Giro d’Italia che omaggia il campione italiano, esce un saggio in Francia sugli ebrei salvati da Gino Bartali il “Giusto”

Gino Bartali (1914-2000): durante l’occupazione nazista salvò centinaia di ebrei

Gino Bartali (1914-2000): durante l’occupazione nazista salvò centinaia di ebrei

Anticipiamo qui sopra stralci della prefazione dello scrittore francese Marek Halter – molto conosciuto anche in Italia per il suo appassionato lavoro di riscoperta e valorizzazione dell’identità ebraica – al libro appena uscito in Francia Un vélo contre la barbarie nazie. L’incroyable destin du champion Gino Bartali (Armand Colin, pagine 220, euro 17,90). Un volume scritto dal giornalista italiano Alberto Toscano che ricostruisce le gesta silenziose di Bartali per salvare gli ebrei anche a costo di essere fucilato. Un testo che – scrive Halter nella prefazione – «si legge come un’avventura» e racconta di come la bicicletta «sia riuscita a diventare il mezzo per un campione, uno sportivo adorato dagli italiani, di compiere un simile gesto di umanità».

Lo scrittore francese Marek Halter

Lo scrittore francese Marek Halter

Il Bene mi ha affascinato da sempre. Perché in un mondo in cui ciascuno è ripiegato su sé stesso, in cui l’impulso della morte prevale sull’impulso della vita, perché, quando il Male agiva a volto scoperto, all’epoca del nazismo, alcuni uomini, alcune donne, hanno rischiato la loro vita per salvarne altre? Perché? Perché loro e non gli altri? Perché noi, che ci battiamo per un po’ più di solidarietà tra gli uomini, per un po’ più di giustizia, abbiamo bisogno di riferimenti, di esempi, di piccole luci nelle tenebre. È il motivo per cui, più di vent’anni fa, sono partito alla ricerca di quei Giusti che, per permettere la sopravvivenza del mondo, il Talmud limita a trentasei e Pascal a quattromila. In Italia, dove agli inizi degli anni ’30 vivevano circa quarantasettemila ebrei, circa settemila furono deportati durante la Seconda Guerra mondiale. E gli altri? Furono risparmiati o salvati, nonostante il fascismo al potere. Da chi? In che modo? A Firenze, città di Leonardo da Vinci, Dante e Michelangelo, il grande storico dell’arte americano, specialista del rinascimento italiano, Bernard Berenson, ricercato dalla Gestapo, scrisse dalla sua Villa I Tatti dove viveva rinchiuso: «Persino un domenicano ebraista ha dovuto fuggire dal suo monastero per timore di essere arrestato e si è rifugiato qui con me». Berenson riferì inoltre che il cardinale di Firenze, Elia Dalla Costa, si dichiarò colpevole al posto di un sacerdote che il regime accusava di aver nascosto un ebreo. Fu seguendo la storia di quest’uomo sorprendente e buono, che si rifiutò di aprire le finestre del suo presbiterio il giorno della visita di Hitler a Firenze, che ho scoperto il nome del suo amico Gino Bartali. Cosa ci faceva questo campione del mondo di ciclismo, lo sportivo più amato d’Italia, nell’elenco dei sacerdoti che rischiarono la loro vita per salvarne altre? Ho cercato di contattarlo per chiederglielo. Senza riuscirci. Mi è stato detto che Gino Bartali non aveva niente da raccontare perché non aveva fatto niente di speciale. A parte pedalare e vincere corse ciclistiche. Il mio amico Alberto Toscano ha avuto miglior fortuna di me. Senz’altro è stato più perseverante. Il caso degli sportivi che si sono opposti al fascismo lo appassiona. L’atleta afroamericano Jesse Owens, ad esempio, che lanciò una sfida a Hitler, promotore della “razza superiore”, quella bianca ovviamente, vincendo le Olimpiadi di Berlino nel 1936. O ancora quelli che agirono da veri credenti e veri sportivi, come Gino Bartali, prendendo alla lettera le parole di Cristo «Bussate e vi sarà aperto». “Gino il Pio” sfruttando la sua bicicletta e la sua popolarità per far arrivare documenti falsi in diverse regioni italiane, ha di fatto aperto le porte della vita a quasi ottocento ebrei italiani.

da Avvenire

Festival biblico. «La sobrietà non è solo giusta, ma conviene»

Grammenos Mastrojeni, diplomatico italiano

Grammenos Mastrojeni, diplomatico italiano

Il cambiamento climatico non si ferma. E di sicuro non si ferma con i muri. «Possiamo anche illuderci di alzare una qualche forma di sbarramento nei confronti dei migranti in arrivo dall’Africa – avverte Grammenos Mastrojeni – ma questo non ci renderà affatto più graditi ai Paesi dell’Europa settentrionale. Quando sarà il momento, saranno loro a erigere muri contro di noi. A meno che non si cominci a ragionare in termini diversi, si capisce». Diplomatico e docente universitario, da almeno un quarto di secolo Mastrojeni analizza il rapporto tra crisi ambientale, instabilità politica e fragilità economica. Ha pubblicato molti libri sull’argomento (il più recente è Effetto serra, effetto guerra, scritto a quattro mani con il climatologo Antonello Pasini e pubblicato lo scorso anno da Chiarelettere), insistendo in particolare sulle opportunità offerte da una nuova visione dello sviluppo condiviso. “Per un futuro di ecologia integrale” è il titolo dell’intervento che lo studioso terrà domani alle ore 16,30 presso il Polo Universitario Santa Marta di Verona (via Cantarane 24) nell’ambito del Festival Biblico, che quest’anno mette a tema il futuro nelle sue varie declinazioni. «Il punto fondamentale – spiega Mastrojeni – è che per troppo tempo abbiamo considerato la tutela dell’ambiente come un limite per lo sviluppo economico. Ma è un errore, dal quale dipende una lunga serie di scelte sbagliate».

Perché?
«Perché è vero il contrario. Protezione dell’ambiente e sviluppo procedono di pari passo e interagiscono in modo positivo. L’essere umano non rappresenta un’entità priva di legami con il contesto naturale in cui vive e opera. Ce ne accorgiamo quando torniamo a prendere in considerazione quelle linee di condotta che, già presenti nei Vangeli, sono state assunte dai cristiani come esercizio di superamento di sé. Non si tratta solamente di precetti morali, ma di vere e proprie regole di massimizzazione del benessere».

Sta dicendo che la sobrietà conviene?
«È un principio molto semplice: l’accumulo di beni materiali determina uno squilibrio ai danni dell’ambiente, mentre una prospettiva di realizzazione integrale della persona umana porta ad assumere un atteggiamento protettivo verso l’ambiente stesso».

Che cosa ci impedisce di andare in questa direzione?
«Il sistema di misurazione della performance economica, in primo luogo. L’insistenza sul reddito a livello individuale e sul Pil a livello collettivo non fa che accentuare la diseguaglianza, introducendo gravi elementi di instabilità. Il quadro cambia completamente se integriamo nel conteggio i fattori presi in considerazione dagli indicatori economici più avanzati: la pace sociale, il tempo per la famiglia, la tutela della salute. In questo caso, la ricerca della sostenibilità spinge tutti, individui e nazioni, sul punto più alto della linea di produttività marginale».

Il suo è un auspicio?
«Con forti basi scientifiche: all’interno di un processo di coevoluzione, è del tutto normale che le condizioni più favorevoli siano quelle che proteggono il sistema nella sua interezza».

Quali sono le implicazioni geopolitiche di questo principio?
«Nella fase attuale il disagio ambientale interessa principalmente le società più fragili, con le ben note conseguenze in termini di conflitti e migrazioni forzate. A essere pregiudicata, però, è la speranza stessa di poter conservare un ambiente funzionale e produttivo per tutti. La tentazione, ora come ora, è di ritenere che gli squilibri climatici siano un problema che riguarda in modo pressoché esclusivo le nazioni più povere e che in quanto tale va gestito e contenuto. Non è così. Se vogliamo evitare che lo sconquasso raggiunga soglie insostenibili in sede globale, dobbiamo assumere una condotta più responsabile, che influisca favoreanzitutto volmente anche nelle aree più svantaggiate del pianeta. In gioco non c’è soltanto la solitudine alla quale verrebbero abbandonati i Paesi in via di sviluppo, ma la possibilità di avere un futuro ragionevole per l’intera umanità».

A partire dall’Europa?
«Dal punto di vista strettamente geografico, l’Europa è una finzione, dato che non esiste una sostanziale soluzione di continuità rispetto all’Asia. La peculiarità europea è semmai di natura climatica, perché sono le condizioni ambientali a fondare una comunità di interessi. La rivoluzione agricola ha preso le mosse da un territorio che, fino a questo momento, è stato soggetto all’anticiclone delle Azzorre. Ma oggi la situazione sta cambiando, in Europa è sempre più apprezzabile l’influsso dell’anticiclone subtropicale africano e da questo non può non nascere un diverso equilibrio geopolitico. Il nostro destino è sempre più legato a quello dei popoli del Sahara. L’Italia, nella fattispecie, è chiamata a svolgere una funzione di ponte, in modo da permettere all’Europa di elaborare un’economia davvero estroversa, capace di proiettarsi sull’altra sponda del Mediterraneo. L’instabilità dell’Africa, a questo punto, è un ostacolo allo sviluppo di tutta l’economia».

Quindi dobbiamo guardare più a sud?
«Non è così semplice. Il maggior rischio di destabilizzazione, infatti, non viene dal mare, ma dalla montagna. Lo scioglimento dei ghiacciai dell’Himalaya non configura solo un danno dal punto di vista paesaggistico, ma porta disordine in un sistema straordinariamente complesso. Un dissesto globale delle montagne comporterebbe l’esodo di oltre 900 milioni di persone, esattamente il doppio di quelle che sarebbero costrette a migrare in conseguenza di un drastico innalzamento delle acque marine».

C’è qualcosa che possiamo fare?
«Sì, smettere di pensare che la soluzione debba arrivare dalla politica. Non è questione di trattati internazionali più o meno impegnativi o efficaci. All’appello mancano piuttosto le persone comuni, che ancora non si sono persuase di quanto i comportamenti quotidiani svolgano un ruolo decisivo per le sorti del pianeta».

avvenire

Dischi Sacra / Jordi Savall risale alle radici del culto della Vergine in Occidente

Con il disco dedicato alle Cantigas de Santa Maria, il lungo viaggio musicale compiuto da Jordi Savall approda alle radici antiche del culto della Vergine in Occidente, al cuore di una devozione sublimata in forma di pura arte. La raccolta risale alla seconda metà del XIII secolo ed è attribuita ad Alfonso X (1221-1284), re di Léon e Castiglia, sovrano illuminato chiamato “El Sabio” (Il Saggio) per l’abilità e la lungimiranza con cui seppe amministrare la delicata situazione politica, culturale e religiosa che caratterizzava all’epoca la penisola iberica, dove cristiani, ebrei e musulmani vivevano fianco a fianco. «Proprio come Re David, egli scrisse molte meravigliose canzoni a lode della Vergine Maria e le provvide di adeguate melodie…», riportava il frate francescano Juan Gil de Zamora nella sua biografia dedicata ad Alfonso X; nel canzoniere mariano più importante del Medioevo si trovano riuniti oltre 400 poemi musicali di argomento sacro, in cui i brani che celebrano i miracoli compiuti dalla Madonna (Cantigas de miragres) si alternano a quelli di lode in Suo onore (Cantigas de loor). Il nucleo centrale di questa registrazione risale al 1993 ed è stato ripubblicato da Savall nella collana “Heritage” della sua etichetta discografica Alia Vox. Intervallati da pezzi strumentali marchiati a fuoco dall’estro improvvisativo tipico dell’ensemble Hespèrion XX, i canti affidati alle voci della Capella Reial de Catalunya sono guidati dal timbro inconfondibile del compianto soprano Montserrat Figueras, artista di rara sensibilità, intelligenza e intensità espressiva. Si tratta di un’interpretazione che si distingue per sobrietà di toni e misura stilistica, in grado di realizzare una sintesi esemplare tra differenti modelli letterari e forme compositive di derivazione araba, spagnola e trobadorica, ma che rappresenta soprattutto una testimonianza lontana nel tempo che, sotto i buoni auspici della Vergine, rinnova oggi il suo messaggio di pace rivolto all’intera umanità.

Alfonso X
Cantigas
de Santa Maria
La Capella Reial de Catalunya,
Hespèrion XX, Jordi Savall
Alia Vox / Ducale. Euro 15,00

avvenire

Sinodo dei giovani. Le mappe dei cammini

La mappa dei pellegrinaggi a piedi dei giovani italiani tra strade ricche di storia e luoghi di spiritualità e di fede. Per tutti la meta finale è Roma per incontrare il Papa l’11 e il 12 agosto

Le mappe dei cammini

Povertà, incertezza del futuro, disoccupazione, guerre. È il mondo visto con gli occhi dei ragazzi che chiedono alla Chiesa, di mettersi in cammino con loro, in ascolto e con la fiducia nella loro capacità di “cambiare il mondo”.

In preparazione del Sinodo dei vescovi sui giovani di ottobre migliaia di ragazzi con lo zaino in spalla da tutta Italia si metteranno in cammino dapprima verso i luoghi sacri delle loro diocesi, per poi fare rotta verso Romaper l’incontro dell’11 e 12 agosto con papa Francesco.

CLICCA SULLE REGIONI PER CONOSCERE I PELLEGRINAGGI A CUI POTER PARTECIPARE

da Avvenire

Libertà di stampa. L’Unesco: uccisi 530 reporter in 5 anni

Una manifestazione in ricordo dell'attentato nei giorni scorsi a Kabul, in Afghanistan, in cui sono rimaste vittime 24 persone, tra le quali nove giornalisti (Ansa)

Una manifestazione in ricordo dell’attentato nei giorni scorsi a Kabul, in Afghanistan, in cui sono rimaste vittime 24 persone, tra le quali nove giornalisti (Ansa)

Sono 530 i giornalisti uccisi negli ultimi cinque anni e l’impunità dei crimini commessi contro di loro tocca 9 casi su 10. Di questi, 166 erano giornalisti televisivi, 142 appartenevano alla carta stampata, 118 erano impiegati in radio, 75 lavoravano per testate on line e 29 appartenevano a piattaforme di comunicazione incrociata. Inoltre si è registrato negli ultimi anni un aumento di altre forme di violenza contro i giornalisti che includono il rapimento, la sparizione forzata, la detenzione arbitraria e la tortura. È quanto emerge dai due ultimi report dell’Unesco sui trend globali relativi alla libertà di espressione e allo sviluppo dei media e sulla ridefinizione delle politiche culturali, al centro della conferenza per la 25esima Giornata mondiale per la libertà di stampa che si tiene ad Accra, in Ghana.


I due report, “World trend in freedom of expression and media development” e “Re-shaping cultural policies”, analizzano quattro fattori legati al mondo dei mass media: la libertà, l’indipendenza, la sicurezza e la pluralità. In particolare, esaminano la situazione della libertà di espressione, creazione, accesso alle informazioni e alla vita culturale e la protezione delle principali e fondamentali libertà. I due documenti forniscono anche notizie aggiornate, statistiche e dati sulle nuove sfide del giornalismo e della comunicazione e sull’implementazione degli obiettivi delle Nazioni Unite per l’Agenda di sviluppo 2030, a partire dall’aumento dei cosiddetti “Internet shutdowns”, la chiusura della rete in diversi Paesi del mondo e più volte durante l’anno con lo scopo di impedire la diffusione di notizie, foto e video. Dai dati raggruppati nei report risulta che il numero è salito dai 18 del 2015, ai ben 56 “shutdown” del 2016.


Nel complesso i due report dimostrano che nel mondo “il giornalismo è sotto attacco” e se il pubblico che ha accesso alle informazioni è oggi più ampio, sono cresciute anche le occasioni che facilitano odio, misoginia, e soprattutto le non verificate e dilaganti “fake news”, tutti elementi che portano con loro la diminuzione della libertà di espressione e di conseguenza della libertà di stampa e che finiscono, spesso, per avere come esito l’uccisione di chi si batte per raccontare la verità: “Sono 800 i giornalisti uccisi negli ultimi 10 anni nell’esercizio dei loro compiti e di questi crimini circa 8 su 10 sono andati impuniti”, ha ricordato il rappresentante dell’Unesco.


La Giornata mondiale della libertà di stampa è stata proclamata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1993 in seguito alla Raccomandazione della 26esima sessione della Conferenza generale dell’Unesco nel 1991. L’organizzazione dell’Onu e il Guillermo Cano World Press Freedom Prize hanno deciso di assegnare quest’anno il premio al fotoreporter egiziano incarcerato Mahmoud Abu Zeid, noto come Shawkan, selezionato da una giuria internazionale indipendente di professionisti dei mass media.

avvenire

Ecco perché maggio è il mese di Maria. Maggio è tradizionalmente il mese dedicato alla Madonna

La Madonna della tenerezza nell'opera di un pittore cretese

Un Rosario di palloncini nel cielo egiziano (Ap)

Un Rosario di palloncini nel cielo egiziano (Ap)

Il mese di maggio è il periodo dell’anno che più di ogni altro abbiniamo alla Madonna. Un tempo in cui si moltiplicano i Rosari a casa e nei cortili, sono frequenti i pellegrinaggi ai santuari, si sente più forte il bisogno di preghiere speciali alla Vergine. Lo ricorda spesso il Papa che non a caso ha deciso di iniziare il suo maggio al santuario mariano del Divino Amore, pregando per la pace, soprattutto in Siria. Alla base della particolare attenzione alla Madonna di questi giorni, l’intreccio virtuoso tra la natura, che si colora e profuma di fiori, e la devozione popolare.

Un omaggio floreale alla Vergine del Rosario

Un omaggio floreale alla Vergine del Rosario

Il re saggio e la nascita del Rosario

In particolare la storia ci porta al Medio Evo, ai filosofi di Chartres nel 1100 e ancora di più al XIII secolo, quandoAlfonso X detto il saggio, re di Castiglia e Leon, in “Las Cantigas de Santa Maria” celebrava Maria come: «Rosa delle rose, fiore dei fiori, donna fra le donne, unica signora, luce dei santi e dei cieli via (…)». Di lì a poco il beato domenicano Enrico Suso di Costanza mistico tedesco vissuto tra il 1295 e il 1366 nel Libretto dell’eterna sapienza si rivolgeva così alla Madonna: «Sii benedetta tu aurora nascente, sopra tutte le creature, e benedetto sia il prato fiorito di rose rosse del tuo bei viso, ornato con il fiore rosso rubino dell’Eterna Sapienza!». Ma il Medio Evo vede anche la nascita del Rosario, il cui richiamo ai fiori è evidente sin dal nome. Siccome alla amata si offrono ghirlande di rose, alla Madonna si regalano ghirlande di Ave Maria.
Le prime pratiche devozionali, legate in qualche modo al mese di maggio risalgono però al XVI secolo. In particolare a Roma san Filippo Neri, insegnava ai suoi giovani a circondare di fiori l’immagine della Madre, a cantare le sue lodi, a offrire atti di mortificazione in suo onore.
Un altro balzo in avanti e siamo nel 1677, quando il noviziato di Fiesole, fondò una sorta di confraternita denominata “Comunella”. Riferisce la cronaca dell’archivio di San Domenico che «essendo giunte le feste di maggio e sentendo noi il giorno avanti molti secolari che incominiciava a cantar meggio e fare festa alle creature da loro amate, stabilimmo di volerlo cantare anche noi alla Santissima Vergine Maria….». Si cominciò con il Calendimaggio, cioè il primo giorno del mese, cui a breve si aggiunsero le domeniche e infine tutti gli altri giorni. Erano per lo più riti popolari semplici, nutriti di preghiera in cui si cantavano le litanie, e s’incoronavano di fiori le statue mariane. Parallelamente si moltiplicavano le pubblicazioni. Alla natura, regina pagana della primavera, iniziava a contrapporsi, per così dire, la regina del cielo. E come per un contagio virtuoso quella devozione cresceva in ogni angolo della penisola, da Mantova a Napoli.

La Madonna della tenerezza nell'opera di un pittore cretese

La Madonna della tenerezza nell’opera di un pittore cretese

L’indicazione del gesuita Dionisi

L’indicazione di maggio come mese di Maria lo dobbiamo però a un padre gesuita: Annibale Dionisi. Un religioso di estrazione nobile, nato a Verona nel 1679 e morto nel 1754 dopo una vita, a detta dei confratelli, contrassegnata dalla pazienza, dalla povertà, dalla dolcezza. Nel 1725 Dionisi pubblica a Parma con lo pseudonimo di Mariano Partenio “Il mese di Maria o sia il mese di maggio consacrato a Maria con l’esercizio di vari fiori di virtù proposti a’ veri devoti di lei”. Tra le novità del testo l’invito a vivere, a praticare la devozione mariana nei luoghi quotidiani, nell’ordinario, non necessariamente in chiesa «per santificare quel luogo e regolare le nostre azioni come fatte sotto gli occhi purissimi della Santissima Vergine». In ogni caso lo schema da seguire, possiamo definirlo così, è semplice: preghiera (preferibilmente il Rosario) davanti all’immagine della Vergine, considerazione vale a dire meditazione sui misteri eterni, fioretto o ossequio, giaculatoria. Negli stessi anni, per lo sviluppo della devozione mariana sono importanti anche le testimonianze dell’altro gesuita padre Alfonso Muzzarelli che nel 1785 pubblica “Il mese di Maria o sia di Maggio” e di don Giuseppe Peligni.

Un pellegrinaggio alla Madonna di Guadalupe

Un pellegrinaggio alla Madonna di Guadalupe

Da Grignion de Montfort all’enciclica di Paolo VI

Il resto è storia recente. La devozione mariana passa per la proclamazione del Dogma dell’Immacolata concezione (1854) cresce grazie all’amore smisurato per la Vergine di santi come don Bosco, si alimenta del sapiente magistero dei Papi. Nell’enciclica Mense Maio datata 29 aprile 1965, Paolo VI indica maggio come «il mese in cui, nei templi e fra le pareti domestiche, più fervido e più affettuoso dal cuore dei cristiani sale a Maria l’omaggio della loro preghiera e della loro venerazione. Ed è anche il mese nel quale più larghi e abbondanti dal suo trono affluiscono a noi i doni della divina misericordia». Nessun fraintendimento però sul ruolo giocato dalla Vergine nell’economia della salvezza, «giacché Maria – scrive ancora papa Montini – è pur sempre strada che conduce a Cristo. Ogni incontro con lei non può non risolversi in un incontro con Cristo stesso». Un ruolo, una presenza, sottolineato da tutti i santi, specie da quelli maggiormente devoti alla Madonna, senza che questo diminusca l’amore per la Madre, la sua venerazione. Nel “Trattato della vera devozione a Maria” san Luigi Maria Grignion de Montfort scrive: «Dio Padre riunì tutte le acque e le chiamò mària (mare); riunì tutte le grazie e le chiamò Maria»

Un Rosario di palloncini 'cattura' un aereo (Lapresse)

Un Rosario di palloncini “cattura” un aereo (Lapresse)

da Avvenire

La devozione. Perché e come pregare davanti alla Sindone

Il 4 maggio la liturgia celebra la memoria della Sindone, il sacro telo che avrebbe avvolto il corpo di Cristo deposto dalla croce. Guardarla ci richiama la Passione e morte di Gesù.

Il Papa davanti alla Sindone nel 2015 (Lapresse)

Il Papa davanti alla Sindone nel 2015 (Lapresse)

Ogni anno il 4 maggio viene celebrata la memoria liturgica della Sindone, il lino conservato nella Cattedrale di Torino che secondo la tradizione avrebbe avvolto il corpo di Cristo deposto dalla Croce. Anche se non esiste certezza scientifica che sia proprio così non c’è dubbio che il sacro telo rimandi alla Passione Gesù e ci guidi alla riflessione sul suo dono della vita per la salvezza dell’uomo.

Cos’è la Sindone

Un'immagine della Sindone

Un’immagine della Sindone

La Sindone (per le informazioni riprendiamo quanto riporta il sito sindone.org) è un lenzuolo di lino tessuto a spina di pesce delle dimensioni di circa m. 4,41 x 1,13, contenente la doppia immagine accostata per il capo del cadavere di un uomo morto in seguito ad una serie di torture culminate con la crocefissione. L’immagine è contornata da due linee nere strinate e da una serie di lacune: sono i danni dovuti all’incendio avvenuto a Chambéry nel 1532. Secondo la tradizione si tratta del Lenzuolo citato nei Vangeli che servì per avvolgere il corpo di Gesù nel sepolcro.Questa tradizione, anche se ha trovato numerosi riscontri dalle indagini scientifiche sul Lenzuolo, non può ancora dirsi definitivamente provata.
Certamente invece la Sindone, per le caratteristiche della sua impronta, rappresenta un rimando diretto e immediato che aiuta a comprendere e meditare la drammatica realtà della Passione di Gesù. Per questo Giovanni Paolo II l’ha definita “specchio del Vangelo”.

L’incendio del 1997

L'incendio del 1997 nella Cattedrale di Torino

L’incendio del 1997 nella Cattedrale di Torino

Nella notte tra venerdì 11 e sabato 12 aprile 1997, un incendio si sviluppò nella Cappella della Sindone posta tra la Cattedrale torinese e Palazzo Reale. Le fiamme devastarono la cappella seicentesca progettata da Guarino Guarini e si estesero al torrione nord-ovest del palazzo distruggendo alcune decine di quadri preziosi. Solo all’alba i vigili del fuoco riuscirono a spegnere definitivamente le fiamme .Pur non essendo la Sindone interessata dal fuoco fu deciso di rompere la struttura di cristallo che la protegeva e portare via il sacro lino che fu immediatamente trasferito nel palazzo arcivescovile dove si certificò che non aveva subito danni.

In preghiera davanti all’uomo dei dolori

L'arcivescovo di Torino, monsignor Cesare Nosiglia

L’arcivescovo di Torino, monsignor Cesare Nosiglia

Come pregare davanti alla Sindone? Per rispondere ci facciamo aiutare dall’arcivescovo di Torino Cesare Nosiglia, custode pontifico della Santa Sindone che in occasione dell’Ostensione , cioè l’esposizione pubblica del 2015 ha composto questa preghiera

Signore Gesù,
davanti alla Sindone, come in uno specchio,
contempliamo il mistero della tua passione e morte per noi.
È l’Amore più grande
con cui ci hai amati, fino a dare la vita per l’ultimo peccatore.
È l’Amore più grande,
che spinge anche noi a dare la vita per i nostri fratelli e sorelle.
Nelle ferite del tuo corpo martoriato
meditiamo le ferite causate da ogni peccato:
perdonaci, Signore.
Nel silenzio del tuo volto umiliato
riconosciamo il volto sofferente di ogni uomo:
soccorrici, Signore.
Nella pace del tuo corpo adagiato nel sepolcro
meditiamo il mistero della morte che attende la risurrezione:
ascoltaci, Signore.
Tu che sulla croce hai abbracciato tutti noi,
e ci hai affidati come figli alla Vergine Maria,
fa’ che nessuno si senta lontano dal tuo amore,
e in ogni volto possiamo riconoscere il tuo volto,
che ci invita ad amarci come tu ci ami.

da Avvenire

VI Domenica di Pasqua (ANNO B) 6 Maggio 2018 Foglietto, Letture e Salmo

 VI DOMENICA DI PASQUA (ANNO B)

Grado della Celebrazione: DOMENICA
Colore liturgico: Bianco

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Durante la lettura del Vangelo, nel corso della celebrazione liturgica, è il Signore Gesù Cristo che parla ai suoi discepoli. Oggi ci dice che siamo tutti suoi amici, che gli apparteniamo attraverso la fede e attraverso il battesimo. Egli l’ha provato rivelandoci il suo segreto e la sua missione di Figlio di Dio. Ci ha detto che Dio, nella sua onnipotenza divina, ci ama tutti. Per mezzo di suo Figlio Gesù Cristo, ci ha fatto entrare nella comunione di amore che esiste fin dall’eternità tra lui e suo Figlio. “Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi”. È una parola di verità potente e divina.
Per tutti quelli che hanno preso coscienza dell’importanza di questo dono divino, conta una sola cosa: mostrarsi degni dell’amore che ci viene nell’amicizia del Figlio di Dio. “Rimanete nel mio amore”.
Per Gesù Cristo, ciò che è importante innanzitutto è che tutti i suoi amici si amino gli uni gli altri come egli stesso ha amato i suoi discepoli nel corso della sua vita terrena. La più viva espressione di questo amore è stata la sua morte sulla croce per i peccatori (cf. Gv 1,36; 19,34-37). L’amore perfetto del Padre celeste è la felicità e la gioia di suo Figlio. E questa gioia, il Figlio risuscitato la trasmette ai suoi amici nel giorno di Pasqua. “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi!”. Ricevete lo Spirito Santo!” (Gv 20,21-22). Egli offre senza sosta la gioia a tutti quelli che credono nella sua parola e per mezzo del battesimo si uniscono a lui e alla sua cerchia di amici, la Chiesa. Chi entra nell’amore di Dio per mezzo di suo Figlio ha ormai una ragione essenziale per essere sempre felice