«IA a scuola: ma a cosa serve insegnare, oggi?»

In un mondo in cui l’Intelligenza artificiale (IA) risponde in pochi secondi a qualsiasi domanda, che senso ha ancora insegnare?

Serve ormai una didattica che aiuti gli studenti a comprendere i problemi da cui nasce il sapere. La conoscenza non è più un fine, ma uno strumento per pensare, agire, scegliere.

Serve una scuola che non trasmetta solo nozioni, ma valorizzi la complessità del sapere e coltivi lo spirito della ricerca.

Solo così prepareremo i giovani al futuro. Un futuro che non ha bisogno di risposte facili, ma di menti che sappiano fare domande.

ENRICO FORTUNATO

Un bagaglio di conoscenze occorre sempre. Il pensiero critico si costruisce su una base culturale solida, sennò resta sterile esercizio di retorica. Certo, la questione dell’IA a scuola non è di poco conto.

Mi sembra, però, che questo barcamenarsi tra gli scogli di Scilla (competenze) e Cariddi (conoscenze) non sia semplice da risolvere, visto anche i continui dibattiti sul valore delle prove Invalsi.  Comunque per gli obiettivi da raggiungere si devono sempre costruire adeguate prove di verifica.

Ha ancora senso oggi, allora, dare a casa compiti che si possono fare agevolmente con l’IA? Meglio sarebbe forse usare la c.d. “classe capovolta” (flipped classroom), con lezioni a casa (con video) e facendo poi le verifiche a scuola per controllare che non si copi. Fa molto pensare, infine, riguardo al futuro ruolo della scuola, un dato statistico rispetto all’IA: ben il 75% dei ragazzi è autodidatta, e solo l’11% ha ricevuto una formazione scolastica o universitaria.

Lettera e risposta tratte da Famiglia Cristiana

Case, civili, tende: tutta Gaza nel mirino. Stragi negli ospedali

La fuga di migliaia di palestinesi di Gaza City, lungo al-Rashid Road, verso il sud – Abaca/Ramez Habboub
Il Manifesto

Tutto è diventato un obiettivo a Gaza City. Ospedali, campi profughi, tende, case e strade. Tutti sono diventati un obiettivo, centrati dalle bombe, colpiti dai droni, dagli spari che arrivano dagli aerei e dai mezzi militari. «I carri armati mi stanno seguendo», ci ha detto Ali Tayeh, dal nord-est della città. «Sono a un chilometro e mezzo». È la sensazione che tutti provano in queste ore, è quello che fa l’esercito, segue gli spostamenti della popolazione, bombarda e uccide, distruggendo poi tutto ciò che si trova alle spalle di chi fugge, perché non provi neanche a guardarsi indietro.

«IERI NOTTE – continua Ali – siamo stati attaccati dall’artiglieria e dagli aerei in modo massiccio e intenso, senza precedenti. Non siamo riusciti a chiudere occhio. Il rumore delle esplosioni e dei proiettili era troppo forte». Sono le ultime cose che ci ha scritto prima del blackout delle comunicazioni che da ieri avvolge tutta Gaza, specialmente le aree al nord.

Israele ha bombardato le infrastrutture di telecomunicazione e distrutto la principale rete di fibra ottica. La disperazione diventa più buia e insondabile quando si perde ogni possibilità di comunicare con il resto del mondo. «Al momento sono per strada, senza riparo, senza acqua e senza nemmeno una connessione internet. Sono riuscita a malapena a prendere un po’ di segnale», ci ha detto Lina Abu Zayed, che ha scritto diversi articoli dalla Striscia per il manifesto. «La torre dove vivevo è stata bombardata. La mia casa è stata distrutta e mio padre è rimasto ferito. Ho portato con me solo il telefono e una cartella con i documenti. Ho paura».

LE BOMBE sono state sganciate anche sul campo profughi di Shati, tra le tende lungo la costa, uccidendo un bambino e sua madre. E poi è stata attaccata in maniera massiccia l’area a sud-ovest, dove migliaia di residenti sfollati si erano rifugiati. A Sheikh Radwan un drone ha colpito un gruppo di persone che camminavano per strada. Un ragazzo, ferito, ha filmato i suoi ultimi momenti di vita, che ha impiegato per chiedere perdono a sua madre. Neanche gli ospedali sono stati risparmiati. L’area antistante lo Shifa è stata attaccata senza nessun preavviso.

Chi è giunto sul posto per primo ha registrato l’orrore dell’ennesimo massacro di civili. Bambini, uomini, donne: almeno tredici persone ammazzate. Le immagini mostrano i padri fuggire con i figli feriti tra le braccia e lasciarli cadere all’improvviso, sotto il peso insopportabile delle proprie ferite. I corpi sono stati adagiati tutti all’esterno dell’ospedale. Una fila di sangue e brandelli di carne. Anche il complesso Al-Sahaba, specializzato in servizi medici per donne e bambini sotto i dieci anni, è stato attaccato. Prima della guerra era l’unico ospedale ad avere uno staff tutto al femminile.

Le bombe hanno colpito un gruppo di persone che si trovava nei pressi della struttura, uccidendone tre e ferendone undici. Nella notte tra martedì e mercoledì, Israele ha attaccato l’ospedale pediatrico al-Rantisi.

TRE MISSILI hanno colpito, consecutivamente, i piani alti della struttura che ospitava circa 80 pazienti. La metà ha lasciato l’ospedale per mettersi in salvo. Altri 40 assistiti sono rimasti, insieme a 12 ricoverati in terapia intensiva e 30 membri dello staff. Il ministero della salute di Gaza ha dichiarato che Israele impedisce «deliberatamente» all’Organizzazione mondiale della sanità di portare carburante negli ospedali del nord. Pochi giorni fa Israele ha chiuso il valico di Zikim. Era l’unico passaggio possibile per il carburante e quel po’ di cibo ancora gestito dalle organizzazioni internazionali.

LE NAZIONI UNITE (Ocha) e l’ong umanitaria Oxfam hanno dichiarato che si rischia di esaurire completamente cibo, medicine e benzina in tutto il nord di Gaza, specialmente nell’area in cui centinaia di migliaia di persone vivono già la carestia. Il valico di Zikim è stato chiuso il 12 settembre e da allora Israele non ha permesso a nessuno di trasportare forniture.

In mezzo a questo orrore scatenato e riversato da Tel Aviv su Gaza, l’agenzia israeliana che gestisce le attività di Tel Aviv nei territori palestinesi occupati (Cogat) ha rilanciato il proposito della pulizia etnica. Dopo aver reso Gaza invivibile, il capo del Cogat, con spregevole sfrontatezza, si è rivolto agli abitanti: «Molte ambasciate in tutto il mondo ci contattano per tuo conto e chiedono di riceverti nei loro Paesi. Continueremo a coordinare ulteriori evacuazioni». Sembra incredibile riuscire a fingere magnanimità mentre si lavora a un genocidio. Gli aerei hanno bombardato la città più di 150 volte negli ultimi giorni, prima che i soldati avanzassero con i carri armati. Secondo i canali israeliani, in 24 ore l’esercito ha distrutto 25 edifici.

MENTRE vengono ammazzate in un giorno 98 persone, il ministro delle finanze Bezalel Smotrich si sfrega le mani, immaginando i profitti che Israele potrebbe trarre dalle macerie. «La Striscia sta diventando una miniera d’oro immobiliare», ha dichiarato, spiegando che il piano è già in discussione con gli Usa. «Abbiamo pagato molti soldi per la guerra – ha continuato Smotrich – Dobbiamo decidere come dividere le quote di terreno a Gaza. La fase di demolizione è sempre la prima fase del rinnovamento urbano. L’abbiamo fatto, ora dobbiamo iniziare a costruire».