Le novità, le sfide, l’impegno: come si insegna la religione cattolica a scuola

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L’Ad rivela il progetto: «Colpito dall’intervista alla madre del santo a “Verissimo”. La scrittura è pronta, presto in produzione. Voglio più storie così»

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Particolare preoccupazione desta la diffusione di comportamenti violenti tra gli adolescenti. L’indagine osserva come “la narrazione mediatica sia passata dal raccontare i casi di violenze di gruppo tra coetanei attraverso l’etichetta di “baby gang” al fenomeno, impropriamente definito, dei “maranza”
Alessandro Guarasci – Citta del Vaticano
Il futuro di tanti bambini e adolescenti in Italia rischia di essere compromesso. Molti giovani continuano a rappresentare la fascia d’età più esposta alla povertà assoluta (13,8%, a fronte di una media nazionale del 9,8%). Nel 2024, in media, il 12,3% delle famiglie con figli minorenni si è trovato in un stato di indigenza; la percentuale sale al 16,1% per i nuclei residenti nei comuni centrali delle aree metropolitane. È quanto emerge dall’ultima indagine Con i Bambini – Openpolis, condotta in 14 comuni, capoluogo di città metropolitana.
Preoccupa l’abbandono scolastico degli adolescenti
Nonostante nel 2024, per la prima volta, la quota di giovani che abbandonano la scuola prima del diploma o di una qualifica sia scesa sotto il 10%, la situazione resta più critica nei contesti urbani. Rispetto alla media nazionale del 9,8%, l’incidenza più elevata si registra nelle aree densamente popolate, dove sfiora l’11%. Particolare preoccupazione desta la diffusione di comportamenti violenti tra gli adolescenti. L’indagine osserva come “la narrazione mediatica sia passata dal raccontare i casi di violenze di gruppo tra coetanei attraverso l’etichetta di “baby gang” al fenomeno, impropriamente definito, dei ‘maranza’. Dietro questa rappresentazione si trovano spesso ragazzi di seconda e terza generazione. Si tratta di ragazzi nati e cresciuti in Italia, italiani a tutti gli effetti, talvolta in conflitto con le famiglie ma in difficoltà nel trovare un proprio spazio nella realtà che li circonda”.
Marco Rossi Doria: situazione grave soprattutto nelle periferie
Per il presidente di Con i Bambini, Marco Rossi Doria “l’Osservatorio promosso da Con i bambini insieme a Openpolis evidenzia come nelle periferie italiane i giovani continuino a scontare inaccettabili disparità nell’accesso a servizi educativi, culturali e sociali. Le ultime analisi mostrano concentrazioni più elevate di povertà educativa, una minore disponibilità di spazi aggregativi e un’offerta formativa e opportunità occupazionali minori e meno diversificate rispetto alle aree protette. Sono sempre più urgenti politiche pubbliche per creare sviluppo integrato di produzione di beni e servizi, comunità energetiche, esperienze di comunità e di coesione sociale insieme al sostegno alle comunità educanti che già uniscono scuole, terzo settore, luoghi dello sport, parrocchie, municipalità, volontariato, famiglie. L’esperienza delle buone pratiche diffuse ci dice che le nuove politiche pubbliche devono unire investimenti dello stato che devono crescere e risorse e azioni improntate alla sussidiarietà come dice l’articolo 118 della Costituzione”. In città come Catania, Napoli e Palermo, circa il 6% delle famiglie si trova in potenziale disagio economico.
Fondamentale il lavoro di scuole e Terzo Settore
Per contrastare questa tendenza, serve facilitare le condizioni familiari, l’accesso all’istruzione, il ruolo della scuola e della comunità educante, insieme alla necessità di rafforzare presidi educativi, sociali e culturali nei territori più fragili, in particolare nelle periferie urbane. “Le periferie non sono soltanto luoghi fisici, ma il punto in cui si concentrano fragilità sociali, carenze infrastrutturali e, allo stesso tempo, straordinari talenti e potenzialità spesso inespresse- spiegano il presidente e il segratario della Commissione parlamentare periferie Alessandro Battilocchio e Andrea De Maria – Come Commissione parlamentare sulle Periferie riteniamo fondamentale ascoltare chi ogni giorno opera sul territorio: scuole, associazioni, educatori, amministrazioni locali, realtà del terzo settore. Il lavoro portato avanti da Con i Bambini dimostra quanto sia possibile costruire percorsi educativi e comunitari capaci di cambiare il destino di tanti ragazzi”. Tra le città si registrano forti divari: oltre l’85% degli alunni delle primarie statali frequenta scuole con il tempo pieno in città come Milano, Firenze, Torino e Roma, mentre sono meno del meno del 10% a Reggio Calabria e Palermo.
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C’è una frase che può sintetizzare Pietro – Un uomo nel vento, lo stupendo monologo di Roberto Benigni andato in onda ieri sera su Rai Uno e co-prodotto da Vatican Media del Dicastero per la Comunicazione: “Le cose più importanti della vita non si apprendono e non si insegnano, si incontrano”. È questa, in fondo, la realtà del cristianesimo. La fede cristiana non è innanzitutto un insieme di dottrine, di filosofie, di regole morali, ma l’incontro con Qualcuno che è vivo e presente. Il Vangelo è costellato di incontri, lungo le strade polverose, sulle rive del lago di Tiberiade, nei crocicchi, là dove si svolge la vita ordinaria delle persone.
Notevole il risultato degli ascolti: la sera del 10 dicembre il monologo dell’attore toscano è stato il programma più visto e ha registrato 3.968.000 spettatori e il 24,4% di share, con punte di ascolto di oltre 4 milioni e 900 mila spettatori (superiori al 27% di share). Nei mercoledì di novembre-dicembre Rai Uno oscilla generalmente tra 15,5% e 18%, con platea 2,6–3,1 milioni, mentre la serata Benigni del 10 dicembre rappresenta un salto netto sia in spettatori che in share.
Benigni, in due ore ininterrotte – un racconto avvincente, con qualche garbato spazio all’ironia e un crescendo di commozione – ci ha raccontato una storia d’amore. Quella della vita di un uomo semplice, irruento, debole al punto da tradire per paura il Maestro nel momento in cui era più solo e nelle mani dei suoi aguzzini. Pietro è così, è come tutti di noi. Pietro è uno di noi. E la sua storia straordinaria ci insegna la forza della debolezza: non è stato un Superuomo, ma si è fidato dello sguardo e della chiamata di Gesù, ha riconosciuto il suo tradimento, ha pianto, ed è stato perdonato.
Colui che è stato scelto come fondamento della Chiesa è un peccatore perdonato che ha scommesso tutta la sua esistenza su quell’Uomo che gli ha detto di essere “Via, Verità e Vita”. È per questo che la Chiesa, duemila anni dopo, continua ad esistere, mentre gli imperi che al tempo di Gesù sembravano invincibili, sono stati spazzati via. Il monologo di Benigni ci dice che anche oggi – o forse soprattutto oggi – abbiamo bisogno del genio e del linguaggio degli artisti per diffondere il messaggio evangelico e raggiungere chi è lontano.
Il prefetto del Dicastero per la Comunicazione Paolo Ruffini evidenzia in una dichiarazione il grande valore della performance ed esprime gratitudine a chi ne ha sostenuto e condiviso la realizzazione. “Credo che oggi tutti dobbiamo un ringraziamento a Roberto Benigni per il suo monologo straordinario, sorprendente, commovente, su San Pietro. E naturalmente alla Rai per aver in questo anno giubilare raccolto e vinto la sfida di dedicare una prima serata di Rai 1 al racconto della vita straordinaria dell’apostolo Pietro. A Stand by me per aver prodotto, con Vatican Media e il Dicastero per la Comunicazione – grazie alla collaborazione del Governatorato della Città del Vaticano e alla Santa Sede – una bella pagina di televisione, con l’amore che gli artigiani mettono nel proprio lavoro, dove ogni pezzo è diverso dall’altro. Ai quasi quattro milioni di italiani che hanno visto il monologo in tv, rivivendo così la bellezza di una storia universale e della televisione come strumento di cultura”. Per Ruffini c’è “bisogno di ritrovare la memoria per ritrovare noi stessi, per riscoprire la nostra bellezza fragile. E però grande. Misteriosamente capace di rigenerarsi. Come la storia di Pietro. La storia di Pietro – conclude – è la nostra storia. La nostra storia dimenticata, tradita, rinnegata. Ma alla fine ritrovata”.
Per l’amministratore delegato della Rai Giampaolo Rossi, la serata con Benigni è stata “un grande viaggio spirituale, percorso laicamente, nella figura cardine della Chiesa” e assieme “un’importante pagina di servizio pubblico” della tv di Stato sul versante della cultura. Analogamente Simona Ercolani, amministratrice delegata e direttrice creativa di Stand by me, ha definito il progetto “complesso e profondamente significativo”. La “sinergia tra tutte le realtà coinvolte ha permesso – ha affermato – di creare un contenuto capace di incantare un pubblico vasto e trasversale”.
Tutti coloro che ieri sera non hanno potuto vederlo possono trovarlo a questo LINK su Rai Play.
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Nella Lettera apostolica sull’importanza dell’archeologia e in occasione dei 100 anni dalla fondazione del Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana, Leone XIV ricorda che questa disciplina testimonia che Dio si è fatto carne e che la salvezza ha lasciato impronte: “È memoria viva, ministero di speranza che conduce al Mistero”
Benedetta Capelli – Città del Vaticano – Vatican News
Scavare, toccare i reperti, ritrovare l’energia del tempo, nel lavoro dell’archeologo cristiano non c’è però solo la materia ma anche l’umano: le mani che hanno forgiato i resti rinvenuti, “le menti che li hanno concepiti, i cuori che li hanno amati”. È una delle caratteristiche dell’archeologia cristiana che il Papa evidenzia nella Lettera apostolica sull’importanza dell’archeologia in occasione del centenario del Pontificio Istituto di Archeologia cristiana, pubblicata oggi, 11 dicembre.
Rendere visibile il Mistero
Materia e mistero: sono le due direttrici che si intersecano nell’archeologia cristiana perché “il cristianesimo – evidenzia Leone XIV – non è nato da un’idea, ma da una carne”, da un grembo, un corpo, un sepolcro. La fede cristiana, infatti si fonda su “eventi concreti, su volti, su gesti, su parole pronunciate in una lingua, in un’epoca, in un ambiente. È questo che l’archeologia rende evidente, palpabile”. Ricorda poi che “Dio ha scelto di parlare in una lingua umana, di camminare su una terra, di abitare luoghi, case, sinagoghe, strade”. Per questo, in un tempo in cui si ricorre all’Intelligenza Artificiale, si studiano le galassie ha ancora senso investigare. “Non si può comprendere fino in fondo la teologia cristiana – scrive il Papa – senza l’intelligenza dei luoghi e delle tracce materiali che testimoniano la fede dei primi secoli”.
Nulla è insignificante
L’archeologia e la teologia si intrecciano quindi nel lavoro dell’archeologo, alla base c’è una spiccata sensibilità a maneggiare con cura “materiali della fede”. “Scavando tra le pietre, tra le rovine, tra gli oggetti, essa – spiega il Pontefice – ci insegna che nulla di ciò che è stato toccato dalla fede è insignificante”. Ogni piccola testimonianza merita attenzione, non va scartata, così l’archeologia “è una scuola di sostenibilità culturale e di ecologia spirituale”, di “educazione al rispetto della materia, della memoria, della storia”. Non si butta via nulla, si conserva, si decifra perché dietro ogni reperto c’è “il respiro di un’epoca, il senso di una fede, il silenzio di una preghiera. È uno sguardo – sottolinea il Papa – che può insegnare molto anche alla pastorale e alla catechesi di oggi”.
L’archeologia alleata della teologia
Nuove informazioni poi si possono ricavare dagli strumenti tecnologici più raffinati e pertanto ogni materiale può restituire significati profondi. “L’archeologia, in questo, è anche scuola di speranza”. Riferendosi alla costituzione apostolica Veritatis gaudium di Papa Francesco, Leone XIV ricorda che l’archeologia, insieme alla Storia della Chiesa e alla Patrologia, deve far parte delle discipline fondamentali per la formazione teologica. L’archeologia infatti non parla solo di cose, ma di persone, “aiuta a comprendere come la rivelazione si sia incarnata nella storia, come il Vangelo abbia trovato parole e forme dentro le culture”. Pertanto una teologia che accoglie l’archeologia “è una teologia che ascolta il corpo della Chiesa, che interroga le sue ferite, che legge i suoi segni, che si lascia toccare dalla sua storia”. Ed è anche una forma di carità perché “è un modo per far parlare i silenzi della storia, per restituire dignità a chi è stato dimenticato, per riportare alla luce la santità anonima di tanti fedeli che hanno fatto la Chiesa”.
La missione evangelizzatrice
Compito dell’archeologia è anche quello di evangelizzare, di aiutare la Chiesa a custodire la memoria viva dei suoi inizi, a narrare la storia della salvezza anche con le immagini, le forme e gli spazi. “In un tempo che spesso smarrisce le radici, l’archeologia – afferma il Papa – diventa così strumento prezioso di un’evangelizzazione che parte dalla verità della storia per aprire alla speranza cristiana e alla novità dello Spirito”. Guardando al modo in cui il Vangelo è stato accolto nel passato c’è lo sprone a diffonderlo nell’oggi, parlando ai lontani ma anche ai giovani che cercano autenticità e concretezza. L’archeologia, sottolinea Papa Leone, è uno “strumento potente di dialogo; può contribuire a creare ponti tra mondi distanti, tra culture diverse, tra generazioni; può testimoniare che la fede cristiana non è mai stata una realtà chiusa, ma una forza dinamica, capace di penetrare nei tessuti più profondi della storia umana”.
Memoria viva e riconciliata
Una forza dell’archeologia è anche quella di far intuire la forza di un’esistenza che trascende i secoli, che oltrepassa la materia ed ha una rilevanza specifica nella teologia della Rivelazione. Illumina infatti i testi con le testimonianze materiali, interroga le fonti, le completa, apre a nuove domande e pertanto una teologia fedele alla Rivelazione “deve – per il Papa – restare aperta alla complessità della storia” fatta di sfide, conflitti, momenti di splendore e di buio. Non è un caso, spiega il Pontefice, che ogni approfondimento del mistero dela Chiesa sia un ritorno alle origini, essa si rinnova infatti quando si interroga su ciò che la definisce in profondità. Non è un culto del passato, sia chiaro, ma “memoria viva”, “capacità di far parlare il passato al presente. È sapienza nel discernere ciò che lo Spirito Santo ha suscitato nella storia. È fedeltà creativa, non imitazione meccanica”. Pertanto può nascere da qui un linguaggio comune, “una memoria riconciliata” capace di riconoscere la pluralità di voci, l’unità nella diversità, diventando così “luogo di ascolto, spazio di dialogo, strumento di discernimento”.
Non un sapere elitario
Il Papa ricorda la fondazione del Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana nel 1925 da parte di Pio XI, nel Giubileo della pace, mentre il centenario cade nel Giubileo della speranza. Una coincidenza che può offrire orizzonti nuovi all’umanità scossa da tante guerre. La fondazione avvenne in un clima incerto del dopoguerra, con coraggio e lungimiranza: un gesto – afferma il Pontefice – che interpella per comprendere oggi che essere fedeli allo spirito fondativo significa non chiudersi in un sapere elitario ma “condividere divulgare, coinvolgere”. Fondamentale in tal senso la comunione con le altre istituzioni che si occupano di archeologia come la Pontificia Accademia Romana di Archeologia, la Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, la Pontificia Accademia Cultorum Martyrum, il Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana. “Anche il rapporto con l’Oriente cristiano – sottolinea il Papa – può trovare, nell’archeologia, un terreno fecondo. Le catacombe comuni, le chiese condivise, le pratiche liturgiche analoghe, i martirologi convergenti: tutto questo costituisce un patrimonio spirituale e culturale da valorizzare insieme”.
Ministero di speranza
“La Chiesa è chiamata a educare alla memoria e l’archeologia cristiana è uno dei suoi strumenti più nobili per farlo. Non per rifugiarsi nel passato, ma per abitare il presente con coscienza, per costruire il futuro con radici”. L’archeologia in tal senso “è un ministero di speranza” perché, spiega Leone XIV, mostra che “la fede ha resistito alle persecuzioni, alle crisi, ai cambiamenti”, rinnovandosi, reinventandosi, fiorendo in forme nuove. “Il Vangelo ha sempre avuto una forza generativa”, la Chiesa è sempre rinata, la speranza non è mai venuta meno. Infine l’appello del Papa a portare avanti un lavoro prezioso, rigoroso, da trasmettere con passione. “L’archeologia cristiana è un servizio, è una vocazione, è una forma di amore per la Chiesa e per l’umanità. Siate fedeli al senso profondo del vostro impegno: rendere visibile il Verbo della vita, testimoniare che Dio ha preso carne, che la salvezza ha lasciato impronte, che il Mistero si è fatto narrazione storica”.
Dal libro del profeta Isaia
Is 48,17-19
Così dice il Signore, tuo redentore,
il Santo d’Israele:
«Io sono il Signore, tuo Dio,
che ti insegno per il tuo bene,
che ti guido per la strada su cui devi andare.
Se avessi prestato attenzione ai miei comandi,
il tuo benessere sarebbe come un fiume,
la tua giustizia come le onde del mare.
La tua discendenza sarebbe come la sabbia
e i nati dalle tue viscere come i granelli d’arena.
Non sarebbe mai radiato né cancellato
il suo nome davanti a me».
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 11,16-19
In quel tempo, Gesù disse alle folle:
«A chi posso paragonare questa generazione? È simile a bambini che stanno seduti in piazza e, rivolti ai compagni, gridano:
“Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non vi siete battuti il petto!”.
È venuto Giovanni, che non mangia e non beve, e dicono: “È indemoniato”. È venuto il Figlio dell’uomo, che mangia e beve, e dicono: “Ecco, è un mangione e un beone, un amico di pubblicani e di peccatori”.
Ma la sapienza è stata riconosciuta giusta per le opere che essa compie».
Tema Seamless Keith, sviluppato da Altervista
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