L’incertezza che grava sui progetti dei giovani italiani è accentuata da una delle peggiori combinazioni in Europa delle tre “i”: invecchiamento demografico, indebitamento pubblico

Via l'ipoteca dal futuro delle nuove generazioni

Che futuro ha un Paese che rivede ogni anno al ribasso la sua natalità (come riportano i dati Istat)? Che, rispetto agli altri Paesi avanzati, espone i minori che vivono in famiglie numerose a uno dei rischi più alti di povertà materiale ed educativa (come ci ricorda Save the Children)? Che meno riesce a dotare le nuove generazioni di formazione e competenze adeguate per vincere le sfide di questo secolo (come rivelano le ricerche Ocse)? Che con più difficoltà include i giovani nel mondo del lavoro (come indicano le statistiche dell’Eurostat)? Che relega maggiormente i nuovi entranti in lavori a bassa tutela e basso salario (come confermano gli studi di Bankitalia)? Fare in modo che i progetti di vita delle nuove generazioni siano solidi e trovino pieno successo nella loro realizzazione dovrebbe essere una delle preoccupazioni principali di un Paese interessato a mettere basi solide per il proprio futuro.

Al contrario, far scadere le scelte di lavoro, di autonomia e di formazione di una famiglia delle nuove generazioni porta progressivamente tutta la società e l’economia a implodere. Il rischio per i giovani di perdersi – non solo nel passaggio dalla scuola al lavoro ma, più in generale, nella transizione piena alla vita adulta – è ancor più alto oggi che in passato. La maggior complessità delle società moderne avanzate, la rapidità dei cambiamenti, l’accentuata specializzazione di saperi e competenze, l’elevata competitività internazionale, la crescente pervasività dell’innovazione tecnologica, rendono infatti più difficile orientarsi nelle scelte formative, più instabile il percorso professionale, più incerta la realizzazione dei propri obiettivi di vita.

L’incertezza che grava sul futuro dei giovani italiani è, inoltre, accentuata da una delle peggiori combinazioni in Europa delle seguenti tre ‘i’: invecchiamento demografico, indebitamento pubblico e instabilità politica. La crisi economica ha peggiorato questo quadro, in modo particolare per le nuove generazioni, frenando ancor più i loro progetti. Ma forte è il timore che le condizioni continuino a essere penalizzanti anche dopo la crisi, facendo scivolare il Paese in un percorso di bassa crescita. Non a caso, nell’impoverimento generale delle scelte professionali e di vita dei giovani italiani, la decisione cresciuta maggiormente nell’ultimo decennio è stata quella di cercare migliori opportunità altrove. La percezione di vivere in un contesto che non incentiva a dare il meglio delle proprie capacità e offre meno possibilità di valorizzazione rispetto ai coetanei degli altri Paesi europei si è molto consolidata negli ultimi anni.

Secondo i dati del Rapporto giovani dell’Istituto Toniolo, oltre tre giovani su quattro concordano con l’affermazione che, a parità di formazione, le opportunità di lavoro e realizzazione siano maggiori oltre confine (contro meno del 10% dei coetanei tedeschi). Più in generale, il ritratto che ne esce è quello di una generazione intrappolata in un presente insoddisfacente o in fuga.

A testimoniarlo sono i dati dell’enorme crescita dei Neet (under 35 che non studiano e non lavorano) e del saldo negativo tra laureati (e non solo) che lasciano il Paese e quelli che (ri)attraiamo. Entrambi questi indicatori si sono posizionati su livelli tra i peggiori in Europa. Coerentemente con tutto ciò, sono aumentati negli ultimi anni i divari nel rischio di povertà tra famiglie con persona di riferimento under 35 e over 65, a forte discapito delle prime. Lo stesso crollo della natalità è in larga parte conseguenza della condizione bloccata degli attuali giovani-adulti. In questa prima parte del XXI secolo le nuove generazioni italiane hanno, così, visto allargarsi tre divari. Il primo è quello nei confronti delle generazioni precedenti, non tanto relativamente ai livelli di benessere di partenza quanto alla possibilità di migliorare le proprie condizioni rispetto ai propri genitori.

Questo rende i giovani italiani più dipendenti dal benessere accumulato dalle generazioni precedenti che soggetti attivi di costruzione di nuovo benessere individuale e collettivo. Il secondo, come abbiamo già sottolineato, è il divario rispetto alle condizioni e alle opportunità dei coetanei degli altri Paesi europei. Il più importante è, però, il terzo divario (che se risolto sanerebbe anche i due precedenti): quello tra propri desideri e aspettative (ciò che vorrebbero poter essere e riuscire a fare), da una parte, e possibilità di effettiva e piena realizzazione, dall’altra. Un divario che rispecchia quello tra potenzialità (lasciate inespresse o sottoutilizzate) delle nuove generazioni e ciò che il Paese offre loro (in termini di strumenti di policy, di opportunità nella società e nel mondo del lavoro).

Quello che davvero servirebbe, per superare questi divari è un cambiamento culturale che sposti i giovani dall’essere considerati come figli destinatari di aiuti privati dalle famiglie a membri delle nuove generazioni su cui tutta la società ha convenienza a investire in modo solido, attraverso coerenti politiche attivanti e abilitanti. Questo significa aiutare i giovani a non dover contare solo sulla famiglia di origine ma a rendere il proprio capitale sociale e umano valore aggiunto per la costruzione del proprio stare e agire con successo nel mondo adulto. Sempre i dati del Rapporto giovani evidenziano come lo scadimento delle aspettative verso il futuro si sia accompagnato a una forte erosione della fiducia nelle istituzioni pubbliche. La stragrande maggioranza degli under 35 intervistati boccia, in particolare, i partiti, ma non risparmia banche e sindacati.

Al contrario, i valori più elevati di credibilità vengono attribuiti alla ricerca scientifica, al volontariato, agli ospedali, alle forze dell’ordine, alle piccole e medie imprese e alla scuola. Viene, insomma, attribuito maggior affidamento al ‘Paese reale’, a chi quotidianamente lo fa funzionare, nonostante contraddizioni e difficoltà. È interessante come, al di là della fiducia nelle relazioni più strette (in particolare quelle familiari), i valori più elevati vengano assegnati alla ricerca scientifica e al volontariato. A indicare come le nuove generazioni intravedano e sperimentino nell’innovazione tecnica e nell’impegno sociale (ancor più nella loro combinazione) spazi di un proprio protagonismo positivo.

Il ruolo delle nuove generazioni è quello di andare oltre il presente, il compito della comunità in cui vivono è incoraggiarle e sostenerle nel farlo. Devono poter essere riconosciute come nuovo di valore, e messe a loro volta in grado di generare nuovo di successo nel mondo, dal punto di vista demografico e non solo. Come ben messo in luce nello stesso Instrumentum laboris per il Sinodo sui giovani, presentato proprio ieri, devono poter contaminare positivamente (con le loro specificità, la loro visione del mondo, i propri desideri) la società, il mondo del lavoro, le istituzioni politiche, la Chiesa. Su queste pagine è stato pubblicato un accorato appello del presidente della Cei cardinale Bassetti a superare la crisi sociale e politica della «nostra diletta Italia», per il «bene delle famiglie, dei giovani e dei figli del popolo italiano».

Questo invito a prendere a cuore le sorti dell’Italia non può considerare i giovani come destinatari passivi. Solo ciò che risulta convincente e coinvolgente verso le nuove generazioni può aver successo nell’immaginare e costruire un futuro diverso, non allineato al ribasso a ciò che oggi ai giovani manca, ma commisurato al meglio di quanto essi possono dare. Perché ciò avvenga è necessario rafforzare il senso di appartenenza a un destino comune e sviluppare una visione comune di un futuro possibile e desiderato da realizzare. Questo significa anche cambiare l’approccio verso il presente, passando dal considerarlo come il tempo della difesa del benessere passato al renderlo il tempo delle scelte individuali e collettive che impegnano positivamente verso la costruzione di benessere futuro. Mettendo le nuove generazioni solidamente al centro di tale presente.

da Avvenire

Nasce Cemi, a Milano la Borsa delle commodity agroalimentari

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Nasce Cemi, la Borsa Internazionale dedicata alle Commodity Agroalimentari che avrà sede a Milano.

La nuova Borsa milanese, che verrà tenuta a battesimo il 22 giugno a Milano, ha l’obiettivo di inserirsi nel calendario dei più importanti appuntamenti internazionali del settore, incontri che si tengono con cadenza annuale in città come Parigi, Kiev, Praga, Sète, Barcellona, Budapest, Vienna. In Italia infatti, nonostante l’attività settimanale delle singole Borse, manca un incontro di specifico respiro internazionale per tutti gli operatori del settore.

“Con l’organizzazione di Cemi, abbiamo raccolto l’esigenza da parte di tutti gli operatori delle commodities di un incontro italiano – spiega Alessandro Alberti presidente dell’Associazione Granaria di Milano – “Le commodities agroalimentari per il mercato italiano nel 2017 hanno significato importazioni di 20milioni e mezzo di tonnellate ed un valore di 5,32 miliardi, a fronte di esportazioni di prodotti corrispondenti, carni escluse, per quasi 5milioni di tonnellate ed un controvalore di 3,4 miliardi. Un flusso continuo di prodotti necessario alle esigenze dell’industria alimentare italiana, e che in larga parte non siamo in grado di produrre in Italia anche per mancanza di terra”.

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55% italiani riscopre l’alimentare sotto casa

Confcommercio, 55% italiani riscopre l'alimentare sotto casa © ANSA

ROMA – Il 55% degli italiani riscoprono il piacere di fare la spesa sotto casa, scelgono il negozio alimentare di quartiere che si è innovato: si è alleato con l’online, è sempre più specializzato dove magari si può anche mangiare gourmet. E’ quanto emerge dal convegno di Confcommercio e Fida, Federazione del dettaglio alimentare, che mette in evidenza le nuove abitudini degli italiani scaturite dalle trasformazioni degli ultimi anni; dal progressivo invecchiamento della popolazione, all’incremento di divorzi e separazioni, dall’aumento dei single e dell’immigrazione al boom dei consumi fuori casa.

Nuove tendenze demografiche e sociali che hanno portato alla crisi dell’offerta alimentare non specializzata, in particolare degli ipermercati che, secondo i dati Confcommercio, hanno perso in 10 anni il 22% di produttività; e se le superfici della Grande distribuzione e della Distribuzione organizzata hanno smesso di crescere, il discount abbandona la versione ‘hard’ aggiungendo qualità e servizi. Cosi le grandi insegne invertono la marcia rispetto agli ultimi 30 anni e riscoprono il valore della prossimità̀, aprendo punti di vendita più piccoli e a maggior livello di servizio nei centri cittadini. Quanto ai dati, secondo un sondaggio Confcommercio-Format il negozio di quartiere specializzato raggiunge il massimo indice di soddisfazione dei consumatori per la qualità del prodotto fresco, per la cortesia e la competenza del personale. Quanto alla spesa on line è ancora marginale in Italia, con appena lo 0,5% del totale contro il 6% della Francia ma è destinato a crescere.

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Caffè sveglia anche i circuiti genetici

Costruito il primo circuito di Dna sintetico controllato dalla caffeina (fonti: doppia elica: Pngimg; tazzina di caffè: Pexels) © Ansa

Il caffè riesce a svegliare anche i circuiti genetici. Lo dimostrano i test di biologia sintetica nei quali la caffeina è stata utilizzata per attivare il circuito che regola ilivelli di glucosio nel sangue, costruito in laboratorio e trasferito in un topo nel quale era stato riprodotto il diabete umano di tipo 2, che nel mondo colpisce 400 milioni di persone. Il risultato, pubblicato sulla rivista Nature Communications, è stato ottenuto dal gruppo del Politecnico di Zurigo coordinato da Martin Fussenegger.

Per verificare se la caffeina era effettivamente in grado di controllare il livello del glucosio i ricercatori hanno progettato e costruito in laboratorio un circuito genetico sintetico chiamato C-Star (caffeine-stimulated advanced regulator) che risponde alla caffeina contenuta nei prodotti normalmente in commercio e che produce una molecola utilizzata per la terapia del diabete di tipo 3. Trasferito nei topi, il circuito genetico ha aiutato a controllare il livello del glucosio, con l’aiuto della caffeina.

I ricercatori precisano che si tratta di una prova di principio e c’è ancora molto da fare prima che questo approccio possa essere sperimentato nell’uomo, ma senza dubbio è la dimostrazione che è possibile modificare i circuiti genetici in modo che possano essere controllati da sostanze molto comuni, come la caffeina. E’ anche la dimostrazione, scrivono i ricercatori, di come in futuro la biologia sintetica potrà essere utilizzata in campo biomedico in modo minimamente invasivo e senza modificare lo stile di vita.

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