I consigli. Donne e percorso di carriera nella tecnologia

Stephanie Lynch-Habib, vicepresidente di Colt

Stephanie Lynch-Habib, vicepresidente di Colt

Donne e lavoro: un rapporto difficile. Ancora poche le italiane che hanno un impiego. Spesso hanno un percorso di carriera più complicato dei colleghi e un reddito inferiore: -20% di differenza retributiva rispetto agli uomini, a parità di posizione professionale. In molti casi non vengono nemmeno aiutate se vogliono diventare mamme. Il tasso di abbandono è del 27% per le lavoratrici dopo il primo figlio. Ciò è dovuto alla mancanza di un adeguato sostegno alle famiglie (asili nido, sgravi fiscali, incentivi all’occupazione), all’allungamento dell’orario di lavoro (40 ore in Italia; 35 ore in Francia e altri Paesi). Nonostante non sia un problema di lauree, qualifiche o diplomi: nell’istruzione e formazione il divario di genere è a favore delle italiane.

In alcuni casi, tuttavia, ci sono donne che raggiungono il successo e possono diventare un simbolo per le lavoratici. Come Stephanie Lynch-Habib, vice president e chief marketing officer di Colt Technology Services, un’azienda internazionale che fornisce servizi di rete, comunicazione e soluzioni a banda larga on-demand a livello mondiale in Europa, Asia e Nord America. Stephanie ha oltre 20 anni di esperienza nel settore delle telecomunicazioni, con una vasta esperienza finanziaria e di gestione grazie alla varietà di ruoli che ha ricoperto. Una donna con un’esperienza internazionale, con una lunga carriera professionale a livello dirigenziale alle spalle. E che può dare consigli alle donne sull’importanza di lavorare con il supporto di un mentore, di avere fiducia in se stesse (al di là delle proprie competenze, del talento e delle capacità di ciascuno), di crearsi una rete ampia sia all’interno che all’esterno dell’azienda per condividere idee, discutere le sfide e le esperienze, insomma fare rete.

«È in corso un’evoluzione importante – spiega Stephanie – sicuramente un passo positivo nella giusta direzione, ma c’è ancora molto da fare in questo Paese. Le ricerche ci dimostrano che è difficile per le donne in Italia beneficiare delle pari opportunità. Su 144 Paesi, l’Italia si colloca all’82° posto per pari opportunità sul lavoro e in politica, nell’istruzione e nella sanità, e rispetto alla classifica dello scorso anno è scesa di 32 posizioni e di 41 dal 2015, collocandosi molto al di sotto dei Paesi dell’Europa settentrionale, che sono i primi a livello mondiale. Di fatto, l’Italia supera in classifica soltanto la Repubblica Ceca, Cipro, Malta e Ungheria. Una delle ragioni principali è la mancanza di un sistema di sostegno sufficiente per le donne che le aiuti a trovare un certo equilibrio tra vita familiare e professionale».

Guardando ancora le statistiche, un ambito in cui l’Italia ha ottenuto un punteggio elevato è quello relativo all’istruzione superiore: il Belpaese vanta un numero di donne nell’istruzione terziaria notevolmente superiore rispetto agli uomini. Nonostante ciò, ci sono ancora sostanziali differenze nella concezione del ruolo della donna tra Nord e Sud Italia; sono dovute a diversi fattori, storici e culturali, ma questa mentalità a mio avviso dovrebbe cambiare.

«Per quanto riguarda la ricerca del lavoro – continua la manager – le donne possono beneficiare appieno delle piattaforme social: credo fermamente nel networking, nel potere di condividere idee, progetti, sfide e best practices. Grazie alla ‘società digitale’, le risorse umane possono anche cercare proattivamente talenti nelle nuove generazioni per incoraggiare e sostenere i loro percorsi di carriera, anche in ambito tecnologico. Sicuramente, non è semplice abbattere i preconcetti e i pregiudizi che ancora permangono quando si parla di scegliere il giusto candidato per una determinata posizione. Infatti, non è una novità che ci sia in generale meno propensione nell’assumere le donne rispetto agli uomini, anche quando i candidati hanno le stesse identiche qualifiche. I datori di lavoro privilegiano gli uomini non perché siano vittime di pregiudizi nei confronti delle donne, ma perché hanno la percezione che in media gli uomini svolgano meglio certi compiti. Dobbiamo trasformare questa mentalità per far sì che i datori di lavoro comprendano e valutino il motto: “la persona giusta al posto giusto”. Bisognerebbe pensare ad assumere le persone migliori, indipendentemente dal genere e le donne hanno bisogno di sentirsi responsabilizzate per contribuire in modo importante nei loro rispettivi campi di attività. Inoltre, ci dovrebbero essere cambiamenti anche nel sistema di benefit legati al mondo femminile: penso ad esempio al periodo della maternità, al congedo per malattia e alla regolamentazione in generale, in modo da sostenere le donne lavoratrici nel loro percorso professionale e far sì che ci sia il giusto work-life balance. Il mercato sta cambiando rapidamente e le aziende devono creare politiche sociali e benefici per soddisfare i millennials e le esigenze delle giovani donne. Dall’altro lato, i candidati dovrebbero prepararsi bene e offrire argomentazioni valide a supporto della loro abilità nel superare determinate idee preconcette che alcuni datori di lavoro potrebbero avere».

Da sottolineare anche che la legislazione sulle pari opportunità è stata varata in Italia a seguito di analoghe iniziative in altri Paesi europei. Negli anni ‘70 la legge ha sancito il principio di uguaglianza nei vari ambiti della vita sociale e lavorativa. In Italia le imprese che assumono 15 o più persone sono tenute a segnalare le disparità nelle statistiche retributive tra uomini e donne. Non c’è da stupirsi della disparità salariale tra i due sessi. Dopo tutto, si tratta di una tradizione secolare. Inoltre, i datori di lavoro non sono tenuti a rivelare i dati granulari per la retribuzione di ruoli simili. Esistono politiche europee per le pari opportunità in Europa, ma il divario di genere sul posto di lavoro è ancora molto forte. Molti Paesi europei e gli Stati Uniti mantengono una buona posizione per quanto riguarda le pari opportunità sul lavoro, ma questo gap potrebbe avere un impatto ancora maggiore in Paesi come l’Italia e la Spagna.

Le tutele legali in Italia si applicano per lo più alle aziende con più di 15 dipendenti. Il testo di legge prevede la tutela della maternità (fino a 12 mesi) e del matrimonio. Un altro vantaggio è l’elevato numero di giorni di ferie, che si traduce in più tempo per le donne. Inoltre, la legislazione sul lavoro agile in Italia è ormai una realtà e viene adottata da un numero crescente di aziende. Molte persone stanno approfittando della flessibilità nel lavoro. «In Colt – sottolinea – abbiamo un programma di Csr, responsabilità sociale di impresa, strutturato e campagne per sostenere luoghi di lavoro sicuri e diversificati, in tutti i Paesi, in tutto il mondo. Sono in Colt da 18 mesi e sono molto contenta di vedere che c’è una grande attenzione verso questi aspetti: flessibilità, unita alla produttività. In Colt ci sono molte iniziative per incoraggiare e aiutare i dipendenti a trovare un buon equilibrio tra vita lavorativa e vita privata, oltre a programmi di sviluppo per sostenere i dipendenti nel migliorare le proprie competenze professionali e personali. Questi includono iniziative per il benessere e la salute mentale, le policy di Colt per il lavoro flessibile, il mentoring e il counselling. Per quanto riguarda i benefit per le neo-mamme, in Colt Italia, l’attuale sistema, negoziato tra le organizzazioni sindacali e il datore di lavoro, prevede un congedo di maternità pari al 100%, durante il periodo facoltativo che dura fino a 6 mesi e diverse tipologie di supporto (possibilità di tenere il laptop e il telefono aziendale durante l’assenza, part-time per 3 anni dopo il rientro al lavoro; lavoro da casa).
Tutto ciò non va ad inficiare la produttività in alcun modo, e possiamo misurarlo in maniera quantitativa tramite specifici Kpi. Oltre alla flessibilità e alla produttività, siamo orgogliosi di vedere l’entusiasmo dei nostri dipendenti. Esiste un ecosistema positivo, in quanto le persone vivono il senso di appartenenza all’azienda. Infine, siamo orgogliosi delle nostre iniziative di Csr: Colt concede due giorni all’anno per attività di volontariato a ogni dipendente. Anche le generazioni più giovani sono molto consapevoli dei valori all’interno di un’impresa e vi è un chiaro vantaggio quando il lavoratore è in grado di riconoscersi nei valori aziendali».

Tra i consigli alle giovani donne italiane che vogliono lavorare oggi in settori tecnologici, Stepanie mette al primo posto la conoscenza avanzata di almeno una lingua straniera (soprattutto l’inglese). Le donne dovrebbero inoltre orientare il loro percorso di studi verso l’area Stem (acronimo di Science, Technology, Engineering and Mathematics) e creare una rete di contatti con le aziende per aumentare le loro possibilità di trovare il ruolo giusto, anche e soprattutto attraverso le piattaforme social. Infine, a mio parere, l’aspetto più importante è la passione per il proprio lavoro: se la si possiede, diventa molto più facile raggiungere gli obiettivi prefissati. «Non si deve attendere che qualcosa accada – conclude la manager -. Credo piuttosto che le donne debbano essere coraggiose e audaci nel fissare obiettivi e priorità, e pianificare la propria strada. Il mio consiglio è di creare una propria strategia personale per raggiungere il successo, e di circondarsi di persone che possano supportarla al meglio, come ad esempio un mentore o un tutor. Inoltre, un altro fattore importante è considerare l’esperienza in diversi settori come qualcosa di estremamente positivo, in quanto aiuta ad ampliare la mente, e rappresenta un’occasione di arricchimento utile per la propria personale realizzazione lavorativa».

ansa

Santi. Perché i cristiani hanno sempre venerato le reliquie dei testimoni del Vangelo

L'ampolla contenente il sangue di Sa Giovanni Paolo II

L’ampolla contenente il sangue di Sa Giovanni Paolo II

Nei giorni in cui le reliquie di Giovanni XXIII sono tornate (fino al 10 giugno) nella sua casa di Sotto il Monte, a Bergamo, ecco una riflessione sulla venerazione cristiana delle reliquie.

Ci si chiede quale può essere la ragione teologico-pastorale del peregrinare ai luoghi dove i santi hanno svolto la loro missione o raccogliere e venerare il loro corpo. Tra le varie ragioni teologiche ve ne sono alcune che hanno le loro radici nella cristologia di prospettiva metastorica ed escatologica. Noi partiamo da questa.

Il Verbo divino per espletare il piano salvifico del Padre prende umana carne, e la persona del Verbo ha in sé,realiter , la natura umana e acquisisce anche un’anima umana, come sottolinea il Concilio di Calcedonia. La fisicità del Verbo, vero figlio unigenito di Dio e vero figlio di Maria, vive la sua missione in quella corporeità e umanità riconosciuta e individuata come la personalità del rabbi galileo, che ha toccato e sanato i malati, ha dato speranza ai disereda- ti e ai peccatori, è entrato nella casa di Zaccheo ( Lc 19,1-10) e di Marta e Maria ( Lc 10,38-42) e ha, con i suoi, frequentato i momenti di gioia, come a Cana di Galilea ( Gv 2,1-11), e di sofferenza, come l’incontro con il figlio defunto della vedova di Naim ( Lc 7,11-17) e la figlia di Giairo ( Mc 5,2124.35-43). L’umanità di Gesù Cristo fu determinante nel piano divino in tutta la sofferenza e umiliazione della Passione sino alla tragedia della croce. Sul Calvario, dice san Tommaso, « latebat sola deitas ».

Il Concilio di Calcedonia, esaminata la rivelazione e la tradizione, ci garantisce che Cristo fu vero uomo in anima e corpo. Ed è proprio per il mistero dell’unione ipostatica, cioè delle due nature nell’unica persona del Verbo, che ha potuto realizzarsi la redenzione dell’umanità impoverita dalla colpa adamitica. Il corpo esanime del Crocifisso è visitato dopo la parasceve e la Pasqua ebraica dalle donne ( Mc 16,1-8) per onorarlo con i riti della tradizione. Ma il sepolcro è vuoto e il corpo risorto diventa presenza e speranza per gli Apostoli che saranno testimoni del Risorto. I cristiani sin dei primi secoli onoreranno i corpi dei martiri in virtù proprio del fatto che con il Battesimo e l’intera economia sacramentale, il corpo del cristiano ha cooperato al progetto di grazia dell’itineranza cristiana e quindi, oltre ad essere il tempio della Trinità, è stato lo strumento materiale per una realizzazione della teofania individuale, cioè di “quel cristiano” nella sua realtà storica.

L’onorare dunque il corpo sepolto di un santo significa richiamare il modo come questi ha risposto al progetto di Dio e porsi alla sua scuola, per rendere la propria vita illuminata dallo stile con cui quel santo ha vissuto. Anche i luoghi dove egli è stato e ha onorato Dio divengono eloquenza di conversione e di grazia.

L’accoglienza o il pellegrinaggio presso i corpi dei santi o i luoghi della loro vita o della loro missione vanno letti proprio in questa luce cristologica, in prospettiva di una vita da realizzare “nascosta” con Cristo in Dio, come fu la vita di questi fratelli e sorelle che in modo egregio hanno testimoniato la forza e la tenerezza dell’essere di Cristo, con Cristo e per Cristo nella strada della storia. Si tratta allora di “toccare con mano”, attraverso la presenza della carne mortale, quella dinamica dello Spirito che ha saputo, dalla fragilità della carne, rendere efficacemente presente quella essenzialità del vivere il Vangelo, in cui i contenuti della fede nelle scelte, grazie anche alla corporeità di quel credente, hanno qualificato l’essenzialità dell’essere persona umana, irrorata dalla dimensione della vita divina che ha segnato anima, tempo, spazio e luogo.

Potremmo concordare con Karl Rahner quando parla di una teologia esistenziale-soprannaturale. Nell’accostarci al corpo e ai luoghi dei santi infatti noi facciamo esperienza con l’esistenziale “consumato” da quel cristiano, che è stata la sua determinazione esistenziale – come direbbe Heidegger – autentica e piena della persona di fronte al rivelarsi e al donarsi del Signore. Questa esistenzialità può essere realmente definita soprannaturale, in quanto coincide con la donazione attiva da parte di Dio e della donazione passiva da parte dell’uomo, che ha accolto la vita di grazia. In questa dinamica di donazione passiva, l’uomo, oltre a segnare il tempo e lo spazio per sé del vivere secondo Dio, lascia una scia di testimonianza, perché dalla sua scelta altri possano beneficare e donare alla storia, come richiama Metz, le vestigia di una teologia esemplare, che orienta e determina la santità di un luogo.

Il recarsi e l’accogliere le spoglie mortali di colui che del progetto divino ha segnato il suo vivere, è concreta opportunità sia di dare gloria a Dio, per averci donato in questo fratello/ sorella l’epifania della sua misericordia, che di realizzare una prospettiva per raccogliere il testimone e continuare nella storia la “stigmata” che porterà a “cieli nuovi e terre nuove” in quella escatologia parusiaca dell’evento glorioso di Cristo, nel suo “giorno definitivo” che è luce di verità.

avvenire

2 giugno. Auguri del neopremier Conte agli italiani: «Festa di noi tutti»

Auguri del neopremier Conte agli italiani: «Festa di noi tutti»

Il 2 giugno «è la festa di noi tutti, tanti auguri a tutti», dice il neo premier Giuseppe Conte rispondendo al cronista dell’Ansa che sulla porta di casa gli chiede un pensiero per gli italiani. Conte è poi partito con la scorta alla volta delle celebrazioni per la festa della Repubblica. La formazione del nuovo governo, che ieri
ha giurato al Quirinale, regala l’immagine di un nuovo “quintetto” nella tribuna d’onore, in occasione della parata militare ai Fori Imperiali, appuntamento clou per la Festa della Repubblica.

Accanto al capo dello Stato Sergio Mattarella, siedono i presidenti dei due rami del Parlamento, Maria Elisabetta Alberti Casellati del Senato e Roberto Fico della Camera e il neo premier Giuseppe Conte,
tutti alla loro prima “sfilata” istituzionale, assieme al presidente della Corte costituzionale Giorgio Lattanzi che completa le presenze delle alte cariche della Repubblica.

In prima fila nella tribuna d’onore, anche i due vicepremier: Matteo Salvini ministro dell’Interno e Luigi Di Maioministro del Lavoro. Per il governo, anche i ministri della Difesa Elisabetta Trenta e della Giustizia Alfonso Bonafede, il presidente dell’Europarlamento Antonio Tajani, esponenti politici, vertici militari e delle forze dell’ordine, il governatore della Regione Lazio Nicola Zingaretti e Virginia Raggi sindaco di Roma.

Mattarella: libertà e uguaglianza pilastri società
I «valori di libertà, giustizia, uguaglianza fra gli uomini e rispetto dei diritti sono il fondamento della nostra società ed i pilastri su cui poggia la costruzione dell’Europa. Dalla condivisione di essi nasce il contributo che il nostro Paese offre alla convivenza pacifica tra i popoli ed allo sviluppo della comunità internazionale». Così ilpresidente della Repubblica Sergio Mattarella in un messaggio al capo di Stato Maggiore della Difesa, Generale Claudio Graziano, in occasione del 2 giugno, sottolineando come la Carta sia «architrave delle Istituzioni e supremo riferimento per tutti».

Salvini con la coccarda tricolore sulla giacca
Il neo ministro dell’Interno Matteo Salvini, sul bavero della giacca sotto la tradizionale spilletta leghista di Alberto da Giussano, si è appuntato la coccarda tricolore indossata da tutti le autorità presenti alla sfilata del 2 giugno ai Fori Imperiali.

Di Maio: al lavoro, possiamo fare la differenza
«Già da oggi pomeriggio sarò al lavoro al ministero, così come tanti altri ministri. Credo che possiamo fare veramente la differenza. Saranno i cittadini a giudicarci, non facciamo annunci. Siamo una bella squadra, molto affiatata e possiamo lavorare bene insieme». Lo ha detto il neo ministro al Lavoro, Luigi Di Maio, arrivando alle celebrazioni per il 2 giugno in via dei Fori Imperiali.

Berlusconi: formula inedita e contraddittoria
«La Festa della Repubblica quest’anno cade in un momento particolarmente difficile, al termine della crisi politica e istituzionale più complessa dal dopoguerra che vede alla luce una formula di governo inedita e anche contraddittoria, una formula di governo non scelta dagli italiani con il voto e che deve conciliare valori e programmi diversi se non addirittura opposti, all’insegna del populismo». Lo afferma Silvio Berlusconi in un videomessaggio in occasione della Festa della Repubblica.

avvenire

Musica. Mogol: l’arte di vivere in una canzone e nella preghiera

Mogol: l'arte di vivere in una canzone e nella preghiera

È forse il destino precipuo della poesia l’essere collocata a mezza altezza, fra cielo e terra. Esiste una parola greca che esprime alla perfezione questo stato in luogo intimamente lirico, metaxù, “a metà” tra il sensibile e il sovrasensibile. È il luogo intermedio occupato da Diotima nel Simposio. E non è un caso che la canzone d’autore, da sempre allineata ai maggiori temi della poesia, riprenda spesso tale fisica: si pensi a The Rising di Bruce Springsteen, tradotto come la “resurrezione” o, in modo più letterale, il “sollevarsi”. Cioè, non semplicemente risalire la china, ma essere risospinti alla luce, innalzarsi, guadagnare il punto ibrido del qui e dell’oltre. Uno dei più bei pezzi della musica leggera italiana non è altro che un’esortazione a raggiungere quel luogo privilegiato, capace di elevare l’intera esistenza, La collina dei ciliegi: «Ma perché tu non ti vuoi azzurra e lucente?», «e più in alto e più in là / ora figli dell’immensità». Per riprendere solo alcune preziose espressioni della canzone. La geolocalizzazione della donna, in accordo con la più fragrante tradizione poetica del nostro Paese è lì, in quello spazio sopraelevato.

L’uomo che ha dato parola ai modernissimi arrangiamenti di Battisti è stato da poco premiato, dal rettore Vilberto Stocchi, con il Sigillo d’Ateneo dell’Università di Urbino. Giulio Rapetti Mogol, celebre paroliere e discografico, nella sua briosa lectio magistralis sul pop e i suoi derivati, aveva evidenziato come «a differenza della musica classica, la canzone popolare cammini verso la vita. L’obiettivo di Elvis Presley era di far innamorare le donne. Faceva leva sulla loro percezione materna. Le commuoveva. E così rendeva credibili le emozioni messe in campo nella performance. Anche Sinatra ha chiuso il fraseggio nella gabbia di un dire più fluido, meno manieristico. Il cantato si è avvicinato, in questo modo, al parlato».

Le canzoni sue e di Battisti sembrano non invecchiare mai.

«Guardi, Battisti cantava come si canta nel mondo d’oggi. È la sua assoluta contemporaneità. Eppure a X Factorvincono ancora tenori che, con un urlo, spaccano le lampadine. Ma la misura è fondamentale nell’arte. Da parte mia ho cercato, sin dagli inizi, di capire dove stesse andando il pop, quali vie percorresse. E ho iniziato a seguire, poeticamente, quella strada. Mi sono relazionato sempre alla vita quotidiana della gente, alle sensazioni soggettive, alle mie esperienze. Non ho mai fatto fiction. Ho cercato di osservare cosa mi stava accadendo intorno, tenendo gli occhi fissi sul “senso” della musica. Se una frase può dire certe cose, non può dirne di altre. Allora, è necessario essere precisi. Bisogna trovare la maniera giusta di esprimere i sentimenti».

Qual è la poetica di Mogol?

«Il mio modo di scrivere è cambiato dagli esordi. Ora mi dirigo sempre di più verso la vita, verso le sue contraddizioni, verso il significato delle cose. E scrivo in maniera estremamente sintetica. Ecco perché mi piace comporre aforismi: la sintesi è forse la base della poesia. Nella sintesi si riconosce, per così dire, l’afflato lirico. L’ultimo testo che ho scritto, per una ragazza di sedici anni, è brevissimo. Lo manderò a Sanremo, perché lei è straordinaria. Le poesie lunghe perdono sempre qualcosa, si sfilacciano per strada. Non sono taglienti, non restano nella mente. La lunghezza non è la forma della poesia. A quest’analisi resiste solo Dante».

E quali sono state le sue letture? Quali autori l’hanno influenzata di più?

«Sono un lettore onnivoro. In giovinezza ho avuto una lunga infatuazione per Steinbeck. Hemingway è stato un vero maestro. E ho letto a lungo i poeti americani del primo Novecento, Edgar Lee Masters in primis, da cui ho appreso l’immediatezza espressiva. Della nostra tradizione mi hanno influenzato le rime di Dante, gli idilli di Leopardi e alcune liriche di Montale».

In Rinascimento, uno dei suoi ultimi testi, vuole “cercare qualche cosa di puro”. È ancora possibile nella società di oggi?

«È sicuramente possibile per gli adulti. La purezza, il legame con la spiritualità, sono cose che appartengono all’essere umano di ogni tempo. In ogni caso, bisogna cre- derci. E certamente dovremmo fare in modo che ai giovani sia fornito questo esempio, affinché possano immergersi ancora nella bellezza e nello splendore di ciò che è puro».

Vede un suo successore in giro?

«Non esistono successori. Il mio non è un trono che, un giorno, dovrò lasciare. Ovviamente ci sono in circolazione bravi autori che sono arrivati o arriveranno meritatamente al successo. Nel Cet (Centro europeo di Toscolano,ndr) che ho fondato in Umbria oltre venticinque anni fa ci sono corsi altamente qualificati per autori, compositori e interpreti. Dalla nostra scuola sono usciti ottimi autori, già affermati. E continueremo a farlo».

E ora la fatidica domanda: la canzone è poesia?

«Se Dylan non avesse cambiato il modo di cantare, forse non avrebbe meritato il Nobel per la letteratura. Con lui entrò in atto una vera e propria frattura tra ciò che è stata la canzone e ciò che è ora. Lui ha avvicinato il pop alla coscienza vera della poesia. In Like a rolling stone, ad esempio, è cinico, arrabbiato. Parla. Interpreta. Sputa sentenze. Chiude le frasi, contro lo strascico che apparteneva ai suoi predecessori. È decisamente sulla via della recitazione, della parola “detta”. E in più mette in gioco un sentire che è personale, ma nel quale tutti possono immedesimarsi».

Le manca Battisti?

«In settembre saranno vent’anni da quando Lucio ci ha lasciati. E, può immaginare, ormai mi sono abituato al fatto che mi manchi. Ma lo ricordo sempre con immenso affetto».

Qual è il suo rapporto con la spiritualità?

«Io prego, ho la fortuna di accedere a una relazione quotidiana con il Signore».

avvenire

Al XVI Convegno liturgico internazionale esperti a confronto con le nuove sfide dall’architettura sacra. Unendo teoria e pratica

Il Duomo e la basilica di San Pietro e Paolo ad Acireale

La città «è un fenomeno affascinante e ambiguo. Può rappresentare la forma più avanzata di civiltà e il luogo più temuto dove abitare perché dispersore di relazioni umane». Mario Abis, sociologo, docente alla Iulm, al Convegno internazionale di liturgia in corso a Bose, dedicato ad Architetture di prossimità, traccia un profilo mobile della città. Termine ampio sia perché sempre più la popolazione mondiale vive in ambito urbano (nel 2030 il 75% degli 11 miliardi di abitanti del pianeta, sarà nativo cittadino) sia perché il concetto si è così esteso da far perdere di senso distinzioni antiche come città e campagna. «Cambiano modelli di rappresentazione sociale durati per secoli. È un territorio fisico che esplode o implode, dentro il quale esiste la complessità sociale». Questa complessità si fonda sulla «relazione fra soggetti, comunità, segmenti urbani, nuove forme di territorio».

Cambia soprattutto la dinamica, viziata di pregiudizi, centroperiferia. «Questa tensione storica si frantuma in un mondo caratterizzato da nuovi processi di decentramento. È la ‘città-mondo’ di Augé, una città-infrastruttura inanellata di non-luoghi nei quali si innescano dinamiche che annullano la capacità di generare relazioni ». Ci sono però alcuni fenomeni che suggeriscono letture ulteriori. «Nella società postindustriale assistiamo a uno sviluppo elastico della comunità. I singoli individui esprimono scelte che includono la propria qualità di vita, gusti e bisogni. L’area metropolitana come è oggi concepita – concetto funzionale e non territoriale – si configura come centro di produzione di valore immateriale». Questi nonluoghi, «riempiti di funzioni sociali anche degenerate, ma sempre ricche di significato antropologico e di valore economico, si trasformano in iperluoghi, spazi non condizionati di sperimentazione condivisa». «Occorre avviare uno studio dei luoghi periferici – prosegue Abis – non solo come semplice accezione di territorio generato da un’espansione metropolitana ma come luoghi a sé stanti e complessi, eterogenei dal punto di vista economico, sociale, demografico».

Il segreto è vedere le periferie come micro-comunità con background specifici in grado di generare domande specifiche da parte della comunità che vi vive. «Esse rappresentano la ri- sposta creativa al problema imperante dell’individualità latente, nascosta dalla forte spinta omologante». La funzione elastica e diversificata del tempo diviene uno dei cardini principali nella costruzione di politiche di inclusione future. «La Chiesa, storicamente, è già attrezzata di strutture di prossimità che lavorano in questo senso, pensiamo agli oratori». Abis porta alcuni esempi in Italia di città e quartieri che sperimentano azioni di governance partecipata e processi legati alla creatività. Uno dei casi più interessanti, secondo il sociologo, è quello di Acireale, città alla “periferia” di Catania. È il parco culturale ecclesiale di Sicilia, Terre dell’Etna dell’Alcantara. Itinerari della Fede. «È un nuovo modello di sviluppo creativo in grado di creare sinergie tra cultura, arte e ambiente attraverso la valorizzazione dei beni culturali di proprietà della Chiesa, all’insegna di un rammendo architettonico che assume la connotazione di intervento amministrativo su più livelli. Il progetto trasforma i territori periferici in nuovi percorsi museali che possano divenire esempi di un rinnovato dialogo tra passato/presente, tradizione e innovazione. Assistiamo alla nascita di un partenariato tra mondo laico e mondo cristiano. Il valore espansivo e la portata di tale esperienza è resa possibile grazie e soprattutto alla credibilità e alla capillarità della Chiesa nel territorio italiano e dai valori sociali che essa ha sempre saputo diffondere anche nelle realtà più marginali». Questo modello rappresenta «il ruolo strategico della Chiesa anche di supplenza rispetto alle politiche urbane pubbliche, nel costruire modelli di sviluppo nel rapporto fra città, periferie, luoghi, individui e comunità».

avvenire

Famiglie. Adozioni, sbloccati 40 milioni

Una famiglia con figli adottivi (Ansa)

Una famiglia con figli adottivi (Ansa)

L’ultimo atto del governo Gentiloni è una bella sorpresa che si traduce in un atto di giustizia nei confronti delle coppie adottive. Un contributo di 40 milioni che servirà per i rimborsi relativi alle adozioni internazionali 2012-2017. A beneficiarne saranno 11.138 genitori che negli ultimi cinque anni hanno regalato il conforto affettivo e la stabilità educativa di una famiglia a 13.664 bambini che ne erano privi. «Il decreto era già stato firmato il 16 maggio scorso dalla sottosegretaria alla Presidenza del Consiglio, Maria Elena Boschi – spiega con soddisfazione la vicepresidente della Cai, Laura Laera – ma solo l’altro ieri la Corte dei conti ha dato il via libera ». E da oggi le coppie potranno trovare sul sito della Cai (Commissione adozioni internazionale) i moduli on line relativi alle procedure di rimborso.

Non si tratterà di una copertura totale delle spese sostenute ma solo di una prima tranche. D’altra parte solo fino a poche settimane fa gli enti autorizzati lamentavano il ‘buco’ relativo ai rimborsi dopo il 2011 e non c’era in vista alcuna ipotesi positiva. Alla fine però i fondi sono stati trovati e il governo ha deciso di ‘premiare’ in extremis le famiglie adottive. Una scelta che fa onore all’esecutivo uscente. Il tetto massimo per i rimborsi 2012-2017 è pari a 5mila euro, mentre per la fascia di reddito più alta sono previsti 3mila euro. Le domande potranno essere presentate a partire da oggi fino al 16 luglio. Nel frattempo sarà in Gazzetta Ufficiale il Decreto del presidente del Consiglio dei ministri e i rimborsi diventeranno operativi. I fondi andranno a coprire le spese legate alle procedure dell’adozione internazionale di quelle famiglie che hanno concluso gli iter adottivi o di affidamento pre-adottivo tra il primo gennaio 2012 e il 31 dicembre 2017. I rimborsi alle coppie, infatti, erano ancora fermi al 2011.

Da oggi le domande andranno presentate tramite il portale on line ‘Adozione Trasparente’. Non saranno prese in considerazione – si spiega sul sito della Commissione internazionale – le istanze di rimborso eventualmente inviate in questi anni. Quindi c’è la necessità di «formulare nuova istanza secondo le modalità specificate». La metà delle spese effettuate per completare un iter adottivo sono deducibili. Gli enti hanno lamentato la difficoltà di recuperare i dati delle pratiche più datate, quelle non ancora inserite nel nuovo portale, ma si tratta di difficoltà tecniche che – assicura la vicepresidente della Cai – verranno superate in una logica di collaborazione reciproca.

Dopo un triennio di stasi – per ragioni che ancora attendono di essere chiarite in modo soddisfacente – è il secondo sblocco di fondi a favore delle famiglie adottive ottenuto in meno di un anno da Laura Laera che, com’è noto, ha preso la guida della Cai nel maggio scorso. Nel giugno 2017 era stato sanato il pregresso fino al 2011, con circa 20 milioni di euro assegnati a 1.700 famiglie in attesa da oltre sei anni. La nuova, positiva svolta segna un passo avanti importante, anche sul piano della credibilità, nel progetto di rilancio dell’adozione internazionale. Certo, la crisi è tutt’altro che superata. Dal 2004 al 2016 le adozioni sono calate quasi dell’80% a livello mondiale. Mentre nel nostro Paese il crollo è stato ‘solo’ del 55%. Lo scorso anno sono stati 1.439 i bambini arrivati nel nostro Paese.

avvenire

Nel documento «Dare il meglio di sé» la riflessione sul rapporto tra Chiesa e sport. Il messaggio di Francesco: luogo di incontro, formazione, missione e santificazione

Il Papa sorridente con un pallone da basket

Il Papa sorridente con un pallone da basket

«Un luogo di incontro dove persone di ogni livello e condizione sociale si uniscono per ottenere un risultato comune». «Un ambito privilegiato» intorno al quale le persone si incontrano senza distinzioni di razza, sesso, religione o ideologia» con la possibilità di sperimentare «la gioia di competere per raggiungere una meta insieme, partecipando a una squadra in cui il successo o la sconfitta si condivide e si supera». «Un catalizzatore di esperienze di comunità, di famiglia umana». Quando vissuto nella sua dimensione migliore lo sport è tutto questo.

Lo sport, scuola per i giovani

Lo sport in oratorio (Siciliani)

Lo sport in oratorio (Siciliani)

Lo sottolinea il Papa nel messaggio inviato al cardinale Kevin Farrell, prefetto del Dicastero per i laici, la famiglia e la vita. Occasione per l’intervento del Pontefice è la pubblicazione del documento “Dare il meglio di sé. Sulla prospettiva cristiana dello sport e della persona umana”. Un testo, come precisato dallo stesso Farrell che è il primo specificamente dedicato allo sport. Infatti – spiega il porporato – fino ad ora, malgrado numerosi discorsi e convegni, «non esisteva ancora un Documento che raccogliesse il pensiero e i desideri della Chiesa cattolica relativi alla pratica sportiva, sia quella svolta a livello professionale sia quella di tipo amatoriale». Un’attività – aggiunge ancora il Papa nel suo messaggio – che svolge anche il ruolo di veicolo di formazione, in particolare per i giovani. «Sappiamo – continua Francesco – come le nuove generazioni guardano e si ispirano agli sportivi! Perciò è necessaria la partecipazione di tutti gli sportivi, di qualsiasi età e livello, perché quanti fanno parte del mondo dello sport siano un esempio di virtù come la generosità, l’umiltà, il sacrificio, la costanza e l’allegria. Allo stesso modo, dovrebbero dare il loro contributo per ciò che riguarda lo spirito di gruppo, il rispetto, un sano agonismo e la solidarietà con gli altri».

La sfida di dare il meglio di sé

E proprio questa attenzione agli altri e a dare il meglio di sé contribuisce a rendere lo sport «mezzo di missione e santificazione. La Chiesa – in questo senso – è chiamata ad essere segno di Gesù Cristo nel mondo, anche mediante lo sport praticato negli oratori, nelle parrocchie e nelle scuole, nelle associazioni» Perché l’attività sportiva «può aprire la strada verso Cristo in quei luoghi o ambienti dove per vari motivi non è possibile annunciarlo in maniera diretta; e le persone, con la loro testimonianza di gioia, praticando lo sport in forma comunitaria possono essere messaggere della Buona Notizia». Detto in altro modo «dare il meglio di sé nello sport è anche una chiamata ad aspirare alla santità». Un richiamo questo già espresso nella recente incontro pre-sinodale e bell’Esortazione apostolica “Gaudete et exsultate”. Occorre cioè approfondire la stretta relazione che esiste tra lo sport e la vita, perché possano illuminarsi a vicenda, «affinché lo sforzo di superarsi in una disciplina atletica serva anche da stimolo per migliorare sempre come persona in tutti gli aspetti della vita.Tale ricerca ci mette sulla strada che, con l’aiuto della grazia di Dio, ci può condurre a quella pienezza di vita che noi chiamiamo santità». Se lo sport va visto sempre come «ricchissima fonte di valori e virtù che ci aiutano a migliorare come persone», per «lo sportivo cristiano – conclude il Pontefice –, la santità sarà dunque vivere lo sport come un mezzo di incontro, di formazione della personalità, di testimonianza e di annuncio della gioia di essere cristiano con quelli che lo circondano».

Un documento che parla a tutti

Il cardinale Kevin Farrell, prefetto del Dicastero per i laici, la famiglia e la vita

Il cardinale Kevin Farrell, prefetto del Dicastero per i laici, la famiglia e la vita

Tornando al documento in sé, il cardinale Farrell ne ha sottolineato il carattere divulgativo e pastorale. «Non è un testo per studiosi o ricercatori, ma è una riflessione sullo stato dello sport oggi a cui si affiancano indicazioni e suggerimenti che indubbiamente potranno risultare utili non solo alle Conferenze episcopali e alle diocesi per sviluppare una pastorale dello sport, ma anche ai club amatoriali, alle associazioni dilettantistiche e ai singoli atleti per riflettere sulla vita cristiana e sul modo di praticare lo sport».Intitolato “Dare il meglio di sé. Sulla prospettiva cristiana dello sport e della persona umana” è strutturato in cinque capitoli: «il rapporto tra la Chiesa e lo sport (capitolo 1); una descrizione del fenomeno sportivo con un sguardo attento alla persona umana (capitoli 2 e 3); alcune delle sfide odierne che lo sport è chiamato ad affrontare (capitolo 4); la Chiesa e la pastorale dello sport (capitolo 5)».

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