Albania: Spac, meeting internazionale nell’ex campo di lavoro comunista. “Gestire eredità storica, lavorare per futuro d’Europa”

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“Gestire l’eredità del comunismo. Imparare e lavorare per il futuro dell’Europa” è stato il tema del primo campo estivo internazionale che si è svolto sui terreni dove sorgeva l’ex campo di lavoro comunista a Spac in Albania. Preparato dalla Fondazione Maximilian Kolbe – voluta dai vescovi polacchi e tedeschi a servizio della riconciliazioni tra i popoli –, in collaborazione con il Museo dell’associazione Spac e Renovabis, l’iniziativa è parte degli sforzi per trasformare il campo in un memoriale delle atrocità del comunismo in Albania. I 30 partecipanti (da Albania, Bulgaria, Germania, Polonia e Ucraina) “hanno incontrato ex prigionieri e hanno affrontato approfonditamente il tema dei crimini comunisti e le loro conseguenze in Albania”, spiega una nota diffusa oggi dall’ufficio stampa della Conferenza episcopale tedesca. Vi hanno partecipato anche l’arcivescovo tedesco Ludwig Schick (Bamberg) e quello albanese Angelo Massafra (Scutari). “Per il futuro, è indispensabile la verità sul passato”, ha commentato mons. Schick, “in particolare la rielaborazione della storia del periodo 1944-1991”. Per questo è importante che si conservino i resti dei campi di lavoro a “memoria di quel tempo”, come contributo “per confortare i sopravvissuti e i loro cari, esporre i fatti di questa infelice storia e creare importanti luoghi di riflessione”. Come contributo concreto alla conservazione del luogo, i partecipanti hanno lavorato per sradicare erbe infestanti e raccogliere rifiuti.

Settimana liturgica nazionale: mons. Caiazzo (Matera), “celebriamo l’Eucaristia per lasciare agire Cristo nelle nostre opere”

“La liturgia è il luogo privilegiato in cui si celebra l’umanità di Cristo che rivela la sua divinità perché gli uomini si rivestano di Lui, celebrando la propria salvezza”. Lo scrive l’arcivescovo di Matera-Irsina, mons. Antonio Giuseppe Caiazzo, presentando la 69ª Settimana liturgica nazionale, in corso a Matera, sul settimanale diocesano “Logos”. Secondo il presule, si tratta di “un evento di portata nazionale per la nostra città, che coinvolgerà soprattutto la nostra arcidiocesi nell’accogliere tutti i partecipanti provenienti da ogni parte d’Italia”. Un evento che “rappresenterà l’inizio di una serie di appuntamenti che nel corso dei prossimi anni ci vedrà particolarmente protagonisti”. Ricordando il tema della Settimana, “La Liturgia risorsa di umanità. Per noi uomini e per la nostra salvezza”, l’arcivescovo spiega che la liturgia “vuole mettere al centro l’Incarnazione di Gesù Cristo, che oggi continua ad attuarsi attraverso un ‘umanesimo in ascolto, concreto, plurale e integrale, d’interiorità e trascendenza’”. Quindi, il presule ha invitato a ricordare che “celebriamo l’Eucaristia per imparare a diventare uomini e donne eucaristici”. “Cosa significa questo? Significa lasciare agire Cristo nelle nostre opere”, ha spiegato mons. Caiazzo. La sua consapevolezza è che “ci arricchiremo e aiuteremo le nostre comunità parrocchiali, vivendo le nostre liturgie con più consapevolezza e partecipazione e facendo circolare quell’umanità che ha bisogno di essere rivestita di divinità”.

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Settimana liturgica nazionale: Petrolino (presidente Comunità diaconato), “liturgia luogo dove le tensioni si armonizzano”

“La liturgia è il luogo dove vengono al pettine i nodi della vita cristiana comunitaria e individuale, ma è nello stesso tempo l’ambito privilegiato dove tutte queste tensioni e le diverse polarità della vita quotidiana potrebbero – dovrebbero – trovare una feconda armonizzazione”. Lo scrive Enzo Petrolino, presidente della Comunità del diaconato in Italia, nel suo articolo sulla 69ª Settimana liturgica nazionale, in corso a Matera, pubblicato dal settimanale diocesano “Logos”. “È l’uomo concreto che vive nell’oggi della storia che deve percepire nella liturgia la traccia della propria vita fondata sui valori di sempre – spiega il diacono permanente –, ma deve poter trovare anche l’accogliente ascolto delle sue ansie, la condivisione delle sue gioie, la chiarificazione dei suoi dubbi, il conforto di poter partecipare ad altri le sue certezze”. Guardando alla celebrazione, Petrolino sostiene anche che “il recupero, in ottica pastorale, deve guidare anche la considerazione del valore e del significato del linguaggio liturgico, nella prospettiva di un vero coinvolgimento dell’assemblea nell’evento celebrato”. Quindi, il presidente della Comunità del diaconato sostiene che “oggi, si assiste a una rivalutazione del linguaggio dei gesti e delle cose, dei contesti celebrativi e delle modalità proprie della ritualità”. “Si percepisce con sempre maggiore chiarezza che il vero problema della partecipazione non sta semplicemente nella lingua, ma nella natura dell’azione liturgica da compiere e nel clima nel quale essa si realizza”.

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Siria: sale la tensione. Appello Unicef per i bambini

Bambino in un campo profughi ad Idlib

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Il governo di Bashar al-Assad, sostenuto dagli alleati, è determinato a sferrare un attacco contro i ribelli della Provincia di Idlib, ma nell’area vivono circa tre milioni di persone, più di un terzo bambini. Il tributo di sangue rischia di essere altissimo. Dopo il Papa, appello dell’Unicef

Eugenio Murrali – Città del Vaticano

In questo momento di sospensione c’è un crescendo della tensione internazionale. Se da un lato Siria e Russia sottolineano la necessità di liberare la zona dall’alleanza costituita dall’ex Fronte al-Nusra, gli Stati Uniti vedono a Idlib l’escalation di un conflitto già pericoloso. Il ministro francese degli affari esteri, Jean-Yves Le Drian, ha dichiarato che il presidente siriano: “ha vinto la guerra, bisogna constatarlo, ma non ha vinto la pace”, cioè un processo politico capace di pacificare il Paese.
L’ONU, in particolare l’inviato speciale delle Nazioni Unite Staffan de Mistura, ha chiesto la creazione di corridoi umanitari.

L’appello del Papa

Le vite umane sono nel cuore di Papa Francesco che, nell’Angelus, si è rivolto alla Comunità internazionale e a tutti gli attori coinvolti, invitandoli a servirsi di tutti gli strumenti della diplomazia, del dialogo e dei negoziati per scongiurare una catastrofe umanitaria. 

L’Unicef parla di incubo umanitario

All’appello del Papa fa eco quello dell’Unicef che parla di “imminente incubo umanitario”. Il portavoce di Unicef Italia,Andrea Iacomini, intervistato da Eugenio Murrali, spiega così la congiuntura Siriana:

Teologia e spiritualità di un’offerta di candela

Le cronache vaticane di venerdì ( tinyurl.com/ycd4ggc2 )riferivano che papa Francesco, durante un’udienza ai padri giuseppini, con una battuta a braccio è tornato a ribadire la sua fiducia nella potenza di san Giuseppe, che mai gli ha detto di no. Sappiamo da lui stesso che tale fiducia si esprime nel porre sotto una piccola statua che ritrae il Santo dormiente un biglietto sul quale annota il problema o la difficoltà che vuole affidare alla sua intercessione. L’ultimo post di Marco Zanoncelli sul suo “Qiqajonblog” ( tinyurl.com/yc3y5anl ) indaga con profondità di sguardo un gesto dal fine analogo, «che le persone soprattutto un po’ in là con gli anni amano fare, specialmente in momenti difficili della vita: accendere una candela, davanti a una statua di un santo, a un’icona, un’immagine o un altare».
L’autore accompagna passo passo, come se commentasse un video al rallentatore, l’«azione del corpo» del fedele che si muove verso il luogo «scelto come propizio e adeguato», della mano che prende l’oggetto-candela e, accendendola, la «trasforma», anzi, la «trasfigura» in un simbolo, e consegnandola compie «il vero atto di culto», giacché vi si identifica.
Spero e credo che molti si ritroveranno in questa lettura, che libera l’«offerta di candela» (così la sentii chiamare da una bambina, tanti anni fa) da qualsiasi pregiudizio di superstizione o scaramanzia e ne coglie la ricchezza e la qualità. «Forse è così – conclude infatti il post – che la fede diviene vita, è grazie al “gesto” (e a questo gesto) che la fiducia nella Vita si rende presente: quella cera che arde dice molto, anzi dice “di più”. Essa sussurra dolcemente, come solo le vere preghiere sanno fare, “io sono qua, sono davanti a te, e ci sarò anche quando me ne andrò, perché quella fiammella che arde ti ricorderà sempre la mia presenza”».

Avvenire

Brasile. Foresta tropicale, l’apocalisse è vicina?

Foresta tropicale, l'apocalisse è vicina?

Monumentale scatola nera di una vita e di una cultura, quella Yanomami, il popolo amazzonico che vive nella foresta tropicale ai confini tra Brasile e Venezuela, La caduta del cielo (Nottetempo, pagine 1070, euro 35),memoriale auto-etnografico di Davi Kopenawa raccolto dall’antropologo Bruce Albert, è una narrazione ininterrotta e potentissima, che conserva la naturalità espressiva della lingua orale. Davi – che il 6 settembre incontrerà il pubblico al FestivalLetteratura di Mantova in un incontro dal titolo Combatto perché sono vivo – racconta la sua storia, che è anche quella del suo popolo, 21600 individui suddivisi in 260 gruppi locali, rivela in tre parti distinte le diverse stagioni della sua vita e il pensiero cosmo-ecologico legato ai miti della creazione e al rapporto ancestrale con gli spiriti della foresta, gli xapiri, le immagini degli antenati yarori, «che danzavano gioiosi», l’esperienza con la polvere yàkoana, l’iniziazione allo sciamanesimo. La sua casa si trova a Watoriki, la montagna del vento, dove vivono gli spiriti anziani: «spiriti ara, spiriti cacicco, spiriti galletto di roccia, spiriti scimmia ragno e cebo dalla fronte bianca».

La prima parte del libro (“Divenire altro’”) è una storia di formazione nel mondo incantato e magico della foresta. La scrittura è sempre lirica, ispirata, intrisa di un misticismo animistico, così come anche nella seconda (“Il fumo del metallo”), dove si assiste all’arrivo dell’uomo Bianco, una sorta di invasione anche di uno spazio simbolico. Davi vede per la prima volta bambino gli uomini della Commissione delle Frontiere e si terrorizza, «spaventato dal rimbombo dei loro motori, dalle esplosioni dei loro fucili». Capisce che vogliono disegnare i confini per impossessarsene, quelli dell’Inspetoria invece desiderano le loro donne.

La sua storia incrocia sempre quella del suo popolo in ciò che può considerarsi un romanzo antropologico dove biografia individuale e quella collettiva coincidono. Quando va a lavorare con gli uomini della Funai (Fondazione nazionale dell’Indio), taglia per loro la legna, accende il fuoco, cuoce la selvaggina, e impara il portoghese, s’impossessa della lingua dei bianchi, viaggia e raggiunge le città. Lavora come interprete all’inizio degli anni 70, mentre iniziano i lavori della Perimetral Norte, il tracciato che collega Manaus a Boa Vista.

La costruzione della strada portò epidemie e morte, e nel decennio successivo favorì l’arrivo di 40milagarimpeiros (cercatori d’oro), che lui chiama «i mangiatori di terra», i quali sparavano agli indigeni, distruggevano i villaggi, portando malattie e decimando un quinto della popolazione.

È in quel momento che Davi Kopenawa diventa un leader: «Mi sono messo a viaggiare per raccontare a tutti i Bianchi come i garimpeiros trasformavano i nostri fiumi in pantani e insozzavano la foresta (…) Il mio pensiero si è rafforzato e le mie parole sono aumentate. Così ho imparato a difendere la mia foresta». La forza di combattere (guidato dagli spiriti delle vespe kopena, da qui il nome Kopenawa) la trova strada facendo, prende la parola nei villaggi, da Manaus va a Brasilia, San Paolo, fino ad arrivare alla sede delle Nazioni Unite di Ginevra e New York (vicende raccontate nella terza parte, “La caduta del cielo”).

Dalle lotte del suo popolo e una campagna internazionale partita da dalla Commissione Pro-Yanomami e organizzata da Survival International, la Terra Indigena Yanomami ha avuto nel 1992 il riconoscimento legale dal Governo brasiliano e oggi si estende per 296.650 km, così dopo la morte del suo amico Chico Mendez, Davi oggi è la massima autorità politica e religiosa dei popoli indigeni, una sorta di Dalai Lama amazzonico, e in questi anni ha sviluppato una riflessione cosmoecologica legata al cambiamento climatico, contro le grandi potenze predatorie del capitalismo occidentale, da lui definite “Popolo della merce”: «Hanno già fin troppe merci. Nonostante questo, continuano a scavare la terra senza sosta, come armadilli giganti».

L’ho incontrato due anni fa a Boa Vista, mentre ero in Brasile proprio per un reportage sullo stato della Foresta Amazzonica, e insieme siamo andati con fratel Carlo Zaquini, un indigenista italiano suo amico arrivato qui il primo maggio del 1965, alla sede della Funai a chiedere il permesso per entrare nella Terra Indigena Yanomami a Catrimani, dove si trova la Missione della Consolata. Era un periodo drammatico per il suo popolo, i cercatori d’oro arrivavano da tutte le parti, da Belem, da Manaus, da tutto il Brasile: «È pieno di zattere, anche nei ruscelli, negli affluenti c’è distruzione, e hanno l’appoggio di politici e ricchi impresari di Boa Vista», mi aveva detto angosciato. Era preoccupato anche per i Moxihatetema, che definì «esseri umani che non vogliono avere contatto con gli altri», che vivevano nel loro piccolo paradiso senza tempo.

Mi disse anche: «La nostra parola d’ordine è proteggere la natura, il vento, le montagne, la foresta, gli animali, ed è questo che vi vogliamo insegnare. I capi del mondo ricco e industrializzato pensano di essere i padroni, ma la vera conoscenza è degli Shaori. Sono loro il primo vero mondo. E se la loro conoscenza va persa, allora anche il popolo bianco morirà. Sarà la fine del mondo. È questo che vogliamo evitare». Come già scriveva Claude Lévi-Strauss nel 1993 «lo sciamano yanomami non separa la sorte del suo popolo da quella del resto dell’umanità». Infatti, il messaggio universale di Davi Kopenawa e di questo libro bellissimo, la visione del suo sguardo mitologico, uno sguardo “altro” rispetto al nostro, è un grido mite che va oltre la Foresta amazzonica, riguarda la sopravvivenza di tutti: «La foresta è viva. Può morire solo se i bianchi si ostinano a distruggerla. Se ci riescono, i fiumi scompariranno sotto la terra, il suolo diventerà friabile, gli alberi riseccheranno e le pietre si spaccheranno per il calore. La terra inaridita diventerà vuota e silenziosa. (…) Allora moriremo gli uni contro gli altri e così anche i bianchi. Tutti gli sciamani periranno. Quindi, se nessuno di loro sopravvive per trattenerlo, il cielo crollerà».

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Cinema. Acec: ecco come saranno le sale di comunità del futuro

Acec: ecco come saranno le sale di comunità del futuro

Quali tendenze, quali principi, quali predisposizioni, quali attitudini, quali propensioni tenere conto per la ristrutturazione di una sala della comunità? Per un adeguamento? Per una riapertura? Un’idea pratica la dà il volume ”La Sala del Futuro. Linee guida per la rigenerazione delle Sale della Comunità” dell’architetto Riccardo Maria Balzarotti e del professor Luca Fabris del Politecnico di Milano che è stato presentato, nell’ambito della 75esima Mostra del Cinema di Venezia. Si assiste in questi ultimi anni a un fenomeno di urgente trasformazione di ruolo e su nuovi modelli di fruizione delle sale, “dove la comunità però deve rimanere al centro” spiega il presidente dell’Acec, Associazione cattolica esercenti cinema, don Adriano Bianchi. “Oltre alle nostre 800 sale in Italia ci sono altre centinaia di sale di comunità, punto fondamentale di socializzazione, che hanno bisogno di essere adeguate alle nuove esigenze”.

L’inserimento di attività “socializzanti” e un programma di contenuti culturali e di intrattenimento che va oltre la sola proiezione cinematografica sono le componenti su cui si profila la nuova Sala del Futuro. Partendo da questi presupposti il Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano con Balzarotti e Fabris – con il supporto di Cinemeccanica e Barco – ha condotto una ricerca, fortemente voluta e commissionata da Acec-SdC, il cui obiettivo è quello di indagare lo stato delle strutture che ospitano le sale cinematografiche e proporre progetti di riqualificazione, intesi come modello di riferimento cui la Sala della Comunità debba tendere.

«Verificando queste “realtà vere” – spiega Fabris nella prefazione al volume – è stato subito chiaro che il modello costituito dalla Sala è una “perla”, un elemento perfetto. Una rara sintesi che va tutelata e, semmai, aiutata a raggiungere uno stadio più alto della sua evoluzione”. L’indagine presenta quattro progetti architettonici pensati per altrettante Sale della Comunità, molto diverse tra loro (dal grande cinema-teatro, alla piccola sala polifunzionale) e scelte per raccontare la varietà tipologica della Sala del Futuro. Si tratta del Club Amici del Cinema presso il Cinema Don Bosco di Genova Sampierdarena, la Parrocchia dei Santi Pietro e Paolo a Guidizzolo (Mantova), l’ex cinema-teatro San Rocco di Mariano Comense (Como) e il Cinema Teatro Antoniano di Bologna. I progetti indagano non solo gli aspetti spaziali e tecnologici delle sale, ma propongono anche l’insediamento di funzioni innovative con particolare attenzione alla possibilità di dare vita a fenomeni di rigenerazione urbana, che favoriscano socialità, inclusione e promuovano sinergie sul territorio.

Una ricerca che è uno strumento per i vescovi, le parrocchie e le comunità, per dare una risposta fattiva a fronte dell’attuazione della Legge Franceschini che prevede un investimento di 30 milioni di euro l’anno per l’apertura o ristruttturazione di sale storiche in centro e nelle periferie e di sale con scopi aggregativi, culturali e sociali. “La sala cinematografica è imprescindibile come elemento di aggregazione, ma il suo futuro è polifunzionale – ha concluso ieri Francesco Rutelli, Presidente dell’Anica, Associazione Nazionale Industrie Cinematografiche Audiovisive e Multimediali -. E in questo le sale di comunità hanno un potenziale tutto da valorizzare”.

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Venezia. Dialogo interreligioso, presentato il Tertio Millennio Film Festival

Padre Tomaz Mavric, don Davide Milani e il regista Andrea Chiodi

Padre Tomaz Mavric, don Davide Milani e il regista Andrea Chiodi

È stata presentata oggi al Lido la XXII edizione del Tertio Millennio Film Fest. Il festival del dialogo interreligioso, organizzato dalla Fondazione Ente dello Spettacolo, si svolgerà a Roma dall’11 al 15 dicembre, con il patrocinio del Pontificio Consiglio delle Cultura e del Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede. Il tema è dedicato ai giovani, ai loro valori, al loro mondo e alle difficoltà dell’oggi. Anche la giuria sarà composta da ragazzi esponenti delle varie confessioni religiose.

Oltre alla rassegna di lungometraggi, vi saranno incontri con artisti e ospiti illustri “Crediamo nel dialogo tra le persone nelle nostre società ormai multietniche e sfaccettate” ha detto il presidente FedS monsignor Davide Milani alla presenza, fra gli altri, di Marina Sanna, direttore artistico del festival; Claudia Di Giovanni, delegata Filmoteca Vaticana; Gianna Urizio, presidente Associazione Protestante Cinema “Roberto Sbaffi”; Ambra Tedeschi, direttore Centro Culturale Ebraico “Il Pitigliani”; Lafram Yassine, presidente dell’UCOII.

La regista Costanza Quatriglio è il presidente della giuria dei cortometraggi: “Ho pensato che fosse perfetto per me. È insito nel mio percorso professionale relazionarmi con tante culture, incontrare persone che hanno storie diverse. Un film passa attraverso mille avventure, collaborazioni, esperienze che poi vogliamo trasmettere al nostro pubblico”.

SAN VINCENZO DE’ PAOLI, TREMILA FILM PER RACCONTARE LA POVERTÀ AL CINEMA

Le star di Hollywood Jim Caviezel, il Gesù di La Passione di Cristo di Mel Gibson, e Martin Sheen saranno gli artisti di punta che daranno la loro testimonianza di vita, lavoro e fede alla prima edizione di “Finding Vince 400”, Festival cinematografico internazionale dedicato a San Vincenzo de’ Paoli che si terrà a Castel Gandolfo dal 18 al 21 ottobre.

Il progetto presentato ufficialmente a Roma nel 2017 durante il simposio per il quarto centenario del carisma vincenziano, ora è diventato realtà ed è stato lanciato tra gli eventi collaterali della 75ma Mostra del Cinema di Venezia. «Finding Vince 400 è il tentativo di declinare il tema della globalizzazione della carità in tutti i linguaggi artistici. Creativi, narratori, sceneggiatori ed anche i giovanissimi sono chiamati a raccontare iltema della povertà attraverso forme attuali – ha spiegato padre Tomaz Mavric, superiore generale della Congregazione della Missione -. La risposta è stata eccezionale e in oltre tremila hanno inviato i loro lavori da 109 Paesi del mondo all’appello della Famiglia Vincenziana».

Il Festival è articolato in tre sezioni: una dedicata ai film e cortometraggi (ne sono arrivati appunto tremila), una dedicata alle sceneggiature (ne sono arrivate 170) e una intitolata “Semi di speranza” dedicata alla creatività di coloro che hanno meno di 18 anni. Ai vincitori andrà un contributo per realizzare le loro opere.

«Importante è il valore educativo di questo progetto, occorre aiutare i ragazzi a vedere e raccontare l’altro» ha aggiunto don Davide Milani, presidente dell’Ente dello Spettacolo che ha ospitato la presentazione veneziana. Ai lavori del Festival a Castel Gandolfo saranno presenti, come dicevamo, gli attori Jim Caviezel, Martin Sheen, Clarence Gyliard e la cantante Susan Boyle. Sono previste, inoltre, tre tavole rotonde per coinvolgere attori, registi e autori a Castel Gandolfo, rispettivamente sulle responsabilità di Hollywood, su quelle dei nuovi media e su quelle dei giornalisti e dei cittadini.

“FindingVince 400” si avvarrà della concomitanza dello svolgimento a Roma dei lavori del Sinodo dei Giovani, per dare vita a una manifestazione che si terrà il 20 ottobre presso l’Auditorium della Conciliazione, realizzata dalla Fondazione Ente dello Spettacolo intorno al tema della carità come “luogo di discernimento vocazionale”. La regia sarà affidata ad Andrea Chiodi e, nel ripercorrere lavita di san Vincenzo de’ Paoli, saranno presenti tra gli altri gli attori Massimo Popolizio, Piera Degli Esposti, Giovanni Scifoni, Sara Maestri e i GenVerde.

«II messaggio del nostro film festival, che sarà destinato a crescere negli anni, è quello di mostrare l’altra parte della medaglia – conclude padre Tomaz -. Ogni giorno gli spettatori in tv vedono solo cose negative, ma la carità non si vede. Eppure esiste, e va mostrata per essere condivisa». Il festival si potrà seguire anche sul profilo Facebook e sul sito della Famiglia Vincenziana.

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