Pasqua è un Regno di comunione

L’annuncio della gioia di Pasqua acquista valore solo è fondato sulla relazione e sulla comunione, come intuisce anche uno scrittore non credente come Emmanuel Carrère.

La Resurrezione non è questione individuale, ma di comunità. È questa la legge del Regno, “l’andare due a due”, che anche la Pasqua sancisce come Costituzione: è assai significativo che tutte le manifestazioni del Risorto, ad eccezione dell’incontro con la Maddalena, sono rivolte a più persone, dalla coppia al gruppo. E la liturgia di oggi ci ricorda proprio che i primi discepoli ad accorrere al sepolcro, Simon Pietro e il discepolo amato (Giovanni?), corrono in coppia. Certo, con velocità diverse: uno arriva prima dell’altro. Ma l’esperienza che fanno è per due cuori, non per uno; lo spettacolo che vedono è per quattro occhi, non per due.

L’annuncio della Pasqua acquista pieno valore se si radica in una comunità: il cristianesimo non è una buona novella per il singolo chiuso, ma per una relazione. Al centro dell’annuncio non c’è l’ego, c’è il noi. L’irradiazione della notizia di vita che il Cristo è risorto abbraccia l’uomo perché esca da se stesso e si apra agli altri: a Dio e ai fratelli. Al sepolcro si corre in due, ai segni misteriosi del Risorto si guarda in due.

Il Regno di Dio che con la Pasqua afferma la sua mite vittoria, la sua misteriosa esistenza, il suo fondamento di speranza è un Regno che si fonda e vive nella comunione. Ed è lì che la testimonianza del cristiano diventa vera e umana.

Questa è l’intuizione che Emmanuel Carrère riesce ad avere dopo pagine e pagine di ricerca sulle tracce dei primi apostoli, di cui dà un resoconto ne Il Regno, intrecciando indagine storica, vicende personali, dubbi e ricordi di un’antica fase della vita attraversata da credente, vista ora con gli occhi del non credente.

E il Regno del quale cerca i segni viene visto, per un istante, in un gesto che l’intellettuale ricco e colto considera inizialmente con superficialità, a conclusione di un ritiro spirituale che si chiude con un canto di gruppo:

Il giorno seguente, domenica dopo pranzo, il ritiro finisce. Prima di separarci e tornare a casa, cantiamo tutti un canto religioso del tipo ‘Gesù che sta passando’. La deliziosa signora che si occupa di Élodie, la ragazza down, ci accompagna alla chitarra, e siccome è un canto allegro tutti cominciano a battere le mani e i piedi a tempo, a dimenarsi come in discoteca. Con tutta la buona volontà del mondo, sinceramente non riesco a prendere parte a un così intenso momento di Kitsch religioso. Canticchio vagamente, con la bocca chiusa, mi dondolo prima su un piede poi sull’altro, aspetto che finisca.

L’atteggiamento di sufficienza dello scrittore è scardinato da un inatteso incontro, quello con Élodie, una simpatica ragazza down che con un libertà unica coinvolge Carrère nella danza: qui, nell’incontro tra due umanità, una segnata dalla fragilità e l’altra dalla chiusura, appare la vera essenza del Regno, vestito di gioia, libertà, fiducia nell’altro, vita, presenza di Dio:

Improvvisamente sbuca accanto a me Élodie, che si è lanciata in una specie di farandola. Mi si pianta davanti, sorride, getta le braccia in aria, ride di cuore, e soprattutto mi guarda, mi incoraggia con lo sguardo, e nel suo sguardo c’è una tale gioia, una gioia così pura, così fiduciosa, così abbandonata, che comincio a ballare come gli altri, a cantare che Gesù mi sta passando accanto, e mi salgono le lacrime agli occhi mentre canto, ballo e guardo Élodie che intanto si è scelta un altro partner, e devo ammettere che quel giorno, per un attimo, ho capito che cos’è il Regno.

La Pasqua è la vittoria del Cristo, è la fondazione del Regno di Dio, la cui legge è il Vangelo e la cui condizione è sempre la relazione tra due volti. Anche quando, come nel caso di Carrère, non si arriva a una vera conversione. Ma il seme è gettato.

Dal mattino di Pasqua in cui Pietro e Giovanni corrono al sepolcro alla danza di Carrère con Élodie, non c’è annuncio di Resurrezione che non riguardi due sguardi e due vite.

Se oggi vogliamo correre al sepolcro vuoto, non dimentichiamoci che il cammino non è mai solitario: è così che il Risorto vuole accostarci; è così che spezza le pietre delle nostre vite e si manifesta. Dai due discepoli che corrono alla tomba ai due di Emmaus: non c’è Resurrezione senza fratello.

Buona Pasqua a tutti, che sia una Pasqua di gioia condivisa.

vinonuovo.it

Lui è vivo e noi, in lui, siamo eterni

NOLI ME TANGERE

(Maurice Denis, 1892, collezione privata)

 

«Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro».  Gv 20,1-9

 

Il dramma sembra ormai alle spalle. Tutto – il giardino, la città sullo sfondo, l’aria… – odora di primavera e gli unici rumori sono forse dei cinguettii e il gorgoglio del ruscello (tra l’altro, è dell’acqua il colore più potente, mentre le altre tinte sono ancora pastello).

Scorgiamo Maddalena e il giovane giardiniere, ignorando se il loro incontro sia già avvenuto… Ci conforta sapere che l’incontro non è con un sepolcro vuoto, ma con una persona viva e con una comunità di viventi, sempre meno timorosi, a cui il Risorto rinvia. Ha scritto Adriana Zarri: «Dio riprende a camminare, a parlare, a gestire; e adesso potrà anche andarsene da questo nostro mondo perché abbiamo creduto che non può morire in eterno. Signore, Tu sei vivo, Tu sei eterno, Tu non morirai. Nemmeno noi moriremo, anche noi siamo eterni, Signore, in te».

vinonuovo.it

La Settimana Santa: domenica. Domenica di Pasqua. Sì, Cristo è davvero risorto

La Resurrezione di Cristo di Raffaello Sanzio (1483-1520) è un dipinto a olio su tavola conservato nel Museo d’Arte di San Paolo, in Brasile. È datato 1501-1502. Nell’immagine un particolare dell’opera

La Resurrezione di Cristo di Raffaello Sanzio (1483-1520) è un dipinto a olio su tavola conservato nel Museo d’Arte di San Paolo, in Brasile. È datato 1501-1502. Nell’immagine un particolare dell’opera

È Pasqua, la festa più grande, è il giorno della gioia che fa suonare le campane, che riempie il cuore, che fa correre i discepoli al sepolcro vuoto. È l’alba della vita nuova, che vince la morte, della salvezza donata da Dio all’uomo, dell’amore che rovescia le regole del mondo. È la festa del popolo che si mette in cammino dietro il Risorto, della pietra della tristezza e della disperazione fatta rotolare via, del Signore vivo in mezzo alla sua gente. È la vittoria dello stupore e dell’umiltà sull’arroganza del potere e la prepotenza del più forte, è il trionfo dell’amore sul peccato. Sì, Cristo è davvero risorto.

Il dono di padre Turoldo

Pasqua ha naturalmente ispirato tante riflessioni ed espressioni artistiche. Tra le voci più profonde quella di padre David Maria Turoldo che inizia così la sua poesia “Mattino di Pasqua”.

Padre Turoldo

Padre Turoldo

«Io vorrei donare una cosa al Signore,
ma non so che cosa.
Andrò in giro per le strade,
zufolando così
finché gli uomini dicano: “È pazzo!”.
E mi fermerò soprattutto con i bambini
a giocare in periferia.
E poi lascerò un fiore
ad ogni finestra dei poveri.
E saluterò chiunque incontrerò per via,
inchinandomi fino a terra…
E poi suonerò con le mani
le campane della torre,
a più riprese finché non sarò esausto.
E, a chiunque venga, anche al ricco,
dirò: “Siedi pure alla mia mensa!”.
Anche il ricco è un pover’uomo…
E a tutti dirò: “Avete visto il Signore?”.
Ma lo dirò in silenzio, con un sorriso. (….)».

Il teologo che dà voce al Risorto

Assieme all’arte anche la teologia è naturalmente andata alla radice della più importante delle feste cristiane. Il teologo svizzero Hans Urs von Balthasar (1905-1988) in questo passo dà voce a Cristo stesso: «Non sono uno dei risorti; sono la risurrezione. Chi vive in me, chi è in me compreso, è preso da me nel risorgere. Io sono la metamorfosi. Come cambiano pane e vino così cambia il mondo in me. Minuscolo è il grano di senape, ma la sua forza intima non riposa fino a quando non getterà la sua ombra sopra tutti i vegetali del mondo. Così la mia risurrezione non riposerà finché non sia spezzata la tomba dell’ultima anima e le mie forze non siano pervenute sull’ultimo ramo della creazione (….)».

da Avvenire

Non cercate Dio, trovatelo. Non fra i morti, fra i vivi. Il sepolcro è vuoto. La risurrezione di Gesù, è come un giuramento di Dio per il riscatto delle vittime della nostra ingiustizia

Un presepe pasquale. Cristo è risorto

Un presepe pasquale. Cristo è risorto

L’omino pazzo di Nietzsche, che scende nella città-mercato cercando Dio, suscita lo scherno degli intellettuali che stanno nei pressi (e dove se no?). “Forse si è perso”. “Forse si è addormentato”. “Forse si è dimenticato”. L’omino non sopporta questa cialtroneria e si infiamma. “Noi l’abbiamo ucciso!”, grida. “E non siamo neppure consapevoli dell’enormità del nostro gesto. Il cielo, la terra, il mondo e tutti i nostri sogni più alti ricadono sulle nostre spalle, che non ne potranno reggere il peso”.

L’omino di Nietzsche andava ascoltato, almeno in questo. Ormai la puntigliosa decostruzione intellettuale delle tracce del Dio fatto uomo per amore dell’uomo, ha sfiancato i popoli europei che avevano compiuto l’impresa di trarne un umanesimo della persona e della libertà, della storia delle generazioni e del destino della vita. E ha richiamato in servizio i fantasmi di antiche divinità sacrificali e ostili alla comunità umana. Ha riaperto le danze intorno all’adorazione del vitello d’oro, che consacra la ricchezza dei pochi e rende ragionevole la povertà dei molti. La regìa scientifica della morte di Dio, infine, illude le nuove generazioni con promesse che l’uomo economico e tecnocratico non è assolutamente in grado di mantenere.

Sono ingiusti con noi, e con i nostri figli, questi intellettuali che ci passa la città-mercato. Non ne hanno il diritto. Noi non siamo così. Però ci tolgono le parole per dirlo. Ci parlano di globalizzazione dei diritti umani, ma ci mettono gli uni contro gli altri, quartiere per quartiere: per motivi di religione, di etnia, di risorse, di benessere. Ci spingono a diventare padroni del mondo e della storia, della nostra identità e del nostro destino: ma ogni giorno ci istupidiscono con l’idea che tutto è scritto nei numeri e nei geni, nei neuroni e nei neutrini. E siamo tutti eccitati in attesa di scoprire il segreto della produzione tecnologica della vita, l’equazione unificata delle forze del cosmo, l’algoritmo della gestione centralizzata dell’intelligenza artificiale che sostituirà la nostra, imperfetta. Il resto – ossia l’umano, bello da morire, ma dolorosamente impreciso – potrà diventare secondario. L’umano diventerà un fatto privato, soggettivo e ininfluente nei confronti dell’algoritmo che plasma il mondo e decide la storia.

L’omino di Nietzsche aveva le sue ragioni, per richiamare gli uomini alla terribile responsabilità della “morte di Dio”. Però, l’omino sbagliava – non senza malizia – quando cercava Dio nella città-mercato. Dio si cerca nel luogo degli affetti che generano la vita della comunità e la prossimità fra gli umani.

In quel luogo – certamente umano, certamente universale – si ascolta oggi una parola che riapre la storia agli affetti della vita e strappa il mondo alla rassegnazione del nichilismo. “Il Figlio è risorto”, è uno dei nostri, porta il nome di Gesù.

Non cercare Dio al mercato. Segui la Stella, segui la Croce, segui lo Spirito. Rovescia i tavoli dei cambiavalute, onora il padre e la madre, riprenditi l’umano. E ascolta le campane della festa della risurrezione del mondo: non suonano soltanto per noi, suonano per tutti. Esse restituiscono onore all’immensa moltitudine degli uomini e delle donne che lottano per rimanere umani, portando lietamente gli uni i pesi degli altri. Suonano come carezze per la loro speranza senza prezzo, che illumina la vita contro ogni speranza da quattro soldi. E risuonano come colpi di maglio che devono scuotere la mediocrità di professionisti del sacro senza più lievito per le nostre anime e l’arroganza dei nuovi mercanti di schiavi che se le rivendono al miglior offerente.

“Io sono la risurrezione e la vita”. Dobbiamo restituire la parola a questa moltitudine e siamo tremendamente in ritardo. Non cercate Dio, trovatelo. Non fra i morti, fra i vivi. Il sepolcro è vuoto. La risurrezione di Gesù, primogenito di molti fratelli e sorelle, è come un giuramento di Dio per il riscatto delle vittime della nostra ingiustizia. Una religione che imbianca i sepolcri della nostra mondanità spirituale, come anche il futile ateismo della nostra indifferenza per l’umanità dei vivi, sono già un tradimento. Le liete campane della Pasqua, che ci sciolgono dall’incantamento del nichilismo, sono un atto di giustizia.

da Avvenire

Veglia di Pasqua. «Cristo risorto spezza il silenzio complice di ingiustizie»

Papa Francesco durante la veglia pasquale in San Pietro (Siciliani)

Papa Francesco durante la veglia pasquale in San Pietro (Siciliani)

È saltata la pietra del sepolcro. È saltata per prima e ha lasciato spazio «al più grande annuncio che la storia abbia mai potuto contenere nel suo seno: “Non è qui. È risorto”». È questa la Pasqua celebrata da papa Francesco ieri sera nella Veglia nella Basilica di San Pietro durante «la madre di tutte le veglie», come la definisce sant’Agostino.

E in questa Veglia che rappresenta il totum pasquale sacramentum perché in essa si celebrano non solo i fatti della Passione di Cristo ma insieme quelli della sua Risurrezione, nella notte dove Cristo «è passato» alla vita vincendo la morte, il Papa ha voluto centrare il suo annuncio sulla vittoria di Cristo che irrompe inaudita oltre ogni attesa nelle vite sconfitte dei discepoli e diventa sorgente di cambiamento e di rinascita. «Celebrare la Pasqua – ha detto ai fedeli riuniti in San Pietro – significa credere nuovamente che Dio irrompe e non cessa di irrompere nelle nostre storie sfidando i nostri determinismi uniformanti e paralizzanti. Celebrare la Pasqua significa lasciare che Gesù vinca quell’atteggiamento pusillanime che ci assedia e cerca di seppellire ogni tipo di speranza».

Una folla ha seguito il rito iniziato nell’atrio della Basilica Vaticana con la benedizione del fuoco e la preparazione del cero pasquale su cui il Papa ha inciso la croce, l’alfa e l’omega. Dopo che le luci si sono accese quando il cero pasquale è arrivato all’altare maggiore con il canto dell’Exultet, nella sua omelia papa Francesco ha voluto ripercorrere il passaggio di questa celebrazione cominciata nell’oscurità della notte e nel freddo che l’accompagna, sentendo il peso del silenzio davanti alla morte, un silenzio «che cala profondo nelle fenditure del cuore del discepolo che dinanzi alla croce rimane senza parole». Papa Francesco ha così descritto le ore drammatiche di quel silenzio: «Di fronte all’ingiustizia che ha condannato il Maestro, i discepoli hanno fatto silenzio; di fronte alle calunnie e alla falsa testimonianza subite dal Maestro, i discepoli hanno taciuto. Durante le ore difficili e dolorose della Passione, i discepoli hanno sperimentato in modo drammatico la loro incapacità di rischiare e di parlare in favore del Maestro; di più, lo hanno rinnegato, si sono nascosti, sono fuggiti, sono stati zitti».

La veglia pasquale (Siciliani)

La veglia pasquale (Siciliani)

È questa per il Papa la notte del discepolo «frastornato perché immerso in una routine schiacciante che lo priva della memoria, fa tacere la speranza e lo abitua al “si è fatto sempre così”». È questa la notte del discepolo «ammutolito e ottenebrato che finisce per abituarsi e considerare normale l’espressione di Caifa: “Non vi rendete conto che è conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo, e non vada in rovina la nazione intera”».

È questa la notte del silenzio del discepolo che si trova «intirizzito e paralizzato, senza sapere dove andare di fronte a tante situazioni dolorose che lo opprimono e lo circondano e – ha detto ancora Francesco – questo è il discepolo di oggi, ammutolito davanti a una realtà che gli si impone facendogli sentire e, ciò che è peggio, credere che non si può fare nulla per vincere tante ingiustizie che vivono nella loro carne tanti nostri fratelli». Ma è proprio in mezzo a questi silenzi schiaccianti che, con il Vangelo di Luca, il Papa ha ricordato che «le pietre cominciano a gridare». «La pietra del sepolcro ha gridato e col suo grido ha annunciato a tutti una nuova via». Ed è stato così il Creato il primo a farsi eco «del trionfo della vita su tutte le realtà che cercarono di far tacere e di imbavagliare la gioia del Vangelo».

Un'immagine della celebrazione in San Pietro (Siciliani)

Un’immagine della celebrazione in San Pietro (Siciliani)

Il vescovo di Roma ha poi evidenziato come l’annuncio e l’esperienza di Cristo risorto cambino tutto il modo di stare nel mondo. «“Non abbiate paura. È risorto”, sono parole che vogliono raggiungere le nostre convinzioni e certezze più profonde, i nostri modi di giudicare e di affrontare gli avvenimenti quotidiani; specialmente il nostro modo di relazionarci con gli altri – ha spiegato il Papa –. La tomba vuota vuole sfidare, smuovere, interrogare, ma soprattutto vuole incoraggiarci a credere e ad aver fiducia che Dio “avviene” in qualsiasi situazione, in qualsiasi persona, e che la sua luce può arrivare negli angoli più imprevedibili e più chiusi dell’esistenza. È risorto dalla morte, è risorto dal luogo da cui nessuno aspettava nulla e ci aspetta – come aspettava le donne – per renderci partecipi della sua opera di salvezza. Questo è il fondamento e la forza che abbiamo come cristiani per spendere la nostra vita e la nostra energia, intelligenza, affetti e volontà nel ricercare e specialmente nel generare cammini di dignità. Quanto abbiamo bisogno che la nostra fede sia rinnovata, che i nostri miopi orizzonti siano messi in discussione e rinnovati da questo annuncio».

La pietra del sepolcro ha fatto la sua parte, le donne hanno fatto la loro parte, adesso, ha osservato papa Francesco, l’invito «viene rivolto ancora una volta a voi e a me: invito a rompere le abitudini ripetitive, a rinnovare la nostra vita, le nostre scelte e la nostra esistenza. Un invito che ci viene rivolto là dove ci troviamo, in ciò che facciamo e che siamo; con la “quota di potere” che abbiamo. Vogliamo partecipare a questo annuncio di vita o resteremo muti davanti agli avvenimenti?». Nella Veglia Francesco ha battezzato otto adulti. Sono cinque uomini e tre donne provenienti da diversi Paesi: Italia, Perù, Venezuela, Nigeria, Stati Uniti e Albania. Tra di loro il nigeriano di 31 anni, John Ogah, che nel settembre scorso aveva affrontato un rapinatore armato nella periferia di Roma.

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