Convegno missionario diocesano sulla Cina

Domenica 25 febbraio alle 15.30 a Reggio, al polo «La Polveriera», con padre Gianni Criveller

Domenica 25 febbraio, alle ore 15.30, presso il polo de La Polveriera – in via Terrachini 18 – a Reggio Emilia si svolgerà il convegno missionario diocesano su: “Cina, così viCina… Sfide per un cammino comune”. Un appuntamento per approfondire la cultura e la fede del popolo cinese, per capire quale approccio con la comunità residente nella nostra provincia (6.000 cinesi), favorendo un cammino comune. Sarà relatore centrale padre Gianni Criveller (foto), missionario del PIME, autore di diversi libri e collaboratore dell’Holy Spirit Centre della diocesi di Hong Kong, uno dei migliori osservatori al mondo sul cristianesimo in Cina.

Assieme a padre Franco Mella, il missionario ha tradotto in cinese alcuni testi di don Lorenzo Milani e don Primo Mazzolari, quale “seme per coltivare diritti e senso critico nella Chiesa e nel popolo asiatico”, proponendo il dialogo con tutti per costruire insieme una società più giusta. E continua con scelte coraggiose il processo di avvicinamento tra Pechino e Roma, al fine di riaprire un dialogo e aiutare la comunità cattolica che in Cina si dibatte fra molteplici difficoltà.

Tra storia e attualità, padre Criveller ci aiuterà ad entrare in punta di piedi nel mondo cinese, a partire dalla figura del missionario gesuita Matteo Ricci, che oltre ad essere evangelizzatore divenne ponte tra la civiltà cinese e quella occidentale, nel segno dell’amicizia e dell’empatia con la cultura e il popolo incontrati.
Al convegno, organizzato dal Centro Missionario e dall’Ufficio Migrantes, interverranno anche don Pietro Sun, cappellano della comunità cinese a Reggio Emilia, Maria Chiara Sagario, della Piccola Famiglia dell’Assunta, che segue le attività di Casa Italia-Cina (a Rimini), e Alina Mussini, mediatrice culturale che opera a Reggio Emilia.
A caratterizzare l’incontro saranno anche un momento artistico cinese, a cura di Giovanna Jiang, e la testimonianza di Leo Zhang, maestro di quartiere a Ospizio.

laliberta.info

Da Stephen King a Carrère, la letteratura che parla di Dio

Da Stephen King a Carrère, la letteratura che parla di Dio

«Bisogna leggere la letteratura, mettersi in sintonia, cambiare registro. Bisogna arrivare a chiedersi quale è il contributo che unicamente la letteratura può esprimere, cercare ciò che nessuna teologia concettuale saprebbe formulare e che invece la letteratura esprime, a modo suo, con potenza»: così si poteva leggere in un editoriale diConcilium nel lontano 1976, in un numero completamente dedicato al confronto fra teologia e letteratura. Autori ne erano il teologo cattolico, nonché critico letterario, francese Jean-Pierre Jossua e il teologo protestante tedesco Johann Baptist Metz. Ora la rivista edita da Queriniana torna ad affrontare la questione spaziando su tutti i mondi letterari, dall’America del Nord a quella del Sud, dall’Africa all’Asia. Come giustamente rilevavaMilan Kundera nell’Arte del romanzo , questa forma particolare di espressione sorta in Europa con la modernità ha saputo interpretare e scandagliare probabilmente meglio della filosofia il mistero dell’uomo. Mistero che resta affascinante anche se spesso insondabile, e che viene continuamente indagato anche dopo il verdetto del filosofo Adorno secondo il quale era impossibile fare poesia dopo Auschwitz.

Come hanno scritto due acuti indagatori del rapporto fra sacro e letteratura quali Ferdinando Castelli e Luigi Pozzoli, poeti e scrittori del Novecento hanno il merito di aver liberato Cristo dal museo dei grandi personaggi del passato, anche quando hanno assunto nei suoi confronti un atteggiamento di opposizione. «Al posto di quel Dio impassibile e un po’ sordo, inesorabilmente perduto con l’avanzare impetuoso del mondo moderno, ha iniziato a far capolino nella letteratura novecentesca in modo sempre più tangibile un Dio disceso sulla terra, umiliato accanto agli umiliati, capace di rispondere al grido di dolore che si alza da un’umanità sempre più sfigurata e abbandonata»: così ha commentato Enzo Bianchi la parabola degli autori del secolo scorso, rilevando come «dai romanzi di Bernanos alle poesie di Ungaretti, è l’immagine di un Dio che si dà pena per l’uomo, che soffre, lotta, geme accanto alle lacerazioni di ogni vivente, a emergere progressivamente come immagine autentica (e profondamente evangelica) del divino a cui l’angosciata disperazione dell’umanità si rivolge».

Lo sottolinea anche Jean-Baptiste Sèbe nel suo saggio su Concilium, incentrato sul rapporto fra Cristo e gli scrittori moderni e contemporanei. Sèbe cita Saramago e Bobin per ricordare che, al di là delle molteplici e contraddittorie rappresentazioni, Gesù Cristo resta una pietra d’inciampo per lo scrittore: «Colui che non ha mai scritto nulla – a parte qualche segno tracciato sulla sabbia – continua a essere un oggetto di ispirazione inesauribile». Da parte sua la studiosa argentina Cecilia Avenatti de Palumbi rimarca come la teologia postconciliare ha potuto trovare nella letteratura un linguaggio rivitalizzatore. Giustamente vengono citati i nomi di Charles Moeller e di Adolphe Gesché (ma anche von Balthasar, Guardini, De Lubac) in questo sforzo che per un certo periodo è sembrato monodirezionale: i teologi che guardavano alla letteratura e non viceversa. Spentasi la grande stagione della letteratura cattolica francese del ’900, che ha avuto i suoi massimi rappresentanti in Mauriac, Bernanos e Julien Green, una stagione quasi ineguagliabile, avvicinata nel nostro Paese da Pomilio, Santucci, Chiusano e Parazzoli, non per questo però il processo di reciproca influenza si è interrotto. E forse non è un caso che proprio Oltralpe oggi si stia verificando un risveglio in questo senso: si pensi allo scrittore Eric-Emmanuel Schmitt o a Emmanuel Carrère con Il Regno.

Pensiamo perfino a un autore come Stephen King, che ha uno dei suoi punti di forza nelle manipolazioni di temi religiosi o comunque attinenti alla sfera del sacro, primo fra tutti la morte. Per non parlare di Philip Dick, che qualcuno ha definito il Kafka del XX secolo. O anche al Cormac McCarthy de La strada , un viaggio di un padre e di un figlio alla ricerca di una vita possibile sul filo della fine del mondo. Proprio a McCarthy rivolge l’attenzione ancora Sèbe: il bambino rappresenta il verbo, la parola, ciò che rende possibile l’umano in un mondo spietato. Se resta in vita il bambino, se riesce a conservare la parola, «allora vuol dire che Dio continua a parlare». Aggiunge Sèbe: «A distanza da qualsiasi confessione religiosa, The Road unisce i bagliori di una lingua salvata nella quale l’essenziale è detto e non può morire». Ma Concilium – unica rivista teologica italiana dopo la drammatica chiusura di Communio – per la penna della studiosa scozzese Heather Walton rilancia anche l’idea della «teologia attraverso il life writing ». Con la scrittura autobiografica, che comprende memorie, diari di viaggio, saggi personali e che ha il suo modello nei Vangeli (vedi ancora Carrère) e nelle Confessioni di Agostino, interi mondi si spalancano.

È l’esplosione della parola che si manifesta nei mistici e nelle mistiche, come ci ha rammentato Michel de Certeau, e per avvicinarci ai nostri tempi in figure come Simone Weil e Dorothy Day. Una scrittura “selvaggia” che apre spazi infiniti e che può di nuovo rianimare il pensiero teologico del XXI secolo, dando vita a quella che Parazzoli anni fa definì «teologia narrativa». Una scrittura teologica che finisce per approdare, secondo il poeta portoghese Josè Tolentino Mendonça – che quest’anno è stato chiamato da papa Francesco a predicare gli esercizi spirituali in Vaticano – a «una lettura infinita»: la possibilità per il lettore di interpretare, arricchendoli, i testi narrativi.

da Avvenire

Allarme. Oms: in Europa +400% di casi di morbillo nel 2017

Ansa

Ansa

Nel 2017 il morbillo ha ucciso 35 persone in Europa. L’epidemia ha colpito complessivamente 21.315 persone, il 400% in più rispetto al 2016. L’Italia è il secondo Paese più colpito con 5.006 casi registrati nell’ultimo anno, meglio solo di Romania con 5.562 persone colpite ma peggio di Ucraina con 4.767 casi. Sono questi infatti i primi tre Paesi europei con la maggiore incidenza di persone colpite, secondo i dati diffusi dall’ufficio europeo dell’Oms, l’Organizzazione mondiale della sanità.

Dei 53 paesi della regione europea dell’Oms, 15 – cioè 1 su 4 – hanno avuto epidemie con più di 100 casi. I primi tre sono stati Romania (5562), Italia (5006) e Ucraina (4767). Qui, a facilitare la diffusione del morbillo c’è stata la somma di più fattori secondo l’Oms: il calo complessivo del tasso di copertura vaccinale, più consistente nelle fasce di popolazione più emarginate, l’interruzioni nelle forniture vaccinali e sistemi di sorveglianza delle malattie che non hanno funzionato a pieno regime.

Gli altri paesi con vaste epidemie, anche se molti dei quali in calo, sono stati Grecia (967), Germania (927),Serbia (702), Tagikistan (649), Francia (520), Russia (408), Belgio (369), Regno Unito (282), Bulgaria (167), Spagna (152), Repubblica Ceca (146) e Svizzera (105).

“Più di 20mila casi e 35 vite perse per il morbillo sono una tragedia che semplicemente non possiamo accettare”, ha commentato
Zsuzsanna Jakab, direttore dell’Oms Europa.

Avvenire

A Monza nasce un villaggio a misura di malati di Alzheimer

A Monza nasce un villaggio a misura di malati di Alzheimer

Il paese perduto, per i malati di Alzheimer, è la passeggiata sotto casa, la partita a carte, un normale pomeriggio tra amici. Per oltre un milione di italiani tutto questo si annebbia giorno dopo giorno insieme ai volti più cari, che prima o poi diventano sconosciuti, anche se tanti anni prima li hai partoriti… ‘Il Paese ritrovato’, allora, è l’idea rivoluzionaria che mancava, un vero villaggio con una caratteristica che lo rende unico al mondo: tutti gli abitanti sono malati di Alzheimer. Costruito apposta per loro (la prima pietra fu posata un anno fa), unisce le tecnologie più sofisticate e una facciata di tradizione: la chiesetta al centro della piazza, le case che vi si affacciano, stradine e negozi, panchine e orti.

A due passi dalla Reggia di Monza, il ‘Paese ritrovato’ nasce per restituire alla persona ciò che la malattia le ha negato: una vita sociale, la possibilità di continuare a sentirsi utile e dare un senso al suo risveglio ogni mattina. «A rendere ingestibili i malati di demenza in una certa fase della patologia è l’alto stato di stress, a causa del quale diventano aggressivi, ed è allora che la famiglia non regge più», spiega Roberto Mauri, direttore della Cooperativa La Meridiana, che ha al suo attivo 40 anni di esperienza nei servizi all’anziano e ora si lancia nel progetto avveniristico. «Per questo motivo, persone che con una serie di accorgimenti potrebbero avere una vita del tutto soddisfacente vengono invece relegate nei nuclei Alzheimer delle Rsa, tra malati molto più gravi. Basterebbe invece abbassare il livello di stress del paziente per permettergli anni di vita accettabilissima per lui e per i suoi cari, nonché meno costosa per il sistema sanitario». Tanti gli studi nel mondo per capire come agire sullo stress, «e tra le innovazioni più efficaci abbiamo scelto l’esperienza olandese di ‘paese protetto’, unico esempio al mondo». Tra operai, elettricisti e imbianchini, oggi fervono i preparativi per il taglio del nastro, che avverrà sabato mattina alla presenza di centinaia di persone: in meno di un anno sono sorti i palazzetti variopinti e al centro del paese sono pronti ad entrare in funzione il bar, un minimarket, la palestra, il parrucchiere, la chiesa, persino il cine-teatro e la proloco, il tutto su un’area di oltre 14mila metri quadri e per un totale di 64 pazienti.

Ogni appartamento è di 420 metri quadri e comprende otto camere private, una zona pranzo comune e tre grandi zone giorno distinte: se la vera scommessa è abbassare lo stress, qui i ritmi li dettano i pazienti e la libertà è un piacere riconquistato. «La notte uno vuole alzarsi e fare colazione? Nessuno glielo impedisce», proprio le stranezze che a casa fanno impazzire i parenti, qui diventano lecite e creano relax. Ogni appartamento ha un operatore fisso più alcune figure jolly di supporto e la tecnologia fa il resto.

Ci sono minimarket, palestra, parrucchiere, chiesa, bar... Si tenta di ridare vita sociale e abbassare il livello di stress dei pazienti

Ci sono minimarket, palestra, parrucchiere, chiesa, bar… Si tenta di ridare vita sociale e abbassare il livello di stress dei pazienti

La chiesa che si trova all'interno nel villaggio creato per i malati di Alzheimer

La chiesa che si trova all’interno nel villaggio creato per i malati di Alzheimer

Se il paziente si alza, sotto il letto si accendono le luci di cortesia e una sorta di cammino luminoso lo guida in modo soft: un faretto illumina esclusivamente la porta del bagno e, una volta lì, un altro faretto illumina solo i servizi. Ma è in tutto il Paese ritrovato che gli accorgimenti tecnologici evitano ogni rischio, dai rilevatori che seguono passo passo gli spostamenti di ogni paziente nel villaggio e li comunicano allo smartphone del coordinatore, alla palestra con paesaggi virtuali che stimolano il movimento, alle luci e gli odori che cambiano di intensità nelle ore del giorno. «Nei negozi in realtà non si compra nulla – specifica il direttore –, sono anch’essi laboratori e fanno terapia».

Anche i due parrucchieri sono operatori socio sanitari, «esperti sia in taglio e piega, che nel rilassare per mezz’ora sotto il casco clienti tanto speciali». Persino la televisione ha un ruolo terapeutico, con una speciale telecamera che riconosce lo stato emotivo dello spettatore e, a seconda che debba essere stimolato o invece tranquillizzato, manda in onda contenuti precedentemente inseriti nel software dai familiari, ad esempio le foto dei nipotini o il suo concerto preferito. Tutte innovazioni guardate con interesse dal mondo della scienza, per il quale il ‘Paese ritrovato‘ è anche un importante luogo di sperimentazione. «Con noi hanno collaborato il Cnr, il Politecnico e tanti specialisti. Entreremo a regime in maggio, quando assumeremo 55 operatori e dalla lista d’attesa sceglieremo le 64 persone più adatte, che abbiano cioè ancora una capacità residuale di cognizione». Il vero miracolo di tutta questa storia, però, è che dei 9,5 milioni di euro necessari, 6,5 sono già arrivati e tutti da donazioni private. «Siamo andati da alcune delle famiglie più importanti del nostro territorio e tre di loro, i Fontana di Veduggio, i Fumagalli e i Rovati di Monza, hanno elargito i primi 4 milioni per partire».

Progetto appoggiato da Cnr e Politecnico «Garantire un’esistenza dignitosa è possibile». Tradizione e tecnologia si mischiano in un nuovo esperimento sociale. Il ruolo-chiave delle Fondazioni

Progetto appoggiato da Cnr e Politecnico «Garantire un’esistenza dignitosa è possibile». Tradizione e tecnologia si mischiano in un nuovo esperimento sociale. Il ruolo-chiave delle Fondazioni

Poi sono arrivate Fondazione Cariplo, Fondazione della Comunità Monza-Brianza, Assolombarda, tante associazioni «e, cosa commovente, un mare di cittadini. Come avveniva secoli fa per erigere gli antichi ospedali o per costruire il Duomo di Milano, la grande risposta è venuta dalla comunità». E per i restanti 3 milioni «la Provvidenza ci ha abituati a credere che in qualche modo arriveranno. Ci manca poco… certo non ci arrendiamo qui».

da Avvenire