Domenica delle Palme 2018 Foglietto, Letture e Salmo

Domenica delle Palme (ANNO B)

Grado della Celebrazione: DOMENICA
Colore liturgico: Rosso

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È allo stesso tempo l’ora della luce e l’ora delle tenebre.
L’ora della luce, poiché il sacramento del Corpo e del Sangue è stato istituito, ed è stato detto: “Io sono il pane della vita… Tutto ciò che il Padre mi dà verrà a me: colui che viene a me non lo respingerò… E questa è la volontà di colui che mi ha mandato, che io non perda nulla di quanto mi ha dato, ma lo risusciti l’ultimo giorno” (Gv 6,35-39). Come la morte è arrivata dall’uomo così anche la risurrezione è arrivata dall’uomo, il mondo è stato salvato per mezzo di lui. Questa è la luce della Cena.
Al contrario, la tenebra viene da Giuda. Nessuno è penetrato nel suo segreto. Si è visto in lui un mercante di quartiere che aveva un piccolo negozio, e che non ha sopportato il peso della sua vocazione. Egli incarnerebbe il dramma della piccolezza umana. O, ancora, quello di un giocatore freddo e scaltro dalle grandi ambizioni politiche.
Lanza del Vasto ha fatto di lui l’incarnazione demoniaca e disumanizzata del male.
Tuttavia nessuna di queste figure collima con quella del Giuda del Vangelo. Era un brav’uomo, come molti altri. È stato chiamato come gli altri. Non ha capito che cosa gli si faceva fare, ma gli altri lo capivano? Egli era annunciato dai profeti, e quello che doveva accadere è accaduto. Giuda doveva venire, perché altrimenti come si sarebbero compiute le Scritture? Ma sua madre l’ha forse allattato perché si dicesse di lui: “Sarebbe stato meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!”? Pietro ha rinnegato tre volte, e Giuda ha gettato le sue monete d’argento, urlando il suo rimorso per aver tradito un Giusto. Perché la disperazione ha avuto la meglio sul pentimento? Giuda ha tradito, mentre Pietro che ha rinnegato Cristo è diventato la pietra di sostegno della Chiesa. Non restò a Giuda che la corda per impiccarsi. Perché nessuno si è interessato al pentimento di Giuda? Gesù l’ha chiamato “amico”. È veramente lecito pensare che si trattasse di una triste pennellata di stile, affinché sullo sfondo chiaro, il nero apparisse ancora più nero, e il tradimento più ripugnante? Invece, se questa ipotesi sfiora il sacrilegio, che cosa comporta allora l’averlo chiamato “amico”? L’amarezza di una persona tradita? Eppure, se Giuda doveva esserci affinché si compissero le Scritture, quale colpa ha commesso un uomo condannato per essere stato il figlio della perdizione?
Non chiariremo mai il mistero di Giuda, né quello del rimorso che da solo non può cambiare nulla. Giuda Iscariota non sarà più “complice” di nessuno.

 

Giornata Mondiale diocesana della Gioventù 2018

La 33a Giornata Mondiale della Gioventù sarà celebrata a livello diocesano, come di consueto, nella Domenica delle Palme, il prossimo 25 marzo. Il direttore del Servizio per la Pastorale Giovanile, don Carlo Pagliari, subito ricorda che siamo a metà di un trittico mariano disegnato da papa Francesco: nel 2017 il titolo era “Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente” (Lc 1,49), quest’anno è “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio” (Lc 1,30) e tra soli dieci mesi il percorso culminerà nella 34a Gmg internazionale a Panama, intorno al tema “Ecco la serva del Signore; avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1,38). In coerenza con la meditazione avviata nelle Gmg dal 2014 al 2016, incentrate sulle Beatitudini, il cammino spirituale tracciato dal Papa prosegue indicando come modello Maria, colei che tutte le generazioni chiameranno beata (cfr. Lc 1, 49). Si coglie anche la sintonia con la riflessione che Francesco affida al prossimo Sinodo dei vescovi, “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”.

Già intravedendo dunque l’appuntamento extra-continentale che, come annunciato dall’arcivescovo di Panama José Domingo Ulloa Mendieta, si terrà dal 22 al 27 gennaio 2019 nel Paese del Canale, eccoci a guardare più vicino, a Reggio Emilia città, dove domenica 25 marzo la Gmg si concentrerà in tre ore, dalle 16.30 alle 19.30, anche in caso di maltempo.
“Quest’anno – spiega don Carlo – abbiamo deciso di dedicare gli eventi a fasce di età più specifiche: mentre i venerdì sera con il Vescovo sono per i giovani dai 19 ai 30 anni, la Gmg è pensata per gli adolescenti (14-19 anni) e per i loro educatori”. La prima parte dell’incontro si vivrà in Duomo. “Tutto l’evento – continua don Pagliari – è progettato come un unico itinerario educativo, un percorso dalla Cattedrale alla Ghiara. Per lavorare sul tema della Gmg, Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio, sintetizzato in Non temere, e sul vangelo dell’Annunciazione, partiremo con una lettura del libro Oscar e la Dama in rosa interpretata come graphic novel da Francesco De Benedittis con i suoi disegni e accompagnata da un musicista, sempre live. Seguirà l’intervento del nostro Vescovo”.

laliberta.info

Il mercato. Volkswagen a metano, un successo travolgente (anche troppo)

Volkswagen a metano, un successo travolgente (anche troppo)

In attesa della nuova generazione di vetture elettriche (entro il 2025 il gruppo Volkswagen produrrà oltre 30 modelli), il costruttore di Wolfsburg punta sul metano (e sul biometano), tanto da metterlo a disposizione ormai su tutti i suoi modelli più venduti: la eco up! (disponibile a metano dal 2013), la Golf TGI (dal 2014) e, dal 2017, laPolo. Interessante la mix di vendita: una up! venduta su quattro è oggi a metano mentre, per quanto riguardaPolo e Golf, il valore è una su tre.

I vantaggi. Perché questa decisione di puntare con così forte convinzione sul gas? Lo abbiamo chiesto a Francesco Furlan, responsabile marketing di Volkswagen Italia. «Rispetto a benzina e gasolio – spiega Furlan – il metano fornisce una quantità di energia notevolmente superiore: 1 kg di gas metano corrisponde rispettivamente a 1,3 litri di gasolio e a 1,5 litri di benzina. La capacità di 1 kg di gas metano è di 11,69 kWh, che scende a 9,86 per il gasolio, e a 8,77 per la benzina. Inoltre, il gas offre il vantaggio di poter essere ottenuto da materie prime rinnovabili in modo da neutralizzare le emissioni di CO2: per esempio, ciò significa che nella combustione del biometano prodotto in modo industriale (che ha la stessa struttura chimica del gas naturale) viene rilasciata la medesima quantità di CO2 che è stata precedentemente assorbita dalla crescita delle relative piante».

Il confronto. Normalmente le vetture a metano costano un po’ di più rispetto a quelle a benzina ma la differenza di prezzo dei carburanti (-30% in confronto al diesel e -55% rispetto alla benzina), permette di recuperare la differenza nel giro di uno o due anni, a seconda di quanti chilometri si percorrono mediamente. Il listino della eco up! parte da 13.750 euro (+ 2.250 rispetto al benzina); quello della Polo parte da 16,600 (+ 2.300) e quello della Golf parte da 23.250 (+ 2.150).

Tutto esaurito. Troppo successo però porta anche a conseguenze non del tutto positive. Volkswagen ha infattisospeso gli ordini di Polo, Golf e Golf Variant a metano. I modelli a gas naturale hanno visto nelle ultime settimane un incremento notevole delle vendite: un successo che dimostra come, nel nostro Paese, questa alimentazione possa riscuotere i favori dei consumatori in ragione del risparmio che offre e della rete, che negli anni si è allagata, soprattutto al Centro-Nord, e conta oggi 1.200 distributori. Le concessionarie, anche grazie alla promozione che prevede per la Golf TGI lo stesso prezzo della versione a benzina (da 17.900 euro), hanno esaurito la quota di vetture assegnata al mercato italiano. Per evitare attese eccessivamente lunghe, dunque, la Casa ha deciso di sospendere i nuovi ordini almeno fino all’estate.

Sotto il cofano. La eco up! è spinta da un 1.0 litri da 68 CV e 90 Nm d coppia massima con un’autonomia dichiarata di 380 km; la Polo (autonomia dichiarata di 390 km) ha lo stesso motore di 1.0 l ma con potenza (90 CV) e coppia (160 Nm) maggiori mentre, la Golf TGI, ha un bel 1.4 litri da 110 CV, 200 Nm di coppia massima e un’autonomia dichiarata di ben 420 km. La eco up! è quella che nel nostro test ci ha sorpreso di più perché, soprattutto in città, si disimpegna alla grande, consumando davvero poco. Ottimo lo sterzo (e il raggio di sterzata), così come la maneggevolezza e l’agilità. La Polo, arrivata alla sesta generazione con in archivio più di 14 milioni di esemplari venduti, è una delle auto più grandi tra le… piccole. E non si offenderà nessuno se la definiamo la “piccola Golf”. Tutta nuova, quindi, dal motore tre cilindri all’estetica e, soprattutto, con una dotazione di serie notevole. A bordo, onestamente, solo un “Golfista doc” è in grado di notare le differenze con la sorella maggiore con la quale condivide comfort, tenuta di strada (ottima), sicurezza generale (e non è una semplice impressione) e il classico piacere di guida.

avvenire

L’attrice. Liv Ullmann: «La vera rivoluzione si fa con l’accoglienza»

Liv Ullmann compirà 80 anni il 16 dicembre 2018

Liv Ullmann compirà 80 anni il 16 dicembre 2018

Guardando negli occhi azzurro cielo Liv Ullmann, la musa di Ingmar Bergman, sua compagna di vita, amica e collaboratrice, si percepisce a pelle quella che i registi definiscono la sua “aura”. Bionda, snella, ancora bellissima alla soglia degli 80 anni – li compirà il 16 dicembre – , l’attrice e regista norvegese è l’ospite d’onore del 36° Bergamo Film Meeting, che si conclude domani, che le dedica una retrospettiva e una mostra fotografica Liv & Ingmar nel centenario della nascita del grande regista svedese, padre di sua figlia Linn. Liv Ullmann mi accoglie nell’hotel dove alloggia con un largo sorriso e nota il crocifisso dedicato alla Trinità che porto al collo. «Ma è bellissimo!», dice sfiorandolo con le dita. E quando le spieghiamo che Avvenire è il giornale dei cattolici italiani, l’ex ragazza timida, proveniente da una famiglia luterana molto religiosa e interprete di alcuni capolavori di Bergman sul Mistero, esclama felice: «È Dio che ci ha messo in contatto!». L’intervista non può che iniziare da qui.

Ingmar Bergman e Liv Ullman: dalla loro unione durata 5 anni nacque la figlia Linn

Ingmar Bergman e Liv Ullman: dalla loro unione durata 5 anni nacque la figlia Linn

Signora Ullmann, Ingmar Bergman era figlio di un pastore luterano, lei ha avuto una forte educazione religiosa. Avete mai discusso della fede e di Dio, argomenti presenti in molti suoi film?

«Ingmar ha sempre detto di non credere in Dio. Tanto che fece girare a me nel 1997, era la mia vera prima regia,Conversazioni private, ispirato alla storia dei suoi genitori (Erik Bergman fu vicario della chiesa di Hedvig Eleonora Church a Stoccolma ed anche cappellano reale alla corte di re Gustavo V di Svezia ndr.). Gli chiesi: ma perché non lo fai tu?. “Tu sei la sola persona che conosco che crede in Dio” rispose. Io sono molto credente. Ma anche lui credeva, nonostante dicesse di no. Ha avuto talmente tanti dubbi su Dio, che può averli solo uno che nel profondo crede in qualcosa. La fede è fatta di dubbi. Bergman voleva Dio, e sono convinta che Dio lo abbia aiutato nella sua ricerca».

Una scena di 'Conversazioni private' (1997), prima regia di Liv Ullmann su sceneggiatura di Bergman

Una scena di “Conversazioni private” (1997), prima regia di Liv Ullmann su sceneggiatura di Bergman

Non è un caso quindi che, nel suo primo lavoro da regista, un episodio del film Love del 1982, la Bibbia abbia un ruolo importante.

«La prima storia che ho voluto raccontare da regista è stata quella di un uomo anziano solo, un anziano “invisibile” come ce ne sono tanti. Poi scopriamo che ogni giorno va all’ospedale a dare da mangiare alla moglie malata e incosciente, e le legge i passi della Bibbia. Quello è amore. È un esempio di tante persone invisibili nel mondo di cui, se andassimo a conoscerle bene, scopriremmo la profonda umanità».

E proprio a come si vive alla sua età è dedicato il libro “La luce blu” che lei sta scrivendo.

«La luce blu è quel tipo di luce nel cielo quando è passato il tramonto e sta diventando buio. Descrive l’ottica che ha la persona anziana della vita. A una certa età arriviamo a non vederci più come prima, ma non è solo il tempo della chiusura, della fine e dell’attesa della morte. È un’età in cui si può mettere a frutto l’esperienza, le cose che si sono imparate, e avere una visione più chiara della vita».

Tornando indietro nella sua, di vita, quando è nata la passione per il cinema e il teatro?

«Devo tutto al cinema italiano. Per me il cinema è il Vittorio De Sica di Umberto D, Miracolo a Milano e Ladri di biciclette. Mia mamma mi portava spesso al cinema quando ero una bambina di 8-10 anni. Quei film mi hanno fatto capire che c’era un altro mondo, oltre alla Norvegia, mi hanno allargato gli orizzonti. E poi c’erano quelle vostre magnifiche attrici, Silvana Mangano, Sophia Loren… Lì ho capito che volevo fare l’attrice, per essere in connessione con gli altri. Il teatro è venuto di conseguenza. Poi ho avuto la fortuna di lavorare con Monicelli in Speriamo che sia femmina e con Bolognini. Addirittura mi sono sposata durante le riprese di Mosca addio…Monicelli ha disegnato il mio abito».

Sull'isola di Faro, in Svezia, durante le riprese di 'Persona', primo film di Liv Ullmann diretta da Ingmar Bergman

Sull’isola di Faro, in Svezia, durante le riprese di “Persona”, primo film di Liv Ullmann diretta da Ingmar Bergman

Cosa ha scoperto (a undici anni dalla morte) di Ingmar Bergman?

«Rileggendo le sue sceneggiature, per mettere in scena a teatro Conversazioni privateche spero di portare presto al Napoli Teatro Festival, ho scoperto il grande scrittore che era. All’epoca ero troppo concentrata a interpretare le sue battute, abbagliata dalla bellezza visiva dei suoi film. Ma leggetelo: era uno scrittore umanistico, con un interesse toltale per quello che fanno e che non fanno le persone nella vita. Pensate a quella frase incredibile che ne Il settimo sigillo pronuncia il Conte mentre gioca a scacchi con la morte: “Morte non prendermi prima che io abbia potuto fare una cosa buona nella vita”. Lui non amava la freddezza e l’indifferenza fra le persone. Ora che sento di averlo capito, sono orgogliosa di portare per il mondo il suo messaggio. Quello che dico è la mia lettera d’amore a Bergman perché mi ha dato le parole».

Lei è stata il volto femminile delle inquietudini del regista.

«Io ero il suo alter ego al femminile, al pari di Max Von Sidow al maschile. L’unico film in cui sono me stessa e non lui è Scene da un matrimonio, che non è esattamente la nostra storia, ma una storia comune a moltissime altre coppie. Solo che negli anni ’70 rappresentava un passo verso l’emancipazione femminile, difficile anche per me, che avevo un’altra educazione. Ma, nell’interpretare una donna dapprima remissiva e poi consapevole di se stessa, sono cresciuta anche io. Oggi che la violenza sulle donne è cosi aumentata dico alle ragazze che la cosa importante è imparare ad ascoltarci gli uni gli altri, ed ad ascoltare se stesse».

'Scene da un matrimonio', nel 1973 fu un film e una serie televisiva in sei puntate

“Scene da un matrimonio”, nel 1973 fu un film e una serie televisiva in sei puntate

E proprio a favore delle donne rifugiate lei è una delle fondatrici della “Woman Refugee Commission”.

«Quelle a favore dei rifugiati, delle donne e dei bambini con Wrf e come vice presidente dell’International Rescue Commitee sono le mie attività più importanti. La situazione attuale dell’accoglienza e dei rifugiati è molto brutta in generale. Qui in Italia ha appena vinto le elezioni la destra, nella mia Norvegia c’è un governo di destra, io vivo in America dove c’è Trump: si è sdoganata la politica dell’odio. Non possiamo starcene tranquilli qui a parlare di cinema infischiandocene di bambini che muoiono sotto le bombe, famiglie che devono scappare dai loro Paesi e di donne che per passare in Europa vengono violentate e vendute. Non possiamo pensare che il mondo debba essere accogliente solo verso di noi, e non verso gli altri. La vera rivoluzione si fa essendo accoglienti nel nostro quotidiano con tutti».

da Avvenire

Idee. Kristeva, fede e ragione contro i fanatismi

La scrittrice Julia Kristeva

La scrittrice Julia Kristeva

Non cessa di stupirci, Julia Kristeva, per la sua libertà di pensiero e per la capacità di ricondurre a unità le istanze di credenti e non credenti dinanzi alle sfide del mondo contemporaneo. Lo fa con due recenti volumi tradotti in Italia, La notte della giustizia (a cura di Cristiana Dobner; Edb, pagine 64, euro 7,00) e Simone de Beauvoir. La rivoluzione del femminile (Donzelli, pagine 144, euro 19,00). Due libretti di stampo assai diverso ma accomunati dal desiderio di rifondazione dell’umanesimo in Occidente, un umanesimo che recuperi le verità più profonde del cristianesimo e dell’illuminismo.

Del primo volume, un discorso tenuto all’École nationale de la Magistrature a Bordeaux nel 2015 (un estratto ne è già stato pubblicato su queste pagine), è centrale l’interrogativo che si pone: giudicare è perdonare? Il suo intervento, rivolto agli aspiranti magistrati d’Oltralpe, si inerpica su questioni profonde esplorate soprattutto dai teologi. Senza accontentarsi del verdetto di Jankélévitch secondo cui «il perdono è morto nei campi della morte», Kristeva spiega come si rende possibile nella cultura ebraica l’atto del perdono, che contempla la richiesta del perdono di chi è stato offeso ma anche l’accettazione di essa. Solo se la ferita viene richiusa con una parola che la plachi, allora anche Dio può perdonare. Il cristianesimo compie un passo avanti introducendo l’amore vicendevole: «È innanzitutto perché gli uomini sono capaci di perdonarsi che Dio, alla fine, li perdonerà». Davanti al male estremo che si riaffaccia oggi con il terrorismo e le nuove guerre, la filosofa si definisce «una pessimista energica» e invita a non demordere, prendendo esempio da Pascal, da quel punto fragile che l’autore dei Pensieri ha chiamato «un movimento perpetuo». E si chiede «se l’etica che oggi ci manca non sia precisamente questo “movimento perpetuo”, verso il segreto di rallegrarsi del bene senza scandalizzarsi del male». Come lei stesso ha scritto, le frasi di due autori hanno segnato il suo itinerario intellettuale. La prima di sant’Agostino: «Il viaggio è la sola patria», la seconda di La Fontaine: «Diversità, ecco il mio motto».

Slogan efficaci che contrassegnano anche il suo saggio sulla compagna di Sartre. Che rimane certo la protagonista di una rivoluzione antropologica nel senso del femminismo e di un ateismo radicale, ma al contempo esprime la volontà di un’autotrascendenza: «Il suo concetto esistenzialista di libertà implica non solo il nonacconsentire, ma altresì il vivere superando se stessi». E la sua critica all’universo maschile si rifà esplicitamente a figure religiose come Teresa d’Ávila e Kierkegaard, oltre a Colette e Freud. Il cruccio di Julia Kristeva è il destino dell’Europa, la necessità di rifondare l’umanesimo che ne costituisce l’humus, quell’umanesimo che per lei è sempre stato simboleggiato dall’illuminismo ma che ora si trova sotto scacco a causa delle sfide del nuovo millennio: la subordinazione della cultura rispetto all’economia secondo il modello americano prevalente, l’incalzare dei nuovi fanatismi religiosi che sfociano nel terrorismo, le frontiere delle neuroscienze e delle biotecnologie che aprono la via a scenari meravigliosi ma pure a possibili incubi. Se l’illuminismo ha “spezzato il filo” con la tradizione religiosa (per usare un’espressione di Tocqueville e Arendt), Kristeva, che qualcuno ha chiamato “atea cristiana”, ammette che c’è bisogno del cattolicesimo, della sua etica e della sua estetica. Inutile perseverare con la cultura del piagnisteo. La memoria viva dell’Europa nelle sue diverse componenti (greco-romana, ebraica, da duemila anni cristiana, poi umanistica con i suoi accenti di ribellione da duecento anni, senza dimenticare la presenza araba e musulmana), è un multiverso linguistico e culturale ancora vivo.

Contro i nuovi fanatismi e le nuove intolleranze occorre perciò un’alleanza tra una fede pensata e un pensiero aperto. Quando nel 2011 fu invitata da Benedetto XVI alla Giornata interreligiosa per la pace ad Assisi come rappresentante dei non credenti, lei stessa indicò dieci punti per una rifondazione dell’umanesimo. E che la scrittrice faccia rientrare in questo progetto il “bisogno di credere” e un cristianesimo pensoso, ce lo dice pure il confronto che da anni ha avviato sulla questione dell’handicap con Jean Vanier, confronto nato a partire dalla disabilità del figlio David. Umilmente Kristeva non si arruola nelle fila «di quei genitori di figli disabili che proclamano di vivere la gioia e la grazia». Più semplicemente dice di aver compreso il senso del «prendersi cura», urgenza pedagogica, valore primario per un’etica laica.

da Avvenire

Risorsa preziosa. L’mpronta umana sull’acqua mina il futuro del Pianeta

L'mpronta umana sull'acqua mina il futuro del Pianeta

Il 2007 aveva inferto una sberla alla nostra visione del mondo. Quell’anno, il piatto della bilancia con gli urbani del pianeta è divenuto più pesante del piatto contrapposto: quello con la gente dei campi, che a inizio Novecento rappresentava invece il 90% dell’umanità. In questo 2018 incassiamo un’altra sberla che risveglia da tanti torpori: più della metà dei tratti di mare del globo sono ormai battuti dalle flotte pescherecce salpate dai porti di ogni dove, secondo una ricerca appena riassunta sull’autorevole rivista Nature. In altri termini, la pesca industriale rastrella una superficie marina quattro volte più estesa di tutti i campi coltivati. In cifre, circa 200 milioni di chilometri quadrati. Nel 2016, la superficie marina sfruttata era già il 55% del totale. Il risultato scaturisce da calcoli ciclopici, grazie alla cooperazione di diversi poli accademici nordamericani (Stanford, l’Università della California e quella canadese di Dalhousie), della National Geographic Society e del progetto ‘Global Fishing Watch’, spalleggiato da Google e da ong innovative come Sky Truth, fondata dal geologo statunitense John Amos, divenuto un asso nell’uso militante delle immagini satellitari. In tutto, basandosi su dati registrati a terra o dai satelliti, sono stati elaborati 22 miliardi d’impulsi emessi per 4 anni dai sistemi automatici anti-collisione dei battelli di maggiore stazza, in giro per i sette mari.

Dopo questa ricerca, potremo ancora leggere allo stesso modo un capolavoro come Moby Dick, con le sue distese blu infinite che sfidano l’intendere umano? Ma letture a parte, l’odierno sfruttamento ipertrofico delle risorse marine pone dilemmi inediti sugli equilibri planetari. E a ben guardare, le due sberle a un decennio di distanza non sono per nulla estranee fra loro. Anzi, si guardano reciprocamente allo specchio. In entrambi i casi, l’umanità scopre i limiti della principale risorsa per la vita sul pianeta: l’acqua. Il grande problema delle megalopoli del XXI secolo rischia d’essere la penuria d’acqua potabile. Entro il 2050, una città su due potrebbe dover razionare le scorte, secondo uno studio condotto dall’Università di Kassel (Germania), anch’esso appena messo in vetrina da Nature. Certi aggregati urbani saranno troppo grandi per non restare a secco, almeno a singhiozzo. Ma come per le città, anche nel caso della pesca industriale forsennata praticata negli ultimi decenni, s’impiega la stessa metafora: l’’impronta’ sull’acqua. Con buona pace delle grandiose scene romanzesche melvilliane, l’umanità scopre che l’acqua del pianeta, dolce o salata che sia, diventa una risorsa finita. Almeno se la si paragona, nelle regioni più urbanizzate, alla capacità di consumo delle megalopoli. O, fra un oceano e l’altro, ai livelli parossistici raggiunti dalla pesca industriale.

Se certe soluzioni tecnologiche avanzate (come gli impianti di dissalazione di nuova generazione, ad energia solare) potranno forse alleviare e talora risolvere il nodo dell’acqua potabile, il problema dell’altra impronta dovuta alla pesca forsennata rischia di rivelarsi ancor più delicato. Sembra averlo capito pure l’Europarlamento, pronto, lo scorso febbraio, a dare una piega ecologica imprevista a una risoluzione che chiede ormai uno stop totale, per le flotte europee, della ‘pesca elettrica’. Ovvero, quella che impiega reti ad impulsi elettrici, praticata finora estensivamente soprattutto dagli olandesi. Il testo preparato dalla Commissione intendeva estendere le già ampie deroghe esistenti al divieto formale, permettendo una maggiore diffusione degli ‘attrezzi da pesca innovativi’. Ma alla fine, ha prevalso la prudenza. Un’ampia maggioranza trasversale a trazione molto francese e mediterranea (402 voti contro 232, con un ruolo importante dei Verdi, ma anche il sostegno di qualche conservatore inglese fra i firmatari degli emendamenti decisivi), ha chiesto alla Commissione di mettere al bando la tecnica, presentata dai più ferventi abolizionisti come ‘una vergogna per l’Europa’. Al Parlamento francese, è stata poi adottata il 6 marzo, da una compatta maggioranza trasversale, una risoluzione abolizionista anch’essa dai toni particolarmente duri.

Il braccio di ferro fra favorevoli e contrari durava da oltre un decennio, a colpi di argomenti invocati come ‘ecologici’ da entrambi i campi. Per la fazione liberista, la pesca elettrica riduce i tempi medi di permanenza in mare dei battelli, facendo consumare meno carburante e dunque evitando inutili emissioni di gas a effetto serra. Senza considerare lo stress in meno per gli equipaggi. Inoltre, rispetto alla pesca a strascico tradizionale, le reti elettriche eviterebbero di raschiare i fondali alla ricerca delle specie piatte, risparmiando anche gli esemplari più giovani, meno sensibili al ‘richiamo’ elettrico. Ragionamenti, questi, considerati tutti capziosi e pelosi dal campo abolizionista, guidato dai francesi, pronto ad enfatizzare gli effetti potenzialmente devastanti per l’equilibrio degli ecosistemi mostrato da vari studi scientifici, le sofferenze inflitte a pesci e cetacei, i danni irreparabili nel tempo per le flottiglie costiere dedite ancora alla pesca artigianale.

Fuori dagli emicicli parlamentari, per una volta, il dibattito ha infiammato pure tanti non specialisti. In Francia e non solo, in particolare, si sono schierati con gli abolizionisti anche celebri chef da ristorante, riuniti in cordata. Spesso senza dirlo, hanno dato ragione alle tesi dell’ormai scomparso antropologo Claude Lévi-Strauss, per il quale una pietanza, per essere davvero apprezzata, deve innanzitutto sembrare ‘buona da pensare’. E in proposito, come chinarsi con l’acquolina in bocca su una sogliola, dopo aver appreso che questa specie ha rappresentato finora il primo bersaglio dei grandi pescherecci a reti elettriche? Da qui, gli efficaci manifesti proibizionisti con tanto di pesci luminescenti pronti ad essere serviti nel piatto.

Oltre che sui codicilli giuridici, le grandi battaglie ecologiche internazionali di questi decenni sembrano decidersi non di rado pure sull’efficacia di una metafora o di un simbolo. All’Onu, ad esempio, amano ancora ricordarlo a proposito della campagna vittoriosa che riuscì a proibire i gas industriali responsabili del famoso ‘buco nell’ozono’ (i Cfc, cluorofluorocarburi). Prima che venisse coniato quell’efficacissimo slogan sintetico, il ‘buco nell’ozono’, tanti appelli non avevano trovato eco nella società. Benché simbolici, i successi parlamentari provvisori e circoscritti sulla ‘pesca elettrica’ ed altri nodi riguardanti la preservazione delle risorse marine (la palla passa adesso anche ai vari Stati Ue) non dovrebbero ispirare facili ottimismi. La sfida epocale delle ‘impronte’ umane sull’acqua – le megalopoli che aspirano acqua dolce, la pesca industriale che tende a spopolare gli oceani –, richiede probabilmente ancora nuove metafore azzeccate capaci di far cogliere le immani poste in gioco, anche ai più distratti. Al di là delle apparenze, allora, sarebbe probabilmente un errore fatale relegare in soffitta odissee morali ‘oceaniche’ e zeppe di simboli come quelle di Melville. Laddove arrancano i regolamenti tecnici, si può sempre sperare di trovare l’amo giusto nei mari sterminati degli immaginari letterari e in generale dell’immaginazione umana.

da Avvenire

Ambiente. Italia tra siccità e diluvi. Cresce il biologico, ma pure il consumo di suolo

La siccità nella campagna mantovana (foto archivio Ansa)

La siccità nella campagna mantovana (foto archivio Ansa)

Il livello di CO2 cresce a livello globale, e dunque la temperatura media della Terra, che in Italia è anche più alta. Il nostro Paese, funestato nel 2017 da siccità e precipitazioni intense, riuscirà comunque a raggiungere gliobiettivi di riduzione dei gas serra fissati per il 2020 dalle direttive europee. Migliora anche la qualità dell’aria– ancora critica nella pianura padana – grazie alla riduzione delle emissioni delle autovetture. Aumenta laproduzione pro-capite di rifiuti, ma anche la raccolta differenziata. Peggiora l’inquinamento acustico, così come quello delle acque superficiali, contaminate da pesticidi, che a volte raggiungono anche le falde sotterranee. Cresce l’agricoltura biologica, che occupa un’area pari quasi alla Val d’Aosta, ma cresce anche ilconsumo di suolo: in un anno cementificati e asfaltati ettari equivalenti a 5.700 campi di calcio.

Il premier Paolo Gentiloni alla presentazione nella sala della Regina a Montecitorio

Il premier Paolo Gentiloni alla presentazione nella sala della Regina a Montecitorio

E’ un’immagine in chiaroscuro quella che emerge dai numerosi indicatori forniti dall‘Annuario dei Dati ambientali Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale. A un anno dall’entrata in vigore della Legge 132/2016, che istituisce il Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (SNPA), il rapporto è stato presentato oggi alla Camera, presente il premier Paolo Gentiloni e il ministro dell’Ambiente Gianluca Galletti. Tra i temi affrontati nei report ci sono agricoltura, pesca, energia, trasporti, turismo, industria, biodiversità, clima, inquinamento atmosferico, indice pollinico allergenico, qualità delle acque interne, mare e ambiente costiero, consumo di suolo, rifiuti, agenti fisici, pericolosità geologiche, agenti chimici, valutazioni, autorizzazioni, controlli e certificazioni ambientali, conoscenza ambientale.

Lo stato generale di salute della Terra continua a preoccupare. A novembre 2017 la concentrazione media di CO2 atmosferica (405,14 parti per milione) ha raggiunto un valore senza precedenti negli ultimi 800 mila anni. E la temperatura media annuale globale, nel 2016, ha segnato un anomalo aumento di 1,31 °C sulla terraferma, che in Italia è leggermente superiore: 1,35. Un nuovo record negativo per il terzo anno consecutivo.Tra il 1990 e il 2015, tuttavia, le emissioni di tutti i gas serra sono diminuite grazie alla riduzione prevalente di CO2 raggiunta dal settore energetico. Nel 2015, però, le emissioni sono aumentate del 2,3%, come probabile effetto di una ripresa economica. E in Italia?

Nel nostro Paese l’obiettivo di riduzione dei gas serra entro il 2020, assegnato dall’Ue, sarà raggiunto. Non è l’unica nota positiva: numerosi e significativi – afferma l’Ispra – sono i segnali di miglioramento della qualità dell’aria: le emissioni dei principali inquinanti continuano infatti a diminuire, ma la situazione rimane però critica, in particolare per il particolato atmosferico (il 40% delle stazioni non rispetta il valore limite giornaliero), il biossido di azoto (il 13% delle stazioni non rispetta il valore limite giornaliero). Il bacino padano rappresenta una delle aree di maggior criticità.

In diminuzione anche le emissioni delle autovetture, grazie alle nuove immatricolazioni: nel 2015 le emissioni di CO2 sono scese notevolmente, raggiungendo i 115,1 grammi di CO2 per km (nel 2005 lo stesso valore era 149,5). I dati dei veicoli euro 6 immatricolati nel 2014 mostrano che, per gli ossidi di azoto, il confronto vede il diesel con valori sensibilmente maggiori rispetto a GPL, benzina e gas naturale compresso (metano) I composti organici volatili non metanici sono invece molto alti per i veicoli a benzina, seguiti da GPL e metano, con emissioni rispettivamente pari a circa la metà e un quarto. Quasi trascurabile questo fattore di emissione dei diesel, che però per il particolato presenta i valori più elevati, seguito a breve distanza dalla benzina, mentre Gpl e metano hanno emissioni di 1/3 inferiore rispetto al diesel.

Al capitolo produzione dei rifiuti urbani si registra una crescita (+2%), in linea con l’andamento degli indicatori socio-economici. La produzione pro capite passa da 487 kg/abitante nel 2015 a 497 nel 2016. Laraccolta differenziata si attesta al 52,5% della produzione dei rifiuti urbani. Nel 2016, lo smaltimento in discarica interessa il 25% dei rifiuti urbani prodotti. Il riciclaggio delle diverse frazioni raggiunge, infatti, nel suo insieme il 45% della produzione. Nel 2016 la percentuale di preparazione per il riutilizzo e riciclaggio, (carta e cartone, organico, vetro, plastica, metalli e legno) è pari al 47,7%.

Negli agglomerati urbani, uno dei principali problemi ambientali è l’inquinamento acustico. L’attenzione da parte dei cittadini e la richiesta di tutela personale e dell’ambiente sono elevate: nel 2016 circa 93 controlli su 100 delle ARPA/APPA sono stati svolti a seguito di esposti della cittadinanza e nel 40,6% di sorgenti controllate sono stati riscontrati superamenti dei limiti normativi.

Cosa accade al di fuori delle nostre città? Oltre 300.000 ettari, nel 2016, sono stati convertiti ad agricoltura biologica: un’estensione pari quasi a quella della Regione Valle d’Aosta. Cresce il numero di operatori del settore (+20,3%) che privilegia sistemi biologici produttivi, senza il ricorso a sostanze chimiche di sintesi. Per contro, il consumo di suolo In Italia continua a crescere, pur segnando un importante rallentamento negli ultimi anni. Circa 23.000 km2 del territorio nazionale sono ormai persi irrimediabilmente e, con loro, i rispettivi servizi ecosistemici. Solo in 6 mesi, tra il 2015 e il 2016, sono stati consumati 5000 ettari di territorio, equivalenti a 5700 campi di calcio.

In che condizioni versano le nostre acque? Il 43% dei fiumi e il 20% dei laghi raggiungono l’obiettivo di qualità per stato ecologico; il 75% dei fiumi e il 48% dei laghi, invece, raggiungono l’obiettivo di qualità per lo stato chimico.Non si arresta, inoltre, il livello di contaminazione da pesticidi. Inquinati 370 punti di monitoraggio (23,8% del totale) di acque superficiali, con concentrazioni superiori ai limiti di qualità ambientali; nelle acque sotterranee, 276 punti (8,6% del totale) registrano tale superamento. Permangono, tuttavia, sensibili differenze tra le regioni, dovute a un monitoraggio degli inquinanti ancora disomogeneo sul territorio nazionale.

da Avvenire