Marta, 25 anni: «Confrontarsi con persone che non la pensano come te è difficile all’inizio ma dopo può far nascere grandi amicizie legate all’essenziale»

Nel nostro cammino di avvicinamento al Sinodo, nel corso dei mesi scorsi, abbiamo condotto diverse interviste a vari giovani sui temi del documento preparatorio. Questo mese abbiamo rivolto alcune domande sul tema del discernimento a Marta, milanese, 25 anni, neolaureata in scienze motorie e allenatrice di pallavolo

La Chiesa ha sempre affermato l’importanza – nell’ambito delle scelte – di un processo di discernimento e di chiarificazione degli eventi della propria vita tramite segni in essi contenuti. Cosa significa, che senso ha per te l’atto del ‘discernimento’?

Il discernimento è la capacità di formulare un giudizio e quindi di compiere una scelta. Significa prendersi del tempo per fare ordine nella propria testa, per rileggere gli eventi passati, per pianificare che cosa potrebbe succedere in futuro in base alle scelte che si potrebbero prendere. È fare luce e riordinare i propri pensieri in maniera critica e costruttiva. È, ovviamente, fondamentale nelle scelte importanti della propria vita, quando si è in principio ad un bivio, con la consapevolezza che vi è sempre possibilità di tornare indietro. Da non sottovalutare anche nei momenti non decisivi, bisognerebbe prendersi del tempo per giudicare qualsiasi tipo di esperienza vissuta.

Hai mai provato ad ascoltare silenziosamente e a far affiorare alla luce il “gusto” di emozioni, affetti e desideri prodotti dagli eventi della vita e che si agitano e lottano dentro la tua interiorità profonda? Cosa è successo? Cosa è emerso?

Certo, ho provato, e spesso è difficile riuscire a dare il giusto posto alla razionalità (cosa è giusto fare) e alla emotività (cosa vorresti fare), come spesso si cita “il cuore ha ragioni che la ragione non conosce”. In quel caso, il mio discernimento, innanzitutto ha avuto bisogno di moltissimo tempo, un anno circa, in cui sono riuscita a mettere ordine sia nella testa che nel cuore, parlando con tantissime persone (fra cui me stessa), fino al momento in cui non è stato più possibile non scegliere, dopo aver maturato un giudizio mai certo, ma reale, gonfio di desideri, emozioni, paure, fatiche ecc. Arrivi ad un punto in cui o la va o la spacca, e a me…. È andata!

Hai mai provato a comprendere ed interpretare l’origine e il senso di tali orientamenti? Cosa ne è risultato?

Quando mi confronto con persone a me care con vite e idee diverse, alcune volte mi rattristo perché non la pensano come me ed è più difficile, alcune volte sono felice perché mi aiuta a diventare sempre più certa di quello in cui credo. Confrontarsi soprattutto con persone che non la pensano come te è difficile all’inizio ma dopo può far nascere grandi amicizie legate all’essenziale.

Ti sei mai confrontato con qualche etica laica o testo sacro – oppure con tue scelte precedenti – per ‘costringerti’ a non minimizzare, ma a valorizzare o a rivedere ciò che stava emergendo?

Si, in particolare parlando con parenti e amici sulla scelta tra convivenza e matrimonio, sull’aborto e matrimoni tra persone dello stesso sesso. Dando le mie motivazioni sul mio pensiero in linea con quello della Chiesa, spero, vado più a fondo della mia vocazione cristiana.

VINONUOVO.IT

La grande famiglia o quella piccola piccola La scelta dell’una o dell’altra dipende dai nostri gesti di condivisione o di divisione.

CAINO E ABELE

(Tilmann Krumrey, 2010, Germania)

 

«Chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre». Mc 3,20-35

 

Dopo un’opera incentrata sull’attenzione verso ogni persona, eccone una – di segno opposto – sul primo omicidio della storia, seguito dall’imprescindibile declinazione di responsabilità («Sono forse io il custode di mio fratello?»). Un gesto compiuto non per il male ricevuto ma per il bene che l’altro ha fatto: causato, dunque, dall’occhio cattivo con cui l’altro viene guardato.

Odiare l’altro «per il bene che ha fatto e per le sue qualità che si vorrebbe avere e non si hanno» – fa osservare Enzo Bianchi – «è il peccato che distrugge famiglie e comunità, il peccato biblico di Caino, di Esaù, dei fratelli di Giuseppe». E distrugge pure chi lo commette, aggiunge Tilmann Krumrey, lo scultore e scenografo che, non limitandosi a rappresentare il delitto, mostra l’autolesionismo di chi fa il male.

Pur non citando espressamente Caino, le letture odierne ne ricordano i genitori, che non si fidarono di Dio preferendo separarsi da lui e fare da soli. Dando poi la colpa ad altri: Adamo a Eva (e a Dio che gliel’aveva messa accanto), Eva al serpente. A conferma del fatto che il piacere del male è sempre quello di dividere, di pensare che«meno siamo, meglio stiamo», di non amare le new entries e di temere chi si allarga.

È la paura delle autorità religiose, che, non sopportandone altre, accusano Gesù d’essere un indemoniato e di seminare divisione. Ed è la paura della famiglia naturale di Gesù, quando lo giudica «fuori di sé» e vorrebbe che si ridimensionasse.

Quindi, anziché lasciarci turbare dalle parole dure di Gesù e ritenerle un ripudio della famiglia, leggiamole non in un’ottica di divisione, ma di condivisione. Di proiezione, cioè, verso una famiglia più larga, meglio se la più larga possibile. Quella dove tutti sentono d’essere figli dello stesso Padre e quindi fratelli. Quella piena di gente che lavora per fare la volontà di Dio, quand’anche avesse un’altra età, un altro luogo di nascita (e quindi un’altra lingua), un’altra storia, un altro colore di pelle, un’altra idea politica, un’altra squadra del cuore… E quand’anche i familiari non fossero sempre simpatici…

La famiglia che dice «Padre nostro», invece di spargere zizzania e odio, ha da impegnarsi a riconoscere il bene, ad apprezzarlo e a donarlo per costruire pace.

vinonuovo.it