipo è il Messia, diventato piuttosto il Figlio dell’uomo, schiavo di tutti gli schiavi, per il riscatto dei quali egli offre quello che possiede e quello che è: tutto. Egli ha appena formulato il suo progetto di comunità, la sua carta “costituzionale”, alla quale tutti i partecipanti devono aderire: ognuno è servitore di tutti.

La Chiesa dalle origini ad oggi La Chiesa dalle origini ad oggi

Manuale di storia della chiesa

settimananews.it

Frutto di un progetto unitario, il Manuale di storia della Chiesadiretto da Umberto Dell’Orto e Saverio Xeres, in quattro volumi, si propone come strumento di consultazione e di sintesi per conoscere lo sviluppo della Chiesa nel corso della storia.

Le pagine iniziali di ogni volume presentano il relativo periodo storico:

– l’antichità cristiana, dalle origini della Chiesa alla divaricazione tra Oriente e Occidente (secoli I-V)

– il medioevo, dalla presenza dei barbari (secoli IV/V) in Occidente al Papato avignonese (1309-1377)

– l’epoca moderna, dallo Scisma d’Occidente (1378-1417) alla vigilia della Rivoluzione francese (1780-1790)

– l’epoca contemporanea, dalla Rivoluzione francese al Vaticano II e alla sua recezione (1789-2005).

Nell’opera vengono evidenziati i collegamenti tra le varie epoche e le varie tematiche, mentre alcuni inserti approfondiscono vicende o concetti particolari. Ogni capitolo è arricchito da una bibliografia selezionata che indica tanto i testi utilizzati per elaborare l’esposizione quanto quelli che permettono di meglio conoscere e comprendere gli argomenti trattati.

Gli autori dei testi sono Ennio Apeciti, Fabio Besostri, Silvio Ceccon, Umberto Dell’Orto, Maurilio Guasco, Giuseppe Laiti, Renato Mambretti, Angelo Manfredi, Cesare Silva, Cristina Simonelli, Saverio Xeres.

 L’opera è frutto del lavoro di undici storici della Chiesa e di un teologo, docenti presso la Facoltà teologica dell’Italia settentrionale e la Facoltà teologica del Triveneto.

I docenti della Facoltà teologica del Triveneto impegnati nella stesura dei testi sono Silvio Ceccon (Istituto superiore di Scienze religiose di Vicenza), Giuseppe Laiti e Cristina Simonelli (Istituto superiore di Scienze religiose di Verona). «Tra noi ricercatori e professori di storia – spiega Silvio Ceccon – si sentiva la necessità di dare vita a un nuovo testo, aggiornato e al passo con i tempi, che sostituisse alcuni vecchi manuali e che fosse, allo stesso tempo, completo, agile e comodo didatticamente. I pungoli per realizzare questo progetto sono state innanzitutto le novità che hanno percorso, e percorrono, la Chiesa e la società negli ultimi due decenni; e poi anche gli studi che hanno permesso di rileggere e interpretare correttamente alcuni periodi e nodi fondamentali del passato lontano e recente: si pensi, ad esempio, alla tomba di Pietro esattamente sotto l’altar maggiore di San Pietro a Roma, le eresie e l’inquisizione medievale, ma anche Lutero, le missioni e l’inculturazione, o le vicende legate al lunghissimo papato di Giovanni Paolo II. Ma guai a pensare a un testo per soli specialisti: è invece un manuale che si adatta anche ad un pubblico di non esperti giustamente curiosi di capire il presente grazie al passato».

La storia è «fatta di luci e di ombre, di contraddizioni e di speranze, nella misura umana» scrive mons. Cesare Pasini, prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana nella presentazione dell’opera. Ma nella storia – prosegue – «si manifesta continuamente la misericordia di Dio sul divenire umano. In questo senso la storia si fa elemento vitale nel cammino di fede: permette di riflettere su come la Parola si è fatta carne nell’avvicendarsi dei secoli e, insieme, su come uomini e donne di altre epoche hanno saputo accoglierla e renderla viva, pur con tutti i loro limiti, in condizioni specifiche a volte molto diverse da quelle attuali, ora nel dramma ora in una maggiore serenità. Una storia che dia conto e sappia far percepire una comunità in cammino verso una meta, che è al di là della storia stessa, ma che ha, nel tempo, una propria fondamentale condizione e che nel tempo risponde alla chiamata alla santità e alle esigenze e alle sfide concrete e alle vicende proprie di ciascuna epoca».

Strumento didattico, per alunni e docenti, ma non solo: il Manuale, rinnovato nel linguaggio e nelle prospettive, si rivolge anche a chiunque sia interessato a conoscere la storia della Chiesa nel suo sviluppo storico e, in particolare, a chi desideri coltivare ulteriormente la propria formazione storica e teologica di base.

Umberto Dell’OrtoSaverio Xeres (a cura), Manuale di storia della chiesa, Morcelliana, Brescia 2017-2018, pp. 400 (vol. 1 L’antichità cristiana) + 400 (vol. 2 Il medioevo) + 432 (vol. 3 L’epoca moderna) + 544 (vol. 4L’epoca contemporanea).

Pregare con i Salmi o con il Rosario?

Don Giavini è impegnato a commentare un Salmo al mese per la sua parrocchia. Di qui una serie di articoli semplici e popolari per il notiziario parrocchiale. Ne proporremo solo alcuni: questo introduttivo a commento del Salmo 133: «Quanto è bello che i fratelli vivano insieme»; le prossime volte il De profundis (utile per novembre) e lo splendido Salmo 8 (utile in vista del Natale). Speriamo di far cosa gradita a tanti lettori. Il testo dei Salmi sarà secondo l’ultima traduzione CEI. Con qualche ritocco dell’esperto nostro biblista.

Preghiere antiche e moderne

Fino al 1200 circa il Rosario non esisteva, almeno com’è adesso. Sant’Ambrogio, sant’Agostino, san Benedetto guidavano monaci e popolo a pregare con i Salmi della Bibbia e la risposta era spesso corale ed entusiasta.

Poi solo il clero e i monaci pregarono così (o meglio “dovevano” dire i Salmi tutti i giorni, il cosiddetto Breviario), pur con l’idea che vere preghiere erano altre, come il Rosario.

Solo con il concilio Vaticano II si è tentata una svolta, anzi un ricupero: vanno bene il Rosario e altre preghiere, ma riprendiamo soprattutto i Salmi, a cominciare da clero e monaci, però educando anche i laici. E difatti così avvenne. Eppure…

Qualche tempo fa suggerisco a un mio confratello anziano di aiutare il suo gruppo di fedeli a pregare con i Salmi. Risposta: «Non sono un biblista, sono troppo difficili e astrusi anche per me… a parte la vista bassa. Mi trovo meglio anch’io col Rosario e altre devozioni». Risposta deludente, ma anche comprensibile e forse condivisa da tanti. Quanti, per esempio, si trovano a loro agio con il Salmo che viene proposto, pur tagliato, in ogni messa? E con quelli della pur diffusa Liturgia delle ore?

Adesso il nostro arcivescovo di Milano torna a raccomandare tale forma di preghiera. Cerchiamo di capirci un po’. Dico subito che, per me, dopo il Padre Nostro, quella dei Salmi è la preghiera che gusto di più, ma senza la pretesa di convincere altri.

Perché è “preghiera”? Spesso i Salmi non presentano nessuna invocazione. Come considerarli dunque preghiera? A parte che c’è anche quella di lode, di ringraziamento, di adorazione… Ma in certi Salmi mancano anche queste. Allora? Per non parlare poi del loro linguaggio, carico di immagini d’altri tempi e di altre culture. Veniamo subito a un esempio concreto e abbastanza noto: il Salmo 133 (o 132, perché quasi tutti Salmi hanno duplice numerazione).

Ecco com’è bello e come è dolce – che i fratelli vivano insieme! È come olio prezioso versato sul capo – che scende sulla barba, la barba di Aronne, – che scende sull’orlo della sua veste. È come la rugiada dell’Ermon – che scende sui monti di Sion. Perché là il Signore manda la benedizione, – la vita per sempre.

In che senso è preghiera?

Effettivamente, non c’è invocazione alcuna. In compenso incontriamo immagini, a dir poco, lontane dalle nostre Alpi e un po’ ridicole. Ce lo immaginiamo un sacerdote ebreo, discendente di Aronne fratello di Mosè, cosparso di una bottiglietta di olio che dalla capigliatura scende sulla sua folta barba e sulle sue vesti sacerdotali? Diremmo: che sciupìo e che roba da ridere! Meglio le nostre ridottissime unzioni al battesimo, alla cresima e nell’ordinazione di preti novelli…

Meglio per noi moderni. Non così nel contesto dell’Antico Testamento e della festosissima consacrazione di un sacerdote di allora: tutto il popolo era estasiato e cantava: «Quanto è bello vivere questo momento tutti insieme, come popolo di Dio, da lui amato e che a lui risponde con gioia»!

Oppure è bello come quando, magari in una torrida estate, sulla collina di Sion-Gerusalemme, compare una misteriosa abbondante e rinfrescante rugiada: essa, soffiata dal provvidenziale vento notturno e trasformata in nubi, è scesa dalle lontane cime innevate dei monti del Libano, si è infilata nella bassa valle del Giordano – che è quasi tutta sotto il livello del mare – e ha rinfrescato anche noi abitanti della città di Sion. Tutti segni della divina “benedizione” del nostro Dio.

E quindi riprendiamo, rinfrescati, il duro lavoro quotidiano e, cantando i cantici di Sion, ringraziamo il nostro Dio. Così riprende la “vita per sempre”, in attesa anche di quella futura. Tutto questo insieme… come piccola o grande Chiesa.

E le invocazioni?… Non ci sono nel Salmo. Ma se tu l’hai ascoltato (e gustato) hai ascoltato una parola di Dio (i Salmi sono ispirati da Dio), te ne sei nutrito e puoi inventare, anche senza troppe parole, risposte al Dio di Aronne e di Gesù Cristo. Insieme con i tuoi fratelli e sorelle unite in una chiesa – specialmente a messa – o a casa tua. Al mattino o alla sera, dappertutto. Non ci sono né Ermon né Sion che limitino la nostra preghiera –. Abbiamo così riascoltato un Salmo: breve, abbastanza facile e noto; continueremo, magari affrontando anche Salmi più complessi e problematici, ma sempre come “voce” divina calata in linguaggi umani antichi. E magari con domande, osservazioni e proposte da lettrici e lettori.

settimananews

“Il seminatore uscì a seminare…”

di: Emanuele Curzel

seminatore

Quel giorno Gesù uscì di casa e si sedette in riva al fiordo. Si cominciò a raccogliere attorno a lui tanta folla che dovette salire su una barca e là porsi a sedere, mentre tutta la folla rimaneva sulla spiaggia. Egli parlò loro di molte cose in parabole. E disse: «Ecco, il seminatore uscì a seminare».

Tommaso gli dice: «Maestro, questa ce l’hai già narrata e spiegata ieri».

Ma Gesù risponde: «No, oggi vi parlo di un altro seminatore, il nemico.

Mentre seminava una parte del seme cadde sulla strada e vennero gli uccelli e la divorarono.

Un’altra parte cadde in luogo sassoso, dove non c’era molta terra; subito germogliò, perché il terreno non era profondo. Ma, spuntato il sole, restò bruciata e non avendo radici si seccò.

Un’altra parte cadde sulle spine e le spine crebbero e la soffocarono.

Un’altra parte cadde sulla terra e diede frutto, dove il cento, dove il sessanta, dove il trenta. Chi ha orecchi intenda».

Gli si avvicinano allora i discepoli e gli dicono: «Maestro, questa parabola sembra proprio uguale a quella di ieri».

Ed egli risponde: «Ma questa volta è stato il nemico a seminare. Anch’egli è generoso nel gettare la semente: diverso è però il frutto che ne nasce. Voi dunque intendete questa seconda parabola del seminatore.

Tutte le volte che uno ascolta la parola del nemico, ma in lui è la speranza e il desiderio del Regno, non la può comprendere: un angelo viene e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore. Questo è il seme seminato lungo la strada.

Quello che è stato seminato nel terreno sassoso è l’uomo che ascolta la parola del nemico e la medita dentro di sé, sentendola vicina alle proprie paure; ma egli sa che nulla di ciò che l’uomo ha costruito è eterno, per cui non appena vede gli occhi di chi ha vicino a sé, creato a immagine e somiglianza di Dio, depone l’arma che il seme del nemico gli ha fatto imbracciare.

Quello seminato tra le spine è colui che ascolta la parola del nemico e la fa propria, ma ha molti figli della luce intorno a sé. Questi hanno pazientemente costruito una rete fatta di consigli e divieti, leggi e governi; questa rete soffoca il germoglio e impedisce che maturi il frutto che il nemico ha seminato nel suo cuore.

Quello seminato nella terra è colui che ascolta la parola del nemico, la fa propria e ne diventa schiavo, senza che alcuno lo impedisca. Il frutto che nasce non è uguale per tutti: può essere fatto di parole di offesa, di opere di persecuzione, di atti di violenza. Ma il seme è lo stesso».

Pubblicato su Il Margine 31(2011), n. 17, col titolo “Il seminatore uscì a seminare…” (una versione apocrifa di Mt 13,1-23).

Media. Il saluto di Vincenzo Morgante, nuovo direttore di Tv2000-inBlu Radio

Il direttore di Tv2000 e Radio inBlu Vincenzo Morgante

Il direttore di Tv2000 e Radio inBlu Vincenzo Morgante

«Vogliamo garantirvi una offerta di autentico servizio pubblico». Questo l’impegno che prende con i telespettatori e gli ascoltatori nel suo saluto pubblico Vincenzo Morgante, dal primo ottobre in carica come nuovo direttore di Tv2000 e InBlu Radio. Morgante, che ha lasciato la direzione della Tgr Rai per prendere il posto di Paolo Ruffini, nominato prefetto del Dicastero per la Comunicazione, ha pubblicato oggi sul sito di Tv2000 la lettera che rivolge direttamente al pubblico.«Ho assunto questo impegnativo incarico da poche settimane e desideravo immediatamente stabilire un contatto: sono profondamente convinto dell’importanza, per tutti i mezzi di comunicazione, di un dialogo e di un confronto continuo con gli utenti».
Il neo direttore intende stabilire subito un rapporto personale e interattivo con la gente a casa. «Abbiamo bisogno del vostro riscontro, dei vostri rilievi, dei vostri suggerimenti e – se lo meritiamo – del vostro incoraggiamento. Un fecondo confronto con il pubblico è necessario, a maggior ragione, per un progetto come il nostro, ispirato a un modo di comunicare diverso dall’imperante fragore, diverso dal crescente protagonismo, diverso dal corrente chiacchiericcio». L’obiettivo, aggiunge il direttore, è quello di raccontare una contemporaneità «sempre più complessa, mutevole e sfuggente, mantenendo uno sguardo sereno, un atteggiamento misurato e un’attitudine costruttiva. Forti della nostra ispirazione cattolica, desideriamo che i nostri programmi siano luogo di dialogo, di ascolto, di moderazione e di mediazione, naturalmente nella saldezza dei nostri principi e con la forza dei nostri valori». Insomma, in tempi di informazione gridata, la proposta è quella di una voce lontana dal linguaggio aggressivo imperante, ma «portatrice di autenticità, di pensieri meditati, di ragionevolezza, di idee propositive e di aperture sincere. Dobbiamo creare ponti culturali, crocevia sociali e autostrade dell’informazione perché, come ci ricorda Papa Francesco, ogni chiusura è figlia di paure, pregiudizi e preclusioni». Sottolineando dati di ascolto e di gradimento in crescita per Tv2000 e Radio inBlu, Morgante anticipa l’intenzione di ampliare la collaborazione con le emittenti locali e chiede al pubblico di continuare a seguire le due emittenti anche nelle nuove declinazioni della crossmedialità, del sito web e delle piattaforme social. Al pubblico il direttore infine chiede «di starci vicino con tutti i consigli, le segnalazioni e le idee che vorranno avere la pazienza di sottoporci. Non sarà possibile rispondere direttamente a tutti – conclude –, ma mi impegno personalmente a garantire che ogni mail sarà letta con attenzione, che ogni suggerimento sarà vagliato con scrupolo, e che ogni indicazione sarà presa in considerazione con la massima serietà».

da Avvenire

La teologia in uscita, missione della modernità

La teologia in uscita, missione della modernità

Nella costituzione apostolica Veritatis gaudium (2018), Papa Francesco sottolinea che gli studi ecclesiastici, nello spirito di una «Chiesa in uscita», sono chiamati oggi ad approfondire il dialogo con le scienze (n. 5). L’esortazione non è certamente nuova, se solo pensiamo che il Concilio Vaticano II ha incoraggiato la teologia a dialogare coi vari ambiti del sapere ( Gaudium et spes, 62; Optatam totius, 15). Francesco, tuttavia, va ben al di là di una semplice raccomandazione o di una dichiarazione di principio: invita a coinvolgere il lavoro teologico nello stesso dinamismo trasformante dell’evangelizzazione, per renderlo espressione di servizio e di comunione con l’altro.

Le periferie alle quali la Chiesa in uscita deve dirigersi, infatti, sono anche gli ambiti del sapere ove la Parola non è ancora risuonata, oppure vi è risuonata ma non ha ancora preso su di sé la carne delle nuove conoscenze, non è ancora divenuta forma di sintesi convincenti. La Chiesa oggi necessita di una ‘teologia in uscita’ in grado d’intessere relazioni significative col mondo della vita e della cultura, a servizio dell’intelligibilità di una Parola che a tutti è destinata. Secondo Papa Francesco gli studi ecclesiastici, in forma peculiare, «costituiscono una sorta di provvidenziale laboratorio culturale in cui la Chiesa fa esercizio dell’interpretazione performativa della realtà che scaturisce dall’evento di Gesù Cristo» ( Veritatis gaudium, 3). Essi, anzi, sono chiamati a incentivare tale specifico ruolo. E ciò per una triplice convergente ragione: il cambiamento d’epoca segnato da una complessiva crisi antropologica e socio-ambientale; la necessità di un «radicale cambio di paradigma» se non in fin dei conti di «una coraggiosa rivoluzione culturale », tesa a un pertinente ed efficace affronto di tale situazione; il comune impegno a «costruire leadership che indichino strade».

Si può dire che la posta in gioco a motivo del «cambiamento d’epoca » oggi in atto impone in primis alla teologia, ma insieme a tutte le discipline previste negli studi ecclesiastici, una decisa e per molti versi ancora in fieri assunzione della forma e dello stile di configurazione e d’esercizio propiziati dal Vaticano II e dall’onda profonda del processo da esso innescato. Papa Francesco descrive tale compito in questi termini: «Si fa oggi sempre più evidente che c’è bisogno di una vera ermeneutica evangelica per capire meglio la vita, il mondo, gli uomini, non di una sintesi ma di una atmosfera spirituale di ricerca e certezza basata sulle verità di ra- gione e di fede. (…) Il buon teologo e filosofo ha un pensiero aperto, cioè incompleto, sempre aperto al maius di Dio e della verità, sempre in sviluppo» (ibid.).

Di qui il criterio epistemologicamente ed accademicamente forse più esigente che egli propone nella Veritatis gaudium per raggiungere tale obiettivo. In un tempo che, con la crisi della modernità anche a livello di coscienza epistemologica e con la conseguente tentazione pendolare di consegnarsi o alla resa (spesso tutt’altro che tollerante) della post-verità o alla resistenza (anch’essa violenta, perché disperata) del fondamentalismo, occorre ribadire la possibilità, come già indicava Giovani Paolo II nella Fides et ratio, anzi la necessità vitale di «giungere a una visione unitaria e organica del sapere. Questo è uno dei compiti di cui il pensiero cristiano dovrà farsi carico nel corso del prossimo [ormai l’attuale] millennio cristiano» (n. 85).

Il compito è senz’altro arduo, ma epocalmente decisivo. E sottrarvisi significherebbe non solo non onorare l’eredità preziosa e incalzante della Rivelazione, ma, di fatto, rendere la performance del sistema degli studi ecclesiastici di più in più irrilevante. La stimolante e orientatrice indicazione che la Veritatis gaudium offre in proposito è quella che indirizza l’interpretazione e la gestione del principio di interdisciplinarietà non alla sua «forma ‘debole’ di semplice multidisciplinarietà » in prospettiva per così dire orizzontale, quanto piuttosto alla sua «forma ‘forte’ di transdisciplinarietà, come collocazione e fermentazione di tutti i saperi entro lo spazio di Luce e di Vita offerto dalla Sapienza che promana dalla Rivelazione di Dio», in prospettiva per così dire verticale, aperta e fondata cioè nel farsi presente della trascendenza di Dio alla storia dell’uomo in Cristo (4c).

Come una ‘teologia in uscita’, che si faccia responsabilmente carico di questa urgente e impegnativa missione, possa operare e servire non è sempre facile da individuare e ancor più da realizzare. Per questo vanno seguite con interesse quelle proposte che cercano di presentare la teologia come un corpo di conoscenze che si lasciano provocare dall’uomo contemporaneo, adoperandosi per offrire risposte sensate e credibili alle domande che egli pone. Da vari decenni, la teologia fondamentale sviluppata nelle opere di don Giuseppe Tanzella-Nitti rappresenta uno di questi riusciti tentativi, in particolare a partire dalla pubblicazione del Dizionario Interdisciplinare di Scienza e Fede (2002). Il progetto di una Teologia fondamentale in contesto scientifico, che vede ora edito il suo terzo volume: Religione e Rivelazione, non intende semplicemente aggiungere nuovi saggi al tema del dialogo fra teologia e scienze su specifici argomenti di frontiera, già presenti nella produzione di altri filosofi o teologi. Siamo piuttosto di fronte, in felice sintonia con quanto chiede la Veritatis gaudium, al programma architettonicamente costruito di sviluppare un intero trattato teologico avendo come interlocutore l’uomo di scienza, ovvero gli uomini e le donne del nostro tempo il cui modo di pensare – di fatto – è forgiato dalla cultura scientifica. A essi una ‘Chiesa in uscita’ dirige oggi l’annuncio del Vangelo.

Avvenire

Musica. Andrea Bocelli torna pop e duetta col figlio

Andrea Bocelli al teatro Gerolamo di Milano alla presentazione del nuovo disco “Sì” (Massimo Alberico)

Andrea Bocelli al teatro Gerolamo di Milano alla presentazione del nuovo disco “Sì” (Massimo Alberico)

I valori primari dell’uomo, dalla famiglia alla fede, sono tutti nei quattordici brani con i quali Andrea Bocelli tornerà a pubblicare un album di inediti il prossimo 26 ottobre, in oltre sessanta Paesi del mondo e ben sette lingue: oltre all’italiano, inglese, tedesco, spagnolo, francese e pure cinese e russo. L’album si intitola su suggerimento del primogenito del tenore, Amos, che lo accompagna al pianoforte in coda al cd per le versioni acustiche dei pezzi Sono qui (I am here) e Ali di libertà. «È sempre difficile scegliere il titolo» racconta l’artista, «ma quando Amos mi ha suggerito di usare la parola ho pensato che fosse la scelta giusta, è il termine di cui c’è più bisogno oggi, apre il cuore e dà messaggi positivi: l’ideale per me che sono un ottimista e credo di dover comunicare solo valori costruttivi, per la vita e il bene e mai per il loro contrario». Colui che viene definito «l’artista classico più seguito al mondo», e del resto 90 milioni di dischi venduti, la stella sulla Walk of Fame di Hollywood, premi, onorificenze e quant’altro parlano da sé, torna ai dischi a tre anni da Cinema (dedicato alle colonne sonore), dieci da Incanto (per ora suo ultimo cd di repertorio lirico) e ben 14 da Andrea, sino a oggi ultimo disco di inediti di Bocelli, con firme importanti da Mango a Dalla. «Ci ho messo tre lustri a tornare agli inediti perché le note sono solo sette, le canzoni già conosciute milioni e brani belli davvero nuovi difficilissimi da trovare», commenta Andrea. «Cercavo partiture degne di occupare il tempo delle persone, magari anche di divenire loro colonna sonora. E volevo parlare in essi d’amore a trecentosessanta gradi, dalla famiglia agli amici alla fede». nasce in casa del tenore, in Toscana, ma con una produzione di spicco, quel Bob Ezrin che nel tempo ha prodotto lp leggendari quali Peter Gabriel 1, Berlin di Lou Reed e persino The wall dei Pink Floyd: «Bob è un’idea della Sugar di Caterina Caselli, ci siamo incontrati ed è nato un feeling; però ho scelto di registrare in casa perché ormai col digitale si può ed è la maniera migliore per lavorare solo quando si è ispirati e la voce è al massimo».

mesce atmosfere inevitabilmente (non solo vocalmente) classico-liriche con cantabilità e sound che virano verso un pop di melodie tipicamente italiane, secondo i canoni di una sfida largamente vinta da Bocelli sin dai tempi de Il mare calmo della sera con cui debuttò vincendo a Sanremo Giovani ’94 e della hit mondiale Con te partirò dell’anno dopo. «Non so definire il mio modo di far dischi, qui c’è una Ave Maria pietas squisitamente classica e il resto credo siano canzoni pop contemporanee, non scontate e molto più difficili da suonare di quanto possa sembrare; ma l’obiettivo senz’altro è trovare altri brani come Con te partirò, pop che definirei senza tempo». Certo, mira esplicitamente alle classifiche mondiali e non solo per come sarà distribuito; ci sono anche numerose star ospiti, da Raphael Gualazzi in Vertigo («Mi ha donato una canzone lontana dal mio mondo, che ho provato a interpretare seguendo il suo») a Ed Sheeran in AC mo soltanto te («Ed è un artista determinatissimo e preparato, voleva da me un taglio operistico ma io ho cercato un compromesso col fatto che il suo brano, tradotto da Tiziano Ferro, è di grande freschezza»). Nel cd sfilano pure Josh Groban in We will meet once again, il soprano Aida Garifullina nell’Ave Maria pietas, la cantautrice Dua Lipa in If only, e il secondogenito 21enne di Andrea, Matteo, che duetta (e debutta) col padre nell’efficacissima Fall on me. «L’avevo spinto quasi a calci a studiare piano da bambino, e ha lasciato; poi un giorno sua madre mi dice che canta, lui aveva vergogna di farsi sentire da me… Ma ha tutto quello che serve e non si insegna, lo dona il buon Dio: quello che va insegnato lo sta imparando ora al conservatorio, così alla fine anche su sprone della Caselli abbiamo deciso di provare a cantare insieme». contiene anche voluti rimandi a spartiti di Bach, Fauré e Massenet, svela con If only l’ultimo testo firmato dall’autore di Con te partirò Lucio Quarantotto prima di togliersi la vita nel 2012 (è un testo contro la venerazione del denaro), parla del coraggio di guardare sempre al futuro nella bella Ali di libertà, esalta l’amore con la maiuscola in Vivo, testo e musica di Riccardo Del Turco. «Riccardo mi conosce da sempre e quando mi ha fatto sentire il brano mi ha commosso, ci rividi l’amore con mia moglie Veronica: allora lui si mise a ridere perché questa preghiera sull’amore l’aveva scritta proprio pensando a noi». Con moglie e famiglia, Bocelli ha anche creato, sette anni fa, la Andrea Bocelli Foundation: di cui uno dei frutti migliori, i sessanta bambini dai 9 ai 15 anni del coro “Voices of Haiti”, canta nel cd in Gloria the gift of life, «insieme celebrazione, preghiera e annuncio festoso della Buona Novella».

Dal 2011 a oggi la Bocelli Foundation ha costruito otto scuole nel mondo dando educazione e opportunità a oltre 3000 bimbi, ha raccolto venti milioni di euro reinvestiti fra sociale e ricerca ed ha aperti ben sedici progetti fra Italia ed estero, fra cui nelle Marche la ricostruzione di due scuole colpite dal terremoto. «Io sono contento, della mia vita» dice Bocelli. «E lo sono anche perché provo a costruire qualcosa per gli altri. Ma la solidarietà non è dovere, semmai privilegio: seguire i bimbi haitiani per esempio è stato commovente, una piccola cosa da cui è nato il grande fatto che loro hanno opportunità di crescita e testimoniano il loro Paese aiutandolo. Il bene è sempre molto più forte del male, secondo me, e l’arte può dare apporti decisivi allo sviluppo del mondo in senso positivo; anche per questo sono contento di quanto faccio e non guardo mai indietro: il mio ieri è altisonante, ma per me è sempre tempo di pensare a domani, sperando di poter fare ancora molta musica». Un domani che voci di corridoio lo vorrebbero nel ruolo di superospite al prossimo Festival. Ma Bocelli glissa: «Mi hanno insegnato a pensare agli impegni a breve scadenza e da qui a Sanremo c’è ancora molto tempo. Cerco di non consultare mai il mio calendario perché sapendo delle tante cose da fare, poi rischierei di pensare di non farcela».

avvenire

Ponti di pace. L’appello di Bologna, le fedi ponti di pace

Foto Siciliani

Foto Siciliani

Il silenzio avvolge piazza Maggiore alle 19 e ventisette. Tace Matteo Zuppi. Tacciono i pastori e gli imam. Tacciono le campane dei bonzi e quelle di San Petronio, che puoi sentire gorgogliare la fontana del Gigante: un minuto di silenzio per ricordare le vittime delle violenze e delle guerre, di ogni tempo e di ogni parte. Un istante che fa rivivere i protagonisti silenziosi di Ponti di Pace, perché sono quei morti, in fondo, i promotori di quest’incontro di popolo, il vero motivo per cui più migliaia di persone si sono ritrovate a Bologna per rinnovare lo spirito di Assisi, trentadue anni dopo il grande incontro interreligioso promosso da papa Wojtyla.

Quello che si è concluso martedì sera, quando i 300 rappresentanti delle grandi religioni del mondo hanno accompagnato in processione i loro fedeli, attraverso le vie del centro, alla preghiera comune per la pace, non è stato un incontro di ingenui, ciechi di fronte al divampare della terza guerra mondiale a pezzi, come la chiama papa Francesco. Semmai, «è ingenuo l’ottimismo di chi non vuole vedere che i ponti richiedono pazienza, tempo, capacità, sistema, coraggio, tanto amore» come ha detto l’arcivescovo di Bologna, Matteo Zuppi. Aggiungendo: «C’è chi pensa di trarre convenienze seminando pregiudizi e parole di condanna e inimicizia ma dimentica che queste diventano semi di azioni che poi colpiscono tutti».

Nel prosieguo della lunga cerimonia che si è conclusa con la firma dell’appello di pace e l’accensione dei candelabri, il vescovo di Haimen Joseph Shen Bin ha ammesso che «tutti i Paesi del mondo sono in teoria d’accordo con il principio di non violenza ma i problemi rimangono». Talvolta, però, la pace accade, come dimostra l’accordo tra la Cina e la Santa Sede sulla nomina dei vescovi, «luce che illumina le tenebre» commenta il presule cinese.

Bernice King, figlia di Martin Luther King, ha sottolineato la forza dell’amore – «le nostre religioni devono diventare sempre più ecumeniche e non settarie» – ma anche la «povertà di spirito che ci tiene separati uno dall’altro» e ha spiegato che «la nostra sopravvivenza dipende dalla capacità di mettere il nostro progresso morale al passo del nostro progresso scientifico».
Ponti di pace, dunque, non si limita a far giustizia di una certa idea della pace, quella, appunto che sia solo una grande ingenuità, ma inquadra chiaramente il “nemico”: «Ne usciamo con la consapevolezza di non essere prigionieri della paura» ha detto il presidente della comunità di Sant’Egidio, Marco Impagliazzo: «La solitudine, condizione così diffusa nel nostro tempo, porta con sé un carico di pessimismo, fa diventare aggressivi, fa temere l’incontro con l’altro. Non siamo soli».

Concetti che ritornano nell’appello di pace sottoscritto da tutti i rappresentanti religiosi che hanno partecipato all’edizione bolognese. Ricorda che «la pace non è mai acquisita per sempre», che la priorità è «guardare negli occhi l’altro e non restare prigionieri della paura». Sottolinea come questo sia un tempo di grandi opportunità, ma anche «di perdita di memoria e di spreco» che «scarica sulle future generazioni pesi e conti insopportabili».

Il passaggio centrale del documento rappresenta un’autentica sfida a se stessi, oltre che un’assunzione di responsabilità: «Le religioni, come i popoli, hanno varie strade davanti – vi si legge –. Lavorare all’unificazione spirituale che è mancata finora alla globalizzazione o lasciarsi utilizzare per rafforzare le resistenze alla globalizzazione, sacralizzando confini, differenze, identità e conflitti. O, infine, restare chiusi nei propri recinti di fronte a una globalizzazione tutta economica». La pace non è disarmata: «Le religioni sono legame, comunità, mettere insieme. Sono ponti» e «nella loro sapienza millenaria sono laboratori viventi di unità e di umanità, rendono ogni uomo e ogni donna un artigiano di pace». Cambiare il proprio cuore è dunque il primo passo per costruire un futuro di pace e «la preghiera è l’energia più potente per realizzare la pace anche laddove sembra impossibile». Il 33° incontro si terrà a Madrid.

Avvenire