Minori di mafia. Il sangue non è acqua, ma deve essere pulito

Buona eco mediatica ha avuto la Risoluzione, approvata l’altro ieri dal Csm, sulla tutela dei minori nell’ambito del contrasto alla criminalità organizzata. I commenti si sono spesso, e forse inevitabilmente, concentrati soprattutto sul profilo dell’«allontanamento dei figli dai boss mafiosi», lasciando sullo sfondo sia il nucleo della decisione, cioè appunto la tutela dei minori e del loro diritto ad adeguate tutele (inclusa l’opportunità di sperimentare «orizzonti, sociali, culturali, psicologici e relazionali diversi da quelli di provenienza, nella speranza di evitarne la strutturazione criminale e quindi, il più delle volte, il carcere o la morte»), sia la forte preoccupazione del Csm che giustizia e società non siano percepite come distanti, e che la risposta giudiziaria data dai Tribunali per i minorenni si coordini non soltanto con le altre istanze giurisdizionali e con il mondo dell’avvocatura, ma altresì con i servizi sociali, le agenzie educative, il volontariato.
In proposito, non è casuale che proprio dal rapporto virtuoso tra autorità giudiziaria e volontariato siano scaturite quelle buone prassi (a opera soprattutto dei Tribunali per i minorenni di Reggio Calabria, ma anche di Napoli e di Catania) che la Risoluzione consiliare sottopone, con proposte concrete, all’attenzione di Parlamento e Governo. È infatti convinzione unanime dell’organo di governo autonomo della magistratura che i provvedimenti di decadenza o di limitazione della potestà genitoriale, con conseguente affido del minore ai servizi sociali e con collocamento in comunità o in famiglie fuori dalla propria realtà territoriale, non soltanto siano assunti nei casi più gravi di indottrinamento malavitoso, ma che essi vadano compresi, anzitutto dai diretti destinatari, come un esempio dello Stato che ti aiuta e non come una seconda punizione che si aggiunge a quella prevista dal codice penale. Si tratta, cioè, di dare vita a provvedimenti che rispettino, nella forma e nella sostanza, i princìpi costituzionali e che siano coerenti con lo standard richiesto in materia dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.
La strada sembra bene tracciata. In ordine all’educazione dei figli, la nostra Costituzione infatti dà rilievo centrale alla responsabilità genitoriale, per cui, come ha scritto Mario Bessone, qualsiasi provvedimento di interruzione dei rapporti tra la prole e la famiglia del sangue rappresenta indiscutibilmente l’extrema ratio, attivabile (e qui la citazione è un lontano commento di Carlo Esposito) solo in presenza di una generale situazione soggettiva dei genitori che li dimostri inetti a educare. Ora, la famiglia mafiosa, agendo in spregio ai propri doveri di educazione e di salvaguardia del minore, finisce per essere – dice il Csm – una «famiglia maltrattante», nei cui confronti deve essere operata una vera e propria censura. Per dirla con una metafora: il sangue non è acqua, ma deve essere pulito.

avvenire

Gesù apprezza la fatica, ma rimprovera l’ipocrisia. Commento al Vangelo Domenica 5 Nov 2017

XXXI Domenica
Tempo Ordinario – Anno A

In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno. (…) Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dagli uomini: allargano i loro filatteri e allungano le frange; amano posti d’onore nei conviti, i primi seggi nelle sinagoghe e i saluti nelle piazze, come anche sentirsi chiamare “rabbì” dalla gente. Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate nessuno “padre” sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello del cielo. E non fatevi chiamare “maestri”, perché uno solo è il vostro Maestro, il Cristo. Il più grande tra voi sia vostro servo; chi invece si innalzerà sarà abbassato e chi si abbasserà sarà innalzato».

Il Vangelo di questa domenica brucia le labbra di tutti coloro “che dicono e non fanno”, magari credenti, ma non credibili. Esame duro quello della Parola di Dio, e che coinvolge tutti: infatti nessuno può dirsi esente dall’incoerenza tra il dire e il fare.
Che il Vangelo sia un progetto troppo esigente, perfino inarrivabile? Che si tratti di un’utopia, di inviti “impossibil”, come ad esempio: «Siate perfetti come il Padre» (Mt 5,48)?
Ma Gesù conosce bene quanto sono radicalmente deboli i suoi fratelli, sa la nostra fatica. E nel Vangelo vediamo che si è sempre mostrato premuroso verso la debolezza, come fa il vasaio che, se il vaso non è riuscito bene, non butta via l’argilla, ma la rimette sul tornio e la riplasma e la lavora di nuovo. Sempre premuroso come il pastore che si carica sulle spalle la pecora che si era perduta, per alleggerire la sua fatica e il ritorno sia facile. Sempre attento alle fragilità, come al pozzo di Sicar quando offre acqua viva alla samaritana dai molti amori e dalla grande sete.
Gesù non si scaglia mai contro la debolezza dei piccoli, ma contro l’ipocrisia dei pii e dei potenti, quelli che redigono leggi sempre più severe per gli altri, mentre loro non le toccano neppure con un dito. Anzi, più sono inflessibili e rigidi con gli altri, più si sentono fedeli e giusti: «Diffida dell’uomo rigido, è un traditore» (W. Shakespeare).
Gesù non rimprovera la fatica di chi non riesce a vivere in pienezza il sogno evangelico, ma l’ipocrisia di chi neppure si avvia verso l’ideale, di chi neppure comincia un cammino, e tuttavia vuole apparire giusto. Non siamo al mondo per essere immacolati, ma per essere incamminati; non per essere perfetti ma per iniziare percorsi.
Se l’ipocrisia è il primo peccato, il secondo è la vanità: «tutto fanno per essere ammirati dalla gente», vivono per l’immagine, recitano. E il terzo errore è l’amore del potere. A questo oppone la sua rivoluzione: «non chiamate nessuno “maestro” o “padre” sulla terra, perché uno solo è il Padre, quello del cielo, e voi siete tutti fratelli». Ed è già un primo scossone inferto alle nostre relazioni asimmetriche. Ma la rivoluzione di Gesù non si ferma qui, a un modello di uguaglianza sociale, prosegue con un secondo capovolgimento: il più grande tra voi sia vostro servo. Servo è la più sorprendente definizione che Gesù ha dato di se stesso: Io sono in mezzo a voi come colui che serve. Servire vuol dire vivere «a partire da me, ma non per me», secondo la bella espressione di Martin Buber. Ci sono nella vita tre verbi mortiferi, maledetti: avere, salire, comandare. Ad essi Gesù oppone tre verbi benedetti: dare, scendere, servire. Se fai così sei felice.
(Letture: Malachia 1,14b-2,2b.8-10; Salmo 130; 1 Tessalonicési 7b-9.13; Matteo 23,1-12)

da Avvenire

Manovra. Bonus bebè, pressing trasversale «Misura giusta, va ripristinata»

Nessuno nel Pd vuole parlare di un nuovo fronte tra Matteo Renzi e Paolo Gentiloni. Tanto meno sulle questioni della famiglia, priorità condivisa dal premier con il segretario dem. Ma il leader del Pd il suo bonus bebè lo ha rivendicato anche alla Conferenza di Napoli, e vederlo sparire nella manovra ha suscitato un sollevamento dei ‘cattodem’, che questa volta sono tutt’altro che isolati. Anche i renziani sono sul piede di guerra, perché la legge di Bilancio rimetta mano alle politiche familiari. E sulla stessa lunghezza d’onda ci sono Ap e pure forze di opposizione, come Fratelli d’Italia. Insomma, sul contrasto alla crisi demografica e alla solitudine delle famiglie qualcosa si dovrà muovere ora che la ex finanziaria approda al Senato.

Il Pd Stefano Lepri non ne ha parlato direttamente con Renzi, ma ha condiviso il discorso programmatico. Piuttosto ipotizza una svista a Palazzo Chigi, dove si sarebbe sentita «la mancanza di un ministro di riferimento, non essendo stato sostituito il ministro Costa». Lepri, con Di Giorgi, Cociancich, Collina, Cucca, Dalla Zuanna, Fasiolo, Fattorini, Favero, Lanzillotta, Marino, Moscardelli, Pagliari, Orru, Saggese, Santini e Scalia firmano una serie di emendamenti in materia, come l’innalzamento della soglia di reddito di ogni figlio per essere considerato a carico della fa- miglia, «per rendere la manovra di bilancio coerente con le indicazioni di Matteo Renzi, che ha individuato nel maggiore sostegno per i figli a carico una priorità assoluta».

E che la linea sia comune alle diverse anime dei democratici lo conferma il renziano Andrea Marcucci. «La richiesta, che parte da alcuni colleghi del Pd ed è sostenuta da Ap, di reintrodurre il bonus bebè, è giusta e condivisibile. Il bonus, introdotto dal governo Renzi nel 2015, in questi anni è stato uno strumento concreto di aiuto alla famiglia e alla natalità».

Non stupisce dunque «la sollevazione di queste ore per il taglio previsto nell’odierna legge di stabilità (vedo che persino la Lega protesta)», la quale, osserva Marcucci, «ci dice quanto la misura sia azzeccata e quanto sia poco opportuno da parte del governo eliminarla». Pieno sostegno dunque agli emendamenti del partito sulla materia: «La famiglia deve essere sempre di più al centro degli impegni del governo, i bonus (a partire da quello sugli 80 euro), nonostante le tante critiche, stanno funzionando. Nella prossima legislatura il Pd farà di tutto per allargarli». Quanto all’esecutivo, il senatore dem Francesco Russo è più che ottimista: «Ne parleremo con Gentiloni ma sono certo che non torneremo indietro rispetto a quanto fatto in questi 5 anni di governo di centrosinistra a favore della famiglia». Anche perché «la crisi demografica nel frattempo non si è arrestata.

La prossima legislatura dovrà essere quella del quoziente familiare e di misure universali ancora più importanti su cui il Pd si è già impegnato, ma per ora cerchiamo di confermare quanto di buono siamo riusciti a fare». Il Parlamento, dunque, è pronto alla modifica. «Eliminare questo importante strumento di aiuto alle famiglie, questo sì sarebbe un tradimento degli impegni che il governo si è preso con i cittadini», per Maurizio Lupi, coordinatore nazionale di Ap. E sempre da Ap Maurizio Cicchitto si compiace che la misura sia reclamata anche da «molti laici».

La leader di Fdi Giorgia Meloni promette un cambio di passo se vincerà le elezioni il centrodestra: «Renzi e Gentiloni eliminano dalla manovra i bonus bebé. L’ennesimo schiaffo alle famiglie da parte di un governo che non pensa ai cittadini». Ma «se in Parlamento» Pd e maggioranza «dovessero presentare un emendamento per reintrodurre il bonus bebè, come Fdi saremmo pronti a sostenerlo».

Avvenire

Passaporto con il «bollino rosso» a chi è stato schedato per pedofilia

Una scritta sul retro del passaporto, che secondo i critici della misura equivale a una lettera scarlatta. D’ora in poigli americani che sono stati condannati per un reato di tipo sessuale nei confronti di minori verranno identificati come tali sul loro passaporto.

La mossa, annunciata dal Dipartimento di Stato Usa, implementa una legge del 2016 per la protezione dell’infanzia, ed è già scattata. Il ministero degli Esteri Usa infatti comincerà subito a revocare i passaporti di tutti quanti sono stati schedati per una violazione di tipo sessuale che abbia coinvolto un minore. Quindi rilascerà nuovi documenti dotati di un “identificatore”, vale a dire un avviso stampato all’interno della copertina posteriore del libretto che recita: “Il portatore è stato condannato per un reato sessuale contro un minore, ed è schedato ai sensi della legge americana”.

Le modifiche sono in risposta alla “Megan’s Law”, approvata dopo che Megan Kanka, una bambina di 7 anni, è stata assassinata da un uomo in precedenza condannato per pedofilia in New Jersey. Il caso ha anche portato alla creazione di registri statali dei condannati per reati sessuali, che contengono l’indirizzo attuale di ogni persona condannata e che vengono regolarmente consultati dai datori di lavoro così come dalle famiglie che vogliono trasferirsi in un nuovo quartiere.

Gli esperti legali si aspettano però che la misura sia investita da una valanga di sfide legali, in quanto nessun altro gruppo di ex criminali verrà identificato allo stesso modo. Secondo alcuni gruppi per la difesa delle libertà civili, inoltre, il “bollino” viola il divieto costituzionale alle pene retroattive. Gli stessi gruppi fanno notare che il passaporto renderà impossibile l’ingresso in molti Paesi e che la lista delle persone che se lo vedranno consegnare è eccessivamente lunga. La categoria comprende infatti adolescenti che hanno avuto rapporti sessuali consenzienti, persone che hanno commesso i reati quando erano minori o colpevoli di trasgressioni non violente, come l’indecenza pubblica o la detenzione di pornografia infantile.

Avvenire

 

L’allarme. Il Lazio «taglia» i disabili: «Centri a rischio collasso»


Assai più che preoccupati. «Succede quello che non vorrei immaginare. Se le tariffe saranno quelle indicate nel decreto, molte strutture si troverebbero al collasso», spiega Michele Bellomo, presidente dell’Aris Lazio (Associazione religiosa istituti sociosanitari). Va avanti Massimo Sala, presidente del Foai (Federazione organismi assistenza persone disabili): «È chiaro che non saremmo in grado di sopravvivere. Vorremmo vivere, non sopravvivere. E non vivere bene, solo vivere». È ancora più chiaro Francesco Cannella, direttore della Casa San Giuseppe dell’Opera don Guanella, raccontando che «dopo questi tagli saremo costretti a chiudere o, nella migliore della ipotesi, a limitarci a lavare e vestire i nostri ragazzi».

«Strozzati». La morale complessiva arriva dal presidente nazionale Aris, Virginio Bebber: «Mi chiedo se chi partorisce certi provvedimenti ‘strozzacentri di riabilitazione’ sia in grado di capire quanti dei nostri assistiti corrono il serio e concreto pericolo di finire in strada e senza assistenza. O forse si ritiene possibile che possa farsene carico il praticamente inesistente servizio pubblico riabilitativo?».

Meno dodici per cento. Accade infatti che «la Regione Lazio dal 2001 corrisponde rette che ripetutamente avevamo chiesto di adeguare all’indice Istat – spiega don Pino Venerito, presidente della Casa San Giuseppe dell’Opera don Guanella –, in tutta risposta, anziché un adeguamento almeno del 15 per cento, abbiamo ottenuto una decurtazione dal 7 al 12 per cento». L’ultimo aumento delle tariffe risale al 1999, «cioè al secolo scorso», sottolinea Sala. E «se già la situazione era difficile, figuriamoci dal 1 gennaio». Qualche numero? Solamente l’Aris assiste solamente nel Lazio circa 12.500 pazienti, per la gran parte minori e portatori di handicap anche gravi. «Così non possiamo fare silenzio – aggiunge Cannella –, la situazione è gravissima e dobbiamo denunciarla per i nostri ragazzi».

Il Garante dell’infanzia. È dovuto intervenire anche Jacopo Marzetti, Garante dell’infanzia e della Regione Lazio: «La situazione che abbiamo di fronte è particolarmente delicata », perché «si tratta di decine di associazioni senza fini di lucro che svolgono da anni un servizio fondamentale per la collettività, centri che si occupano del disagio fisico, psichico e sensoriale di bambini, adolescenti ed anziani, che lavorano, ogni giorno, con l’autismo, il ritardo mentale, la riabilitazione fisica e cardiologica». Col risultato che «l’intero sistema sanitario del Lazio rischierebbe il collasso se queste strutture, già penalizzate negli anni dal vertiginoso aumento dei costi dovuti alle nuove normative regionali adottate per far fronte al piano di rientro, dovessero gettare la spugna e chiudere definitivamente».

Il tre per cento. I tagli sono inspiegabili o lo sembrano anche considerando un criterio soltanto economicista. «Questo settore incide sul budget complessivo della sanità laziale per il 3 per cento», ricorda Bellomo. In realtà la Regione ha rassicurato gli istituti, garantendo loro che tutto sarà presto risolto da un tavolo tecnico: «Sì, vi abbiamo partecipato e in realtà è stato un nulla di fatto. Tavoli tecnici e chiacchiere, ma per adesso nessun fatto».

«Nullafacenti». Il Foai aveva già sollecitato il Tar a nominare un commissario per l’adeguamento delle tariffe almeno appunto all’indice Istat, è scattato invece il taglio. Che forse una spiegazione potrebbe averlo: «Dispiace dirlo, ma per qualche tecnico che non è in più in Regione, queste strutture erano nullafacenti. Perciò vorremmo che venissero a guardare cosa facciamo nelle nostre strutture, come e con chi. Scoprirebbero, ad esempio, che certi pazienti vengono seguiti solamente da noi».

Oltre 150mila. L’Aris assiste complessivamente nel nostro Paese oltre 150mila disabili, attraverso 26 istituti di ricovero e cura a carattere scientifico , diciassette ospedali, sette presidi sanitari , trentotto case di cura, centoquattordici centri di riabilitazione e trentadue residenze sanitarie assistenziali. (Il videoreportage « Disabili ‘tagliati’ » è visibile on line sul sito www.avvenire. it e sul nostro canale youtube)

 

Radon e tumori, la sentenza è storica: condannati i vertici militari

C’è un colpevole, per il disastro radon nell’ex base Nato scavata nel monte Venda, nel Padovano. E, ciò che più conta, per la prima volta viene riconosciuto da un tribunale che tre soldati hanno avuto il tumore al polmone in seguito all’esposizione da gas sul posto di lavoro. Per colpa dei vertici militari.

È stato condannato a due anni – pena sospesa – per omicidio colposo e violazione della tutela delle condizioni di lavoro l’ex direttore generale della Sanità dell’Aeronautica militare, Agostino Di Donna, 88 anni, di Roma, nell’ambito del processo per le vittime del gas nella ex base dell’Aeronautica militare Primo Roc. Assolto, invece, l’ex capo di Stato maggiore Franco Pisano, 86 anni.

Il giudice del tribunale di Padova ha anche condannato in solido il ministero della Difesa, rinviando la quantificazione del risarcimento al tribunale civile. Il procedimento riguardava la morte di due militari, Graziano Strazzacappa e Nicola Santacroce, deceduti proprio per aver inalato per anni gas radon nelle gallerie sotterranee del Primo Roc, e anche la malattia di un terzo militare. Ma restano in attesa di risposta centinaia di altri casi.

«I vertici militari sapevano. E hanno taciuto»

«È la prima sentenza del genere in Europa – ha commentato il legale di parte civile, Patrizia Sadocco – alla quale siamo arrivati in primo grado dopo una battaglia lunga e piena di ostacoli. Per il mondo militare era impossibile pensare che qualcuno fosse responsabile penalmente per la morte o le malattie che hanno colpito centinaia di militari in servizio».

I giudici, invece, hanno stabilito che le Forze Armate Nato erano a conoscenza dalla fine degli anni Ottantadelle elevate concentrazioni di radon nella base sul monte Venda, ma che non hanno fatto nulla per tutelare i militari: né limitando l’accesso ai locali contaminati né dotandoli di adeguate protezioni. Anzi, avrebbero “silenziato” il rischio legato alla presenza del radon, gas radioattivo cancerogeno.

L’ex pm Guariniello: «Ora serve prevenzione»

Soddisfatto anche l’ex Procuratore di Torino Raffaele Guariniello, attuale consulente della Commissione parlamentare sull’uranio, che chiede l’istituzione di una Procura nazionale sul lavoro: «Si tratta di una sentenza importante sotto vari aspetti, perché è la prima non solo in Italia, ma al mondo, che riconosce l’associazione causale tra tumori polmonari e radon». L’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) «aveva già da tempo individuato nel radon il secondo cancerogeno per i polmoni, dopo il fumo di sigaretta – ha spiegato ancora Guariniello parlando del gas che «sale dai sotterranei e si diffonde nell’aria».

La Commissione uranio, presieduta da Gian Piero Scanu, negli scorsi mesi d’altronde si era recata proprio in missione sul monte Venda. Guariniello ha concluso sottolineando «che siamo di fronte a una sentenza di primo grado, non definitiva» ma che dimostra come «per evitare tragedie di questo tipo occorre fare prevenzione».

Almeno 40 vittime accertate

L’inchiesta sul radon era partita nel 2005. Sarebbero una quarantina le vittime del gas nel Primo Roc – dove lavoravano circa 600 persone – accertate dall’Unsi, l’Associazione nazionale sottoufficiali italiani. Il primo pm titolare del fascicolo aveva chiesto per due volte di archiviare l’inchiesta, ma per altrettante volte si è visto rifiutare la richiesta dal giudice per le indagini preliminari. Ora la sentenza storica.

Avvenire

La violenza sui bambini dentro e fuori la famiglia

Un nuovo rapporto dell’Unicef (Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia), che riporta dati raccolti in oltre 40 Paesi, descrive in dettaglio le molte facce della violenza verso i minori nel mondo. Tra queste, la realtà dello sfruttamento sessuale. Sarebbero almeno 15 milioni le minorenni costrette ad abusi sessuali, con una forte responsabilità che ricade sull’ambiente familiare e di vicinato, scolastico, tra le amicizie e i primi legami sentimentali.

Insomma, tra le conoscenze che per prime dovrebbero fornire a bambine e adolescenti un ambiente ideale alla crescita fisica e psicologica ma che trasformano in un inferno la quotidianità di tante. «L’idea che le donne siano a disposizione degli uomini è un fattore importante nell’incentivare la violenza sessuale sulle giovani», ricorda la coordinatrice Claudia Cappa nel rapporto A Familiar Face – Violence in the lives of children and adolescents(Un volto familiare. La violenza nelle vite di bambini e adolescenti) . Ma lo è anche – denuncia l’Unicef – la crescente convergenza tra predatori sessuali e tecnologia. Comunque, un problema diffuso al punto da impedire potenzialmente alla comunità globale di raggiungere gli Obiettivi dello Sviluppo sostenibile, ovvero i traguardi fissati dall’Onu per mettere fine a povertà, discriminazione e degrado ambientale entro il 2030.

Ad aggravare la situazione, è il dato che forse solo l’uno per cento dei casi di violenza vengono denunciati, impedendo così una presa di coscienza generalizzata che spinga a efficaci iniziative di contrasto. Una problematica diffusa, che interessa pressoché tutte le aree del globo anche se con diversa intensità. Citato come il peggiore, il caso del Camerun, Stato dell’Africa occidentale dove un sesto delle minorenni subisce violenza. L’Asia si impone per l’estensione degli abusi. Se nelle aree ad alta densità di popolazione e basso tenore di vita (India, Pakistan, Bangladesh, Nepal, Cina) lo sfruttamento segue le linee di altre zone del mondo, con simili caratteristiche sociali ma con l’aggravante di vasti network pronti a approfittare di ogni situazione di disagio o di esclusione, soprattutto nel Sud-Est asiatico su queste dinamiche ne convergono altre.

In Cambogia, Filippine, Indonesia, Malaysia, Thailandia, meno in Myanmar, Laos e Singapore, un contributo allaviolenza sessuale arriva dalla mobilità regionale e internazionale, con un intenso flusso di viaggiatori estremo e medio-orientali o occidentali che incentiva forme deleterie di turismo o di presenza straniera. Realtà che si innescano, aggravandola, su una commercializzazione sessuale già vasta e anzitutto destinata a una clientela locale. Un secondo elemento è l’uso – anche questo sempre più intenso – delle tecnologie di acquisizione e distribuzione di materiale pornografico, ma anche di tecnologie che incentivano incontri e situazioni a rischio, soprattutto per i più giovani. Davanti all’emergenza globale, servono leggi migliori a protezione dei minori e maggiore impegno dei servizi sociali governativi perché, come ricorda ancora la coordinatrice Claudia Cappa, «di particolare successo risulta l’impegno congiunto con i governi per sviluppare piani nazionali di azione che cercano di connettere diversi settori, come quello educativo e della giustizia».

ansa