Le novità, le sfide, l’impegno: come si insegna la religione cattolica a scuola

Le novità, le sfide, l'impegno: come si insegna la religione cattolica a scuola

Avvenire

A distanza di quarant’anni l’impostazione che l’Accordo di revisione del Concordato (1984) e le successive Intese hanno dato all’insegnamento della religione cattolica nella scuola «si rivela ancora valida e in grado di reggere il confronto con le trasformazioni che nel frattempo si sono succedute». Una constatazione che fa sfondo al lungo documento intitolato “L’insegnamento della religione cattolica: laboratorio di cultura e dialogo”, che è stato diffuso oggi dalla Conferenza episcopale italiana, dopo l’approvazione avvenuta nella 81ª Assemblea generale dei vescovi italiani svoltasi ad Assisi nel novembre scorso. Come detto si tratta di un corposo documento di 27 pagine suddiviso in quattro grossi capitoli. Una analisi sul volto e il ruolo che l’Irc è chiamato a svolgere nella scuola italiana, soprattutto in questo momento di cambiamento che il mondo sta vivendo.
«In questi anni l’Irc, nella sua nuova formula, si è assestato come presenza abituale e apprezzata nel sistema nazionale di istruzione, nonostante qualche difficoltà che talora si incontra nella prassi» si legge nella Nota dei vescovi, che nella parte introduttiva individuano nella scuola, nella comunità ecclesiale e nella società i destinatari di questa riflessione. Lo sono genitori e alunni, «che sono chiamati a scegliere se avvalersi o non avvalersi di questo insegnamento»; lo è la comunità ecclesiale, che «talvolta guarda con distrazione a un servizio che richiede una specifica competenza della Chiesa locale anche se sempre più radicato autonomamente nella scuola»; lo sono gli insegnanti di religione cattolica (Idr), che «sono di fatto i mediatori essenziali della proposta educativa e culturale dell’Irc, affinché sappiano quanto la Chiesa italiana è loro riconoscente e cosa si attende da loro e dall’insegnamento loro affidato»; lo è la società civile, alla quale «vogliamo ricordare che il settore è oggetto di costante attenzione da parte di ciascun vescovo nel territorio e di tutto l’episcopato nella sua azione collegiale, per offrire un servizio sempre all’altezza delle finalità educative della scuola».
Il primo capitolo affronta I’attualità dell’Irc in un tempo di cambiamenti. La Nota ne cita alcuni, tra i più rilevanti: le migrazioni, «fenomeno, che ha molteplici implicazioni, deve essere letto non con paura, ma come un’opportunità e un dono»; un approccio della società che tende a marginalizzare, se non cancellare, il fattore religioso, «ma la persona non è un sistema di algoritmi: è creatura, relazione, mistero» . L’Irc, continuamente ripensato alla luce di queste trasformazioni, può offrire un approccio aperto ai cambiamenti e ai diversi aspetti storici, culturali, spirituali ed esistenziali dell’esperienza umana» sottolineano i vescovi nella Nota. .E soprattutto non si può dimenticare che «le nuove generazioni, per la concomitanza di diversi fattori, risentono di un clima di insicurezza e smarrimento da cui derivano non poche situazioni di isolamento e marginalità». Ecco che l’Irc può diventare strumento – quasi un ponte – tra la comunità ecclesiale e la scuola, pur nel rispetto dei ruoli e delle competenze, sebbene in questi 40 anni l’Irc ha dimostrato di essere una materia capace di porsi in dialogo con gli altri insegnamenti, offrendo agli studenti spunti di riflessione, valori di riferimento e capacità di crescita umana complessiva. Opportunità offerta davvero a tutti gli studenti, anche a coloro che provengono da altri Paesi o professano altre religioni. Presenza che «richiede rinnovata attenzione al dialogo e al confronto» e che già, come ricorda il presidente della Cei, il cardinale Matteo Zuppi in un suo commento alla Nota, «esempio di tale apertura è offerto dalle schede per conoscere l’ebraismo e l’islam, predisposte dagli uffici della Segreteria generale della Cei rispettivamente con l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e il Pontificio Istituto di Studi Arabi e d’Islamistica, in vista della redazione dei libri scolastici e della formazione degli insegnanti di religione». Un dialogo reso possibile anche dal fatto che l’Irc, ribadisce con forza la Nota, non è una forma di catechesi, ma «una presenza in un sistema integrato che riconosce il qualificato contributo della Chiesa cattolica al sistema educativo del Paese».
Del resto, ricorda il secondo capitolo, l’Irc è «una scelta di libertà e di cultura», dato che si tratta di un insegnamento da scegliere (è lo fa l’80% della popolazione scolastica italiana), ma anche un insegnamento imprescindibile per comprendere la nostra cultura che è fortemente permeata del cattolicesimo, e «perderli sarebbe un danno per tutta la società». «Oggi l’Irc condivide le autonome finalità della scuola mettendosi con convinzione al suo servizio» sottolinea più volte la Nota, ricordando come in questi 40 anni si sia proceduto a periodici aggiornamenti delle Indicazioni didattiche.
La Nota dedica tutto il terzo capitolo alla figura dei docenti di religione, nel suo «profilo professionale e impegno educativo», a cui i vescovi esprimono la loro gratitudine. Anche i docenti di religione risentono della crisi di ruolo che gli insegnanti stanno vivendo nella scuola per la propria competenza e capacità di dialogo vengono scelti per ruoli di coordinamento nella scuola. «Questa particolare condizione deve sollecitare gli Idr ad affinare sempre di più la propria competenza pedagogica, relazionale e metodologica, puntando a diventare punto di riferimento per tutta la comunità scolastica».
Un compito nel quale non devono sentirsi soli. Ecco allora, nel quarto capitolo, l’invito alle comunità cristiane a cogliere l’importanza del ruolo svolto dall’Irc e dai loro docenti, non solo nella scuola, ma anche nella comunità ecclesiale. «Tutta la comunità ecclesiale deve sentirsi coinvolta nella responsabilità derivante da questo impegno».

Pier Silvio Berlusconi: «Mediaset produrrà un film tv su Carlo Acutis»

L’Ad rivela il progetto: «Colpito dall’intervista alla madre del santo a “Verissimo”. La scrittura è pronta, presto in produzione. Voglio più storie così»

Pier Silvio Berlusconi: «Mediaset produrrà un film tv su Carlo Acutis»

Avvenire

“Mediaset inizierà a produrre anche tv movie. Il primo sarà su Carlo Acutis, il ragazzo diventato santo”. L’Ad Mediaset Pier Silvio Berlusconi, butta là la notizia durante lo scambio di auguri natalizi con la stampa ieri sera nello studio 10 di Cologno Monzese, fra novità televisive annunciate, commenti politici ed economici e dati Auditel trionfali.
A latere della presentazione stampa, quindi chiediamo qualche anticipazione sul progetto Acutis a Pier Silvio Berlusconi che ad Avvenire rivela orgoglioso: “Indovinate chi ha avuto questa idea? Il sottoscritto. Silvia (Toffanin ndr.) aveva intervistato a Verissimo la mamma di Carlo Acutis e mi aveva raccontato tutto con grande passione. Sono rimasto colpito dalla storia eccezionale di questo ragazzo e ho pensato quindi di farne un film tv: la scrittura è già pronta, presto si passerà alla produzione. Sono questi i prodotti che voglio fare sempre di più, storie positive, giovani, portatrici di valori”.
Quindi oltre al film americano La via al reale di Tim Moriarty che ha spopolato negli Usa presto arriverà anche la produzione targata Mediaset sul 15enne proclamato santo da papa Leone XIV lo scorso 7 settembre.
A Berlusconi piacerebbe, ha spiegato, produrre sempre più fiction, che andrebbero a completare i successi dell’emittente che guarda all’Europa come MFE nonostante la “concorrenza terribile dei giganti del web Usa”.
Comunque Il 2025 è stato “un anno straordinario” per Mfe-Mediaset, “l’unica multinazionale italiana nel settore dei media”, che festeggia “la vittoria per il terzo anno consecutivo sulla Rai, con il 37.5% di share nelle 24 ore contro il 35.8%”, un sistema crossmediale “che raggiunge i 96,5 milioni di contatti” e batte anche le piattaforme, e la crescita internazionale, grazie alla conquista della tedesca Prosieben. Quanto basta a Berlusconi per guardare al futuro con la certezza che il gruppo “ha capacità, solidità e coraggio per competere a livello globale”.
Sul fronte del prodotto, il programma dei record è La Ruota della Fortuna condotta dal rassicurante Gerry Scotti, leader dell’access prime time con una media di 5,3 milioni di spettatori a dicembre: “Una scommessa diventata fenomeno” aggiunge Pier Silvio che ha visto la Ruota surclassare gli Affari tuoi di Rai 1, che l’Ad Mediaset aveva definito “un giochino vicino all’azzardo”. “Non critico Affari Tuoi, dice, ma “da cittadino, mi permetto di mettere in discussione il fatto che un gioco dove si regalano soldi solo in base alla fortuna occupi l’orario di massimo ascolto dell’ammiraglia di servizio pubblico”
Comunque la Ruota pigliatutto fa spostare pure Striscia la Notizia, che ha ceduto il passo dopo 37 anni: tornerà su Canale 5 “a gennaio, intorno al 20, in una nuova, prestigiosissima collocazione di prima serata” assicura l’Ad. Riportarla in access “sarebbe stato sbagliato, anche per la stessa Striscia, e Antonio Ricci ne è ben consapevole. Siamo molto fiduciosi”, aggiunge l’Ad.
Avanti tutta, dunque, con la Ruota, che potrebbe anche allungarsi e poi fare spazio poi “a due prodotti più brevi, una vera prima e seconda serata”, rivela Berlusconi, convinto che il modello dell’offerta tv “vada ripensato”. La sperimentazione potrebbe partire “con i Cesaroni, con una singola puntata da 50 minuti”. Intanto a gennaio in seconda serata su Canale 5 debuttano “Risiko con Federico Rampini e un nuovo programma di Bianca Berlinguer”. Novità anche in prima serata a fine gennaio con Paolo Bonolis, “con lo storico format francese Taratata” dedicato alla musica.
L’usato sicuro (e rinnovato) funziona insomma per il pubblico della tv generalista: dopo il ritorno positivo anche di Caduta Libera e del Milionario, non si esclude il recupero di un titolo storico come Ok, il prezzo è giusto! per cui Mediaset è in lizza con la Rai.
Sotto la lente, invece, i reality show, dopo i risultati deludenti del Grande Fratello, atteso in versione vip: “Decideremo entro la prossima settimana. Non che abbia trovato così criticabile l’edizione appena andata in onda, ma serve un’evoluzione profonda”, risponde. L’Isola dei Famosi, invece, “in primavera non ci sarà”.
In seguito al caso Warner-Netflix-Paramount, Mediaset aprirebbe le porte ad Amadeus nel caso in cui il conduttore lasciasse Discovery? Berlusconi fa capire di essere a posto: “Le porte sono sempre aperte per i professionisti, ma ne abbiamo tanti. Una squadra pazzesca, De Filippi, Bonolis, Scotti, Toffanin, Giusti, Papi, Blasi”, che potrebbe condurre degli speciali di Battiti Live, marchio di punta di Radio Norba, appena acquisita.
Berlusconi infine è particolarmente soddisfatto dell’informazione Mediaset. “Sono orgoglioso del lavoro dei nostri giornalisti, dei nostri tg e dei nostri prodotti. Per come vengono fatti e per quanto poco impegniamo rispetto alla Rai, c’è dell’incredibile”, aggiunge, rivelando quello che davvero invidia alla Ra, la TgR: “Mi piacerebbe fare un tg regionale e locale, l’informazione specializzata sul territorio ha grandissimo valore”.

A Gaza è morta Rahaf, 8 mesi. Per assideramento

Una donna vestita di nero, con la testa velata e il volto rigato di lacrime, tiene fra le braccia un corpicino avvolto in un sudario bianco

Avvenire

Tutto l’inferno di un popolo è nel corpo gelido di Rahaf Abu Jazar, 8 mesi, morta ieri per assideramento fra le braccia impotenti della madre, mentre l’inverno si rovesciava in forma di tempesta sul deserto di macerie di Gaza. «Pioveva, faceva molto freddo e avevo ben poco per tenerla al caldo. L’ho nutrita e messa a dormire. L’ho avvolta meglio che potevo, ma non è bastato. Sono stata presa dal panico tutta la notte. Poi all’improvviso, ho trovato la mia bambina immobile, morta», ha raccontato la madre, una fra le migliaia di profughi costretti a vivere nelle tendopoli di Khan Yunis, nel sud della Striscia. La Protezione civile ha riferito di aver ricevuto in poche ore più di 2.500 richieste di aiuto. Sulle pagine social con cui i gazawi cercano di sopravvivere al precoce oblio del mondo sfilano i video della battaglia con la pioggia, il vento, la marea inarrestabile del fango. Gli uomini armati di pale e zappe raspano il fondo di quella che ormai è una palude limacciosa su cui poggiano come palafitte le tende trapassate dal diluvio, lavoro utile solo a scacciare per un poco impotenza e disperazione, a scaldare le ossa sotto gli indumenti inzuppati dal turbinio universale. «Non c’è una tenda che sia scampata all’alluvione. Le condizioni sono terribili. Nel campo ci sono persone anziane, malati», racconta Ahmad Abu Taha, un altro profugo di Khan Yunis. Secondo l’Onu sono almeno 850mila i gazawi costretti a vivere nelle tende di 761 campi profughi.
Con largo anticipo i media israeliani hanno preparato la popolazione all’ira funesta di Byron, la tempesta di freddo, vento, e grandine. Le nuvole corvine e i rossi fulmini delle carte meteorologiche si arrestavano tuttavia ad Ashkelon, l’ultima città al confine con Gaza, il cui cielo è restato privo di simboli. Da settimane migliaia di tende attendono di poter varcare il confine, i pali che le reggono sono considerati da Israele minacciosi utensili soggetti al “doppio impiego”. Il Consiglio norvegese per i rifugiati denuncia che le Nazioni Unite e le altre istituzioni coinvolte negli aiuti umanitari hanno potuto introdurre dall’inizio della tregua a oggi solo 15.600 tende, capaci di ospitare appena 88mila individui. Il sistema idrico devastato dai bombardamenti non è in grado di drenare l’enorme e improvvisa massa d’acqua, fra le strade e campi cosparsi di pattume scorrono i liquami, si moltiplicano le infezioni, soprattutto fra i bambini.
A Gaza City il sindaco Yahya al-Sarraj ha denunciato l’allagamento di molti rifugi, ordinato la chiusura delle strade più pericolose. Tre palazzi sono collassati accartocciandosi sull’asfalto, il cemento ritorto minato dall’erosione insistente della pioggia. Tutto si ferma sotto la bufera. Ogni movimento può farsi malattia, ogni malattia dramma nella Striscia dove oltre il 60% delle strutture sanitarie non ha ancora ripreso a funzionare. «È straziante parlare con i genitori e i bambini. Le restrizioni impediscono qualsiasi ricostruzione e il ritorno a una parvenza di normalità per i più piccoli, come una casa e l’accesso all’istruzione formale. I servizi di protezione e supporto psicosociale non sono raggiungibili per bambini privi di indumenti di base. Un genitore mi ha detto che non può comprare scarpe ai propri figli. Un altro bambino mi ha raccontato che passa la notte sveglio al freddo perché le sue lenzuola e coperte sono fradicie dopo che la tenda si è allagata», racconta “Shurouq”, operatrice di Save the Children a Gaza.
Il capo di Stato maggiore Eyal Zamir ha diramato nuove linee guida per regolamentare il comportamento delle truppe che occupano il 53% del territorio della Striscia, a loro volta assediate da Byron. Ai soldati al momento non è consentito tornare a casa per il congedo del fine settimana, almeno fino alla mattina. Sono vietate tutte le attività all’aperto, il movimento a piedi o a bordo di veicoli, l’addestramento alla navigazione e al mimetismo. Le attività di sicurezza sono ridotte all’essenziale, è vietato pernottare all’aperto, a meno che non sia necessario per «esigenze operative».
La prudenza dell’Idf non è servita a proteggere il campo profughi di Jabalia, situato nel nord di Gaza City. Una donna anziana è stata uccisa e cinque sono rimaste ferite dal fuoco di artiglieria israeliano. L’intervento delle squadre mediche è stato impedito dall’imperversare della tempesta.

In Italia quasi il 14% dei giovani in povertà assoluta, l’indagine di “Con i Bambini”

Tor Bella Monaca, periferia di Roma

Particolare preoccupazione desta la diffusione di comportamenti violenti tra gli adolescenti. L’indagine osserva come “la narrazione mediatica sia passata dal raccontare i casi di violenze di gruppo tra coetanei attraverso l’etichetta di “baby gang” al fenomeno, impropriamente definito, dei “maranza”
Alessandro Guarasci – Citta del Vaticano

Il futuro di tanti bambini e adolescenti in Italia rischia di essere compromesso. Molti giovani continuano a rappresentare la fascia d’età più esposta alla povertà assoluta (13,8%, a fronte di una media nazionale del 9,8%). Nel 2024, in media, il 12,3% delle famiglie con figli minorenni si è trovato in un stato di indigenza; la percentuale sale al 16,1% per i nuclei residenti nei comuni centrali delle aree metropolitane. È quanto emerge dall’ultima indagine Con i Bambini – Openpolis, condotta in 14 comuni, capoluogo di città metropolitana.

Preoccupa l’abbandono scolastico degli adolescenti
Nonostante nel 2024, per la prima volta, la quota di giovani che abbandonano la scuola prima del diploma o di una qualifica sia scesa sotto il 10%, la situazione resta più critica nei contesti urbani. Rispetto alla media nazionale del 9,8%, l’incidenza più elevata si registra nelle aree densamente popolate, dove sfiora l’11%. Particolare preoccupazione desta la diffusione di comportamenti violenti tra gli adolescenti. L’indagine osserva come “la narrazione mediatica sia passata dal raccontare i casi di violenze di gruppo tra coetanei attraverso l’etichetta di “baby gang” al fenomeno, impropriamente definito, dei ‘maranza’. Dietro questa rappresentazione si trovano spesso ragazzi di seconda e terza generazione. Si tratta di ragazzi nati e cresciuti in Italia, italiani a tutti gli effetti, talvolta in conflitto con le famiglie ma in difficoltà nel trovare un proprio spazio nella realtà che li circonda”.

Marco Rossi Doria: situazione grave soprattutto nelle periferie
Per il presidente di Con i Bambini, Marco Rossi Doria “l’Osservatorio promosso da Con i bambini insieme a Openpolis evidenzia come nelle periferie italiane i giovani continuino a scontare inaccettabili disparità nell’accesso a servizi educativi, culturali e sociali. Le ultime analisi mostrano concentrazioni più elevate di povertà educativa, una minore disponibilità di spazi aggregativi e un’offerta formativa e opportunità occupazionali minori e meno diversificate rispetto alle aree protette. Sono sempre più urgenti politiche pubbliche per creare sviluppo integrato di produzione di beni e servizi, comunità energetiche, esperienze di comunità e di coesione sociale insieme al sostegno alle comunità educanti che già uniscono scuole, terzo settore, luoghi dello sport, parrocchie, municipalità, volontariato, famiglie. L’esperienza delle buone pratiche diffuse ci dice che le nuove politiche pubbliche devono unire investimenti dello stato che devono crescere e risorse e azioni improntate alla sussidiarietà come dice l’articolo 118 della Costituzione”. In città come Catania, Napoli e Palermo, circa il 6% delle famiglie si trova in potenziale disagio economico.

Fondamentale il lavoro di scuole e Terzo Settore
Per contrastare questa tendenza, serve facilitare le condizioni familiari, l’accesso all’istruzione, il ruolo della scuola e della comunità educante, insieme alla necessità di rafforzare presidi educativi, sociali e culturali nei territori più fragili, in particolare nelle periferie urbane. “Le periferie non sono soltanto luoghi fisici, ma il punto in cui si concentrano fragilità sociali, carenze infrastrutturali e, allo stesso tempo, straordinari talenti e potenzialità spesso inespresse- spiegano il presidente e il segratario della Commissione parlamentare periferie Alessandro Battilocchio e Andrea De Maria – Come Commissione parlamentare sulle Periferie riteniamo fondamentale ascoltare chi ogni giorno opera sul territorio: scuole, associazioni, educatori, amministrazioni locali, realtà del terzo settore. Il lavoro portato avanti da Con i Bambini dimostra quanto sia possibile costruire percorsi educativi e comunitari capaci di cambiare il destino di tanti ragazzi”. Tra le città si registrano forti divari: oltre l’85% degli alunni delle primarie statali frequenta scuole con il tempo pieno in città come Milano, Firenze, Torino e Roma, mentre sono meno del meno del 10% a Reggio Calabria e Palermo.

Vatican News

Benigni e San Pietro, quando il Vangelo si diffonde con il linguaggio degli artisti

Il monologo di Roberto Benigni "Pietro - Un uomo nel vento"

Il monologo dell’attore toscano sul primo degli Apostoli, in onda ieri 10 dicembre su Rai Uno e co-prodotto dal Dicastero per la Comunicazione, ha registrato quasi 4 milioni di spettatori e il 24,4% di share. Paolo Ruffini: monologo commovente, la storia di Pietro è la nostra

Vatican News

C’è una frase che può sintetizzare Pietro – Un uomo nel vento, lo stupendo monologo di Roberto Benigni andato in onda ieri sera su Rai Uno e co-prodotto da Vatican Media del Dicastero per la Comunicazione: “Le cose più importanti della vita non si apprendono e non si insegnano, si incontrano”. È questa, in fondo, la realtà del cristianesimo. La fede cristiana non è innanzitutto un insieme di dottrine, di filosofie, di regole morali, ma l’incontro con Qualcuno che è vivo e presente. Il Vangelo è costellato di incontri, lungo le strade polverose, sulle rive del lago di Tiberiade, nei crocicchi, là dove si svolge la vita ordinaria delle persone.

Gli ascolti

Notevole il risultato degli ascolti: la sera del 10 dicembre il monologo dell’attore toscano è stato il programma più visto e ha registrato 3.968.000 spettatori e il 24,4% di share, con punte di ascolto di oltre 4 milioni e 900 mila spettatori (superiori al 27% di share). Nei mercoledì di novembre-dicembre Rai Uno oscilla generalmente tra 15,5% e 18%, con platea 2,6–3,1 milioni, mentre la serata Benigni del 10 dicembre rappresenta un salto netto sia in spettatori che in share.

Una storia d’amore

Benigni, in due ore ininterrotte – un racconto avvincente, con qualche garbato spazio all’ironia e un crescendo di commozione – ci ha raccontato una storia d’amore. Quella della vita di un uomo semplice, irruento, debole al punto da tradire per paura il Maestro nel momento in cui era più solo e nelle mani dei suoi aguzzini. Pietro è così, è come tutti di noi. Pietro è uno di noi. E la sua storia straordinaria ci insegna la forza della debolezza: non è stato un Superuomo, ma si è fidato dello sguardo e della chiamata di Gesù, ha riconosciuto il suo tradimento, ha pianto, ed è stato perdonato.

Diffondere il Vangelo attraverso il linguaggio degli artisti

Colui che è stato scelto come fondamento della Chiesa è un peccatore perdonato che ha scommesso tutta la sua esistenza su quell’Uomo che gli ha detto di essere “Via, Verità e Vita”. È per questo che la Chiesa, duemila anni dopo, continua ad esistere, mentre gli imperi che al tempo di Gesù sembravano invincibili, sono stati spazzati via. Il monologo di Benigni ci dice che anche oggi – o forse soprattutto oggi – abbiamo bisogno del genio e del linguaggio degli artisti per diffondere il messaggio evangelico e raggiungere chi è lontano.

Ruffini: monologo sorprendente

Il prefetto del Dicastero per la Comunicazione Paolo Ruffini evidenzia in una dichiarazione il grande valore della performance ed esprime gratitudine a chi ne ha sostenuto e condiviso la realizzazione. “Credo che oggi tutti dobbiamo un ringraziamento a Roberto Benigni per il suo monologo straordinario, sorprendente, commovente, su San Pietro. E naturalmente alla Rai per aver in questo anno giubilare raccolto e vinto la sfida di dedicare una prima serata di Rai 1 al racconto della vita straordinaria dell’apostolo Pietro. A Stand by me per aver prodotto, con Vatican Media e il Dicastero per la Comunicazione – grazie alla collaborazione del Governatorato della Città del Vaticano e alla Santa Sede – una bella pagina di televisione, con l’amore che gli artigiani mettono nel proprio lavoro, dove ogni pezzo è diverso dall’altro. Ai quasi quattro milioni di italiani che hanno visto il monologo in tv, rivivendo così la bellezza di una storia universale e della televisione come strumento di cultura”. Per Ruffini c’è “bisogno di ritrovare la memoria per ritrovare noi stessi, per riscoprire la nostra bellezza fragile. E però grande. Misteriosamente capace di rigenerarsi. Come la storia di Pietro. La storia di Pietro – conclude – è la nostra storia. La nostra storia dimenticata, tradita, rinnegata. Ma alla fine ritrovata”.

La soddisfazione della Rai e di Stand by me

Per l’amministratore delegato della Rai Giampaolo Rossi, la serata con Benigni è stata “un grande viaggio spirituale, percorso laicamente, nella figura cardine della Chiesa” e assieme “un’importante pagina di servizio pubblico” della tv di Stato sul versante della cultura. Analogamente Simona Ercolani, amministratrice delegata e direttrice creativa di Stand by me, ha definito il progetto “complesso e profondamente significativo”. La “sinergia tra tutte le realtà coinvolte ha permesso – ha affermato – di creare un contenuto capace di incantare un pubblico vasto e trasversale”.

Per rivedere il monologo

Tutti coloro che ieri sera non hanno potuto vederlo possono trovarlo a questo LINK su Rai Play.

Il Papa: l’archeologia cristiana, vocazione e forma di amore per la Chiesa e l’umanità

Catacombe di San Sebastiano lungo la via Appia Antica

Nella Lettera apostolica sull’importanza dell’archeologia e in occasione dei 100 anni dalla fondazione del Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana, Leone XIV ricorda che questa disciplina testimonia che Dio si è fatto carne e che la salvezza ha lasciato impronte: “È memoria viva, ministero di speranza che conduce al Mistero”
Benedetta Capelli – Città del Vaticano – Vatican News

Scavare, toccare i reperti, ritrovare l’energia del tempo, nel lavoro dell’archeologo cristiano non c’è però solo la materia ma anche l’umano: le mani che hanno forgiato i resti rinvenuti, “le menti che li hanno concepiti, i cuori che li hanno amati”. È una delle caratteristiche dell’archeologia cristiana che il Papa evidenzia nella Lettera apostolica sull’importanza dell’archeologia in occasione del centenario del Pontificio Istituto di Archeologia cristiana, pubblicata oggi, 11 dicembre.

Rendere visibile il Mistero
Materia e mistero: sono le due direttrici che si intersecano nell’archeologia cristiana perché “il cristianesimo – evidenzia Leone XIV – non è nato da un’idea, ma da una carne”, da un grembo, un corpo, un sepolcro. La fede cristiana, infatti si fonda su “eventi concreti, su volti, su gesti, su parole pronunciate in una lingua, in un’epoca, in un ambiente. È questo che l’archeologia rende evidente, palpabile”. Ricorda poi che “Dio ha scelto di parlare in una lingua umana, di camminare su una terra, di abitare luoghi, case, sinagoghe, strade”. Per questo, in un tempo in cui si ricorre all’Intelligenza Artificiale, si studiano le galassie ha ancora senso investigare. “Non si può comprendere fino in fondo la teologia cristiana – scrive il Papa – senza l’intelligenza dei luoghi e delle tracce materiali che testimoniano la fede dei primi secoli”.

Nulla è insignificante
L’archeologia e la teologia si intrecciano quindi nel lavoro dell’archeologo, alla base c’è una spiccata sensibilità a maneggiare con cura “materiali della fede”. “Scavando tra le pietre, tra le rovine, tra gli oggetti, essa – spiega il Pontefice – ci insegna che nulla di ciò che è stato toccato dalla fede è insignificante”. Ogni piccola testimonianza merita attenzione, non va scartata, così l’archeologia “è una scuola di sostenibilità culturale e di ecologia spirituale”, di “educazione al rispetto della materia, della memoria, della storia”. Non si butta via nulla, si conserva, si decifra perché dietro ogni reperto c’è “il respiro di un’epoca, il senso di una fede, il silenzio di una preghiera. È uno sguardo – sottolinea il Papa – che può insegnare molto anche alla pastorale e alla catechesi di oggi”.

L’archeologia alleata della teologia
Nuove informazioni poi si possono ricavare dagli strumenti tecnologici più raffinati e pertanto ogni materiale può restituire significati profondi. “L’archeologia, in questo, è anche scuola di speranza”. Riferendosi alla costituzione apostolica Veritatis gaudium di Papa Francesco, Leone XIV ricorda che l’archeologia, insieme alla Storia della Chiesa e alla Patrologia, deve far parte delle discipline fondamentali per la formazione teologica. L’archeologia infatti non parla solo di cose, ma di persone, “aiuta a comprendere come la rivelazione si sia incarnata nella storia, come il Vangelo abbia trovato parole e forme dentro le culture”. Pertanto una teologia che accoglie l’archeologia “è una teologia che ascolta il corpo della Chiesa, che interroga le sue ferite, che legge i suoi segni, che si lascia toccare dalla sua storia”. Ed è anche una forma di carità perché “è un modo per far parlare i silenzi della storia, per restituire dignità a chi è stato dimenticato, per riportare alla luce la santità anonima di tanti fedeli che hanno fatto la Chiesa”.

La missione evangelizzatrice
Compito dell’archeologia è anche quello di evangelizzare, di aiutare la Chiesa a custodire la memoria viva dei suoi inizi, a narrare la storia della salvezza anche con le immagini, le forme e gli spazi. “In un tempo che spesso smarrisce le radici, l’archeologia – afferma il Papa – diventa così strumento prezioso di un’evangelizzazione che parte dalla verità della storia per aprire alla speranza cristiana e alla novità dello Spirito”. Guardando al modo in cui il Vangelo è stato accolto nel passato c’è lo sprone a diffonderlo nell’oggi, parlando ai lontani ma anche ai giovani che cercano autenticità e concretezza. L’archeologia, sottolinea Papa Leone, è uno “strumento potente di dialogo; può contribuire a creare ponti tra mondi distanti, tra culture diverse, tra generazioni; può testimoniare che la fede cristiana non è mai stata una realtà chiusa, ma una forza dinamica, capace di penetrare nei tessuti più profondi della storia umana”.

Memoria viva e riconciliata
Una forza dell’archeologia è anche quella di far intuire la forza di un’esistenza che trascende i secoli, che oltrepassa la materia ed ha una rilevanza specifica nella teologia della Rivelazione. Illumina infatti i testi con le testimonianze materiali, interroga le fonti, le completa, apre a nuove domande e pertanto una teologia fedele alla Rivelazione “deve – per il Papa – restare aperta alla complessità della storia” fatta di sfide, conflitti, momenti di splendore e di buio. Non è un caso, spiega il Pontefice, che ogni approfondimento del mistero dela Chiesa sia un ritorno alle origini, essa si rinnova infatti quando si interroga su ciò che la definisce in profondità. Non è un culto del passato, sia chiaro, ma “memoria viva”, “capacità di far parlare il passato al presente. È sapienza nel discernere ciò che lo Spirito Santo ha suscitato nella storia. È fedeltà creativa, non imitazione meccanica”. Pertanto può nascere da qui un linguaggio comune, “una memoria riconciliata” capace di riconoscere la pluralità di voci, l’unità nella diversità, diventando così “luogo di ascolto, spazio di dialogo, strumento di discernimento”.

Non un sapere elitario
Il Papa ricorda la fondazione del Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana nel 1925 da parte di Pio XI, nel Giubileo della pace, mentre il centenario cade nel Giubileo della speranza. Una coincidenza che può offrire orizzonti nuovi all’umanità scossa da tante guerre. La fondazione avvenne in un clima incerto del dopoguerra, con coraggio e lungimiranza: un gesto – afferma il Pontefice – che interpella per comprendere oggi che essere fedeli allo spirito fondativo significa non chiudersi in un sapere elitario ma “condividere divulgare, coinvolgere”. Fondamentale in tal senso la comunione con le altre istituzioni che si occupano di archeologia come la Pontificia Accademia Romana di Archeologia, la Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, la Pontificia Accademia Cultorum Martyrum, il Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana. “Anche il rapporto con l’Oriente cristiano – sottolinea il Papa – può trovare, nell’archeologia, un terreno fecondo. Le catacombe comuni, le chiese condivise, le pratiche liturgiche analoghe, i martirologi convergenti: tutto questo costituisce un patrimonio spirituale e culturale da valorizzare insieme”.

Ministero di speranza
“La Chiesa è chiamata a educare alla memoria e l’archeologia cristiana è uno dei suoi strumenti più nobili per farlo. Non per rifugiarsi nel passato, ma per abitare il presente con coscienza, per costruire il futuro con radici”. L’archeologia in tal senso “è un ministero di speranza” perché, spiega Leone XIV, mostra che “la fede ha resistito alle persecuzioni, alle crisi, ai cambiamenti”, rinnovandosi, reinventandosi, fiorendo in forme nuove. “Il Vangelo ha sempre avuto una forza generativa”, la Chiesa è sempre rinata, la speranza non è mai venuta meno. Infine l’appello del Papa a portare avanti un lavoro prezioso, rigoroso, da trasmettere con passione. “L’archeologia cristiana è un servizio, è una vocazione, è una forma di amore per la Chiesa e per l’umanità. Siate fedeli al senso profondo del vostro impegno: rendere visibile il Verbo della vita, testimoniare che Dio ha preso carne, che la salvezza ha lasciato impronte, che il Mistero si è fatto narrazione storica”.

Parola di Dio del giorno 12 Dicembre 2025

Dal libro del profeta Isaia
Is 48,17-19

Così dice il Signore, tuo redentore,
il Santo d’Israele:
«Io sono il Signore, tuo Dio,
che ti insegno per il tuo bene,
che ti guido per la strada su cui devi andare.
Se avessi prestato attenzione ai miei comandi,
il tuo benessere sarebbe come un fiume,
la tua giustizia come le onde del mare.
La tua discendenza sarebbe come la sabbia
e i nati dalle tue viscere come i granelli d’arena.
Non sarebbe mai radiato né cancellato
il suo nome davanti a me».

Vangelo del Giorno

Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 11,16-19

In quel tempo, Gesù disse alle folle:
«A chi posso paragonare questa generazione? È simile a bambini che stanno seduti in piazza e, rivolti ai compagni, gridano:
“Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non vi siete battuti il petto!”.
È venuto Giovanni, che non mangia e non beve, e dicono: “È indemoniato”. È venuto il Figlio dell’uomo, che mangia e beve, e dicono: “Ecco, è un mangione e un beone, un amico di pubblicani e di peccatori”.
Ma la sapienza è stata riconosciuta giusta per le opere che essa compie».