La Settimana Santa: giovedì. Don Tonino Bello e la Chiesa del grembiule

L’umile servizio di Gesù ai discepoli ha sollecitato molti pittori. Nell’immagine il dipinto “Lavanda dei piedi” di Pietro Lorenzetti. Si tratta di un affresco che fa parte delle Storie della Passione di Cristo nel transetto sinistro della Basilica inferiore di San Francesco ad Assisi. Il ciclo è databile 1310-1319.

L’umile servizio di Gesù ai discepoli ha sollecitato molti pittori. Nell’immagine il dipinto “Lavanda dei piedi” di Pietro Lorenzetti. Si tratta di un affresco che fa parte delle Storie della Passione di Cristo nel transetto sinistro della Basilica inferiore di San Francesco ad Assisi. Il ciclo è databile 1310-1319.

Nella Messa “in Coena Domini” del Giovedì Santo che apre il Triduo Pasquale, il Vangelo (Giovanni 13, 1-15) descrive Gesù nell’umile gesto di lavare i piedi ai suoi discepoli. «(…) Gesù sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto. Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: “Signore, tu lavi i piedi a me?”. Rispose Gesù: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo». Gli disse Pietro: “Tu non mi laverai i piedi in eterno!”. Gli rispose Gesù: “Se non ti laverò, non avrai parte con me”. Gli disse Simon Pietro: “Signore, non solo i miei piedi, ma anche le mani e il capo!” Soggiunse Gesù: “Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto puro; e voi siete puri, ma non tutti” Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: “Non tutti siete puri”…».

Gli uni i piedi degli altri

Si tratta certamente di uno dei passi più noti del Vangelo. Nel segno di quella Chiesa del servizio, “del grembiule”, richiamata da tanti maestri dello spirito, e indicata come dovere d’amore da papa Francesco. Nello scritto “Gli uni i piedi degli altri” don Tonino Bello, il vescovo di Molfetta cui il 20 aprile nel 25° della morte il Pontefice renderà omaggio, sottolinea: «(…) Brocca, catino e asciugatoio devono divenire arredi da risistemare al centro di ogni esperienza comunitaria. Con la speranza che non rimangano suppellettili semplicemente ornamentali. Che cosa significa tutto questo per noi? Che, ad esempio, un sacerdote difficilmente potrà essere portatore di annunci credibili se, nell’ambito del presbiterio, non è disposto a lavare i piedi di tutti gli altri, e a lasciarsi lavare i suoi da ognuno dei confratelli…. Non si tratta di essere mondi, cioè puri. Anche gli apostoli dell’ultima cena lo erano: “voi siete mondi” aveva detto Gesù. Il problema è essere servi. Perché gli uomini accettano il messaggio di Cristo, non tanto da chi ha sperimentato l’ascetica della purezza, quanto da chi ha vissuto le tribolazioni del servizio ….»).

da Avvenire

Tv2000 e Rai. Come seguire le celebrazioni di Pasqua con papa Francesco in tv

(Archivio Ansa)

(Archivio Ansa)

Per chi non potrà essere a Roma è possibile seguire in tv la Settimana Santa, le celebrazioni in diretta con papa Francesco, ma anche film e documentari che arricchiscono lo speciale per Pasqua che viene messo in onda daTv2000. Anche su RaiUno vengono trasmesse in diretta alcune delle celebrazioni, in particolare la Via Crucis dal Colosseo venerdì sera dalle ore 21 e la Messa della Domenica di Pasqua presieduta da papa Francesco, sempre su RaiUno dalle ore 10.

L’emittente della Cei, in collaborazione con il Vatican Media, trasmette le dirette delle celebrazioni con papa Francesco: giovedì 29 dalle ore 9.30 la Messa del Crisma e dalle 16.30 Messa in Coena Domini dal carcere di Regina Coeli, introdotta, a partire dalle 15.20, dallo speciale del ‘Diario di Papa Francesco’ condotto da Gennaro Ferrara, con ospiti il professore di religione Andrea Monda e i suoi alunni del liceo classico Pilo Albertelli, che quest’anno hanno scritto le mediazioni della tradizionale Via Crucis del venerdì santo al Colosseo. Si prosegue venerdì 30 dalle ore 16 con lo speciale del ‘Diario di Papa Francesco’ sulla celebrazione della Passione, in diretta dalle 17, e dalle 21.15 la Via Crucis; sabato 31 dalle ore 20.30 in diretta la Veglia pasquale; domenica 1 aprile dalle 10 la Messa di Pasqua e la benedizione Urbi et Orbi; lunedì 2 aprile dalle ore 12 la recita della preghieraRegina Coeli da piazza San Pietro. Giovedì 29 marzo dalle ore 20, in diretta dalla Basilica del Getsemani in Terra Santa la veglia di preghiera ‘Con Gesù nell’orto degli ulivi’, presieduta dal custode di Terra Santa padre Pierbattista Pizzaballa.

Il programma delle celebrazioni con Papa Francesco su Tv2000

Giovedì 29 marzo
9.30 Messa del Crisma
16.30 Messa In Coena Domini – dal carcere di Regina Coeli

Venerdì 30 marzo
17.00 Celebrazione della Passione
21.15 Via Crucis dal Colosseo

Sabato 31 marzo
20.30 Veglia Pasquale

Domenica 1 aprile
10.00 Messa di Pasqua e benedizione ‘Urbi et Orbi’

Lunedì 2 aprile
12.00 Recita della preghiera Regina Coeli da piazza San Pietro

 

Tra i film della Settimana Santa in onda su Tv2000: ‘Gesù di Nazareth’ di Franco Zeffirelli, trasmesso in quattro puntate tutte le sere da mercoledì 28 marzo a sabato 31 marzo, e ‘La tunica’ di Henry Koster con Richard Burton, domenica 1 aprile ore 21.15. La programmazione speciale dell’emittente Cei prevede inoltre tra i documentari: lo speciale ‘La lezione del Padre Nostro’, martedì 27 marzo ore 21.05, doc di Andrea Salvadore sulle parole di papa Francesco all’udienza privata con i volti noti che sono intervenuti nel programma ‘Padre Nostro’ condotto da don Marco Pozza trasmesso da Tv2000 nei mesi scorsi e che ha visto protagonista proprio il Pontefice; ‘Missione – I poveri nutrono la terra, la terra nutre i poveri’, martedì 27 ore 22.45, documentario di Pasquale Scimeca sulla “Missione di Speranza e Carità” nata nel 1991 sotto i portici della stazione centrale di Palermo ad opera di fratel Biagio Conte, missionario laico; ‘Il Vangelo nell’arte: La crocifissione’, venerdì 30 marzo ore 20.45, a cura di Luca Criscenti che racconta come gli artisti nei secoli abbiano interpretato le sacre scritture attraverso la propria arte; ‘Dentro la Sindone’, sabato 31 marzo ore 13.20, documentario sulla storia del lino sacro a cura di Alessandra Gigante e Fabio Andriola.

avvenire

Giovedì Santo. Il cappellano del Regina Coeli: il Papa atteso anche dai musulmani

Nel 2015 papa Francesco lavò i piedi ai carcerati di Rebibbia (Archivio Osservatore Romano).

Nel 2015 papa Francesco lavò i piedi ai carcerati di Rebibbia (Archivio Osservatore Romano).

Giovedì santo: oggi si aprono le celebrazioni per il Triduo Pasquale. Dopo la Messa del Crisma in Vaticano, papa Francesco alle 16 celebra con i detenuti dello storico carcere romano di Regina Coeli la Messa in Coena Dominidel Giovedì Santo. La visita oltre alla celebrazione eucaristica prevede anche l’incontro con i detenuti ammalati, ricoverati nell’infermeria della struttura, e quello con i carcerati della VIII Sezione, dove si scontano reati di natura sessuale. Oltre 600 i partecipanti all’incontro, tra detenuti e personale carcerario. 12 detenuti di diverse nazionalità e religioni ricevono la lavanda dei piedi dal Papa.

Tra loro ci sono cattolici, protestanti, ortodossi, buddisti e musulmani di diverse nazionalità a rappresentare la composizione multietnica dello storico penitenziario romano nel cuore di Trastevere. Come riporta il Sir, essendo un carcere di prima accoglienza il 60-65% della popolazione è costituito da giovani tra i 18 e i 35 anni, appartenenti a 60 diverse nazionalità.

Francesco è il quarto Papa in visita a Regina Coeli, l’ultimo è stato Giovanni Paolo nel 2000, anno del Grande Giubileo. Prima di lui ci andarono anche: Paolo VI nel 1964 e Giovanni XXIII nel 1958.

E non è la prima volta che papa Francesco decide di trascorrere il Giovedì Santo con i carcerati: appena eletto andò nel carcere minorile di Casal del Marmo; tre anni fa Rebibbia; l’anno scorso nella casa di reclusione di Paliano, in provincia di Frosinone.

L’intervista al cappellano del carcere Regina Coeli e l’attesa per papa Francesco

Padre Vittorio Trani, 74 anni, cappellano di Regina Coeli da 40 anni

Padre Vittorio Trani, 74 anni, cappellano di Regina Coeli da 40 anni

«Una brezza fresca per chi sta dentro». E «un invito per chi sta fuori, perché la detenzione sia organizzata in modo non disumano, né contrario alla dignità delle persone». Il francescano padre Vittorio Trani, ‘storico’ cappellano di Regina Coeli, racconta la gioia dei suoi ‘parrocchiani’ per l’attenzione e l’amore che papa Francesco dimostra al loro mondo separato e sofferente.

Francesco conferma la sua grande attenzione per i carcerati: Casal del Marmo, Rebibbia, Paliano. Ora Regina Coeli, un chilometro in linea d’aria dal Vaticano.

Ci farà sentire il profumo della sua visione evangelica. I detenuti lo aspettavano, sanno di essere a pieno titolo tra le categorie delle persone in difficoltà per le quali il Papa ha la massima attenzione. Percepiscono una familiarità. Tutti, cristiani e non cristiani. È una persona che supera le appartenenze religiose.

Molti gli stranieri a Regina Coeli. Come hanno accolto la notizia i detenuti musulmani?

Molti vivono a Roma da anni e sono abituati a convivere col mondo cristiano. E anche i musulmani sono felicissimi. Due loro saranno tra i dodici che avranno il privilegio della lavanda dei piedi. Uno mi ha chiesto: gli posso parlare? Noi abbiamo chiesto liberamente chi volesse partecipare e pochissimi hanno detto di no. Ad ascoltare il Papa ci saranno cattolici, ortodossi, islamici, non credenti. La dimensione umana dell’incontro è più ampia di quella strettamente religiosa. L’ingresso di papa Francesco a Regina Coeli è una brezza che arriva sul volto di tutti, di chi nel cuore ha fede e di chi non ce l’ha. È la brezza dell’attenzione all’uomo, che in carcere manca come l’aria. Chi arriva in cella sente crescere attorno una negatività. «Ma il Papa viene proprio per me», pensano. È qualcosa di straordinario. La massima espressione dell’attenzione alla persona, spesso stritolata nel meccanismo della giustizia umana. Anche i mezzi di comunicazione, per sensazionalismo, non risparmiano nulla. Scorgere una mano amica, un sorriso è una cosa bellissima.

Francesco spesso ha ripetuto, visitando i carcerati fin da quando era arcivescovo di Buenos Aires, «perché loro e non io?».

Io vedo da vicino tante vicende che riflettono situazioni umane drammatiche. Andare fuori strada è un rischio sempre dietro l’angolo: problemi di sopravvivenza, malattia di un familiare… Sono tante le ragioni per cui uno può arrivare a trovarsi implicato in vicende giudiziarie. Potrebbe capitare a tutti. In questi anni poi abbiamo visto, da Mani pulite in poi, persone catapultate da un giorno all’altro in carcere. Salvo poi, dopo 8 o 10 anni, risultare estranee ai fatti. Ma intanto vivono un dramma enorme. Potrebbe capitare anche a me (dice sorridendo, ndr). La giustizia degli uomini è troppo lacunosa. La presunzione di innocenza spesso passa in secondo piano rispetto al desiderio di concludere un’indagine.

Gesù fa la lavanda dei piedi alla vigilia del suo arresto.

E viene chiuso in prigione, per qualche ora. Gesù non solo ha detto «visitate i carcerati». Lui stesso non si è risparmiato nulla per condividere la nostra misera condizione umana. Tutti papi venuti qui – Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo II – hanno sottolineato questa elementare esigenza cristiana, l’attenzione al fratello più in difficoltà. Visitare i carcerati è uno dei punti più alti del Vangelo, come perdonare 70 volte 7, pregare per i nemici. Cose umanamente difficili da accettare, ma Gesù ce le ha indicate come un percorso nuovo. Perfino sulla croce ha perdonato. Mi auguro che la scia di luce che porterà il Papa duri a lungo. E crei attenzione su questo mondo sofferente da parte di chi gestisce l’amministrazione della pena, per migliorare le condizioni dei detenuti e riconoscerne la dignità di persone.

avvenire

Messa del Crisma. Il Papa ai preti: «Siate vicini alla gente»

Papa Francesco tra i sacerdoti romani per la Messa crismale del Giovedì santo (Siciliani)

Papa Francesco tra i sacerdoti romani per la Messa crismale del Giovedì santo (Siciliani)

È la vicinanza quella che la gente vuole da un prete. Si è vicini o no alle persone nella loro vita quotidiana? O c’è questa vicinanza o ci si gioca la presenza di Cristo nella vita dell’umanità. Il Vescovo di Roma nel suo quinto appuntamento pasquale con i sacerdoti della sua diocesi nella Basilica di San Pietro per la messa crismale ha voluto nuovamente centrare questo tratto distintivo della vita sacerdotale, che non è declinabile perché conforma a Cristo stesso, conforma alla scelta di Dio perché è Dio che «ha scelto di essere uno che sta vicino al suo popolo». E perché la vicinanza non sia mai un aspetto opzionale per un sacerdote il Papa ha ribadito ai suoi preti nell’omelia che «è il Signore che ha voluto essere un un predicatore di strada, il “Messaggero di buone notizie” per il suo popolo, il predicatore i cui piedi sono belli, come dice Isaia», pur avendo potuto benissimo essere uno scriba o un dottore della legge.

«Quando la gente dice di un sacerdote che “è vicino” – ha detto oggi in San Pietro papa Francesco – di solito fa risaltare due cose: la prima è che “c’è sempre” (contrario del “non c’è mai”: “Lo so, padre, che Lei è molto occupato” – dicono spesso). E l’altra è che sa trovare una parola per ognuno. “Parla con tutti – dice la gente –: coi grandi, coi piccoli, coi poveri, con quelli che non credono… Preti vicini, che ci sono, che parlano con tutti… Preti di strada». E l’esempio su come essere vicini il Papa lo ha indicato nell’apostolo Filippo «uno che ha imparato bene da Gesù a essere predicatore di strada», «uno di quelli che lo Spirito poteva “sequestrare” in qualsiasi momento e farli partire per evangelizzare, andando da un posto all’altro… uno capace anche di battezzare gente di buona fede e di farlo lì per lì, lungo la strada».

L’invito a offrire vicinanza ai dolori e alle miserie umane, la compassione di un padre, con una parola, uno sguardo amabile, «quello di cui ha bisogno la gente, praticando “la pastorale dell’orecchio” e guardando alla realtà senza averne paura» è quanto Papa Francesco aveva già raccomandato ai preti di Roma incontrati al Laterano all’inizio della Quaresima. «La vicinanza è più che il nome di una virtù particolare – ha perciò ripreso oggi – è un atteggiamento che coinvolge tutta la persona, il suo modo di stabilire legami, di essere contemporaneamente in sé stessa e attenta all’altro».

Attenti alla tentazione della “verità-idolo”

Nella messa in cui benedice gli oli santi del crisma, dei catecumeni, degli infermi, che saranno poi inviati a tutte le parrocchie della diocesi per la celebrazione dei sacramenti, Francesco ha spiegato così che «la vicinanza è la chiave dell’evangelizzatore perché è un atteggiamento-chiave nel Vangelo (il Signore la usa per descrivere il Regno)». Ha poi chiarito che la vicinanza non è solo la chiave della misericordia è anche la chiave della verità: «Si possono eliminare le distanze nella verità? Sì, si può. Infatti la verità non è solo la definizione che permette di nominare le situazioni e le cose tenendole a distanza con concetti e ragionamenti logici. Non è solo questo. La verità è anche fedeltà (emeth), quella che ti permette di nominare le persone col loro nome proprio, come le nomina il Signore, prima di classificarle o di definire “la loro situazione”». Ha pertanto invitato a stare attenti «a non cadere nella tentazione di farsi idoli di alcune verità astratte sono idoli comodi, a portata di mano, che danno un certo prestigio e potere e sono difficili da riconoscere. Perché la “verità-idolo” si mimetizza, usa le parole evangeliche come un vestito, ma non permette che le si tocchi il cuore. E, ciò che è molto peggio, allontana la gente semplice dalla vicinanza risanatrice della Parola e dei Sacramenti di Gesù».

Per non cadere nella tentazione di farsi idoli di alcune verità astratte bisogna chiedere la grazia – ha detto il Papa – e rivolgersi a «Maria, “Madonna della Vicinanza”, che col suo “sì” ci ha avvicinato a Gesù per sempre» e imparare da lei come «saper stare lì dove si “cucinano” le cose importanti, quelle che contano per ogni cuore, ogni famiglia, ogni cultura».

Tre ambiti di vicinanza sacerdotale

Papa Francesco ha quindi suggerito ai sacerdoti di meditare su tre ambiti di vicinanza sacerdotale nei quali le parole dette dalla Madre di Dio alle nozze di Cana – «Fate tutto quello che Gesù vi dirà» – possano risuonare con un tono materno nel cuore delle persone. Il primo ambito di vicinanza è quello dell’accompagnamento spirituale, poi ci sono quelli della Confessione e della predicazione.

Per la vicinanza nel dialogo spirituale modello per il Papa è l’incontro di Cristo con la Samaritana. Perchè? Perché lì Gesù «sa far venire alla luce il peccato della Samaritana senza che getti ombra sulla sua preghiera di adoratrice né che ponga ostacoli alla sua vocazione missionaria» e va poi con lei a evangelizzare nel suo villaggio.

Esempio di vicinanza nella Confessione è invece il passo evangelico della donna adultera. «Le verità di Gesù sempre avvicinano» dice il Papa e spiega che: «Guardare l’altro negli occhi – come il Signore quando si alza in piedi dopo essere stato in ginocchio vicino all’adultera che volevano lapidare e le dice: «Neanch’io ti condanno» (Gv 8,11) – non è andare contro la legge». Si può poi aggiungere: «D’ora in poi non peccare più» ma «non con un tono che appartiene all’ambito giuridico della verità-definizione», il tono di chi deve determinare quali sono i condizionamenti della Misericordia divina – afferma – ma «con un’espressione che si dice nell’ambito della verità-fedele, che permette al peccatore di guardare avanti e non indietro».

Infine c’è l’ambito della predicazione. E qui riprende uno dei motivi battuti con insistenza e cioè che l’omelia è la pietra di paragone «per valutare la vicinanza e la capacità di incontro di un Pastore con il suo popolo» come già affermato nell’Evangelii gaudium. Lì – riprende ancora il Papa – si vede «quanto vicini siamo stati a Dio nella preghiera e quanto vicini siamo alla nostra gente nella sua vita quotidiana». Il sacerdote vicino, che è in mezzo alla sua gente con vicinanza e tenerezza di buon pastore – ha detto infine – la gente non solo lo apprezza molto, ma va oltre: sente per lui qualcosa di speciale, qualcosa che sente soltanto alla presenza di Gesù. «Perciò non è una cosa in più questo riconoscere la nostra vicinanza – confessa Francesco – in essa ci giochiamo se Gesù sarà reso presente nella vita dell’umanità, oppure se rimarrà sul piano delle idee».

avvenire

La festa. Beata Maria Vergine Madre della Chiesa, le indicazioni per la celebrazione

 Beata Maria Vergine Madre della Chiesa, le indicazioni per la celebrazione

«Il Sommo Pontefice Francesco, considerando attentamente quanto la promozione di questa devozione possa favorire la crescita del senso materno della Chiesa nei Pastori, nei religiosi e nei fedeli, come anche della genuina pietà mariana, ha stabilito che la memoria della beata Vergine Maria, madre della Chiesa, sia iscritta nel calendario romano nel lunedì dopo Pentecoste e celebrata ogni anno». Questo è quanto si leggeva nel decreto pubblicato sabato 3 marzo e firmato dal cardinale prefetto della Congregazione del Culto divino e della disciplina del sacramenti, Robert Sarah, e dal suo segretario, l’arcivescovo Arthur Roche.

Ora i vertici del dicastero vaticano rendono note alcune indicazioni “pratiche” sulla nuova festa liturgica:

«La rubrica che si legge nel Messale Romano dopo i formulari della Messa di Pentecoste: “Nei luoghi dove, per consuetudine, i fedeli partecipano numerosi alla Messa del lunedì e del martedì di Pentecoste, si riprende la Messa della domenica di Pentecoste o si dice una ‘Messa votiva’ dello Spirito Santo” (Messale Romano, p. 243),vale ancora poiché non deroga alla precedenza tra i giorni liturgici che, in quanto alla loro celebrazione, sono regolati unicamente dalla Tabella dei giorni liturgici (cf. Norme generali per l’ordinamento dell’Anno liturgico e del Calendario, n. 59). Similmente la precedenza è ordinata dalla normativa sulle Messe votive»

Tuttavia, proseguono Sarah e Roche, «a parità di importanza, è da preferire la memoria obbligatoria della beata Vergine Maria Madre della Chiesa, i cui testi sono annessi al Decreto, con le letture indicate, da ritenere proprie, poiché illuminano il mistero della Maternità spirituale. In una futura edizione dell’Ordo lectionum Missae n. 572 bis la rubrica indicherà espressamente che le letture sono proprie e pertanto, sebbene si tratti di memoria, sono da adottare al posto delle letture del giorno corrente (cf. Lezionario, Introduzione, n. 83).

Nel caso di coincidenza di questa memoria con un’altra memoria si seguono i principi delle norme generali per l’Anno liturgico e il Calendario (cf. Tabella dei giorni liturgici, n. 60). Essendo poi la memoria della beata Vergine Maria Madre della Chiesa legata alla Pentecoste, come similmente la memoria del Cuore Immacolato della beata Vergine Maria è congiunta alla celebrazione del Sacratissimo Cuore di Gesù, in caso di coincidenza con altra memoria di un Santo o di un Beato, secondo la tradizione liturgica della preminenza tra le persone, prevale la memoria della beata Vergine Maria».

Avvenire

Prato. Migrante trova portafogli e fa 70 chilometri per riconsegnarlo

Jean Marc M'Boua, 20 anni, fuggito dalla Costa d'Avorio

Jean Marc M’Boua, 20 anni, fuggito dalla Costa d’Avorio

«Perché l’ho fatto? Perché mi sembrava normale. Mi sono sentito orgoglioso di poter portare quel portafogli di persona, senza lasciarlo in Questura. C’erano dei soldi dentro e sarebbero senz’altro serviti al proprietario». Jean Marc M’Boua ha 20 anni ed alloggia in un centro di accoglienza di Prato, dove è arrivato l’anno scorso scappando dalla guerra e dalla povertà della sua Costa D’Avorio. La Vaianese Impavida di Vernio lo ha accolto nella sua squadra e lui attraverso il calcio sfoga la sua passione nel campionato di Eccellenza toscana ed impara ad integrarsi. La società lo accompagna e lo riporta in pullman e gli dà un piccolo rimborso spese. Domenica pomeriggio, dopo la partita con la Folgor Marlia, quando tutti sono andati già via, trova un portafogli nello spogliatoio.

Lo apre e legge il nome: Andrea Della Maggiora. È un giocatore della Folgor Marlia, che nel frattempo si era già accorto di averlo perso. Senza dire niente a nessuno, Jean Marc prende il primo treno per Lucca, scende alla stazione e comincia a cercare la via scritta sui documenti. Lo fa a piedi, facendo su e giù dallo scalo lucchese, complessivamente per 10 chilometri fino alla frazione di Capannori dove la Folgor gioca: «Mi dicevano di andare in Questura, ma io volevo darglielo di persona – dice Jean Marc – e poi non mi spaventava di certo camminare a lungo, anche perché nel frattempo avevo anche mangiato un po’. Non avevo soldi, ne ho presi un po’ da quel portafogli, la mia idea era di dirlo al proprietario a cui l’avrei consegnato».

Giunto al campo, cerca Della Maggiora e gli riconsegna il portafogli. Il giocatore lo abbraccia, lo ringrazia con 50 euro e lo riporta alla stazione: «Il gesto che ha fatto questo ragazzo – dice Della Maggiora – è un esempio, per me e per tutti noi. Quanti avrebbero fatto come lui?».

Per Jean Marc, che attualmente è richiedente asilo, le ricompense potrebbero però non essere finite. Il padre di Della Maggiora, David, è infatti il direttore commerciale di un importante gruppo di contenitori per alimenti con sede a Cremona e quando viene a sapere della vicenda telefona di persona al ragazzo. Dall’estero, dove si trova per lavoro, fa sapere che «vorrei premiarlo, perché è stato un gesto da persona seria e matura, non siamo preparati, per questi gesti. Se ha voglia di salire fino a Cremona, vorrei presentarlo al nostro responsabile delle risorse umane: non essendo io il proprietario, non posso purtroppo assumerlo direttamente, altrimenti lo farei. So che sta regolarizzando la sua posizione: siamo rimasti in contatto, lui ha detto che mi chiamerà quando è pronto». Jean Marc M’Boua sorride: «A Cremona? Ci vado di corsa, se può cambiare la mia vita».

avvenire

Stati Uniti. Scomparsa Linda Brown, con lei nel 1954 finì l’apartheid nelle scuole

(Ansa)

(Ansa)

Linda Brown non sei sola”: così si intitola un bellissimo libro per ragazzi uscito alcuni anni fa, che raccoglie poesie, riflessioni e racconti in versi di una delle più grandi scrittrici statunitensi del Novecento, Joyce Carol Oates.

È un tributo a quella bambina afroamericana con lo sguardo fiero incorniciato dai capelli raccolti, che uscì da scuola scortata dagli agenti federali diventando uno dei simboli più potenti contro la discriminazione dei neri d’America. Linda Brown aveva nove anni e faceva la terza elementare quando dette il via alla rivoluzione.

Prima che Rosa Parks salisse sul suo famoso autobus, prima che Martin Luther King iniziasse la sua campagna di disobbedienza civile, questa bimba residente a Topeka, in Texas, innescò il processo che avrebbe abbattuto il muro della segregazione razziale negli Stati Uniti. Era il 1951. Linda si era vista rifiutare l’iscrizione alla Sumner School, un istituto scolastico vicino a casa sua, frequentato da soli bianchi. All’epoca la legge del Kansas autorizzava le città con più di quindicimila abitanti a creare scuole separate e a Topeka questa disposizione era stata applicata proprio nelle scuole elementari. Molti anni dopo, nel 1987, Linda avrebbe raccontato quel giorno in un’intervista al Miami Herald: “Era una bella giornata di sole e mi incamminai con mio padre per andare a scuola. Diversamente dal solito non prendemmo l’autobus verso la scuola elementare di Monroe, che era lontana da casa, ma ci dirigemmo alla più vicina Summer School, dove andavano alcune mie amiche bianche del quartiere. All’ingresso ci bloccarono con le mani e le braccia sul petto, papà si mise a parlare con il direttore, alzarono entrambi la voce. Infine fummo costretti a tornare a casa”.

Oliver Brown, il padre di Linda, citò in giudizio l’autorità scolastica iniziando una lunga battaglia legale alla quale si aggiunsero poi altre quattro famiglie. Tre anni dopo la causa arrivò infine alla Corte Suprema e il 17 maggio 1954 il giudice Earl Warren lesse la decisione del tribunale, raggiunta all’unanimità: “Può la segregazione degli alunni nella scuola pubblica, accordata per esclusiva base razziale, deprivare i bambini dei gruppi minoritari di eguali opportunità di istruzione? Noi crediamo di sì… Concludiamo quindi che nel campo dell’istruzione la dottrina del ‘separato ma eguale’ non debba avere nessuno spazio“. Era un verdetto storico che rappresentava una vittoria per la famiglia Brown ma soprattutto segnava uno spartiacque epocale per gli Stati Uniti, poiché da lì iniziò lo smantellamento della segregazione nelle scuole e in altre sfere della vita quotidiana.

La giurisprudenza prodotta da quel caso ribaltò una volta per tutte un’altra storica sentenza, quella del processo “Plessy contro Ferguson”, con la quale nel 1896 la stessa Corte Suprema aveva introdotto la dottrina ‘separati ma uguali’, legittimando la segregazione razziale, legalizzando l’apartheid nelle scuole ma anche negli autobus e nei luoghi pubblici. Il percorso verso il cambiamento sarebbe stato ancora lungo e difficile. Ogni singolo stato fece ricorso, alcuni arrivarono persino a disobbedire alle ingiunzioni della Corte Suprema, rifiutando l’accesso agli studenti di colore. Nel 1957 il presidente Eisenhower fu costretto a inviare le truppe federali per scortare i ragazzi in una scuola media di Little Rock, in Arkansas. Alcuni anni dopo il governatore dell’Alabama, George Wallace, andò a picchettare di persona l’università per impedire l’ingresso agli studenti neri. Ma il seme di un diffuso cambiamento di sensibilità era stato gettato, anche se sarebbero stati necessari altri decenni di sofferenze e di lotte per vederlo germogliare.

Quando fu pronunciata la sentenza nel 1954, Linda Brown frequentava ormai la scuola media in un istituto misto. Più tardi si sarebbe iscritta all’università e avrebbe messo su famiglia, iniziando a lavorare come consulente nel settore educativo. Per il resto della sua vita ha continuato a impegnarsi in prima persona contro l’intolleranza e le discriminazioni razziali. Nel 1979, insieme all’American Civil Liberties Union, riaprì persino il caso che aveva segnato la sua infanzia, sostenendo che il lavoro sull’integrazione non era stato completato e che la battaglia contro la segregazione non era ancora finita. Vinse anche in quell’occasione, riuscendo a far costruire tre nuovi edifici scolastici. Domenica scorsa è morta nella sua casa di Topeka, all’età di 76 anni. Se gli Stati Uniti sono diventati un paese migliore è anche merito suo.

avvenire

Con il Papa. La Via Crucis dei ragazzi al Colosseo: le meditazioni scritte dai liceali

La Via Crucis dei ragazzi al Colosseo: le meditazioni scritte dai liceali

Venerdì 30 marzo si svolgerà la Via Crucis al Colosseo, presieduta da papa Francesco. I testi delle meditazioni sulle 14 stazioni sono stati scritti da 15 giovani tra i 16 e i 27 anni.

Due, quindi, sono le principali novità di quest’anno: la prima riguarda l’età degli autori (nove sono studenti del liceo di Roma Pilo Albertelli); la seconda consiste nella dimensione “corale” di questo lavoro.

I giovani si sono riuniti intorno a un tavolo e, leggendo i testi della Passione di Cristo secondo i quattro Vangeli, si sono messi davanti alla scena della Via Crucis e l’hanno “vista”. Dopo la lettura ognuno dei ragazzi si è espresso dicendo quale particolare della scena lo avesse colpito. E così è stato più semplice assegnare le singole stazioni.

Tre verbi segnano lo sviluppo di questi testi: vedere, poi incontrare, infine pregare.

Quando si è giovani si vuole vedere il mondo, vedere tutto. La scena del Venerdì Santo è potente, anche nella sua atrocità: vederla può spingere alla repulsione oppure alla misericordia e, quindi, ad andare incontro. Proprio come fa Gesù nel Vangelo, che nell’ultimo giorno incontra Pilato, Erode, i sacerdoti, le guardie, sua madre, il Cireneo, le donne di Gerusalemme, i due ladroni suoi ultimi compagni di strada.

Quando si è giovani ogni giorno si ha l’occasione di incontrare qualcuno, e ogni incontro è nuovo, sorprendente. Si invecchia quando non si vuole più vedere nessuno, quando si ha paura di cambiare, perché incontrare vuol dire cambiare, essere pronti a rimettersi in cammino con occhi nuovi.

Vedere e incontrare spinge, infine, a pregare perché la vista e l’incontro generano la misericordia, anche in un mondo che sembra sprovvisto di pietà e in un giorno come questo, abbandonato all’ira insensata, alla viltà e alla pigrizia distratta degli uomini.

I stazione – Gesù è condannato a morte
(redatta Valerio De Felice)

Ti vedo, Gesù, di fronte al Governatore, che per tre volte tenta di contrastare la volontà del popolo e infine sceglie di non scegliere, di fronte alla folla, che per tre volte viene interrogata e sempre decide contro di te. La folla, cioè tutti, cioè nessuno. Nascosto nella massa l’uomo smarrisce la propria personalità, è la voce di altre mille voci. Prima di rinnegare te, rinnega se stesso, disperdendo la propria responsabilità in quella fluttuante della moltitudine senza volto. Eppure è responsabile. Sviato dai sobillatori, dal Male che si propaga con voce subdola e assordante, è l’uomo a condannarti.Oggi noi inorridiamo di fronte a una tale ingiustizia, e vorremmo prenderne distanza. Ma così facendo dimentichiamo tutte le volte in cui noi per primi abbiamo scelto di salvare Barabba anziché te. Quando il nostro orecchio è stato sordo alla chiamata del Bene, quando abbiamo preferito non vedere l’ingiustizia davanti a noi.In quella piazza gremita, sarebbe stato sufficiente che un solo cuore dubitasse, che una sola voce si alzasse contro le mille voci del Male. Ogni volta che la vita ci porrà davanti a una scelta, ricordiamoci di quella piazza e di quell’errore. Concediamo ai nostri cuori di dubitare e imponiamo alla nostra voce di levarsi.

II stazione – Gesù è caricato della croce
(Maria Tagliaferri e Margherita Di Marco)

Ti vedo, Gesù, coronato di spine, mentre accogli la tua croce. La accogli, come sempre hai accolto tutto e tutti. Ti caricano del legno, pesante, ruvido, ma tu non ti ribelli, non butti via quello strumento di tortura ingiusto e ignobile. Lo prendi su di te e cominci a camminare portandolo sulle spalle. Quante volte mi sono ribellata e arrabbiata contro gli incarichi che ho ricevuto, che ho avvertito come pesanti o ingiusti. Tu non fai così. Sei solo di qualche anno più grande di me, oggi si direbbe che sei ancora giovane, ma sei docile, e prendi sul serio quello che la vita ti offre, ogni occasione che ti si presenta, come se volessi andare fino in fondo alle cose e scoprire che c’è sempre qualcosa di più di quello che appare, un significato nascosto e sorprendente. Grazie a te comprendo che questa è croce di salvezza e di liberazione, croce di sostegno nell’inciampo, giogo leggero, fardello che non grava. Dallo scandalo della morte del Figlio di Dio, morte da peccatore, morte da malfattore, nasce la grazia di riscoprire nel dolore la resurrezione, nella sofferenza la tua gloria, nell’angoscia la tua salvezza. La stessa croce, simbolo per l’uomo di umiliazione e dolore, si rivela ora, per grazia del tuo sacrificio, come una promessa: da ogni morte risorgerà la vita e in ogni buio risplenderà la luce. E possiamo esclamare: “Ave o croce, unica speranza!”.

III stazione -Gesù cade per la prima volta
(Caterina Benincasa)

Ti vedo, Gesù, sofferente mentre percorri la via verso il Calvario, carico del nostro peccato. E ti vedo cadere, con le mani e le ginocchia a terra, dolorante. Con quanta umiltà sei caduto! Quanta umiliazione provi ora! La tua natura di vero uomo si vede chiaramente in questo frammento della tua vita. La croce che porti è pesante; avresti bisogno di aiuto, ma quando cadi a terra nessuno ti soccorre, anzi, gli uomini si prendono gioco di te, ridono di fronte all’immagine di un Dio che cade. Forse sono delusi, forse si sono fatti un’idea sbagliata di te. A volte pensiamo che avere fede in te significhi non cadere mai nella vita. Insieme a te cado anch’io, e con me le mie idee, quelle che avevo su di te: quanto erano fragili!

Ti vedo, Gesù, che stringi i denti e, completamente abbandonato all’amore del Padre, ti rialzi e riprendi il tuo cammino. Con questi primi passi verso la croce, così titubanti, Gesù, mi ricordi un bambino che muove i primi passi verso la vita e perde l’equilibrio e cade e piange, ma poi continua. Si affida alle mani dei genitori e non si ferma; ha paura ma va avanti, perché alla paura sopravviene la fiducia.

Con il tuo coraggio ci insegni che i fallimenti e le cadute non devono mai arrestare il nostro cammino e che abbiamo sempre una scelta: arrenderci o rialzarci con te.

IV stazione – Gesù incontra sua madre
(Agnese Brunetti)

Ti vedo, Gesù, quando incontri tua madre. Maria è lì, cammina per la strada affollata, ci sono molte persone accanto a lei. L’unica cosa che la distingue dagli altri è il fatto che lei è lì per accompagnare suo figlio. Una situazione che si verifica quotidianamente: le mamme accompagnano i figli a scuola, o dal medico, o li portano con sé al lavoro. Maria però si distingue dalle altre mamme: lei sta accompagnando suo figlio a morire. Vedere il proprio figlio morire è la sorte peggiore che si possa augurare ad una persona, la più innaturale; ancora più atroce se il figlio, innocente, sta morendo per mano della giustizia. Che scena innaturale e ingiusta davanti ai miei occhi! Mia madre mi ha educato al senso della giustizia e ad avere fiducia nella vita, ma quello che oggi i miei occhi vedono non ha nulla di questo, è privo di senso, ed è pieno di dolore.

Ti vedo, Maria, mentre guardi il tuo povero ragazzo: ha i segni della flagellazione sulla schiena ed è costretto a sopportare il peso della croce, probabilmente presto cadrà sotto di essa per la fatica. Eppure sapevi che, prima o poi, sarebbe successo, ti era stato profetizzato, ma ora che è accaduto è tutto diverso; ed è sempre così, siamo sempre impreparati di fronte alla vita, alla sua crudezza. Maria, ora sei triste, come lo sarebbe qualunque donna al tuo posto, ma non sei disperata. I tuoi occhi non sono spenti, non guardano nel vuoto, tu non cammini a testa bassa. Sei splendente anche nella tua tristezza, perché hai speranza, sai che quello di tuo figlio non sarà un viaggio di sola andata e sai, lo senti, come solo le mamme lo sentono, che lo rivedrai presto.

V stazione -Simone di Cirene aiuta Gesù a portare la croce
(Chiara Mancini)

Chiara Mancini, 17 anni, studentessa della quarta B al liceo classico “Pilo Albertelli” di Roma

Chiara Mancini, 17 anni, studentessa della quarta B al liceo classico “Pilo Albertelli” di Roma

Ti vedo, Gesù, schiacciato sotto il peso della croce. Vedo che non ce la fai da solo; proprio nel momento dello sforzo maggiore, sei rimasto solo, non ci sono quelli che si dicevano tuoi amici: Giuda ti ha tradito, Pietro ti ha rinnegato, gli altri abbandonato. Ma ecco un incontro improvviso, un tale, un uomo qualunque, che forse di te aveva sentito parlare eppure non ti aveva seguito, e invece ora è qui, al tuo fianco, spalla a spalla, a condividere il tuo giogo. Si chiama Simone ed è uno straniero che viene da lontano, da Cirene. Per lui oggi un imprevisto, che si rivela un incontro.

Sono infiniti gli incontri e gli scontri che viviamo ogni giorno, soprattutto noi ragazzi che entriamo continuamente in contatto con realtà nuove, nuove persone. Ed è nell’incontro inaspettato, nell’incidente, nella sorpresa spiazzante che è nascosta l’opportunità di amare, di riconoscere il meglio nel prossimo, anche quando ci sembra diverso.

Talvolta ci sentiamo come te, Gesù, abbandonati da quanti credevamo nostri amici, sotto un peso che ci schiaccia. Ma non dobbiamo dimenticare che c’è un Simone di Cirene pronto a prendere la nostra croce. Non dobbiamo dimenticare che non siamo soli, e da questa consapevolezza possiamo trarre la forza per farci carico della croce di chi abbiamo accanto.

Ti vedo, Gesù: ora sembra che provi un po’ di sollievo, riesci per un attimo a respirare, ora che non sei più solo. E vedo Simone: chissà se ha sperimentato che il tuo giogo è leggero, chissà se si rende conto di cosa significa quell’imprevisto nella sua vita.

VI stazione – Veronica asciuga il volto di Gesù
(Cecilia Nardini)

Cecilia Nardini, 18 anni, studentessa della quinta A al “Pilo Albertelli” di Roma

Cecilia Nardini, 18 anni, studentessa della quinta A al “Pilo Albertelli” di Roma

Ti vedo, Gesù, misero, quasi irriconoscibile, trattato come l’ultimo degli uomini. Cammini a stento verso la tua morte con il volto sanguinante e sfigurato, anche se come sempre mite ed umile, rivolto verso l’alto. Una donna si fa spazio tra la folla per scorgere da vicino quel tuo volto che, forse, tante volte aveva parlato alla sua anima e che lei aveva amato. Lo vede sofferente e lo vuole aiutare. Non la fanno passare, sono tanti, troppi, e armati. Ma a lei tutto questo non importa, è determinata a raggiungerti e riesce per un attimo a toccarti, accarezzarti con il suo velo. La sua è la forza della tenerezza. I vostri occhi si incrociano per un attimo, il volto nel volto dell’altro.

Quella donna, Veronica, di cui non sappiamo nulla, non ne conosciamo la storia, si guadagna il Paradiso con un semplice gesto di carità. Ti si avvicina, osserva il tuo volto straziato e lo ama ancor più di prima. Veronica non si ferma all’apparenza, oggi tanto importante nella nostra società delle immagini, ma ama incondizionatamente un volto brutto, non curato, non truccato e imperfetto. Quel volto, il tuo volto, Gesù, proprio nella sua imperfezione mostra la perfezione del tuo amore per noi.

VII stazione – Gesù cade per la seconda volta
(Francesco Porceddu)

Ti vedo, Gesù, cadere ancora davanti ai miei occhi. Cadendo ancora mi dimostri di essere un uomo, un vero uomo. E vedo che ti rialzi nuovamente, più deciso di prima. Non ti rialzi con superbia; non c’è orgoglio nel tuo sguardo, c’è amore. E nel proseguire il tuo cammino, rialzandoti dopo ogni caduta, annunci la tua Risurrezione, dimostri di essere pronto a caricare ancora una volta e per sempre, sulle tue spalle sanguinanti, il peso del peccato dell’uomo.

Cadendo ancora ci hai mandato un chiaro messaggio di umiltà, sei caduto a terra, su quell’humus da cui siamo nati noi “umani”. Siamo terra, siamo fango, siamo niente in confronto a te. Ma tu hai voluto diventare come noi, e ora ti mostri vicino a noi, con le stesse nostre fatiche, le stesse nostre debolezze, con lo stesso sudore della nostra fronte. Ora anche tu, in questo venerdì, come capita anche a noi, sei prostrato dal dolore. Ma tu hai la forza di andare avanti, non hai paura delle difficoltà che puoi incontrare, e sai che alla fine della fatica c’è il Paradiso; ti rialzi per dirigerti proprio lì, per aprirci le porte del tuo regno. Uno strano re sei, un re nella polvere.

Sento una vertigine: noi non siamo degni di paragonare le nostre fatiche e le nostre cadute alle tue. Le tue sono un sacrificio, il sacrificio più grande che i miei occhi e tutta la storia potrà mai vedere.

VIII stazione – Gesù incontra le donne di Gerusalemme
(Sofia Russo)

Ti vedo e ti ascolto, Gesù, mentre parli alle donne che incontri lungo la tua strada verso la morte. In tutte le tue giornate sei passato incontrando tante persone, sei andato incontro e hai parlato con tutti. Ora parli con le donne di Gerusalemme che ti vedono e piangono. Anch’io sono una di quelle donne. Ma tu, Gesù, nel tuo ammonimento usi parole che mi colpiscono, sono parole concrete e dirette; a primo impatto possono apparire dure e severe perché schiette. Oggi, infatti, siamo abituati ad un mondo fatto di giri di parole, una fredda ipocrisia vela e filtra ciò che vogliamo realmente dire; gli ammonimenti si evitano sempre di più, si preferisce lasciare l’altro al proprio destino, non curandosi di sollecitarlo per il suo bene.

Mentre tu, Gesù, parli alle donne come un padre, anche rimproverandole; le tue parole sono parole di verità e arrivano immediate con il solo scopo della correzione, non del giudizio. E’ un linguaggio diverso dal nostro, tu parli sempre con umiltà e arrivi dritto al cuore.

In questo incontro, l’ultimo prima della croce, emerge ancora una volta il tuo amore senza misura verso gli ultimi e gli emarginati; le donne infatti, a quel tempo, non erano considerate degne di essere interpellate, mentre tu, nella tua gentilezza, sei veramente rivoluzionario.

IX stazione – Gesù cade per la terza volta
(Chiara Bartolucci)

Ti vedo, Gesù, mentre cadi per la terza volta. Due volte già sei caduto e due volte ti sei rialzato. Non ci sono più limiti alla fatica e al dolore, ormai sembri definitivamente sconfitto, in questa terza e ultima caduta. Quante volte, nella vita di tutti i giorni, ci capita di cadere! Cadiamo così tante volte che perdiamo il conto, ma speriamo sempre che ogni caduta sia l’ultima, perché ci vuole il coraggio della speranza per affrontare la sofferenza. Quando uno cade tante volte, alla fine le forze crollano e le speranze svaniscono definitivamente.Mi immagino accanto a te, Gesù, nel percorso che ti sta conducendo alla morte. È difficile pensare che proprio tu sia il Figlio di Dio. Qualcuno ha già provato ad aiutarti ma ormai sei sfinito, sei fermo, paralizzato e sembra che non riuscirai più ad andare avanti. Ma ecco che improvvisamente vedo che ti rialzi, raddrizzi le gambe e la schiena, per quanto sia possibile con una croce sulle spalle, e riprendi a camminare, di nuovo. Sì, stai andando a morire, ma vuoi farlo fino in fondo. Forse questo è l’amore. Ciò che capisco è che non importa quante volte cadremo, ci sarà sempre l’ultima, forse la peggiore, la prova più terribile in cui siamo chiamati a trovare la forza per arrivare alla fine del percorso. Per Gesù la fine è la crocifissione, l’assurdo della morte, ma che rivela un significato più profondo, uno scopo più alto, quello di salvarci tutti.

X stazione – Gesù è spogliato delle vesti
(Greta Giglio)

Greta Giglio, 18 anni, studentessa della quinta B al liceo classico “Pilo Albertelli” di Roma.

Greta Giglio, 18 anni, studentessa della quinta B al liceo classico “Pilo Albertelli” di Roma.

Ti vedo, Gesù, nudo, come non ti ho mai visto. Ti hanno privato delle vesti, Gesù, e se le stanno giocando a dadi. Agli occhi di questi uomini hai perso l’unico brandello di dignità che ti era rimasto, l’unico oggetto che possedevi in questo tuo cammino di sofferenza. All’inizio dei tempi, tuo Padre aveva cucito degli abiti per gli uomini, per rivestirli di dignità; ora, degli uomini te li strappano di dosso. Ti vedo, Gesù, e vedo un giovane migrante, corpo distrutto che arriva in una terra troppo spesso crudele, pronta a togliergli la veste, unico suo bene, e a venderla; a lasciarlo così con la sua sola croce, come la tua, con la sua sola pelle martoriata, come la tua, con i suoi soli occhi grandi di dolore, come i tuoi.

Ma c’è qualcosa che gli uomini spesso dimenticano riguardo alla dignità: essa si trova sotto la tua pelle, è parte di te e sarà sempre con te, e ancor di più in questo momento, in questa nudità.

La stessa nudità con cui veniamo alla luce è quella con cui la terra ci accoglie alla sera della vita. Da una madre all’altra. E ora qui, su questa collina, c’è anche tua madre, che ti vede di nuovo nudo.

Ti vedo e comprendo la grandezza e lo splendore della tua dignità, della dignità di ogni uomo, che nessuno potrà mai cancellare.

XI stazione – Gesù è inchiodato alla croce
(Greta Sandri)

Ti vedo, Gesù, spogliato di tutto. Hanno voluto punire te, innocente, inchiodandoti al legno della croce. Che cosa avrei fatto io al posto loro, avrei avuto il coraggio di riconoscere la tua, la mia verità? Tu hai avuto la forza di sopportare il peso di una croce, di non essere creduto, di essere condannato per le tue parole scomode. Oggi non riusciamo a digerire una critica, come se ogni parola fosse pronunciata per ferirci.

Tu non ti sei fermato neanche di fronte alla morte, hai creduto profondamente nella tua missione e ti sei fidato di tuo Padre. Oggi, nel mondo di Internet, siamo così condizionati da tutto ciò che circola in rete che a volte dubito anche delle mie parole. Ma le tue parole sono diverse, sono forti nella tua debolezza. Tu ci hai perdonato, non hai portato rancore, hai insegnato a porgere l’altra guancia e sei andato oltre, fino al sacrificio totale della tua persona.

Mi guardo intorno e vedo occhi fissi sullo schermo del telefono, impegnati sui social network ad inchiodare ogni errore degli altri senza possibilità di perdono. Uomini che, in preda all’ira, urlano di odiarsi per i motivi più futili.

Guardo le tue ferite e sono consapevole, ora, che io non avrei avuto la tua forza. Ma sono seduta qui ai tuoi piedi, e mi spoglio anch’io di ogni esitazione, mi alzo da terra per poter essere più vicina a te, anche solo di qualche centimetro.

XII stazione – Gesù muore in croce
(Dante Monda)

Ti vedo, Gesù, e questa volta non ti vorrei vedere. Stai morendo. Eri bello da guardare quando parlavi alle folle, ma ora tutto è finito. E io non voglio vedere la fine; troppe volte ho girato lo sguardo dall’altra parte, mi sono quasi abituato a fuggire il dolore e la morte, mi sono anestetizzato.

Il tuo grido sulla croce è forte, straziante: non eravamo pronti a tanto tormento, non lo siamo, non lo saremo mai. Fuggiamo d’istinto, in preda al panico, di fronte alla morte e alla sofferenza, le rifiutiamo, preferiamo guardare altrove o chiudere gli occhi. Invece tu resti lì in croce, ci aspetti a braccia aperte, aprendoci gli occhi.

È un mistero grande, Gesù: ci ami morendo, essendo abbandonato, donando il tuo spirito, compiendo la volontà del Padre, ritirandoti. Tu resti in croce, e basta. Non provi a spiegare il mistero della morte, del consumarsi di tutte le cose, fai di più: lo attraversi con tutto il tuo corpo e il tuo spirito. Un mistero grande, che continua ad interrogarci e ad inquietarci; ci sfida, ci invita ad aprire gli occhi, a saper vedere il tuo amore anche nella morte, anzi a partire proprio dalla morte. È lì che ci hai amati: nella nostra più vera condizione, ineliminabile e inevitabile. È lì che cogliamo, seppure ancora in modo imperfetto, la tua presenza viva, autentica. Di questo, sempre, avremo sete: della tua vicinanza, del tuo essere Dio con noi.

XIII stazione – Gesù è deposto dalla croce
(Flavia De Angelis)

Ti vedo, Gesù, ancora lì, sulla croce. Un uomo in carne ed ossa, con le sue fragilità, con le sue paure. Quanto hai sofferto! E’ una scena insostenibile, forse proprio perché è intrisa di umanità: è questa la parola chiave, la cifra del tuo cammino, costellato di sofferenza e di fatica. Proprio quell’umanità che spesso dimentichiamo di riconoscere in te e di ricercare in noi stessi e negli altri, troppo presi da una vita che spinge sull’acceleratore, ciechi e sordi di fronte alle difficoltà e al dolore altrui.

Ti vedo, Gesù: ora non sei più lì, sulla croce; sei tornato da dove sei venuto, adagiato sul grembo della terra, sul grembo di tua madre. Ora la sofferenza è passata, svanita. Questa è l’ora della pietà. Nel tuo corpo senza vita riecheggia la forza con cui hai affrontato la sofferenza; il senso che sei riuscito a darle si riflette negli occhi di chi è ancora lì e ti è rimasto accanto e sempre rimarrà al tuo fianco nell’amore, donato e ricevuto. Si apre per te, per noi, una nuova vita, quella celeste, all’insegna di ciò che resiste e non viene spezzato dalla morte: l’amore. Tu sei qui, con noi, in ogni istante, in ogni passo, in ogni incertezza, in ogni ombra. Mentre l’ombra del sepolcro si allunga sul tuo corpo disteso tra le braccia di tua madre, io ti vedo e ho paura ma non dispero, ho fiducia che la luce, la tua luce, tornerà a risplendere.

XIV stazione – Gesù è collocato nel sepolcro
(Marta Croppo)

Non ti vedo più, Gesù, ora è buio. Cadono ombre lunghe dalle colline, e le lanterne dello Shabbat brulicano in Gerusalemme, fuori dalle case e nelle stanze. Battono contro le porte del cielo, chiuso e inespugnabile: per chi è tanta solitudine? Chi in una notte tale può dormire? Risuona la città dei pianti dei bambini, dei canti delle madri, delle ronde dei soldati: muore questo giorno, e solo tu ti sei addormentato. Dormi? E su quale giaciglio? Quale coperta ti nasconde al mondo?

Da lontano Giuseppe di Arimatea ha seguito i tuoi passi, e ora in punta di piedi ti accompagna nel sonno, ti sottrae agli sguardi degli indignati e dei malvagi. Un lenzuolo avvolge il tuo freddo, asciuga il sangue e il sudore e il pianto. Dalla croce precipiti, ma con leggerezza. Giuseppe ti issa sulle spalle, ma lieve tu sei: non porti il peso della morte, non dell’odio, né del rancore. Dormi come quando nella paglia tiepida eri avvolto e un altro Giuseppe ti teneva in braccio. Come allora non c’era posto per te, non hai adesso dove posare il capo: ma sul Calvario, sulla dura cervice del mondo, lì cresce un giardino dove ancora nessuno è stato mai sepolto.

Dove te ne sei andato, Gesù? Dove sei sceso, se non nel profondo? Dove, se non nel luogo ancora inviolato, nella cella più angusta? Nei nostri stessi lacci sei preso, nella nostra stessa tristezza sei imprigionato: come noi hai camminato sulla terra, e ora al di sotto della terra come noi ti fai spazio.

Vorrei correre lontano, ma dentro di me tu sei; non devo uscire a cercarti, perché alla mia porta tu bussi.

Avvenire