18 Marzo 2018  V DOMENICA Quaresima (ANNO B) Foglietto Letture Salmo

18 Marzo 2018  V DOMENICA Quaresima (ANNO B)

Grado della Celebrazione: DOMENICA
Colore liturgico: Viola 

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Il brano del Vangelo odierno segue immediatamente la narrazione dell’ingresso trionfale del Signore a Gerusalemme. Tutti sembrano averlo accolto: persino alcuni Greci, di passaggio, andarono a rendergli omaggio.
Questo è il contesto in cui Giovanni comincia il racconto della Passione. Come in natura, il chicco di grano muore per generare una nuova vita, così Gesù, con la sua morte, riconduce tutto quanto al Padre. Non è l’acclamazione del popolo che farà venire il Regno, ma il consenso del Padre. Il ministero e l’insegnamento di Gesù testimoniano che egli è venuto da parte del Padre. Aprirci a lui, significa passare dalla conoscenza di quanto egli ha detto o fatto all’accettazione della fede. La voce venuta dal cielo ci riporta alla Trasfigurazione (cf. la seconda domenica di Quaresima). Ma qui, chi sente questa voce, o non la riconosce per nulla, o la percepisce come una vaga forma di approvazione. Eppure tale conferma era proprio destinata a loro. Questo è anche un richiamo per noi: se non siamo pronti ad ascoltare la parola di Dio, anche noi resteremo insensibili.
Tutti coloro che vogliono seguire Cristo, che accettano questa nuova via, scelgono di porsi al servizio di Cristo e di camminare al suo fianco. Il significato pregnante di queste parole – essere sempre con lui dovunque egli sia – ci è stato presentato nell’insegnamento e nel nutrimento spirituale della Quaresima. All’avvicinarsi della celebrazione dei misteri pasquali, portiamo in noi la certezza che servire Cristo significa essere onorati dal Padre.

Tavolo ecclesiale. Il servizio civile: ecco la nuova obiezione culturale

Uno dei ragazzi che hanno partecipato all’incontro di lunedì 12 marzo a Sotto il Monte (Bergamo)

Uno dei ragazzi che hanno partecipato all’incontro di lunedì 12 marzo a Sotto il Monte (Bergamo)

Obiezione di coscienza culturale al clima di violenza e odio di questo tempo. Cominciando a costruire la pace con il servizio a migranti e rifugiati. L’appello ai 58 mila giovani in servizio civile universale nel 2018 è stato lanciato ieri, giorno di San Massimiliano di Tebessa – martire per essersi rifiutato di prestare servizio militare in nome della fede – dal paese natale di San Giovanni XXIII, icona della pace. Presenti 500 ragazzi da tutta Italia, riuniti a Sotto il Monte per l’incontro nazionale dei volontari del Tavolo ecclesiale sul servizio civile, ovvero 18 organismi, organizzazioni e associazioni cattoliche tra cui Caritas italiana, Acli e Focsiv. Il tema, particolarmente sensibile, era quello scelto da Papa Francesco per la Giornata mondiale della Pace, ‘Migranti e rifugiati: uomini e donne in cerca di pace’.

Un invito a raccogliere la sifda e a «lottare per ciò in cui si crede » è arrivato dal cardinale Francesco Montenegro, presidente di Caritas Italiana. Per il quale «il servizio civile è attenzione all’uomo, ma è anche forza di cambiare una società sempre più povera di valori e che non sa da che parte guardare. Non servono le armi per cambiare la realtà. Semmai, se armi bisogna usare, ci sono quelle della nonviolenza. Il pacifismo è chiedersi: che cosa posso fare». L’arcivescovo di Agrigento ha ribadito le quattro azioni raccomandate per i migranti del Papa come pilastri sui quali costruire la pace: «Accogliere, proteggere, promuovere, integrare. In altri termini costruire un mondo migliore dove uno possa sentirsi fratello dell’altro». Anche il vescovo di Bergamo Francesco Beschi ha ribadito la necessità di un’obiezione di coscienza, «che oggi va sempre tenuta pronta davanti a quello che alimenta disumanità. Ci siamo ritrovati a Sotto il Monte a Capodanno per la Marcia della Pace. Ci si sta abituando alla pace, se ne sottovaluta l’impegno e qualcuno non ci crede più, tanto da preparare la guerra. Ci è cara la pace, tanto da giocarci qualcosa di noi stessi? Perché se non la ricostruiamo continuamente perde il suo fascino. Non vogliamo alimentare paure, ma una attenzione davanti a forme di nazionalismi identitari sempre più virulenti. Abbiamo marciato per la pace nel segno del messaggio di Papa Francesco sui migranti, che sono un segno dei tempi, che hanno a che fare con un appello che il Signore rivolge al mondo, in particolare a chi crede al Vangelo».

Anche don Virginio Colmegna parla esplicitamente del bisogno «di un’obiezione di coscienza culturale, capace di riportare il linguaggio della nonviolenza». Per il presidente della Casa della Carità di Milano, anche la parola bontà «sembra un valore lontano». Invece bisogna «essere responsabili di diritti di fronte a tanti egoismi corporativistici. Rilanciamo l’obiezione di coscienza culturale contro le armi e la violenza che ci dia anche voglia di custodire sentimenti belli. Ascoltiamo le parole del Papa, il nemico è l’indifferenza, non diventiamo indifferenti».

Ai discorsi si alternano le testimonianze. Come quella di Fatima, 23 enne pachistana, in Italia da 10 anni, che lavora con i bambini in difficoltà in una comunità della Papa Giovanni. «Non è stato facile, ma sono riuscita a diplomarmi e ho trovato il bando del servizio civile presso l’Informagiovani. Sono musulmana, in comunità mi lasciano il tempo di pregare, mi sento accettata e ho imparato che nei rapporti anche con i più piccoli si ottiene di più con la nonviolenza, che richiede pazienza ma porta a risultati duraturi».

«Dobbiamo fare una scelta chiara di educazione alla pace e alla nonviolenza, come ci chiede il Papa – le fa eco il responsabile della comunità fondata da don Benzi Giovanni Ramonda raccontando un impegno instancabile – e impegnarci, tra l’altro, per chiedere la conversione delle ‘fabbriche di armi in chiave di benessere sociale». Ramonda ha spiegato l’esperienza dell’associazione a fianco dei migranti, delle ragazze «prostituite dalla domanda dei clienti, quindi con enorme responsabilità da parte di chi le cerca, anche perché molte di loro vengono da famiglie poverissime».

E a chi desidera dedicare la propria vita alla difesa dei diritti umani, indica una strada la straordinaria esperienza di Alganesh Fessaha, italiana di origine eritrea, fondatrice della Ong Gandhi, che sta aiutando Caritas e Sant’Egidio nell’operazione dei corridoi umanitari dall’Etiopia e che ha più volte rischiato la vita per salvare i migranti.

«I giovani eritrei provano ad attraversare il deserto e il mare verso l’Europa, perché per loro rimanere in Eritrea è la morte sicura, altrove hanno almeno una possibilità. Nel deserto del Sinai sono state vendute persone o uccise per prelevare organi, sono state violentate donne. Si stimano almeno 8mila persone morte, ma nessuno ne parla». L’attivista è appena tornata da Israele dove circa 38mila eritrei scampati al Sinai rischiano la deportazione in Uganda e Rwanda. Gandhi lavora anche in Etiopia, che ospita un milione di rifugiati. «Lì costruiamo scuole per l’integrazione perché i giovani non vadano via e l’Africa non si dissangui».

da Avvenire

Frère Alois di Taizé: con il Papa per il Sinodo sui giovani

Papa Francesco riceve in udienza Frère Alois di Taize

Il prossimo Sinodo sui giovani, le nuove iniziative della Comunità di Taizé nel cammino ecumenico e nell’accoglienza dei giovani, ma anche l’accoglienza dei migranti nella sede francese della Comunità fondata nel 1940 da frère Roger Schutz. Sono stati i temi dell’incontro tra Papa Francesco e il priore della Comunità ecumenica di Taizé, frère Alois Löser, ricevuto in udienza nel Palazzo apostolico, come accade ogni anno, sempre nel mese di marzo. Naturalmente il priore di Taizé, nato in Baviera nel 1954, cattolico, alla guida della Comunità dal 2005, dopo la morte di frère Roger, anche ringraziato il Papa per il suo ministero, alla vigilia del quinto anniversario della sua elezione.

Anche a Taizé accogliamo rifugiati

“L’ho ringraziato – ci racconta frère Alois – per la maniera così pastorale di vivere il suo ministero. Questo è un grande incoraggiamento per molte persone, anche al di là dell’appartenenza alla Chiesa cattolica”. Poi, ci dice, l’ho informato delle iniziative che abbiamo preso di recente “nell’ambito della ricerca ecumenica e dell’accoglienza dei giovani. Il Papa ha insistito sull’importanza dell’ospitalità”. Abbiamo parlato, prosegue il priore di Taizé, “anche di rifugiati: questo è un tema che lo preoccupa molto, ed è una preoccupazione che noi condividiamo in pieno,  accogliendo anche noi, a Taizé, alcuni rifugiati”.

Bisogna accompagnare il desiderio di autenticità dei giovani

Infine il Sinodo sui giovani, carisma della Comunità: “Gli ho detto che noi accompagniamo, ora, questo cammino del Sinodo. Il cardinale Baldisseri è venuto a farci visita a Taizé. Noi ascoltiamo molto i giovani: hanno un desiderio di autenticità, che bisogna scoprire, prendere sul serio e accompagnare”.

Un pontificato in grande continuità con il Concilio

Frère Alois, entrato in Comunità nel 1974, e autore di numerosi canoni di Taizé oggi cantati in tutto il mondo, ci parla anche del quinto anniversario dell’elezione di Papa Francesco e del suo pontificato.  “Si tratta di una grande continuità ma al tempo stesso di un grande cambiamento – ci dice – una grande continuità del pontificato, molto chiara, con il Concilio Vaticano II: in un contesto che è già cambiato, la sua grande apertura, la maniera pastorale di vivere il suo ministero”. Questa cosa, spiega, lo avvicina a molti giovani che lo ascoltano e che si aprono all’esigenza del Vangelo.

Ecumenismo, per rispondere alle nuove divisioni

Per Francesco, conclude il priore di Taizé, “l’ecumenismo non è faccenda tra cristiani, ma è la necessità di essere coerenti con il Vangelo, per essere insieme portatori di pace in un mondo dove le divisioni diventano sempre più grandi. Anche in Europa, si stanno ricreando divisioni che sembravano superate. L’ecumenismo ha lo scopo di trovare una risposta a queste questioni del nostro tempo”.

da Vatican News

Cinque anni con Francesco, in cammino tra le sorprese dello Spirito

Papa Francesco saluta i fedeli in Piazza San Pietro poco dopo l'elezione

Cinque anni fa, il 13 marzo 2013, veniva eletto Papa Francesco. Alcuni dati per sintetizzare questi anni di Pontificato: due Encicliche (Lumen fidei, sulla fede, che prosegue quanto scritto da Benedetto XVI, e Laudato si’, sulla cura della casa comune, custodire il Creato non è dei verdi ma dei cristiani), due Esortazioni apostoliche (Evangelii gaudium, testo programmatico del Pontificato per una Chiesa in uscita, fortemente missionaria, e Amoris laetitia sull’amore nella famiglia), 23 Motu proprio (riforma Curia Romana, gestione e trasparenza economica, riforma processo nullità matrimoniali, traduzione testi liturgici, con indicazioni per un maggiore decentramento e più poteri alle Conferenze episcopali), due Sinodi sulla famiglia, un Giubileo dedicato alla Misericordia, 22 viaggi internazionali con oltre 30 Paesi visitati e 17 visite pastorali in Italia, 8 cicli di catechesi all’udienza generale del mercoledì (Professione di fede, Sacramenti, Doni dello Spirito Santo, la Chiesa, la famiglia, la misericordia, la speranza cristiana, la Santa Messa), quasi 600 omelie a braccio nelle Messe a Santa Marta, oltre 46 milioni di follower su Twitter e più di 5 milioni su Instagram. Senza contare gli innumerevoli discorsi, messaggi e lettere, e i milioni di uomini, donne e bambini di tutto il mondo incontrati, abbracciati, accarezzati.

Una Chiesa dalle porte aperte

Primo Papa gesuita, primo proveniente dalle Americhe, primo con il nome del Poverello d’Assisi, Francesco, 265.mo Successore di Pietro, desidera una Chiesa dalle porte aperte che sappia annunciare a tutti la gioia e la freschezza del Vangelo. Una Chiesa accogliente, “dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa”, non una dogana che controlli la grazia invece di facilitarla. Una Chiesa che rischi di essere “accidentata, ferita e sporca” pur di raggiungere e stare in mezzo alla gente, “piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze”. Chiede di abbandonare uno stile difensivo e negativo, di mera condanna, per proporre la bellezza della fede, che è incontrare Dio.

Lo Spirito Santo scombussola

Il suo è un invito a lasciarsi sorprendere dallo Spirito Santo, il vero protagonista della Chiesa, che continua a parlare e a dirci cose nuove. Una delle parole forti del Pontificato, Francesco l’ha pronunciata a Istanbul nel novembre 2014: lo Spirito Santo “scombussola”, perché “smuove, fa camminare, spinge la Chiesa ad andare avanti”, mentre è molto più facile e sicuro “adagiarsi nelle proprie posizioni statiche e immutate”. E’ molto più rassicurante credere che la verità sia “possedere” un pacchetto di dottrine, bello confezionato, che possiamo ben gestire, piuttosto che appartenere noi stessi alla Verità: è lo Spirito che ci guida alla verità tutta intera. Il cristiano ha ancora tanto da imparare perché Dio si rivela sempre di più. Tanto che Francesco può dire di avere tanti dubbi: “in senso positivo” – precisa – “sono un segno che vogliamo conoscere meglio Gesù e il mistero del suo amore verso di noi”. “Questi dubbi fanno crescere” (Ud. gen. 23-11-2016). Anche Pietro davanti ai pagani ha potuto dire: “Sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone, ma chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a lui accetto” (Atti 10,34-35). Cresce l’intelligenza della fede.

Papa di destra o di sinistra?

Inizialmente tutti o quasi parlavano bene di Francesco. Pian piano sono arrivate le critiche. Una buona notizia visto quello che ha detto Gesù: “Guai a voi quando tutti parleranno bene di voi”. Da destra si accusa il Papa di essere comunista, perché attacca l’attuale sistema economico liberista: “è ingiusto alla radice”, “questa economia uccide”, fa prevalere la “legge del più forte” che “mangia il più debole”.  E parla troppo di migranti e di poveri: oggi “gli esclusi non sono sfruttati, ma rifiuti, avanzi”. Da sinistra si accusa il Papa di essere fermo sulle questioni etiche: difende a spada tratta la vita, contro aborto e eutanasia: “Non è progressista pretendere di risolvere i problemi eliminando una vita umana”. Difende la famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, condanna la teoria gender, “sbaglio della mente umana” , e la dittatura del pensiero unico e le colonizzazioni ideologiche, anche nelle scuole, che rischiano di diventare campi di rieducazione. Mette in guardia su questi temi dall’assottigliamento del diritto all’obiezione di coscienza. Osserva il proliferare dei diritti individuali, “individualisti” dice, ma senza preoccuparci dei doveri, e mentre si parla di nuovi diritti – afferma – c’è chi soffre ancora la fame.

Le critiche interne

Sono cresciute anche le critiche all’interno della Chiesa. C’è chi addirittura dà dell’eretico al Papa, chi dice che rompe con la Tradizione secolare della Chiesa, chi si arrabbia perché “bastona” i vicini e accarezza i lontani, chi lo contrappone ai Papi precedenti. Eppure, Benedetto XVI aveva già invitato a riflettere sul discernimento per la Comunione ai divorziati risposati in certi casi particolari. Eppure, Giovanni Paolo II aveva già risposto a mons. Lefebvre, ormai 40 anni fa, spiegando il vero significato della Tradizione che “trae origine dagli Apostoli, progredisce nella Chiesa sotto l’assistenza dello Spirito Santo”. Infatti “la comprensione, tanto delle cose quanto delle parole trasmesse, cresce (…) con la riflessione e lo studio dei credenti”. Ma è “soprattutto contraddittoria” – affermava San Giovanni Paolo II – “una nozione di Tradizione che si oppone al Magistero universale della Chiesa, di cui è detentore il Vescovo di Roma e il Corpo dei Vescovi. Non si può rimanere fedeli alla Tradizione rompendo il legame ecclesiale con colui al quale Cristo stesso, nella persona dell’apostolo Pietro, ha affidato il ministero dell’unità nella sua Chiesa”.  “L’autodistruzione o il fuoco dei commilitoni – afferma Papa Francesco – è il pericolo più subdolo. E’ il male che colpisce dal di dentro; e, come dice Cristo, ogni regno diviso in se stesso va in rovina”. Il Papa cita spesso il diavolo: è Lui che cerca di distruggere la Chiesa. La sua “è una guerra sporca” e “noi ingenui stiamo al suo gioco”.

Cantieri aperti

Due azioni promosse con forza da Francesco sono ancora in cammino: la prima è la riforma della Curia, per la complessità di riorganizzare una istituzione secolare (“fare la riforme a Roma è come pulire la Sfinge d’Egitto con uno spazzolino da denti”, ha detto il Papa citando mons. De Mérode). Ma anche gli scandali, come Vatileaks2, non fermano Bergoglio. La seconda azione è la lotta agli abusi sessuali nella Chiesa. Dalla Pontificia Commissione per la tutela dei minori, creata da Francesco, si sono dimessi alcuni membri denunciando resistenze e ritardi. Il Papa ribadisce la “tolleranza zero” perché “non c’è posto nel ministero per coloro che abusano dei minori”. E va avanti.

Diplomazia della pace

Francesco promuove la cultura dell’incontro, in campo ecumenico, interreligioso, sul fronte sociale e politico e sul piano semplicemente umano.  Si muove verso l’unità, ma senza cancellare le differenze e le identità. Importante il suo ruolo nel disgelo tra Stati Uniti e Cuba, e nel processo di pace in Colombia e Centrafrica. Attacca chi fabbrica e vende le armi. Nello stesso tempo denuncia con forza le persecuzioni dei cristiani, forse oggi più gravi di ieri, nel “silenzio complice di tante potenze” che possono fermarle. Lancia appelli contro la tratta degli esseri umani, “nuova forma di schiavitù”.

Tempo della misericordia, ma fino a un certo punto

E’ indubbio che la parola centrale di questo Pontificato sia “misericordia”: è il senso dell’Incarnazione del Verbo. E’ una parola che scandalizza. Francesco se ne rende conto. Dio è eccessivo nell’amore per le sue creature. Eppure c’è un limite: la corruzione. Il corrotto è chi non sa di esserlo, chi rifiuta la misericordia divina. E Dio non s’impone. C’è un giudizio finale. Per questo il Papa propone sempre il capitolo 25 del Vangelo di Matteo: “Io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare …”. Alla sera della vita saremo giudicati sull’amore.

Meno clericalismo nella Chiesa, più spazio a laici, donne e giovani

Francesco contrasta il clericalismo, perché il pastore deve “servire” e avere “l’odore delle pecore”. Afferma che i laici devono scoprire sempre di più la loro identità nella Chiesa: non devono rimanere al margine delle decisioni. Basta con i “vescovi pilota”. Rilancia il ruolo della donna, ma guardando al suo mistero, non alla sua funzionalità: non si tratta di una lotta per il potere o di rivendicazioni impossibili, come il sacerdozio.  Si tratta di riflettere sull’ermeneutica della donna perché – ribadisce – Maria è più importante degli Apostoli. Invita i giovani ad avere un maggiore protagonismo e a scomodare i pastori con la loro creatività.

Evangelizzatori con Spirito

Il Papa chiede a tutti i cristiani di essere “evangelizzatori con Spirito” per “annunciare la novità del Vangelo con audacia, a voce alta e in ogni tempo e luogo, anche controcorrente”, toccando “la carne sofferente degli altri”, dando “ragione della nostra speranza, ma non come nemici che puntano il dito e condannano”. “Se riesco ad aiutare una sola persona a vivere meglio – afferma Francesco – questo è già sufficiente a giustificare il dono della mia vita”.

vatican news

Il mito. Addio Maggiolino, Volkswagen non lo farà più

Addio Maggiolino, Volkswagen non lo farà più

Volkswagen avrebbe in programma di cessare la produzione del Nuovo Maggiolino, attualmente fabbricato nell’impianto di Puebla in Messico, per dedicare risorse e impianti al nuovo ID Buzz, cioè il minibus elettrico egualmente ispirato al passato (il Type 2 Transporter) che dal 2021-22 andrà ad arricchire la gamma dei modelli elettrici del marchio tedesco. Lo ha detto, a margine del Salone di Ginevra, Frank Welsch membro del board di Volkswagen con responsabilità per ricerca e sviluppo.

Il modernissimo ID Buzz elettrico in arrivo nel 2021

Il modernissimo ID Buzz elettrico in arrivo nel 2021

Secondo quanto riporta il magazine britannico Autocar, Welsch ha affermato, riferendosi ai modelli del Maggiolino presentati nel 1997 e nel 2011 che «due o tre generazioni sono sufficienti» ed ha anche aggiunto che questo modello «era stato fatto pensando al passato ma che non è più possibile fare un… Nuovo Nuovo Nuovo Maggiolino”. Ironia a parte è evidente, da un punto di vista strettamente commerciale, che negli anni è cessato il ruolo che il glorioso Beetle ha avuto non solo nella motorizzazione del Messico ma anche nell’ambito delle repliche dei modelli storici, una destinazione che – secondo Autocar – sarà appannaggio proprio del Type 2 che rivivrà nell’ID Buzz.

L'ultima generazione del Maggiolino, qui in versione cabrio

L’ultima generazione del Maggiolino, qui in versione cabrio

La Volkswagen Type 1, meglio conosciuta in Italia come Maggiolino se in versione Type 1/113 M15, o Maggiolone se in versione Type 1/1302 e 1303 (e chiamata Käfer in tedesco, Coccinelle in Francia, Escarabajo in Spagna, Beetle o Bug in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, Fusca in Brasile e Vocho in Messico), è stata una mitica automobile compatta prodotta dalla Volkswagen dal 1938 al 2003. Il Maggiolino è sicuramente tutt’ora l’automobile tedesca più conosciuta al mondo, simbolo della rinascita industriale tedesca nel secondo dopoguerra, nonché il primo modello Volkswagen in assoluto. Detiene attualmente il record di auto più longeva del mondo, essendo stata prodotta ininterrottamente per sessantacinque anni. Inoltre, ha detenuto a lungo il primato di auto più venduta al mondo, con 21.529.464 esemplari, e attualmente è la quarta auto al mondo per numero di esemplari prodotti, dopo Toyota Corolla, Ford F-150 e Volkswagen Golf.

da Avvenire

Salone di Ginevra. Auto da 20 milioni, l’esclusività diventa un affare

La Pagani Zonda HP Barchetta: realizzata in 3 esemplari, costa 20 milioni di euro

La Pagani Zonda HP Barchetta: realizzata in 3 esemplari, costa 20 milioni di euro

In serie limitata, spesso artigianali e dal prezzo proibitivo: tra le protagoniste all’88° Salone di Ginevra, aperto al pubblico sino al 18 marzo, ci sono anche molte auto esclusive, il cui numero quest’anno è aumentato di molto rispetto alle passate edizioni. Il fenomeno non è più limitato alle supercar sportive ma interessa anche berline, granturismo e Suv. Il lungo elenco delle vetture da sogno, prodotte in numeri limitati, in passerella sul Lago Lemano non può che partire dall’italiana Pagani Zonda HP, in premiere continentale. Si tratta di una“Barchetta” dal prezzo stratosferico (si parla di circa 20 milioni di euro), ispirata al primo modello della Casa di San Cesario sul Panaro, la Zonda. È stata realizzata in soli tre esemplari ma da comprare ne rimangono solo due, perché uno, il primo, è già stato “prenotato” dal patron dell’azienda, Horacio Pagani, che se l’è anche disegnata.

Qualche unità in più è prevista per la coupé a quattro posti Sciàdipersia, prodotta dall’atelier italiano Touring Superleggera per celebrare i suoi sessant’anni di attività. Costruita in dieci esemplari, è basata sulla meccanica della Maserati Granturismo: ne riprende il V8 da 460 Cv. Sfoggia un vestito che abbina elementi in fibra di carbonio a pannelli in alluminio battuti a mano. Il prezzo in euro è top secret, si sa solo che ha almeno sei zeri. Le realizzazioni “sartoriali” nel campo dei motori richiedono spese commensurate all’esclusività. Del resto chi per distinguersi non si accontenta di una semplice supercar o di una macchina di lusso, è disposto a spendere parecchio per togliersi lo sfizio di guidare una vettura rara. Non di rado, poi, si tratta di un vero investimento visti gli interessi di tipo collezionistico che un modello del genere può suscitare.

Tornando a Pagani il 2017 è stato un anno da record per l’azienda di San Cesario sul Panaro. In una nota, il Costruttore emiliano ha reso noto che il suo fatturato è cresciuto del 29% rispetto al 2016. “Le 100 vetture previste per la produzione limitata della Huayra Roadster sono già tutte vendute – ha sottolineato nel comunicatoHoracio Pagani, patron e capo design della casa automobilistica -. I nostri artigiani stanno creando ognuno di questi esemplari. Prevediamo che il 2018 sarà l’anno più impegnativo ma anche più gratificante per noi, grazie alle consegne di 40 nuove vetture ai loro rispettivi proprietari”. Un numero reso possibile dalla recente inaugurazione del nuovo impianto produttivo, dove le macchine vengono comunque costruite a mano. Si tratta di un quantitativo limitato che accentua l’esclusività di queste supercar e che pare destinato a rimanere invariato anche in futuro. “Non abbiamo piani di espansione della nostra capacità produttiva oltre le 40 vetture l’anno – ha chiarito in proposito Pagani -. Ci stiamo invece impegnando per offrire sempre più servizi”. La nota sottolinea, inoltre, come negli ultimi quattro anni l’incremento degli investimenti in Ricerca e Sviluppo dell’azienda sia aumentato dell’86%.

da Avvenire

Pyeongchang. Al via le Paralimpiadi invernali

La cerimonia inaugurale delle Paralimpiadi invernali (foto Lapresse)

La cerimonia inaugurale delle Paralimpiadi invernali (foto Lapresse)

«Lo sport paralimpico è oggi più forte che mai: non solo cambia le vite degli atleti, ma cambia anche il mondo. Nei prossimi giorni farete vedere lo spettacolo più bello al mondo, le vostre opere saranno raccontate per anni». Queste le parole con le quali il presidente del Comitato paralimpico internazionale, Andrew Parsons, ha salutato gli atleti dei XII Giochi paralimpici invernali di Pyeongchang 2018. Venerdì la cerimonia di apertura è stato uno spettacolo di luci e di suoni: hanno sfilato sorridenti le centinaia di atleti presenti in rappresentanza di 49 nazioni: sono 570, numeri che fanno di quella sudcoreana l’edizione più grande di sempre per quanto riguarda le Paralimpiadi invernali. Ha sfilato anche l’Italia, dietro al portabandiera Planker, con i suoi 26 atleti, molti dei quali al debutto assoluto a una Paralimpiade: largo ai giovani, chiamati da oggi a riscattare il deludente risultato dell’edizione di Soci 2014. Squadra azzurra tutta al maschile: nella difficoltà generale del movimento invernale, hanno avuto la meglio le scelte tecniche, con nessuna atleta davvero competitiva.

E le Paralimpiadi si sono tinte subito di azzurro. Nella discesa libera di sci alpino Giacomo Bertagnolli e Fabrizio Casal hanno infatti ottenuto la medaglia di bronzo nella categoria visually impaired. I due sciatori trentini hanno chiuso al terzo posto dietro al grande favorito della gara, il canadese Macroux, oro, e lo slovacco Krako, argento. «Meglio di così non poteva andare – ha dichiarato Bertagnolli – sapevamo che potevamo fare bene ma non speravamo in un risultato così importante. Ora speriamo di migliorare questa medaglia, daremo il massimo». «Siamo stati fortunati -ha detto Casal- non sentivamo la pressione addosso, forse paradossalmente la sentiremo più adesso. Questa medaglia ci dà la carica per affrontare le altre gare che ci attendono».

da Avvenire

Architettura. «Ridiamo spazio al sacro»

La chiesa di Mogno (1986), la prima costruita da Mario Botta

La chiesa di Mogno (1986), la prima costruita da Mario Botta

I temi del ‘sacro’ – il silenzio, la meditazione e la preghiera –, pur nelle contraddizioni del vivere quotidiano, evidenziano con molta più incisività rispetto ad altri temi “profani” gli aspetti primigeni che permettono di rintracciare le ragioni d’essere del fatto architettonico. Penso alla luce e all’ombra, alla gravità e alla leggerezza, al muro e alla trasparenza, al percorso e alla soglia, al finito e all’infinito, alla forza dell’opera costruita, al suo essere parte attiva di uno scenario di vita che il cittadino incontra ogni giorno. Ma la riscoperta dei valori originari del costruire, semplici ed essenziali, richiede una costante rilettura critica. Per troppi anni l’architettura è stata usata come strumento sfacciatamente perverso a servizio del mercato e dei consumi indotti dalla globalizzazione. Ora, per l’architetto, le costrizioni operative della professione rischiano di annientare ogni spazio creativo dentro un’attualità scialba e soffocante, incapace di reagire all’appiattimento dei valori, contrabbandato dalla società dei consumi come fosse una conquista.

Credo che per esercitare questa nostra attività (il costruire) sia necessario trovare nuove forme di pensiero e di azione ripartendo dai principi del mestiere, nella certezza che anche le forme espressive del contemporaneo possano elaborare prospettive capaci di interpretare le spinte innovative, come è avvenuto nel grande passato. Costruire luoghi di culto, in una società secolarizzata e connotata dall’esasperato individualismo della civiltà dei consumi, può oggi apparire un intendimento azzardato, antistorico, aneddotico o comunque mar- ginale rispetto alle spinte egemoniche di mercato e finanza che spadroneggiano nel controllo degli stili di vita. È la nostra generazione che nel breve scorrere di pochi decenni sembra aver smarrito gli ideali e i valori che avevano motivato la “ricerca paziente” degli architetti nostri maestri. Penso a Rudolph Schwarz e allo straordinario sodalizio avuto con Romano Guardini, penso a Le Corbusier, a Niemeyer, a Aalto, a Michelucci, a Saarinen, a Tange, a Utzon, a Kahn, solo per ricordare gli architetti più affascinanti che hanno operato in seno alla cultura moderna. Architetti che hanno saputo interpretare le attese del proprio tempo e fare dei luoghi di culto modelli significativi per l’organizzazione dello spazio di vita. Oggi appare evidente come, accanto alle conquiste tecniche e scientifiche indotte dalla globalizzazione, si stia diffondendo una omologazione di valori e comportamenti, un livellamento dell’organizzazione del-l’habitat, delle città e del territorio. In queste condizioni anche la centralità che i luoghi di culto occupavano dentro i tessuti connettivi dell’abitare sta progressivamente scomparendo, facendo sì che vengano tutt’al più interpretati come memorie o come servizi, al pari di altre componenti della città. Al di là delle risposte alle esigenze liturgiche resta, per l’architetto, la responsabilità di una sintesi progettuale tale da far sì che un edificio di culto costituisca anche un luogo di identità e di immagine, capace di comunicare la memoria di un passato che chiede di essere interpretato con la sensibilità e la cultura del nostro tempo.

Per la costruzione di un’opera d’architettura il primo atto risiede nel tracciarne il perimetro, nel distinguere e separare l’interno dall’esterno: un atto “sacro” che isola una nuova realtà architettonica autonoma rispetto al “macrocosmo” infinito che la circonda. Inoltre, questo gesto relaziona inscindibilmente una porzione di territorio scelto dall’uomo alla terra-madre, alla geografia, alla cultura e alla storia di quel sito. Un gesto – quello di definire un perimetro – che trasforma una condizione di natura in una condizione di cultura. Lo spirito dell’uomo ritaglia e modella una nuova realtà con un processo razionale, compiuto alla ricerca di nuove realtà per le proprie esigenze e, nel contempo, traccia nuovi equilibri con il suo ambiente. Costruire è un’attività dettata da una volontà, un modo con il quale l’uomo si confronta con lo scorrere senza fine del tempo. La creazione di nuovi rapporti spaziali fra il manufatto e l’intorno resta il vero obiettivo dell’atto creativo. Testimone simbolo di questa trasformazione, oltre al tracciato perimetrale, è l’elemento emblematico della soglia: segno di transito, di passaggio, di distinzione fra due realtà, luogo di articolazione fra il dentro e il fuori.

Nello spazio dei luoghi di culto la realtà dell’interno modella una nuova immagine, una condizione “finita” per le attività di silenzio, di contemplazione, di trascendenza e di mistero. È con la definizione di uno spazio architettonico finito che al fruitore viene dato di vivere una condizione di infinito. In taluni momenti particolarmente felici l’architettura può sottolineare una condizione di attesa, di trascendenza, dove passato e presente convergono verso memorie ancestrali. A tal proposito, Le Corbusier parla di uno spazio di confronto con l’infinito, con lo «spazio indicibile»… dove per l’uomo «è ora di lasciare riaffiorare un’intuizione memore di esperienze acquisite, assimilate, forse dimenticate e riemerse in forma incosciente. Lo spazio è dentro di noi, l’opera può evocarlo ed esso può rivelarsi a coloro che lo meritano, a chi entra in sintonia con il mondo creato dell’opera, un vero altro mondo. Si spalanca allora un’immensa profondità che cancella i muri, scaccia le presenze contingenti, compie il miracolo dello spazio indicibile».

da Avvenire