Camminare insieme per combattere lo stress

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Se ti dico attività fisica, cosa ti viene in mente? A Montesilvano è arrivato “Città in Movimento”, un progetto nato per far muovere e stimolare chi ha bisogno di fare attività fisica, ma viene fermato da pigrizia e mancanza di tempo. A presentarlo è Angela Del Papa, dottoressa in Scienze Motorie con oltre vent’anni di esperienza nel mondo del fitness: “Ho provato tantissime attività in cerca della mia strada. Poi ho capito che la mia vera missione è quella di aiutare le persone a stare meglio attraverso il movimento: per farlo non è necessario fare i salti mortali, né tanto meno alzare pesi o spostare i pneumatici delle macchine. Bisogna abituarsi all’attività fisica e con il progetto Città in Movimento vorrei insegnare agli altri a dedicarsi del tempo, prendersi cura di sé e della propria salute attraverso attività semplici, che non richiedano troppo tempo e sforzo”.

Il progetto, già partito in misura ridotta in alcune zone di Montesilvano, punta a conquistare l’intera cittadina. Il programma comprende due ore a settimana dedicate alla più semplice, efficace (ed economica) delle attività: la camminata.

Due ore per riprendersi i propri spazi e instillare l’abitudine al movimento anche nelle persone più pigre e con meno tempo a disposizione. Il primo incontro si terrà martedì 7 agosto alle 19 con via Costa a Montesilvano come punto di ritrovo. Gli appuntamenti si ripeteranno ogni martedì alla stessa ora e ogni giovedì alle 7 del mattino per tutto il mese di agosto: 45 minuti verranno dedicati alla camminata e a semplici esercizi per tonificare e 15 per l’allungamento muscolare conclusivo.

“Ho scelto la camminata come attività perché i benefici della camminata sono innumerevoli e, soprattutto, di facile fruizione. Camminare fa bene al cuore, aiuta a prevenire il diabete, allunga la vita, fa dimagrire. Inoltre, ritrovarsi in un bel gruppo per una camminata all’aria aperta, aiuta a ridurre radicalmente lo stress”.

I Benefici sono molteplici della camminata: fa bene al cuore. Camminare a passo sostenuto fa bene alla circolazione sanguigna e riduce il rischio di soffrire di patologie cardiache. Camminare ad una buona velocità, infatti, consente di fare un esercizio di tipo aerobico, aumentando la frequenza del respiro e il dinamismo del battito cardiaco. Questo tipo di attività fisica diminuisce il rischio di ipertensione, di colesterolo alto e di malattie coronariche, proteggendo il cuore.

Previene il diabete di tipo 2. Uno studio condotto dalla George Washington University School of Public Health and Health Services di Washington, pubblicata sulla celebre rivista Diabetes Care, ha dimostrato come camminare aiuti a ridurre la concentrazione di zuccheri nel sangue e a riportarli ad un livello regolare, a lungo. Per prevenire il diabete di tipo 2, secondo gli studiosi, è preferibile camminare ogni sera dopo cena, concedendosi una passeggiata di almeno 30 minuti ad un passo regolare o leggermente sostenuto. In questo modo potrete migliorare i livelli di tolleranza al glucosio, ossia la capacità di assorbimento del glucosio ad opera delle cellule.

Fa dimagrire.

Per iniziare a recuperare contatto con l’organismo e risvegliare tutto il corpo dal torpore della sedentarietà, il consiglio degli esperti è quello di camminare ogni giorno a passo sostenuto per almeno 30 minuti: una sessione di allenamento smart, veloce e facile da tollerare. Un training decisamente meno impegnativo per chi rischia di stancarsi, di non reggere la fatica e, successivamente, di abbandonare la missione.

Allunga la vita: lo ha dichiarato proprio l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Il motivo? Le patologie legate ad uno stile di vita sedentario sono sempre più diffuse e letali tra la popolazione mondiale. Ipertensione, ictus cerebrali, cardiopatie ischemiche sono alcune delle malattie che causano più morti ogni anno e che si possono prevenire con uno stile di vita sano, che comprenda l’abitudine di camminare ogni giorno.

Riduce lo stress.

Lo afferma uno studio condotto in sinergia da ricercatori provenienti da diversi atenei, come la University of Michigan, il James Hutton Institute, la De Montfort University e l’Edge Hill University (EHU). Le passeggiate di gruppo negli ambienti naturali del luogo possono contribuire in maniera potenzialmente importante alla salute pubblica ed essere benefiche nell’aiutare le persone ad affrontare lo stress e migliorare l’esperienza emotiva. Il progetto è cominciato i primi di giugno e terminerà a fine settembre. Città in movimento vedrà il suo evento conclusivo domenica 7 ottobre con una particolare giornata di trekking nella Valle dell’Orfento, cogliendo così l’opportunità di ammirare i meravigliosi paesaggi naturalistici abruzzesi e godersi della sana convivialità.

giornaledimontesilvano.com

Papa Francesco: tutti i battezzati annuncino il Vangelo

Papa Francesco: tutti i battezzati annuncino il Vangelo

“Tutti i battezzati” sono chiamati ad annunciare il Vangelo “nei vari ambienti di vita”, non come “divi in torunée” ma forti solo della parola di Gesù. Stamani all’Angelus Papa Francesco traccia “lo stile del missionario” a partire dal Vangelo odierno, quando Gesù invia i Dodici, due a due, nei villaggi: è come un “tirocinio” di quello che avrebbero poi fatto dopo la Risurrezione. Due, quindi, gli aspetti centrali che il Papa ricorda ai circa 15 mila presenti in Piazza San Pietro e a tutti i cristiani: il centro di riferimento del discepolo missionario è Gesù e il volto dello stile missionario è “la povertà di mezzi”.

Gli apostoli non hanno, infatti, “niente di proprio da annunciare” ma agiscono in quanto “messaggeri di Gesù”. E l’episodio del Vangelo riguarda “non solo i sacerdoti” – sottolinea il Papa – perché “tutti i battezzati” sono “chiamati a testimoniare, nei vari ambienti di vita, il Vangelo di Cristo”: E anche per noi questa missione è autentica solo a partire da suo centro immutabile che è Gesù. Non è un’iniziativa dei singoli fedeli né dei gruppi e nemmeno delle grandi aggregazioni, ma è la missione della Chiesa inseparabilmente unita al suo Signore. Nessun cristiano annuncia il Vangelo “in proprio”, ma solo inviato dalla Chiesa che ha ricevuto il mandato da Cristo stesso. È proprio il Battesimo che ci rende missionari. Un battezzato che non sente il bisogno di annunciare il Vangelo, di annunciare Gesù, non è un buon cristiano.

L’equipaggiamento che hanno i Dodici è, poi, contrassegnato da un criterio di sobrietà: Il Maestro li vuole liberi e leggeri, senza appoggi e senza favori, sicuri solo dell’amore di Lui che li invia, forti solo della sua parola che vanno ad annunciare. Il bastone e i sandali sono la dotazione dei pellegrini, perché tali sono i messaggeri del regno di Dio, non manager onnipotenti, non funzionari inamovibili, non divi in tournée.

Il Papa ricorda in questo senso alcuni santi della diocesi di Roma: “San Filippo Neri, San Benedetto Giuseppe Lavre, Sant’Alessio, Santa Ludovica Albertini, Santa Francesca Romana, San Gaspare del Bufalo e tanti altri”. “Non erano funzionari o imprenditori – evidenzia – ma umili lavoratori del Regno”.

Può accadere, però, che non siano ascoltati e accolti. Anche questa esperienza di “fallimento” è povertà: La vicenda di Gesù, che fu rifiutato e crocifisso, prefigura il destino del suo messaggero. E solo se siamo uniti a Lui, morto e risorto, riusciamo a trovare il coraggio dell’evangelizzazione.

La Vergine Maria, “prima discepola e missionaria della Parola di Dio”, “ci aiuti a portare nel mondo il messaggio del Vangelo” – conclude il Papa – con esultanza umile e radiosa e oltre ogni rifiuto. Nei saluti finali ha poi ricordato i giovani polacchi della Diocesi di Pelplin, che partecipano ad un corso di esercizi spirituali ad Assisi.

avvenire

Banca Etica. 5 per mille, un italiano su 4 sceglie un’associazione non profit

5 per mille, un italiano su 4 sceglie un'associazione non profit

La possibilità di devolvere il 5 per mille di quanto dovuto all’erario a organizzazioni non profit si è consolidata nelle abitudini dei contribuenti italiani ed è diventata una modalità importante di partecipazione diretta dei cittadini al sistema di welfare e di finanziamento al terzo settore. Banca Etica ha presentato oggi a Roma, presso la sala dell’Istituto di Santa Maria in Aquiro del Senato, la seconda edizione della ricerca Il 5 per mille e lo sviluppo del non profit: un lavoro di analisi che – incrociando dati dell’Agenzia delle Entrate con dati interni della banca – disegna l’evoluzione di questo strumento di democrazia economica e tratteggia ipotesi per il suo sviluppo futuro, con un focus particolare sugli strumenti finanziari che possono amplificarne i ritorni sociali.

I risultati principali
• attraverso il 5 per mille sono stati erogati complessivamente 4,2 miliardi di euro a favore di realtà non profit tra il 2008 e il 2018;
• in media ogni anno più del 25% dei contribuenti italiani (circa 12 milioni di persone) sceglie di devolvere il 5 per mille a un’organizzazione senza scopo di lucro;
• negli anni il numero di enti che hanno beneficiato del 5 per mille è quasi raddoppiato dai circa 30mila del 2006 ai quasi 57mila del 2016, con relativa contrazione degli importi medi percepiti, scesi da oltre 11mila euro a poco meno di 9mila euro;
• la ricerca medica e scientifica è il settore che più attira le preferenze degli italiani: nel decennio 2006-2016 il 36% delle risorse sono andate a favore di tali Fondazioni, di cui il 27% è stato indirizzato a progetti di ricerca sanitaria;
• nella scelta degli enti cui devolvere il 5 per mille si verifica una forte concentrazione: i primi dieci enti hanno raccolto il 29% del totale, pari a un miliardo e 200 milioni di euro;
• le associazioni sportive dilettantistiche riescono a raccogliere in media 2.000 euro con il 5 per mille; le altre associazioni 9.200 e le fondazioni per la ricerca sanitaria 1,5 milioni di euro;
• Lombardia e Lazio si confermano le Regioni più attive, in quanto sedi delle maggiori organizzazioni del Terzo Settore: esse raccolgono insieme quasi il 60% dell’importo distribuito nel periodo considerato.

La riforma del Terzo Settore

La ricerca approfondisce l’impatto che la riforma del Terzo Settore – sia pure ancora in attesa di alcuni dei decreti attuativi – avrà sull’istituto del 5 per mille. In particolare la riforma dispone la revisione e razionalizzazione dei criteri necessari agli enti per candidarsi a ricevere il 5 per mille; la semplificazione e accelerazione delle procedure per il calcolo e l’erogazione dei contributi spettanti ai vari enti, che dovrebbe avvenire dopo non più di un anno. Saranno definiti una soglia minima al di sotto della quale l’ente non potrà ricevere il contributo e nuovi criteri per il riparto delle scelte non espresse dai contribuenti, tali da non favorire necessariamente le organizzazioni più grandi e note.

Il 5 per mille e le banche
Insieme al 5 per mille è cresciuta da parte delle banche – che prima non consideravano il settore non profit come un cliente interessante – l’offerta di credito finalizzato ad anticipare le risorse agli enti beneficiari (che devono aspettare, in media, dai 12 ai 24 mesi per l’accredito delle somme). Banca Etica risulta tra i primissimi istituti di credito italiani scelti dalle organizzazioni non profit in virtù della sua specificità di banca nata proprio per servire il Terzo Settore e l’economia civile e solidale.

«Il 5 per mille è uno strumento di grande valore perché è tra i pochi che consente ai cittadini di esprimere chiaramente una preferenza per i settori di welfare da sostenere tramite la contribuzione fiscale: una forma di partecipazione alle scelte di spesa che avvicina le persone alle organizzazioni nonprofit e rafforza il senso di appartenenza e di comunità – ha detto il direttore di Banca Etica, Alessandro Messina -. La nostra banca è nata per dare credito al terzo settore e per fare della finanza un acceleratore dei progetti di crescita, inclusione e innovazione sociale: anche oggi – dopo 20 anni – continuiamo a studiare l’economia solidale per capire come accompagnarne al meglio gli sviluppi».

Durante l’incontro sono intervenuti con testimonianze e analisi anche: il senatore Steni di Piazza; il direttore di Medici Senza Frontiere Italia Gabriele Eminente; il direttore di Amnesty International Italia Gianni Rufini; Sergio Pierantoni, responsabile Servizio Amministrativo di Caritas Italiana; Alessandro Lombardi, direttore generale del Terzo Settore, Ministero Lavoro e Politiche Sociali; Sergio Gatti, direttore generale di Federcasse Credito Cooperativo.

da Avvenire

Cercando la Terra Santa oltre il Giordano

La Decapoli è un luogo dove, secondo il Vangelo di Marco, Gesù si è recato. Ma pochi sanno dov’era. Un approfondimento.

Nei Vangeli si incontrano i nomi di molti luoghi legati al passaggio in un certo territorio delMessia cristiano. Alcuni di quei luoghi non si trovano più nella Terra Santa comunemente intesa, ma in vicini Paesi del Medio Oriente. I Vangeli stessi testimoniano di alcuni viaggi di Gesù di Nazareth in città che oggi appartengono al Libano o alla Giordania.

Una problematica citazione del Vangelo di Marco (7, 31) afferma per esempio: “Di ritorno dalla regione di Tiro, passò per Sidone, dirigendosi verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decapoli”. È un percorso difficile da spiegare (infatti l’evangelista non lo fa) e anche abbastanza improbabile, comunque è spesso molto complicato identificare i luoghi in cui si svolge la vicenda umana del Nazareno, soprattutto dopo due millenni di antiche narrazioni intrecciate a devozioni e leggende più recenti e spesso stratificate all’interno di un racconto. Ma è in ogni caso molto intrigante indagare su questi luoghi e prendere coscienza delle implicazioni che questi viaggi intendono forse suggerire.

Un esempio forse poco conosciuto di “Terra Santa oltre il Giordano” emerge dall’indicazione della regione denominata “Decapoli”, di cui fanno menzione alcune fonti storiche del I secolo d.C. (come Plinio il Vecchio e Flavio Giuseppe) e i tre Vangeli sinottici. Il territorio delle 10 città era una sorta di regione a statuto speciale istituita da Pompeo Magno nel 63 a.C.quando assoggettò a Roma tutta la Palestina.

La Decapoli si trovava a Sud del Mare di Galilea e quasi del tutto ad Est del Giordano. Non è chiaro quali fossero precisamente le 10 città (ci sono diverse versioni e la Decapoli come tale ha una storia lunga circa 3 secoli), ma alcune sono ben individuate, come Filadelfia (oggi Amman),Gadara (Umm Qays), Gerasa (Jerash), Pella (Tabaqat Fahl), Arbila (Irbid) e Scytopolis (Beit She’an, l’unica a ovest del Giordano).

Un famoso brano del vangelo di Matteo (8,28) inizia collocando il racconto nel “Paese dei gadareni”, il territorio circostante la città di Gadara, dove oggi si trova la cittadina giordana di Umm Qays, su una collina dalla quale si gode una magnifica vista verso le alture del Golan e sul Mare di Galilea (in Israele), pur essendo a circa 10 km dalla sponda meridionale del lago.

Il racconto evangelico è quello di Gesù che scaccia il dèmone “legione” (Matteo 8, 28-34, Marco 5, 1-20, Luca 8, 26-39) da un uomo (o due secondo Matteo): al dèmone scacciato viene concesso di installarsi in alcuni maiali che si trovano nei dintorni, che a quel punto si gettano nel Mare di Galilea, annegando.

Il territorio dei gadareni, come tutta la regione della Decapoli, era abitato da popolazioni di cultura ellenista insediate in quelle terre fin dal tempo della conquista di Alessandro Magno (IV sec. a.C.), e quindi possibili allevatori di maiali, diversamente dagli ebrei che alla luce delle norme alimentari dell’Antico Testamento considerano il maiale un animale immondo. Non è difficile immaginare che i gadareni fossero anche fornitori di carne suina alle truppe romane di occupazione: agli occhi dei giudei del tempo, gadareni, geraseni e decapolitani in genere erano pagani imbevuti di ellenismo e collaborazionisti del “nemico” romano. Eppure, pur scacciando il dèmone “legione”, Gesù non si sottrae al dialogo con l’ex indemoniato che ha sanato, anzi lo incarica di una missione.

Visitando le rovine dell’antica Gadara, si rimane stupiti di trovare poco oltre le mura, sulla strada che scende verso il Mare di Galilea, i resti di un’imponente basilica a 5 navate, risalente al IV secolo. È abbastanza evidente che i costruttori bizantini intendevano in questo modo segnalare e onorare il luogo del miracolo descritto dai Vangeli. Le rovine dell’antica città sono fra l’altro ben conservate, con terme, teatri e attività commerciali che si affacciano sul decumano, e una splendida necropoli. Gadara era famosa nell’antichità anche per il fatto di aver dato i natali ad alcuni illustri scrittori come il filosofo cinico Menippo (III sec. a.C.), il poeta satirico Meleagro(I sec. a.C.) e il poeta e filosofo epicureo Filodemo, che visse parecchi anni a Ercolano, dove sono state ritrovate copie di molte sue opere nella biblioteca della Villa dei Papiri, la sontuosa dimora dei Pisoni distrutta dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.C., poco più di un secolo dopo la morte di Filodemo, avvenuta all’età di circa 75 anni, nel 35 a.C.

cittanuova.it

Discepoli missionari, in comunione

L’8 dicembre 2016 è stata pubblicata la nuova Ratio fundamentalis che, raccogliendo l’ampio patrimonio magisteriale dal Concilio ad oggi, delinea i principi fondamentali della formazione sacerdotale. In base a questo quadro di riferimento dal significativo titolo Il dono della vocazione presbiterale, si rivedono ora i regolamenti nazionali. Maturato con l’apporto di una consultazione degli episcopati locali, il testo risponde con grande sensibilità alle sfide odierne, ponendo l’accento su una vita nitidamente plasmata dalla sequela di Gesù. Ne abbiamo parlato con l’arcivescovo Jorge Carlos Patrón Wong, dal 2013 Segretario per i Seminari della Congregazione per il clero.

GEN’S: Nella nuova Ratio fundamentalis per la formazione sacerdotale si sottolinea tanto la dimensione del discepolato. Perché? Quali le conseguenze di questo profilo dei presbiteri come “discepoli missionari”?

Questa visione di fondo, particolarmente cara a Papa Francesco, situa la figura del presbitero in una posizione evangelica, liberandolo dalla tentazione di essere o diventare un funzionario, un burocrate o un semplice leader a immagine dei capi di questo mondo. Al contrario, il sacerdote è lui per primo un discepolo che cammina sulle orme del Maestro, che si mette in ascolto della Parola del Signore per poi comunicarla ai fratelli, che vive il ministero in relazione all’incontro personale con Cristo e, solo così, può anche essere pastore del popolo di Dio. Ne consegue una figura di prete “mai arrivata” e “mai compiuta”, che – come ha ricordato di recente il Santo Padre – si lascia lui per primo forgiare dal vasaio divino e vive poi “in uscita” verso il mondo, evangelizzando, accompagnando e guidando il popolo di Dio. 

 

GEN’S: Altra dimensione messa in primo piano dalla Ratio è la comunione. Quale il significato di questo accento sulla fraternità sacerdotale?

Questo aspetto è di vitale importanza e, soprattutto oggi, va riscoperto con grande attenzione e va perseguito con una certa creatività. La Ratio, cogliendo la natura e l’essenza teologica, spirituale e pastorale del sacramento dell’Ordine, sottolinea che la fraternità sacerdotale non è qualcosa di aggiuntivo, una semplice modalità esterna o una specie di cortesia formale. Al contrario, appartiene alla natura stessa dell’essere preti ed è una inevitabile chiamata che scaturisce dal sacramento stesso. Siamo parte di un popolo, che è quello dei battezzati e, chiamati alla vita presbiterale, siamo ordinati da un vescovo per entrare nella grande famiglia del presbiterio a servizio della vita diocesana. Non può esistere nessun tipo di autoreferenzialità e nessun modo di interpretare “a modo mio” il ministero sacerdotale: esso è parte di un grande mosaico nel quale, attraverso la comunione, il dialogo e la collaborazione, devo integrarmi con la vita e il ministero pastorale dei confratelli. 

GEN’S: Lei da giovane sacerdote è stato chiamato a lavorare in seminario. Mentre ad altri presbiteri rincresce dover lasciare il ministero parrocchiale, lei ha sentito questa chiamata come una grazia e come un’occasione per scoprire le ricchezze dell’Esortazione postsinodale Pastores dabo vobis sulla formazione dei sacerdoti nelle circostanze attuali (25 marzo 1992), che era uscita da poco. Quali le sue scoperte come giovane formatore?  

Fa parte di una formazione integrale e autentica, vissuta al servizio della Chiesa, anche imparare a leggere dentro gli eventi della propria storia e nelle chiamate del proprio ministero, una missione speciale a cui il Signore ci chiama. Personalmente, ho avuto l’occasione di accogliere e integrare nella mia vita la Pastores dabo vobis, quando ero già prete e mi trovavo a lavorare in seminario come formatore. Allo stesso modo, i sacerdoti di oggi e in special modo i formatori attuali sono chiamati ad accogliere lo spirito della nuova Ratio fundamentalis. Il ministero che svolgono è una chiave d’accesso preziosa per la comprensione di questo importante documento sulla formazione dei preti. 

GEN’S: In varie occasioni, lei ha affermato che il periodo in seminario è la tappa più breve di tutta la formazione sacerdotale. In che senso? 

Nella Ratio abbiamo affermato con chiarezza – e cerchiamo di ribadirlo sempre ai vescovi e ai formatori – che la formazione sacerdotale ha tra le sue note caratteristiche non solo quella di essere integrale, cioè di comprendere le diverse dimensioni già enumerate da Pastores dabo vobis, ma anche quella di essere “unica”. Si tratta, cioè, di un unico cammino discepolare che dura per tutta la vita. Se per comodità pedagogica e per rendere ragione delle diverse stagioni della vita, essa può essere distinta in tappe e comunemente parliamo di formazione iniziale e formazione permanente, è altrettanto vero che si tratta di una realtà totalizzante e onnicomprensiva, che abbraccia l’intera esistenza. Come dire, il destinatario della formazione sacerdotale è il seminarista di oggi che sarà anche il prete di domani. Perciò, considerando che quella del seminario comprende pochi anni rispetto al resto della vita sacerdotale, si tratta della tappa più breve. Ciò, ovviamente, implica una maggiore presa di consapevolezza, da parte dei vescovi, dei formatori e della Chiesa intera, di quanto sia importante, urgente e fondamentale che, una volta usciti dal seminario, non si ritenga conclusa la formazione, ma, al contrario, ci si impegni con tutte le energie necessarie nel campo dell’accompagnamento dei sacerdoti. 

GEN’S: Una domanda a sfondo più personale: che cosa significa per lei vivere da discepolo missionario? 

Per me significa avere costantemente la certezza interiore di essere semplicemente un “chiamato”. I tempi, le modalità, le forme del mio ministero, prima sacerdotale e poi episcopale, sono cambiate e cambieranno ancora nel tempo, ma ciò che conta per me è accoglierle come una chiamata che il Signore mi rivolge per sua grazia e per la quale, incamminandomi fiducioso sulla sua Parola, mi impegno a dedicare le mie energie e offrire la mia vita. Ci sono poi due verbi che, come sintesi, potrei citare per dire cosa significa per me essere un discepolo missionario: imparare e condividere. Imparare ogni giorno, nei luoghi e nelle situazioni in cui il Signore mi pone, dalle persone che incontro, dalla realtà, dalle cose della vita, dagli impulsi con cui lo Spirito Santo non manca di assisterci; e poi condividere, nella missione apostolica, il messaggio del Vangelo con coloro che incontro e, in special modo, con i seminaristi, i sacerdoti e i formatori dei seminari. Da una parte imparo restando discepolo e dall’altra cerco di offrire nella condivisione una buona testimonianza. Così, quando la sera mi fermo per guardare me stesso e ringraziare il Signore per la giornata trascorsa, elevo sempre a lui la preghiera perché gli incontri, i dialoghi, le situazioni vissute durante il giorno possano davvero portare frutto ed essere un piccolo seme del regno di Dio. 

cittanuova.it

L’82% degli italiani non sa riconoscere una fake news

L'82% degli italiani non sa riconoscere una fake news © ANSA

Per l’87% degli italiani i social network non offrono più opportunità di apprendere notizie credibili e l’82% degli italiani non è in grado di riconoscere una notizia bufala sul web. Sono i dati allarmanti che emergono dal rapporto “Infosfera” sull’universo mediatico italiano realizzato dal gruppo di ricerca sui mezzi di comunicazione di massa dell’Università Suor Orsola Benincasa guidato da Umberto Costantini, docente di Teoria e tecniche delle analisi di mercato ed Eugenio Iorio, docente di Social media marketing.

La ricerca completa, giunta alla sua seconda edizione, ed è pubblicata integralmente sul sito web dell’Ateneo napoletano. E’ stata realizzata in collaborazione con i ricercatori dell’Associazione Italiana della Comunicazione pubblica e istituzionale, del Centro Studi Democrazie Digitali e della Fondazione Italiani – Organismo di Ricerca coinvolgendo un campione d’indagine superiore ai 1500 cittadini italiani, quindi con un errore statistico minimo che si attesta intorno al 2,5%.

Lo studio Infosfera, presentato stamane alla presenza del Commissario AGCOM, Mario Morcellini e dell’assessore regionale alla Formazione, Chiara Marciani, raccoglie i dati sulla percezione del sistema mediatico, con particolare attenzione al livello di credibilità, fiducia ed influenza delle fonti di informazione. Viene così disegnato il nuovo assetto dello spazio pubblico prodotto dai fenomeni della mediatizzazione, della disintermediazione, dell’information overload, della polarizzazione e della sottrazione di tempo e di attenzione.

Dall’ansia all’insonnia: le malattie da overdose di internet Innanzitutto emerge l’assoluta dipendenza degli italiani dal web. Il 95% del campione utilizza quotidianamente internet, quasi il 70% lo fa per più di tre ore al giorno e il 32% per più di cinque ore. La metà di questi tempi è impiegata sui social network. E crescono così i malanni da ‘overdose di web’. Stati d’ansia (8,68%), insonnia (16,84%), confusione e frustrazione (6,38%), dolori di stomaco e mal di testa (8,36%) e dimenticanze (9,93%).

I social media e i dispositivi digitali stanno ormai rimodulando le facoltà mentali dell’individuo, il pensiero profondo, l’attenzione e la memoria. Il 69,34% degli italiani registra e memorizza le informazioni di cui ha bisogno sul telefono. Il 79,93% degli italiani ritiene di essere in grado di trovare facilmente le notizie di cui ha bisogno e tende a fare un largo uso di free media piuttosto che di media a pagamento. Informazione e democrazia: sfiducia e contraddizioni Molte le contraddizioni emerse. Per l’87,24% degli italiani i social network non offrono più opportunità di apprendere notizie credibili. Eppure per il 96,61% il sistema di informazione non è la dimostrazione che la democrazia italiana è in salute e per il 98,75% non è la dimostrazione che la democrazia italiana è debole. Non viene quindi messo in relazione lo stato del sistema di informazione con la qualità della democrazia e di conseguenza con il concetto di libertà che anzi viene percepita positivamente dalla supposta libertà garantita dalla rete. A riprova di ciò, per il 77,30% le fake news non indeboliscono la democrazia.

Per l’87,76% l’informazione che circola in rete è professionale, quindi è attendibile. “È innegabile che si tratti di dati inquietanti – ha spiegato Eugenio Iorio, docente di Social media marketing all’Università Suor Orsola Benincasa e coordinatore scientifico della ricerca – perché in un’infosfera così configurata i cittadini/utenti, sprovvisti dei più elementari strumenti di analisi e di critica della realtà e privi di qualsiasi strumento di difesa, tendono ad avere una visione distorta della realtà, una visione sempre più prossima a quella desiderata dai manipolatori delle loro capacità cognitive”. Da questo punto di vista diventa fondamentale il ruolo della formazione delle nuove generazione come ha evidenziato il Commissario AGCOM Mario Morcellini spiegando che “il quadro negativo emerso dal rapporto Infosfera lancia un forte allarme al quale possono e debbono rispondere le scuole e le Università impegnandosi nella formazione di una coscienza critica nei giovani che sia più preparata al bombardamento mediatico a cui oggi si viene sottoposti in maniera indiscriminata e incontrollata”.

Facebook e under 13, potrà bloccare direttamente i profili

Facebook, stretta sugli 'under 13' © ANSA

Facebook stringe sugli utenti under 13, quelli che – secondo le norme americane ed europee sulla privacy – non potrebbero stare sui social. Stando a quanto riferito da un portavoce della società al sito TechCrunch, sono cambiate le linee guida operative date ai moderatori di Facebook e Instagram, che ora potranno intervenire direttamente e più spesso nel bloccare i profili dei ragazzini.

Finora i “controllori” di Facebook e Instagram hanno potuto agire nel caso degli under 13 solo se il loro profilo era stato segnalatoa causa della giovane età. Le nuove linee guida, invece, consentiranno ai moderatori di bloccare direttamente i profili di tutti i bambini in cui si imbattono. Chi avrà il profilo bloccato, dovrà dimostrare di avere più di 13 anni con un documento.

Il problema è stato sollevato da un’inchiesta dell’emittente inglese Channel 4, che ha visto un giornalista lavorare sotto copertura come moderatore di Facebook. L’inchiesta ha rivelato che chi controlla le attività sulla piattaforma può intervenire solo se un utente ammette di avere meno di 13 anni, altrimenti “deve far finta di essere cieco”.

Già con l’entrata in vigore a fine maggio del Gdpr, la nuova normativa europea sulla privacy, il social network ha inserito una sorta di ‘parental control’ per gli utenti ‘under 15’ e una stretta per i minori di 18 anni sul sistema di riconoscimento facciale.

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Bocelli, ragazzi non perdete speranza

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Domande dei ragazzi, provenienti da tutto il mondo, rotte dell’emozione tanto da arrivare anche fino alle lacrime. Sono state fra le reazioni suscitate da Andrea Bocelli nell’incontro di cui è stato protagonista nella prima giornata della 48/a edizione del Giffoni Film festival, dove ha ricevuto il premio Truffaut (sul palco con lui anche la moglie e la figlia). “Vi parlo come faccio con i miei figli – ha detto il tenore – dopo aver risposto per oltre un’ora alle domande della platea composta in gran parte da under 20 -. Non perdete mai l’ottimismo, la speranza, e non date retta a chi ogni giorno lancia allarmi. Oggi le notizie rimbalzano in cinque minuti, ma il mondo non è fatto solo di tragedie. Succede anche tanto di bello, ma di quello nessuno parla. Bisogna guardare con positività al futuro, non si può buttare via la vita col pessimismo”. Bocelli si è detto d’accordo con le parole di Truffaut, ospite di Giffoni nel 1982, quando definì questo “il più necessario dei festival”: “Qui si esortano i ragazzi a pensare e il pensiero sta alla base dell’azione. Invece nel mondo oggi c’è una tendenza a spingere i giovani verso cose che non li facciano pensare o agire. Ribellatevi a tutto questo, pensate con la vostra testa e siate curiosi verso gli altri”. Il tenore sarà protagonista l’8 settembre all’Arena di Verona di “La Notte Di Andrea Bocelli”, serata benefica condotta da Milly Carlucci e ripresa dalla Rai per una successiva messa in onda, cui parteciperanno, fra gli altri, Carla Fracci, Isabel Leonard, Aida Garifullina, Leo Nucci, Sergei Polunin, Smokey Robinson e Kristin Chenoweth. Il linguaggio universale della musica e dell’arte in generale, ma anche l’importanza di tenere, in ogni circostanza, i piedi per terra (” per me l’umiltà è la conditio sine qua non. Non ci sono ragioni al mondo che giustifichino essere presuntuosi”) sono stati fra i temi ricorrenti nella conversazione. “L’Opera per me è il paradiso della musica. C’è dentro un valore, che può essere apprezzato anche dai ragazzi, divertendosi. Per amarla bisogna andare a sentirla dov’è di casa, a teatro, e ci si può andare così come si è, senza vestirsi eleganti, sperando però di trovare un buon cast. E’ un po’ come con il calcio: se giocano Brasile e Germania ti diverti, se giocano degli amatori un po’ meno”. Bocelli ama molto anche le sue collaborazioni, comprese quelle con i divi pop, da Ariana Grande a Ed Sheeran: “Mi danno la possibilità di ascoltare senza filtri questi grandi artisti. Ed Sheeran, per esempio, per convincermi a cantare il suo brano è venuto a casa mia e l’ha cantato così semplicemente, davanti anche ai miei figli, ovviamente felicissimi”. Il tenore non sente il ‘peso’ di rappresentare l’Italia all’estero: “Non ci penso perché mi reputo ancora lo stesso cantante di provincia di quando ho iniziato”. E lo stupore è autentico quando prima di rispondere a un suo giovane fan pakistano, gli chiede: “Ma davvero sono conosciuto anche in Pakistan?”

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