Scuola Cometa: l’accoglienza oltre le «difficoltà»

Il modello educativo della Oliver Twist è stato inserito tra le dieci migliori pratiche didattiche dell’Unione Europea. A 6 mesi dal diploma, oltre il 70% degli studenti ha trovato un lavoro stabile

La scuola che non sembra una scuola, tanto è diversa dagli standard comunemente diffusi e conosciuti in Italia, coniuga la bellezza degli spazi al rigore dello studio, l’accoglienza degli studenti alla dedizione e passione degli insegnanti. Varcando il cancello della Oliver Twist di Como, centro di formazione indirizzato soprattutto all’istruzione professionale ma che ospita anche il primo e, al momento, unico, liceo scientifico artigianale d’Italia – si viene catapultati in un mondo dove la parola “accoglienza” è pratica quotidiana e fonte di continua ispirazione per chi ci vive e lavora.

Nata trentadue anni fa dall’esperienza di affido familiare dei fratelli Erasmo e Innocente Figini, l’associazione Cometa ha dato vita, all’inizio degli anni 2000, alla scuola di formazione Oliver Twist che, nel breve volgere di un decennio, ha visto crescere in maniera esponenziale sia gli iscritti che la tipologia dei corsi. Oggi, il centro di formazione professionale comasco conta 360 alunni circa, suddivisi nei corsi tessile, servizi alle imprese, vendite, ristorazione e legno. Oltre il 30% degli allievi ha bisogni educativi speciali e necessita di percorsi personalizzati. A sei mesi dal diploma, il 70% degli studenti (con punte dell’80% nel per- corso sala-bar) svolge un’attività lavorativa. Nel 2016, l’European training foundation, agenzia della Commissione Europea, ha riconosciuto il modello scuola-impresa di Cometa tra le dieci migliori realtà a livello continentale.

Per studiare i caratteri distintivi di questo modello di scuola e, soprattutto, valutare la sua trasferibilità in altri contesti sociali e territoriali, la Fondazione Agnelli ha promosso il rapporto “L’approccio educativo di Cometa”, realizzato dalla ricercatrice dell’Università Milano Bicocca, Gaia Banzi, sotto la supervisione della professoressa Susanna Mantovani, un’autorità nel campo della pedagogia. Il rapporto è stato presentato ieri, nel corso di una partecipata mattinata di lavoro nella sede di via Madruzza. «L’istruzione professionale – ha ricordato in apertura il direttore della Fondazione Agnelli, Andrea Gavosto – è uno dei punti deboli del sistema scolastico italiano. Per questo ci è parso interessante approfondire i tratti distintivi dell’esperienza di Cometa e della scuola Oliver Twist, così originali e diversi dallo standard abituale della scuola italiana. L’analisi dei fattori che ne spiegano il successo, può, infatti, ispirare tentativi di miglioramento dell’offerta formativa in altri territori e situazioni». Un passaggio niente affatto scontato né automatico, ha però messo in guardia la ricercatrice della Bicocca, Gaia Banzi, ricordando che l’originalità del progetto Cometa si fonda innanzitutto sul radicamento nel territorio e sull’ascolto attento dei bisogni che da esso vengono manifestati, oltre che sulla forte motivazione degli insegnanti.

Una condizione, anche questa, «non scontata», perché presuppone nel docente la «passione ad accompagnare lo studente al successo formativo ». A Cometa, ha insistito Gaia Banzi, «il maestro guida il lavoro, ma i protagonisti sono i ragazzi». Sono loro al centro delle preoccupazioni e delle attenzioni della comunità, fatta da insegnanti, imprenditori ed educatori, cui si deve il successo del modello Cometa. Un sistema, è stato più volte ricordato, che «offre molto ai propri studenti perché chiede molto ai propri docenti». Un modello accogliente ed esigente allo stesso tempo, che cerca di tirare fuori il meglio da ciascuno. Un argine, è stato sottolineato, a quelle vere e proprie emergenze nazionali che sono l’inclusione e la dispersione scolastica. «L’inclusione sociale e la produttività sono le sfide principali per l’Europa », ha ricordato Maria Vittoria Garlappi della European training foundation, esaltando questa «buona pratica italiana». Che ha colpito, positivamente, anche il rappresentante dell’Unesco, Shyamal Majumdar: «L’inclusione è un fattore trainante dell’innovazione e dell’eccellenza », ha ricordato, sollecitando Cometa a «continuare a costruire » sulla strada dell’educazione.

da Avvenire

Roma. Imbrattata la lapide della scorta di Moro

La scritta ingiuriosa sulla lapide di via Fani a Roma

Imbrattata nella notte la lapide commemorativa della strage di via Fani, sul luogo dove il 16 marzo 1978 vennero uccisi dalle Brigate Rosse i 4 uomini della scorta di Aldo Moro. Una scritta in vernice nera “A morte le guardie” con svastica e runa celtica ai lati è stata trovata stamattina alle 7.15 sulla base di cemento su cui solitamente è posizionata la targa commemorativa, ora momentaneamente rimossa per lavori di restauro in occasione del quarantennale dell’agguato in cui trovarono la morte il maresciallo dei carabinieri Oreste Leonardi e i poliziotti Giulio Rivera, Francesco Zizzi e Raffaele Iozzino. Sul posto è accorsa la polizia che indaga sulla vicenda.

Il Comune di Roma ha già provveduto a ripulire le scritte e la svastica. “Grazie all’intervento della Polizia Locale di Roma Capitale con una squadra dell’Ama, la struttura portante della lapide commemorativa della strage di via Fani, è già stata ripulita con un gel sverniciatore e con l’ausilio di idropulitrice”, si legge in un comunicato del Campidoglio.

Sulla vicenda la procura di Roma ha avviato una indagine in base anche alla prima informativa svolta dagli uomini della Digos. L’identificazione degli autori della scritta sarà resa più difficile in quanto nella zona della lapide non sono presenti telecamere di videosorveglianza. Per bocca del loro legale, l’avvocato Valter Biscotti, i familiari dei caduti annunciano comunque che si costituiranno parte civile nel procedimento a carico di chi ha “apposto quelle scritte vergognose sulla lapide”.

da Avvenire

Salute mentale, al via progetto della Cei contro cultura dello scarto

Contrastare la cultura della segregazione e promuovere quella dell’accoglienza. E’ questo l’obiettivo del progetto accolti.it promosso dalla Conferenza episcopale italiana.

Promuovere una migliore conoscenza nei campi della salute mentale, del disagio psichico e psichiatrico. Valorizzare lo specifico contributo, in questi ambiti, del mondo cattolico. Incentivare un sempre più efficace scambio di buone pratiche. Sono alcuni dei temi affrontati oggi a Roma durante il convegno intitolato: “Tra segregazione e accoglienza: accolti.it. Per un progetto nazionale per l’accoglienza della disabilità psichica”.

da Radio Vaticana

Ricerca sulle cellule umane: nuovi interrogativi etici e scientifici

Alcuni ricercatori americani hanno prodotto in California un embrione di pecora ibrido che porta in sé cellule staminali e predifferenziate umane allo scopo di produrre, nel corpo dell’animale, tessuti e organi potenzialmente destinabili a trapianti umani. “Sono studi – afferma il genetista clinico don Roberto Colombo, docente della Facoltà di Medicina dell’Università Cattolica di Roma e membro ordinario della Pontificia Accademia per la Vita – che suscitano perplessità scientifiche e gravi interrogativi sulla loro liceità morale, perché le cellule staminali umane inserite nell’embrione di pecora potrebbero derivare da embrioni umani generati e appositamente distrutti”. Diverso è il caso delle ricerche condotte in Scozia sulla coltura e maturazione in vitro di ovociti prelevabili da donne affette da tumore e sottoposte a chemioterapia o radioterapia. “L’intento di preservare la fertilità dopo la terapia è positivo, ma la destinazione di cellule uovo alla fecondazione artificiale o, eventualmente, anche alla clonazione umana non risulta accettabile nella prospettiva di una procreazione attraverso l’atto personale dell’amore tra uomo e donna e del rispetto della dignità del concepito” afferma don Roberto Colombo

da Radio Vaticana

Giornata di preghiera: l’impegno della Chiesa in Congo e Sud Sudan

Vescovi, sacerdoti e missionari impegnati nei difficili processi di pacificazione dei due Paesi africani. Sud Sudan e Repubblica Democratica del Congo sono dilaniati dalle lotte interne per il potere politico che provocano massacri e carestie.

Marco Guerra – Città del vaticano

Continuano ad arrivare da tutto il mondo le adesioni alla Giornata di preghiera per il Congo e il Sud Sudan che si celebra venerdì 23 febbraio. L’iniziativa rivolta a tutti i fedeli, è stata indetta da Papa Francesco durante l’Angelus di domenica 4 febbraio, proponendola anche ai cristiani delle altre Chiese e ai seguaci delle altre religioni. “Il nostro Padre celeste – ha detto il Pontefice in quell’occasione – ascolta sempre i suoi figli che gridano a Lui nel dolore e nell’angoscia, risana i cuori affranti e fascia le loro ferite”.

Congo e Sud Sudan segnati da crisi politiche

Le ferite inferte alla popolazione dei due Paesi africani sono quelle delle instabilità politiche e delle tensioni interetniche, spesso sfociate in atti di vera e propria guerra civile.
In Congo le violenze sono causate dai continui posticipi delle elezioni presidenziali. Il Presidente Joseph Kabila è ancora al potere sebbene il suo mandato sia scaduto nel 2016. A chiedere il ritorno alle urne è il comitato di coordinamento dei laici e in questo contesto, la Conferenza Episcopale congolese si è fatta promotrice di un lungo processo di dialogo tra tutte le forze politiche per porre fine all’impasse politica. Il risultato di tale iniziativa è conosciuto come l’”Accordo di San Silvestro”, firmato il 31 dicembre 2016 e poi disconosciuto dallo stesso Kabila.

La repressione delle Chiesa congolese

Il mancato rispetto degli accordi ha scatenato, a partire dal novembre 2017, un’ondata di proteste in tutte le principali città del Paese, duramente represse dalla polizia congolese. Durante una giornata di protesta il 30 novembre, sono state arrestate più di 200 persone tra Kinshasa e Goma, un manifestante è rimasto ucciso e diverse decine feriti. Il bilancio dell’ultima manifestazione del 21 gennaio, la “Marcia Pacifica dei Cristiani”, per chiedere il rispetto dell’applicazione degli accordi di San Silvestro e le dimissioni di Kabila è di 5 morti, un centinaio di arresti, 134 parrocchie accerchiate dalla polizia o dall’esercito di cui una decina con lancio di lacrimogeni, celebrazioni di Messe impedite o interrotte dalla polizia. Alla grave situazione politica si aggiungono gli annosi conflitti nel Kasai e nelle regioni orientali nella Repubblica Democratica del Congo, dove vi è una delle crisi umanitarie più complesse del mondo.

Mons. Utembi Tapa: il Papa è vicino al Popolo

La preghiera chiesta dal Papa funge dunque anche come un raggio di luce che mette a fuoco le necessità di queste terre. Apprezzamento è stato espresso dal clero locale, come conferma a Vaticanews mons. Marcel Utembi Tapa, arcivescovo di Kisangani e presidente della Conferenza episcopale nazionale della Repubblica Democratica del Congo:

“Sappiamo che il Papa, come lo conosciamo, è molto sensibile e molto vicino a tutto il popolo di Dio, ovunque si trovi. Egli sa bene quello che succede nella Repubblica democratica del Congo: sa delle ondate di guerra, dei conflitti armati; sa quello che è successo e succede ancora nell’Est; quello che è successo nel Grand Kasai; quello che succede in altri luoghi del nostro Paese; sa dell’ondata di violenza che colpisce il Sud Sudan … Il Papa ne è informato e vuole essere vicino a tutti questi popoli e attirare l’attenzione della comunità nazionale e internazionale, vuole sensibilizzarla. Di fronte a questa miseria il Papa ci invita a invocare la misericordia di Dio: attraverso questa preghiera, il Papa ci invita a convertirci, chiede la conversione dei cuori: è un messaggio rivolto a tutti, ma in particolare a tutti coloro che sono implicati in un modo o nell’altro nella gestione e nell’accompagnamento di questo Paese, nella ricerca di strade pacifiche per uscire dalla crisi”.

Sud Sudan: 7 milioni in emergenza umanitaria

La situazione non va meglio in Sud Sudan. Il Paese è indipendente solo dal 2011 e nel dicembre del 2013 i contrasti politici sono precipitati in un conflitto, dopo che il Presidente Salva Kiir, di etnia dinka, ha accusato il suo vicepresidente Riech Machar, di etnia nuer, di aver organizzato un colpo di Stato alle sue spalle.
La combinazione di instabilità, guerra, siccità e una grave crisi economica, ha provocato una disperata mancanza di cibo, violenze diffuse e un massiccio esodo della popolazione tant’è che a febbraio 2017 è stato dichiarato lo stato più grave di “carestia” in diverse zone del Paese.
Le agenzie delle Nazioni Unite stimano che più di 7 milioni di persone (degli oltre 12 milioni di abitanti totali del Paese) necessitano urgentemente di assistenza umanitaria. L’Alto Commissariato delle Nazione Unite per i Rifugiati (UNHCR) ha inoltre reso noto che dall’inizio del conflitto un sud sudanese su tre, ha cercato protezione sia all’estero sia entro i confini nazionali, il 90% sono donne e bambini.

Padre Chemello: governo responsabile del conflitto

Vescovi cattolici hanno alzato la voce, denunciando gli abusi sulla popolazione. In una lettera pastorale hanno definito “crimine di guerra” ogni tipo di violenza, omicidio, tortura e stupro di civili. Per un ulteriore sguardo sulle condizioni politiche e sociali del giovane Paese africano abbiamo raccolto la testimonianza del missionario comboniano Padre Francesco Chemello, appena tornato dal Sud Sudan, dove è stato Superiore della comunità di Leer per circa 11 anni:

R. – Storicamente parlando, i due gruppi principali, quello Dinka e quello Nuer, sono sempre stati l’uno contro l’altro. Però il vero discorso non è tanto Dinka e Nuher ma è tutta una questione generale fra il gruppo governante e tutti gli altri, perché sfortunatamente anche gli equatoriani sono stati esclusi, non hanno voce in capitolo. Quindi, io direi che il discorso deve essere allargato più sul fatto di come governare e di chi detiene il potere.

Quali ostacoli incontra il processo di pace?

R. – Certamente il presente governo non è legale, perché avrebbe dovuto essere già concluso, avrebbero dovuto già tenersi nuove elezioni, ma è stato proprio tutto questo che ha portato alle conseguenze che vediamo ora. L’attuale presidente non ha mai voluto mettere in questione la sua autorità. Le elezioni consistevano anche nell’avere una costituzione e fare elezioni eque, ma questo naturalmente è stato tutto buttato sottosopra perché la situazione non lo permette.

Lei è appena tornato dal Sud Sudan, la cronaca parla di atrocità, episodi di violenza ed emergenza umanitaria… Che cosa ha visto durante la sua esperienza?

R. – Io mi trovavo a lavorare tra i Nuer. I massacri più forti sono avvenuti tra i Nuer. Dopo ci sono state delle vendette e ritorsioni contro altre persone che erano della tribù opposta, quindi la violenza ha chiamato violenza. Ma le violenze ci sono state anche in Equatoria, per cui tutti gli sfollati che ci sono adesso in Uganda e Kenya, sono dovuti al cattivo comportamento dell’esercito, che è governativo, nei confronti delle altre tribù. Praticamente tutte le tribù. Anzi, anche tra i Dinka stessi i problemi ci sono, la questione è complicata, non è solo una questione Dinka-Nuer.

Cosa sta facendo la Chiesa per la pacificazione di questa terra? I vescovi cattolici hanno ribadito il sostegno al piano per la pace del Consiglio delle Chiese del Sud Sudan…

R. – Sì, credo che questo sia uno sforzo molto forte, di tutte le Chiese, non solo di quella cattolica. Ma è logico che si trova in forte difficoltà perché è logico che se le parti interessate non ascoltano, il discorso va a vuoto… C’è chi ha una reale responsabilità e dovrebbe essere chiamato a rispondere.

Si sono registrate anche violenze e persecuzioni contro la Chiesa cattolica in Sud Sudan?

R. – Chi parla chiaro, naturalmente, cade sotto il controllo della Security. Quindi se uno parla o sparisce o deve trovare il modo di non farsi notare troppo.

Papa Francesco ha espresso più volte il desiderio di venire in Sud Sudan e poi ha indetto questa giornata di preghiera per il 23 febbraio. La Chiesa locale come ha accolto questa attenzione del Santo Padre verso questa terra?

R. – Penso che la preghiera che Papa Francesco ha indetto sia stata molto importante perché ha unito il mondo intero e anche le varie Chiese. Ma penso che sia importante perché se non mettiamo la nostra fiducia in Colui che guida la storia, credo che sia molto difficile trovare un’altra via. Dunque è veramente importante, a livello di fede, che questo sia portato avanti, perché i miracoli possono sempre capitare, però ci vuole la volontà concreta di risolvere la situazione, confidando che andando avanti con fede e fiducia qualche via si possa aprire, qualche spiraglio nuovo si possa aprire, e che il Signore apra anche i cuori all’accoglienza della pace.

da Radio Vaticana