L’indagine. Piace condivisa, e il mercato dell’auto frena

Il car sharing cresce: in Italia il 61% degli iscritti al servizio posticipa o evita l’acquisto della vettura nuova

Piace condivisa, e il mercato dell'auto frena

La crescita dei servizi legati alla mobilità condivisa non sembra far bene all’industria tradizionale dell’auto. Il 61% degli utenti italiani di car sharing o ride sharing dichiara, infatti, di aver rinviato o evitato l’acquisto di un veicolo nuovo, proprio in seguito all’utilizzo dei nuovi servizi di mobilità. La percentuale è del 57% se si considerano solo gli iscritti che vivono nei centri urbani. Il dato è simile a quello osservato in altri Paesi continentali, dove oscilla tra il 50 e il 60 per cento. Secondo i risultati della ricerca “Mobilità condivisa – verso l’era del robotaxi”, realizzata da AlixPartners, presentata e commentata nel corso dell’evento #ForumAutomotive, “gli italiani sono, in Europa, gli utenti più fidelizzati ai servizi di condivisione dell’auto e nei prossimi 12 mesi ci si attende un’ulteriore crescita di queste due nuove forme di mobilità nel nostro Paese”.

L’analisi evidenzia come tale di servizio sia destinato a crescere nel mondo, con velocità differenti imputabili a vari fattori. “Le forme di mobilità condivisa – è stato chiarito – evidenzino trend differenti nei mercati in cui sono presenti da più tempo”. Negli Stati Uniti, per esempio, dal 2013 al 2017 nelle grandi città il loro utilizzo è sceso del 20% e “la curva di sviluppo è destinata a restare piatta anche nei prossimi 12 mesi”. Per il 2018-inizio 2019 gli analisti si attendono nella stessa realtà, invece, un aumento del 18% del ride sharing. “Lo sviluppo di questo comparto negli Usa appare polarizzato sui due brand Uber e Lyft, conosciuti rispettivamente dal 94% e dall’81% degli utenti di ride sharing. Tutti gli altri marchi sono conosciuti da meno del 5% degli utenti”.

Più dinamiche appaiono le previsioni per l’Asia: in Giappone, nei prossimi 12 mesi sono attesi valori tra +30% e +40% sia per il car sharing sia per il ride sharing, in Cina del +40%. Da ricordare, secondo i riscontri 2016, i più recenti disponibili, che nella UE gli utenti di car sharing sono circa 4,5 milioni, con Germania e Italia leader in questo settore. In Italia, infatti, a tale data risulterebbero 1,1 milioni di iscritti. Da noi, si legge nella nota di commento alla ricerca, alla domanda “quando è stata l’ultima volta che hai utilizzato uno di questi mezzi di trasporto nelle aree metropolitane”, il 76% del campione ha citato i mezzi pubblici (in Germania e Francia, rispettivamente, 85% e 83%), il 61% i taxi, il 35% (percentuale più alta tra i vari Paesi del campione) il car sharing e il 27% il ride sharing.

avvenire

Sport. Calcio e migranti, un gol per Jannacci

“El me indiriss Ortles69” la squadra dei senza dimora della Casa di accoglienza milanese, prima a essere iscritta al torneo Csi. Presidente e vice sono donne: «Noi in campo per l’inclusione concreta»

La formazione di “El me indiriss Ortles69», la squadra dei senza dimora della Casa di accoglienza milanese

La formazione di “El me indiriss Ortles69», la squadra dei senza dimora della Casa di accoglienza milanese

Dialogo surreale ma non troppo, specie di questi tempi di follia collettiva, dilagante. Se Enzo Jannacci fosse ancora qui tra noi, in via Ortles, al civico 69, direbbe al suo amico fraterno BeppeViola, gran cantore del pallone: «Si potrebbe andare tutti a vedere la partita…». E il Beppe domanderebbe stupito: «Chi gioca?» «Ma come chi gioca… “El me indiriss Ortles 69” no!», la risposta quasi scontata dell’Enzo. Il titolo di una sua canzone, El me indiriss, ora è anche la squadra di calcio del centro di accoglienza Enzo Jannacci. Via Ortles 69, cuore di una Milano che pulsa, costruisce e produce ossessivamente, ma che conserva ancora il suo bello spirito d’accoglienza.

Nella struttura diretta da Massimo Gottardi si accolgono fino a 457 senzatetto. Tanti sono i letti e con l’emergenza freddo, specie in questo inverno che pare interminabile, se ne aggiungono anche di più. La casa di via Ortles è dotata di tutti i servizi necessari per ospitare quel popolo di uomini in fuga dagli orrori della guerra e dai morsi altrettanto assassini della fame. Un letto, una doccia, un pasto caldo, un medico, un assistente sociale, un educatore con cui parlare ed essere capiti, qui si trovano a tutte le ore. E adesso c’è anche il pallone e gli allenamenti con il mister, Rocco. Non quel Rocco (Nereo) il “Paròn” che tanto piaceva a Jannacci (che amava alla follia «quel Rivera lì» anche quando non gli segnava più) ma Rocco Romano, 55enne di Nicotera, segretario amministrativo del Centro Jannacci e allenatore. «Sono un calabrese, come Rino Gattuso, salito a Milano quando avevo 33 anni: perciò so che significa lasciare casa, abbandonare tutto… come questi miei ragazzi della “El me indiriss Ortles69”.

Il mister, ex «centrocampista metodista» con trascorsi da dilettante, ne ha selezionati diciotto, di ragazzi. E dopo Pasqua la squadra parteciperà a un campionato Csi di calcio a 7. «È la prima volta che ai campionati Csi si iscrive una formazione interamente formata da ragazzi senza dimora e ne siamo orgogliosissimi, perché l’obiettivo è far giocare tutti, specie coloro che arrivano dalle periferie del mondo e hanno bisogno del nostro aiuto», dice il presidente del Csi Milano Massimo Achini. E per arrivare preparati al debutto i ragazzi ogni lunedì sera si allenano al campo della Fortes in Fide, nel vicino Centro di ascolto Caritas parrocchiale San Luigi Ognissanti. «All’inizio è stata dura – racconta mister Rocco –. Al primo allenamento, a novembre, tutti che correvano come matti dietro al pallone senza uno straccio di senso tattico. Adesso, con tanta applicazione e altrettanta buona volontà, stanno crescendo. La cosa bella è lo spirito di gruppo che siamo riusciti a creare».

Un gruppo «fatto da anime buone», unito, nonostante le tante differenze culturali e le provenienze più disparate. Una squadra che per sedici diciottesimi è formata da calciatori di colore. «Gli “stranieri”, i “bianchi” siamo in tre: io e i due afghani Asif e Waid», dice divertito mister Rocco, sposato a una donna della Costa d’Avorio, terra da dove provengono diversi elementi della squadra che annovera anche etiopi, eritrei, marocchini, senegalesi e togolesi. «Samson è del Gambia, suo fratello ha allenato alla Pro Vercelli. Anche lui aveva fatto un provino ma non è andata bene e così per anni ha vagato in lungo e largo, fino ad arrivare alla casa di via Ortles ». Storia comune a quasi tutti gli ospiti del Centro d’accoglienza, in cui si può sostare al massimo fino ad un anno, salvo progetti speciali. E questo della squadra di calcio è un progetto assolutamente speciale.

A cominciare dalla dirigenza. Due donne al vertice: la “presidentessa”, l’educatrice Sandra Di Quinzio e la vicepresidente, l’assistente sociale Loredana Colombo. «La squadra è un progetto di inclusione concreta e il riconoscimento di due donne come massimi dirigenti da parte di ragazzi provenienti da paesi in cui alle donne non vengono ancora garantiti gli stessi diritti degli uomini è un messaggio molto importante, uno dei tanti che vogliamo lanciare», spiega la “presidentessa” che è pronta ad assistere dagli spalti alla prima partita di Susso e compagni. «Susso è il capitano, 25enne, laterale del Mali – sottolinea mister Rocco –. Se lo vede Gattuso è facile che se lo porta a Milanello… – sorride – C’ha una “lecca” (tradotto: un tiro potente) da fuori area che fa paura. E poi, come un po’ tutti i suoi compagni, possiede quattro polmoni e una resistenza fisica incredibile: questi ragazzi, dopo 90 minuti giocati su un campo fangoso, al limite della praticabilità, al mattino dopo sono già freschi e riposati per ricominciare daccapo… Mi creda, i ragazzi italiani non sono così». I nostri ragazzi del torneo Csi presto impareranno a conoscere le doti da «gatto» di Issa. «È arrivato dal centro di accoglienza di via Padova presentandosi come difensore, ma poi giocando abbiamo scoperto che Issa è un portiere nato. Un Ricky Albertosi per intenderci». Si esalta mister Rocco, anche quando parla del cucciolo nigeriano, Soly, il più giovane della squadra con i suoi 18 anni e «una corsa da far paura» o di Adam «del Mali anche lui. Dall’alto dei suoi 2 metri e 2 centimetri è il “gigante buono”, il nostro Materazzi».

Una rosa completa, dove il trait-d’union è lo spirito solidale, la voglia di giocare e di «essere felici, ma insieme», anche per cancellare quella che mister Rocco chiama «la reclusione… Ad accomunarli sono anche le tante sofferenze patite, specie in Libia. Spesso quando si confidano sono racconti che scorticano dentro. Abbiamo pianto a volte, ripercorrendo l’odissea personale che li ha portati fin qui». Ma adesso, ogni singolo elemento della “El me indiriss Ortles69” – compreso l’egiziano Emad, il magazziniere – vuole ridere, divertirsi e divertire. Vuole essere una squadra scanzonata, come il suo nume tutelare Jannacci che, con il fraterno Giorgio Gaber, veniva spesso a fare visita agli ospiti della casa. I ragazzi di mister Rocco vogliono sentirsi parte integrante del Paese in cui si stanno giocando la loro seconda possibilità. «Sognano di rimanere in Italia. Di fare una vita normale con un lavoro, una famiglia… – interviene il direttore Gottardi –. Il calcio per loro è già un passo in avanti verso la normalità. Sanno che non sarà facile, che la sfida è lunga e difficile. Ma il campo insegna a lottare e a far fronte anche a chi gioca sporco, a chi non ha rispetto per il colore della pelle. L’importante è non cadere nelle provocazioni. Crescere ogni giorno imparando un mestiere – con le Borse lavoro – e la nostra lingua per diventare dei cittadini a pieno diritto di Milano e dell’Italia».

Le maglie di “El me indiriss Ortles69” sono biancorossse, come i colori della città di Milano: «Le hanno donate una squadra di ragazzi del Csi – dice mister Rocco – Chiunque voglia darci una mano può farlo “adottando” la squadra (contattare indirizzo mail pss.festacasajannacci@ comune.milano.it). Per esempio servono scarpini da calcio, anzi “scarponi”, c’è chi ha il 45 di piede». Intanto si va avanti con quello che c’è. Tutti in posa, con Jannacci e il Beppe che scattano la fotografia a sta « banda de ses fiö ». Anzi no, corregga con la biro, sono diciotto fiö, quelli che… “El me indiriss Ortles69”.

da Avvenire

Turismo. Nel 2017 in Italia 60 milioni di visitatori

Una vista del Canal Grande di Venezia, tra le città italiane più amate dai turisti di tutto il mondo (Pexels)

Una vista del Canal Grande di Venezia, tra le città italiane più amate dai turisti di tutto il mondo (Pexels)

CERNOBBIO – Il turismo italiano continua a crescere soprattutto grazie ai flussi degli stranieri, che nel 2017 hanno raggiunto quota 60 milioni (+5,2% rispetto all’anno precedente). La conferma del trend sul settore arriva dall’analisi realizzata da Confturismo-Confcommercio che è stata presentata nella giornata conclusiva del Forum di a Cernobbio. Negli ultimi dieci anni il comparto ha potuto contare quasi esclusivamente sulle buone performance della domanda estera per veder aumentare presenze e giro d’affari: dal 2007 gli arrivi sono passati da 43 milioni agli attuali 60 appunto (quasi il 40% in più) mentre le presenze sono passate da presenze da
163 a 212 milioni (+30% circa).

Anche il turismo interno ha fatto registrare una dinamica positiva per gli arrivi (+16,7%), ma le presenze sono rimaste sui livelli di 10 anni fa determinando una sensibile contrazione della permanenza media che è addirittura scesa al di sotto di quella relativa al viaggiatore straniero (3,4 giorni in media contro 3,5).

Al di là dell’aumento del contributo estero, in un’Italia in cui la ripresa stenta a decollare il turismo nazionale è ormai una voce fondamentale dell’export con 362 miliardi di euro complessivi negli ultimi dieci anni. Un contributo superiore a quello di tanti comparti da sempre strategici per il made in Italy come l’alimentare, l’abbigliamento e l’arredamento.

Due turisti fotografano il Colosseo dal Colle Palatino (Ansa)

Due turisti fotografano il Colosseo dal Colle Palatino (Ansa)

Del resto nell’ultimo decennio il settore è cresciuto di circa 3 miliardi e mezzo di euro, registrando il maggiore incremento percentuale (+6,8%), mentre l’economia italiana ha perso 73 miliardi di euro, di cui ben 67 miliardi a carico di industria e costruzioni. Proprio il turismo, misurato attraverso le sue due componenti maggioritarie di ricettività e ristorazione, è il settore che ha visto crescere di più il lavoro nel medio-lungo periodo. Tra il 2008 e il 2017 l’occupazione nel turismo è aumentata di circa il 20% mentre tra il 2001 e il 2017 addirittura del 43%.

Nonostante l’Italia sia tra i Paesi più visitati al mondo, al turismo non sembra essere riconosciuto ancora il ruolo che gli compete dalla politica italiana. “Alla nuova legislatura e al prossimo governo non chiediamo privilegi, ma solo interventi e strumenti per la crescita del comparto e a sostegno dell’attività delle imprese turistiche” dice il presidente di Confturismo-Confcommercio, Luca Patanè. Gli interventi concreti passano dall’attuazione delPiano strategico 2017-2022, “che purtroppo non prevede ancora stanziamenti nazionali”.

da Avvenire

Lavoro. Il riscatto digitale dei giovani «neet»

Il riscatto digitale dei giovani «neet»

C’è Jacopo, che da musicista è diventato coordinatore marketing. Daniela, una laurea in comunicazione, che oggi lavora in un centro media. E Chiara, con i suoi prototipi innovativi nel campo della moda, che ha imparato un’arte e un mestiere. Per iniziare un’attività questi ragazzi avevano bisogno di un’occasione, che è arrivata grazie ai corsi di Fastweb Digital Academy, la scuola per le professioni digitali, nata nel 2016 dalla volontà diFondazione Cariplo e Fastweb e attiva a Milano all’interno di Cariplo Factory.

In un anno e mezzo la struttura ha creato 1600 opportunità lavorative, grazie a specifici percorsi di alta formazione professionale che vanno dal professional bloggerall’ecommerce management. Sì, perché per Fastweb Digital Academy la disoccupazione giovanile si combatte efficacemente anche con la preparazione digitale. Come sottolinea Giuseppe Guzzetti, presidente della Fondazione Cariplo: «Ci siamo posti l’obiettivo di far nascere 10mila posti di lavoro in tre anni e questa iniziativa è una tessera del mosaico che stiamo componendo. Se non ci muoviamo in questo senso si ingrosserà il numero dei neet, che solo in Lombardia sono 260mila». I dati parlano da soli: 1630 certificati, 3500 candidati, 86 classi, 44 corsi a catalogo, gratuiti e rivolti a giovani tra i 20 e 40 anni, per un totale di circa 3200 ore di formazione.

Adesso si ricomincia, con l’Academy che ha aperto le iscrizioni a nuovi corsi per i giovani, le Pmi, a Milano ePalermo e presto anche a Pescara e Bari. Fra quelli in partenza: Personal Branding, Introduzione a Java, 3D Modelling for Design, Digital Fashion, Information Security, Game Design per il patrimonio culturale e Digital Marketing and Communication. Professioni che dieci anni fa non esistevano o si stavano appena delineando. «C’è ancora un gap importante in Italia rispetto agli altri Paesi europei sulla penetrazione di Internet, cioè riguardo alle competenze digitali nelle attività della vita quotidiana – osserva Sergio Scalpelli, direttore relazioni esterne e istituzionali di Fastweb –. Colmare questa distanza significa portare occasioni di lavoro».

Nella stessa direzione anche il corso “Millennial Mentoring”, per giovani donne che prepareranno le over 40 all’utilizzo del digitale e della comunicazione online. Sono ancora aperte fino al 29 marzo, poi, le iscrizioni al format “Talenti innovativi” di Cariplo Factory. Un percorso per disoccupati che lo scorso anno ha coinvolto 48 persone e che si propone di valorizzare e riattivare le risorse dei partecipanti. Infine, uno strumento prezioso per misurare le proprie competenze digitali è rappresentato da Digital IQ, un test disponibile gratuitamente sul sito www.digitaliq.it. Insomma, le possibilità concrete per crescere in questo campo, che rappresenta il futuro, non mancano.

avvenire

Quaresima. Gli Esercizi Spirituali a misura di bambino

Un momento di condivisione degli Esercizi tra i bambini in Quaresima ( © foto oratorio di Osio Sotto)

Coinvolti nell’oratorio di Osio Sotto più di 100 ragazzi tra medie e elementari. Don Finazzi: «Hanno scoperto Gesù nella vita di ogni giorno»

Una scuola di preghiera per scoprire la storia del Messia

È l’esperienza – veramente pionieristica e d’avanguardia – portata avanti dal 2017 da don Fabiano Finazzi,curato di Osio Sotto che anche quest’anno ha proposto ai “suoi” 40 bambini che frequentano l’oratorio la pratica degli Esercizi spirituali a misura di fanciullo e avvenuta, quest’anno, nella Seconda settimana di Quaresima (19-25 febbraio). «Non certo secondo le regole ferree del metodo ignaziano – tiene a precisare don Fabiano – ma grazie all’aiuto di catechisti e di animatori siamo riusciti a coinvolgere i nostri ragazzi che dagli iniziali 40 sono divenuti pian piano 60 e tutti provenienti dalle elementari…». Ad attrarre i giovani “esercitanti” a questa scuola di preghiera «una vera proposta inespettamente convincente per loro e caldeggiata anche dal nostro parroco don Luciano Ravasio», assicura don Fabiano – è stata la scelta, per questo 2018, di dedicare gli Esercizi alle virtù cardinali: prudenza, giustizia, fortezza e temperanza. «Con l’uso dei nastri, ognuno diverso per ogni virtù cardinale, consegnato come “pro-memoria” ad ogni partecipante – spiega don Finazzi – abbiamo condotto i nostri giovani ad approfondire il valore di queste virtù e così siamo riusciti a contagiare anche molti dei loro coetanei a partecipare a questa scuola di testimonianza cristiana». Una pratica quella degli Esercizi – in questo angolo di Lombardia, non distante dalla terra natale di san Giovanni XXIII Sotto il Monte – cadenzata da regole non del tutto “lontane” da quelle sperimentate dagli adulti che scelgono magari austere mete di ritiro come Camaldoli o centri di spiritualità ignaziana o rosminiana ma vissute con lo stesso rigore e rispetto: preghiera al mattino, colazione, – preparate con l’aiuto delle mamme e delle catechiste, gioco, il tragitto a piedi («un vero serpentone animato dai nostri bambini», confida don Fabiano) fino a scuola, la Messa (celebrata il mercoledì e la domenica nella giornata conclusiva), la cena in oratorio.

La passeggiata prima dell'ingresso a scuola dei giovani 'esercitanti' (© foto di oratorio di Osio Sotto)

La passeggiata prima dell’ingresso a scuola dei giovani “esercitanti” (© foto di oratorio di Osio Sotto)

 

Tra le opere di misericordia la visita alla casa di riposo a Osio Sotto

Tra i momenti clou di questo “ritiro” a misura di bambino è stata l’opzione singolare – nello stile di una scuola di annuncio attenta al “farsi prossimo” – la visita agli ospiti della casa di riposo di Osio Sotto. Un’idea quella degli Esercizi che ha provocato un effetto a “calamita” – se così si può dire – anche sui ragazzi delle medie e rimodulato ovviamente sulle loro esigenze. «Si è trattato di quaranta giovani – spiega ancora don Finazzi – che io oserei definire coraggiosi e fedeli. Si sono da subito mostrati entusiasti per questa forma di condivisione grazie all’aiuto di genitori volenterosi e di catechisti molto altruisti che a turno ci hanno aiutato in questa impresa». E aggiunge un particolare: «Ad ogni partecipante abbiamo consegnato, per i sei giorni di Esercizi, un nastro che indicava la preghiera del giorno con un passo del Vangelo. Un piccolo modo per accompagnare i nostri piccoli “esercitanti” a pregare ogni giorno e scoprire così nel profondo il valore quotidiano dell’orazione».

Nel 2017 i primi Esercizi con al centro il mio “Allenatore Gesù”

Un’intuizione quella di don Fabiano nata l’anno scorso. «Abbiamo cercato di coinvolgere in due iniziative separate anche nel 2017 i bambini delle elementari e delle medie. Come filo rosso narrativo degli Esercizi avevamo scelto il libro del giornalista sportivo Carlo Nesti “Il mio allenatore è Gesù” e grazie alle suggestioni di quel volume i nostri ragazzi sono rimasti attratti in modo più profondo al messaggio del Vangelo…». Quale frutto più grande di questo tipo di esperienza? «Credo che sia stato quello di mostrare un Gesù che con la sua vita e il suo messaggio parla a loro nella vita di ogni giorno». Don Finazzi, alla luce del successo inaspettato di questi Esercizi quaresimali, si dice convinto di questa “piccola” verità: «Quello che conta è il valore dell’impegno quotidiano di una Settimana che ti ricorda che stai vivendo qualcosa di forte…non cose stratosferiche ma il valore del giorno dopo giorno».

Un momento della merenda dueante gli Esercizi Spirituali di Quaresima (© foto oratorio di Osio Sotto)

Un momento della merenda dueante gli Esercizi Spirituali di Quaresima (© foto oratorio di Osio Sotto)

da Avvenire

Torna l’ora legale, ecco perché è nata

Torna l'ora legale, ecco perché è nata

Domenica mattina alle due, puntuale come ogni anno nell’ultima domenica di marzo, torna l’ora legale. E come sempre posteremo in avanti le lancette degli orologi. Un gesto che facciamo ormai quasi in automatico senza quasi sapere perché. Ma l’ora legale è un'”invenzione” che ha una sua precisa storia. Una storia lunga, che risale addirittura al ‘700. All’inizio, infatti, l’idea venne a Benjamin Franklin (1706-1790) per motivi di risparmio energetico, ma nessuno gli prestò particolare attenzione in un’epoca in cui l’industrializzazione era ancora agli albori. Andò meglio al britannico William Willet: siamo agli inizi del Novecento e l’industrializzazione del paese fece sì che nel 1916 la Camera dei Comuni diede il via libera all’ora legale che si chiamava British Summer Time.In Italia l’ora legale fu adottata per la prima volta nel 1916 e rimase in uso fino al 1920. Da allora fu abolita e ripristinata diverse volte tra il 1940 e il 1948 a causa della Seconda guerra mondiale. Dal 1966 al 1980 si stabilì che l’oralegale dovesse rimanere in vigore dalla fine di maggio alla fine di settembre; dal 1981 al 1995 si decise invece di estenderla dall’ultima domenica di marzo all’ultima di settembre.Il regime definitivo è entrato in vigore nel 1996, quando a livello europeo sidispose di prolungarne ulteriormente la durata dall’ultima domenica di marzo all’ultima di ottobre.

Un risparmio di milioni di euro
L’ora legale durerà per i prossimi sette mesi e, per effetto di un’ora in più di luce naturale, Terna stima un minor consumo di energia elettrica pari a circa 562 milioni di kilowattora, quantitativo corrispondente al fabbisogno medio annuo di circa 200 mila famiglie.La società che gestisce la rete elettrica nazionale rileva che considerando che un kilowattora costa in media al cliente domestico tipo circa 20,62 centesimi di euro al lordo delle imposte, la stima del risparmio economico per il sistema relativo al minor consumo elettrico nel periodo di ora legale per il 2018 è pari a 116 milioni di euro.

da Avvenire

Nella Barbiana del Malawi la dignità genera sviluppo

Nella Barbiana del Malawi la dignità genera sviluppo

Procediamo per una strada sterrata, rossa e polverosa. Ai due lati campi di mais visibilmente sofferenti: piante rade, basse e mezze secche. I contadini lamentano una stagione delle piogge avara di acqua, chiaro effetto dei cambiamenti climatici. Siamo in Malawi, un terzo dell’Italia, paese incuneato fra Zambia e Mozambico. L’80% della popolazione vive in campagna, potremmo proprio dire che Cristo si è fermato a Blantayre, cittadina del sud in cui ci troviamo. In città, la povertà la cogli se hai la capacità di abbandonare le grandi arterie: allora ti trovi di fronte a casupole con pareti in terra battuta e tetto con materiale raccapezzato in discarica: pezzi di lamiera, plexiglass, plastica, tenuti fermi da pietre, in lotta perenne contro il vento che batte particolarmente forte quando si preannuncia un temporale.

E se hai il coraggio di andare oltre, allora in mezzo ai rigagnoli di acqua putrida, chiare fogne a cielo aperto, ti ritrovi nel bel mezzo di mercati rionali formati da banchetti allestiti per terra con ogni genere di mercanzia: dai mango al pesce secco, dalla legna da ardere agli abiti usati, unico punto di contatto con la ricca Europa.

In campagna, la povertà ti si fa incontro da sola. Mentre l’auto procede, incontri donne e bambini di ritorno dalla fontana con il loro prezioso carico di acqua in testa. Le donne colpiscono per i loro vestiti variopinti, ma i bambini per la loro magrezza, per i loro pantaloncini e canottiere strappate, per i piedi scalzi, al massimo protetti da ciabatte infradito. Di quando in quando il segno di qualche assembramento commerciale.

Ai due lati della strada, chi esibisce una serqua di uova, chi una gallina, chi qualche papaya, e dietro, a ricordare che si tratta di mercati permanenti, piccoli tuguri, bui e scalcinati, che solo dalle scritte esposte direttamente sulle pareti, capisci che vogliono essere macellerie, punti di contatto telefonico, barbieri, addirittura saloni di bellezza. Di elettricità nessun segno, se non qualche raro e minuscolo pannello solare. Per l’acqua va già bene quando in un angolo scorgi una pompa a mano. Impietosa, la nostra auto procede sobbalzando su un fondo stradale pieno di solchi e dopo un tratto fra due ali di fitta vegetazione, che poi risulta essere una piantagione artificiale di eucalipti, all’improvviso un ampio cancello.

Un guardiano si fa incontro per sapere chi siamo e riconosciuto il nostro accompagnatore ci spalanca la strada verso l’interno. Un cartello ci avvisa che siamo in uno dei quattro istituti che l’associazione Dapp gestisce in Malawi per la formazione di insegnanti rurali. Mentre scendiamo dall’auto, sentiamo già il benvenuto intonato dal coro degli studenti: ragazze e ragazzi sulla ventina che hanno deciso di dedicare la loro vita professionale all’elevazione culturale dei bambini delle campagne. E non solo. Parlando con loro scopriamo che stanno ricevendo una formazione per essere sia insegnanti elementari sia, addirittura, animatori sociali capaci di aiutare le comunità rurali a risolvere le sfide ambientali ed economiche che sempre di più si parano davanti a loro, attraverso nuove conoscenze e una più stretta solidarietà di villaggio. È la strategia dell’empowerment che significa mettere i poveri in condizione di gestire essi stessi il proprio cambiamento.

Dapp, che sta per ‘Aiuto allo sviluppo da persona a persona’ è un’organizzazione non governativa attiva dagli anni 90 del Novecento che riesce ad andare avanti grazie a un mix di contributi di origine pubblica, privata e commerciale che la rende particolarmente interessante anche sotto il profilo finanziario. Il suo partner pubblico è il Governo del Malawi, mentre il suo principale partner privato è Humana, una realtà ormai estesa a livello mondiale, che ha come missione il sostegno a organizzazioni africane, asiatiche e latinoamericane, che cercano di promuovere lo sviluppo umano delle fasce più povere in un’ottica di sostenibilità. E se la strategia di sviluppo umano si fonda sulla convinzione che i poveri sanno trovare essi stessi la soluzione ai loro problemi purché aiutati ad arricchire le proprie conoscenze e a rinsaldare i vincoli di comunità, la strategia finanziaria di Humana, che poi si estende anche a Dapp, consiste in un’attività industriale a sfondo ambientale.

Di fatto Humana trasforma in aiuto allo sviluppo lo spreco del Nord, ossia gli abiti che noi gettiamo. Un rifiuto che solo in Italia ammonta a 240mila tonnellate all’anno di cui solo la metà è raccolta in forma differenziata. Humana riesce a raccogliere 20mila tonnellate, che in parte rivende nei propri negozi italiani ed europei, in parte invia ai propri partner del Malawi e di altri Paesi dell’Africa, affinché possano procurarsi, localmente e in forma autonoma, denaro per i propri progetti. In effetti, Dapp rivende in loco gli abiti che riceve in dono dall’Europa, in parte al dettaglio tramite negozi propri, in parte all’ingrosso rifornendo i negozianti di abiti usati. Insomma, la triangolazione messa in piedi cerca di mettere a disposizione dei poveri soldi versati dai poveri stessi riciclando lo spreco del Nord. Una formula che sicuramente pone qualche domanda da un punto di vista politico e della proposta economica, ma che ha il merito di avere permesso a progetti importanti di autofinanziarsi migliorando la vita di oltre 15 milioni di persone a livello mondiale.

In Malawi i progetti di Dapp solo formalmente sono divisi in progetti di tipo agricolo e di tipo educativo. Di fatto sono gli uni la continuazione degli altri, perché in ambito agricolo l’attività comprende anche la disseminazione di nuovi saperi, mentre in ambito educativo l’attività comprende anche l’allenamento a risolvere i problemi esistenti. Una linea pedagogica in perfetta sintonia con la scuola di Barbiana e la proposta di Paulo Freire. In occasione della nostra visita alla scuola per maestri, gli studenti erano orgogliosi di raccontarci che non si limitano a studiare aspetti teorici, ma che fanno anche pratica di responsabilità non solo dando mano nell’orto, nelle pulizie, nella cucina, ma anche allevando piantine di alberi di alto fusto che poi mettono a dimora come contributo contro i cambiamenti climatici. E l’aspetto interessante è che propongono questa stessa iniziativa ai villaggi circostanti affinché facciano altrettanto anche loro.

Il rapporto di integrazione fra scuola e società lo si nota, del resto, anche dal fatto che il programma prevede uscite continue per conoscere le problematiche vissute dalla gente e fare pratica di animazione comunitaria. Esperienze che poi si rivelano estremamente preziose quando, una volta maestri, questi giovani uomini e giovani donne debbono confrontarsi con scuole rurali che vedono 80 bambini per classe, senza banchi, senza libri e con strutture così fatiscenti per cui fare scuola sotto l’ombra di un albero è quasi meglio che fra le mura.

da Avvenire

Libano l’incontro di pace per il Mediterraneo nel 2019

da Avvenire

«Buon viaggio per Damasco». Il cardinale Gualtiero Bassetti si china verso l’auto scura e saluta Joseph Absi, patriarca cattolico greco-melchita. «Rientro in Siria ma non so che cosa potrà succedermi…», sussurra il primate. Il presidente della Cei gli stringe le mani sul finestrino aperto della vettura. Alle sue spalle ha Ignazio Giuseppe III Younan, patriarca siro-cattolico ed eparca di Beirut per i siri, poi Grégoire Pierre XX Ghabroyan, patriarca armeno-cattolico, e il “padrone di casa”, il cardinale Béchara Boutros Raï, patriarca della Chiesa maronita. L’auto parte dal grande piazzale del patriarcato, davanti al palazzo dallo stile semplice, ed elegante allo stesso tempo, incastonato a metà della collina di Harissa da cui si scorge l’azzurro intenso del Mediterraneo, la periferia di Beirut e, poco più in alto, la statua della Madonna che domina sul mare e protegge la nazione cara alla Bibbia.

Il santuario di Nostra Signora del Libano ad Harissa a venti chilometri da Beirut (foto Gambassi)

Il santuario di Nostra Signora del Libano ad Harissa a venti chilometri da Beirut (foto Gambassi)

Per la visita di Bassetti in Libano i patriarchi d’Oriente legati al Paese dei cedri si ritrovano assieme: fatto raro e quindi di particolare rilevanza. Con uno scopo preciso: dare il benvenuto al presidente della Cei e consegnargli idealmente i dolori e le speranze dei cristiani di Libano, Siria, Iraq, Armenia. E per Bassetti è l’occasione in cui lanciare uno degli eventi che come “guida” dell’episcopato italiano ha voluto: l’Incontro di riflessione e spiritualità per la pace nel Mediterraneo che vedrà arrivare nella Penisola i vescovi degli Stati affacciati sul grande mare. Un’iniziativa organizzata dalla Cei con il “beneplacito” del Papa e della Segreteria di Stato vaticana. «L’appuntamento si terrà probabilmente nella primavera 2019 – annuncia l’arcivescovo di Perugia-Città della Pieve –. Non è ancora stata decisa la sede: potrebbe essere la Sicilia oppure la Puglia, ponti storici fra Oriente e Occidente. Ma anche Firenze. E non perché io sia fiorentino ma perché ci ha ispirato la profezia del sindaco “santo” Giorgio La Pira che volle nel capoluogo toscano i Colloqui mediterranei e che definiva questo mare un “grande lago di Tiberiade”. Un mare che prima di essere un confine è un mezzo di comunicazione fra i popoli».

La periferia di Beirut al tramonto (foto Gambassi)

La periferia di Beirut al tramonto (foto Gambassi)

Perciò la comunità ecclesiale non può restare immobile di fronte alle «emergenze» – come le definisce il porporato – che si vivono lungo le sue sponde: dalle guerre all’esodo dei migranti, passando per le crisi politiche.«I cristiani – sottolinea il presidente della Cei –, per la loro origine “mediterranea”, per la ricchezza delle tradizioni, per il significato incontestabile della loro azione in tutti questi Paesi e non ultimo per la forza ecumenica del loro martirio che continua ancora oggi sono chiamati a offrire un contributo all’elaborazione di una prospettiva di dialogo e di riconciliazione del Mediterraneo. Il tutto tenendo conto del punto di vista delle periferie e della luce di misericordia del Signore e ascoltando le voci delle Chiese mediorientali e nord-africane che sperimentano in prima persona situazioni molto complesse».

L'incontro del cardinale Gualtiero Bassetti con i patriarchi cattolici in Libano (foto Gambassi)

L’incontro del cardinale Gualtiero Bassetti con i patriarchi cattolici in Libano (foto Gambassi)

O addirittura drammi, come quelli che a Bassetti riferiscono i patriarchi. «È bene sapere ciò che accade. E dobbiamo dire grazie alla Cei per il suo costante sostegno», spiega il cardinale Béchara Boutros Raï, patriarca della Chiesa maronita, camminando fra il chiostro e le sale della sua residenza. «Da vanti mesi – raccontaJoseph Absi, patriarca cattolico greco-melchita – le strade di Damasco sono deserte. I giovani sono fuggiti. Nelle chiese restano soltanto anziani e bambini. Come comunità cristiane del Vicino Oriente abbiamo bisogno dell’appoggio dei nostri fratelli d’Occidente perché aprano gli occhi dei governanti». Quasi si commuove Ignazio Giuseppe III Younan, patriarca siro-cattolico, quando dice di affidare «all’Italia le sorti dei cristiani di questa regione». E aggiunge: «Fra pochi anni sia in Siria, sia in Iraq la nostra presenza potrebbe scomparire. È il caos il principale nemico che rischia di cancellare l’elemento cristiano dopo duemila anni». Si tocca la croce sul pettoGrégoire Pierre XX Ghabroyan, patriarca armeno-cattolico, mentre rivela: «Avevamo sedici diocesi; ne resta appena una. Grazie al cielo il Libano ci ha dato ospitalità. E il patriarca maronita ha ribadito più volte a gran voce: “Sono miei figli, aprite le porte”».

Il cardinale Gualtiero Bassetti nell'ambasciata italiana a Beirut (foto Gambassi)

Il cardinale Gualtiero Bassetti nell’ambasciata italiana a Beirut (foto Gambassi)

Un’accoglienza che oggi coinvolge i profughi siriani. Nessuno sa esattamente quanti siano: forse un milione, forse un milione e mezzo di rifugiati – in gran parte musulmani – in mezzo a una popolazione che non supera i quattro milioni di abitanti ed è spalmata su un fazzoletto “verde” simile all’Abruzzo. «È come se in Italia arrivassero venti milioni di migranti – osserva Bassetti –. Da noi ci sono tensioni pretestuose. Ecco perché dovremmo prendere il Libano come esempio di prossimità, attenzione e integrazione di chi bussa alle sue frontiere». Le parole del cardinale risuonano nell’ambasciata italiana dove viene accolto da Simona De Martino, primo consigliere dell’ambasciatore a Beirut, e da Elia Caporossi, incaricato d’affari per la Siria. «Il Libano – evidenziano i due diplomatici – sta dando una lezione di pluralismo. E seppur fra le difficoltà rappresenta un modello che funziona, tanto che il dialogo è parte sia dell’assetto istituzionale, sia del sentire comune». Il riferimento è al fragile equilibrio raggiunto dopo la guerra civile che dal 1975 al 1990 ha insanguinato la “piccola Svizzera” del Medio Oriente. «Però fra i cristiani – fa sapere il vescovo francescano conventuale Cesar Essayan, vicario apostolico di Beirut – il timore di eclissarsi non dipende dalla convivenza con i musulmani, con cui abbiamo rapporti più che positivi, siano essi sunniti o sciiti, ma dalle guerre che esasperano il sentimento religioso fino a sfociare nel fondamentalismo e nella violenza». Chiarisce monsignor Ivan Santus, incaricato d’affari ad interim della nunziatura apostolica in Libano: «I discepoli del Risorto sono una presenza essenziale in questo contesto che permettono l’armonia fra le fedi perché sono uomini di dialogo. E oggi chiedono all’Europa che la linfa da cui è nato l’albero della loro testimonianza sia sostenuta».

L'incontro del cardinale Bassetti con il presidente della Repubblica libanese, Michel Aoun (foto presidenza della Repubblica)

L’incontro del cardinale Bassetti con il presidente della Repubblica libanese, Michel Aoun (foto presidenza della Repubblica)

Monsignor Santus accompagna Bassetti nei quattro giorni del suo «pellegrinaggio che vuole essere un segno di vicinanza della Chiesa italiana alle Chiese d’Oriente», afferma il porporato. Un viaggio promosso su invito del vicariato apostolico dei latini e della Fondazione italiana “Giovanni Paolo II” che dalla Toscana è in prima linea accanto all’unica nazione del mondo arabo dove i cristiani sono il 40% dei residenti. Con il porporato c’è il presidente della Fondazione, il vescovo emerito di Fiesole, Luciano Giovannetti, insieme a una delegazione della onlus impegnata nella cooperazione internazionale e nello sviluppo in Medio Oriente.
Per ventiquattro ore il volto del cardinale compare su telegiornali, quotidiani e siti Internet del Paese. Perché incontra il presidente della Repubblica, il cristiano maronita Michel Aoun, ex capo di stato maggiore e con un passato anche da premier. Nel salone dei ricevimenti del “Quirinale” di Beirut, il Palazzo di Baabda, Bassetti torna a parlare dell’Incontro per la pace nel Mediterraneo invocando «concordia fra le religioni e le culture». E Aoun chiede al presidente della Cei di «aiutare i cristiani del Medio Oriente» che sono «sempre più poveri» o costretti «ad abbandonare i villaggi in Siria, Iraq e Armenia» o ancora «vittime di attentati come in Egitto». Poi a Bassetti affida un sogno «da portare in Vaticano», dice: realizzare in Libano «un centro per il dialogo interreligioso» sotto l’egida dell’Onu.

L'incontro del cardinale Bassetti con i leader religiosi e politici a Tiro (foto Gambassi)

L’incontro del cardinale Bassetti con i leader religiosi e politici a Tiro (foto Gambassi)

«Bassetti» è l’unica parola scritta con i caratteri occidentali. Il resto dei vocaboli negli striscioni è in arabo. E si può leggere: «Benvenuto cardinale Bassetti. Qui cristiani e musulmani vivono uniti nella misericordia e nella carità». Sorride il presidente della Cei mentre alza lo sguardo verso i cartelli che lo accolgono lungo le strade di Tiro, nel Sud del Libano. A piedi percorre il cuore antico della città che lega il suo nome ai Fenici e oggi, con i suoi tesori archeologici, è parte del patrimonio Unesco. Affisse ai lampioni si alterano le bandiere verdi degli sciiti di Amal e quelle gialle di Hezbollah. Anche qui siamo in piena campagna elettorale. Perché a maggio si rinnova il Parlamento nazionale. E i movimenti politici – tutti marcati dall’elemento religioso – presidiano con i propri vessilli le vie principali.

Uno degli striscioni di benvenuto a Bassetti lungo le strade di Tiro (foto Gambassi)

Uno degli striscioni di benvenuto a Bassetti lungo le strade di Tiro (foto Gambassi)

Il Libano meridionale è la terra di quel “Partito di Dio”, Hezbollah appunto, che grazie alla sua ala paramilitare controlla ogni angolo. Ma Tiro è anche una singolare “enclave” della convivenza fra le fedi. «Sono diciotto le sigle religiose presenti nella zona», racconta al cardinale il generale Rodolfo Sganga, comandante del contingente di 4mila uomini di dodici nazioni (fra cui l’Italia) impegnato sul confine fra Libano e Israele nella missione di pace delle Nazioni Unite. Ed è a Tiro che si tiene nell’incontro interreligioso con Bassetti, uno fra gli eventi centrali della visita del presidente della Cei nel Paese mediorientale. A organizzarlo la locale arcidiocesi maronita. E a fare da cornice un salone della Cattedrale. Accanto al cardinale ci sono leader religiosi e politici: dalla ministra per lo sviluppo, la sciita Inaya Ezeddine, ai muftì sunniti e sciiti, compreso un rappresentante religioso di Hezbollah. «Carissimi fratelli», li chiama in più occasioni Bassetti nel lungo colloquio. E ricorda che «siamo tutti figli dell’unico Dio che è misericordia e ama ciascuno di noi». Quindi l’invito a «continuare a essere una sola cosa che è poi l’essenza del Vangelo». A Bassetti l’arcivescovo maronita Chucrallah-Nabil El-Hagetiene a far sapere che questa è «una terra benedetta dal Signore» dove «Cristo si è fermato» e in cui «adesso viviamo insieme come un’unica famiglia» diventando «davvero una scuola di perdono».

Il cardinale Bassetti con la ministra allo sviluppo durante l'incontro con i leader religiosi e politici a Tiro (foto Gambassi)

Il cardinale Bassetti con la ministra allo sviluppo durante l’incontro con i leader religiosi e politici a Tiro (foto Gambassi)

Vicino al cardinale siede la ministra. «Diciamo no alla violenza – afferma – e sì alla giustizia». Richiama la Quaresima il muftì sciita Hassan Abdallah per dire che «vivere nella fede è una ricchezza» e il «rispetto di ogni credente è fondamentale». Per questo, aggiunge, «respingiamo ogni forma di estremismo». E il muftì vicino a Hezbollah, Nawef al-Mausawi, cita san Giovanni Crisostomo per evidenziare che le religioni «sono faro per i popoli»; poi richiama il Corano quando esorta «a essere vicini a chiunque crede». E sarà il muftì sunnita Medran al-Habbal a caldeggiare l’incontro «fra mezzaluna e croce, fra moschea e chiesa» perché si crei «un movimento mondiale per proteggere l’uomo dal degrado morale e spirituale». Fino a osservare: «Molti hanno voluto dividere cristiani e musulmani. Oggi servono capi religiosi che desiderino camminare sulla stessa strada». È quanto «insegna il Libano, luce per l’Oriente e l’Occidente», ribadisce Bassetti. E precisa monsignor Ivan Santus, incaricato d’affari ad interim della nunziatura apostolica: «La comunione è possibile quando si trova un’intesa intorno al discorso su Dio. Ed è proprio il Signore che permette l’incontro».

La visita del cardinale Bassetti al contingente italiano della missione Unifil nel Sud del Libano (foto ministero della difesa)

La visita del cardinale Bassetti al contingente italiano della missione Unifil nel Sud del Libano (foto ministero della difesa)

Ci vogliono venti minuti di auto, salendo fra le colline che si affacciano sul mare, per arrivare alla base dei militari italiani della missione Unifil. Sono 1.100, adesso in gran parte paracadutisti della Folgore di Livorno, che si alternano nel supporto alle forze di sicurezza locali e nell’aiuto alla gente. Bassetti visita la struttura, accompagnato dal generale Sganga. «Il vostro è un impegno di pace», dice ai soldati. A quindici di loro il presidente della Cei conferisce il sacramento della Cresima.

«Si sono preparati con catechesi serali dopo giornate pesanti o notti di pattuglia», rivela il primo maresciallo Giuseppe Milano, accolito nell’arcidiocesi di Palermo, assieme al cappellano don Filippo. «È necessario testimoniare Cristo vivo che si dona a tutti», sollecita Bassetti durante la Messa. E di fronte all’intero contingente schierato per salutarlo il cardinale si rivolge ai giovani. «Molti di voi sono ragazzi. La Chiesa ha voluto un Sinodo sui giovani perché abbiamo bisogno della vostra freschezza e del vostro slancio. Vorrei che anche voi vi sentiate parte del Sinodo con lo spirito di sacrificio e di umanità che qui esprimete».

La visita del cardinale Bassetti al contingente italiano della missione Unifil nel Sud del Libano (foto ministero della difesa)

La visita del cardinale Bassetti al contingente italiano della missione Unifil nel Sud del Libano (foto ministero della difesa)

L’ultimo gesto del cardinale è l’abbraccio ai poveri. Una cena con i profughi cristiani di Siria e Iraq, le famiglie assistite attraverso il progetto dei “Corridoi umanitari” della Comunità di Sant’Egidio, i “dimenticati” di Beirut. «Nel cuore di Dio – dice il presidente della Cei – non esiste lo straniero. Il Signore ha creato la Terra affidandola alla famiglia umana che è una sola, che non può essere divisa. La pace è un dovere ma ha bisogno di giustizia. Non facciamo finta di non vedere. Impegniamoci con tutto il cuore e tutta la mente. Altrimenti tradiremo il Vangelo».

La cena del cardinale Gualtiero Bassetti con le famiglie di profughi e gli 'ultimi' (foto Gambassi)

La cena del cardinale Gualtiero Bassetti con le famiglie di profughi e gli “ultimi” (foto Gambassi)