Chiesa di Santo Stefano REGGIO EMILIA Domenica 24 novembre 2024, ore 21 Corale Il Gigante di Villa Minozzo per “Soli Deo Gloria”

Chiesa di Santo Stefano • REGGIO EMILIA • Domenica 24 novembre 2024, ore 21

Corale Il Gigante di Villa Minozzo • Federico Bigi Ewerhart organo • Andrea Caselli direttore

PROGRAMMA

Don Savino Bonicelli compositore
Dalla natia Costabona al periodo del seminario di Albinea e Marola, agli studi di Roma, al ministero pastorale di Villa Minozzo

Girolamo Frescobaldi (Ferrara, 1583 – Roma, 1643)
Canzon dopo l’Epistola
da Fiori Musicali per organo (1635)
Anonimo
Umil Madonna
preghiera del maggio di Costabona
elaborazione di Andrea Caselli
Johann Sebastian Bach (Eisenach, 1685 – Lipsia, 1750)
Adagio BWV 974
trascrizione per tastiera dall’originale concerto per oboe in re minore di Alessandro Marcello (1673-1747)
Don Savino Bonicelli (Costabona 14 luglio 1903 – Villa Minozzo 7 gennaio 1983)
Iste Confessor
inno dei Vespri nell’Ufficio del Comune dei Confessori pontefici e non pontefici (Albinea, 1929)
Diffusa est gratia
antifona a due voci bianche e organo (Marola)
Ave Maria in italiano
a 4 voci a cappella (1934)
Guglielmo Mattioli (Reggio Emilia, 1857 – Bologna, 1924)
Preludio n. 5
da 30 pezzi per organo di media difficoltà, op. 163
Ave maris Stella
inno a 4 voci a cappella (1936)
Angeli e pastori
pastorale natalizia a 4 voci (Villa Minozzo, 1950)
Inno alla Madonna di Bismantova
per voce solista e organo (11 febbraio 1963)
Guglielmo Mattioli
Elevazione
da 12 sonatine per organo, circa 1889
Agnello di Dio
dalla Messa Cantata in Italiano per coro e organo (1965)
Spirito di Dio
corale a 4 voci e organo (Villa Minozzo)
Credo in te Signor
corale a 4 voci e organo (1981)
Guglielmo Mattioli
Ripieno
da 12 sonatine per organo, circa 1889

Si ringrazia Don Luca Grassi per la disponibilità e la preziosa collaborazione

INFO| Chiesa di Santo Stefano – via Emilia Santo Stefano 30 – REGGIO EMILIA
Ingresso gratuito senza prenotazione, limitato ai posti disponibili
Scarica il programma di sala

GLI INTERPRETI

Corale “Il Gigante” di Villa Minozzo

Il Coro, a formazione mista, si costituisce a Villa Minozzo (RE) nel 1996 sotto la guida del maestro Simone Ivardi-Ganapini, per volontà di alcuni coristi i quali, avendo maturato esperienze in altri cori, decidono di formare un proprio gruppo vocale locale. Il coro inizia subito ad avere una propria identità, inserendo nel proprio repertorio molti canti ricercati nel territorio, arrangiati ed elaborati dal suo direttore. Il Coro, associato A.E.R.Co. (Associazione Emiliano-Romagnola Cori), si è esibito in diverse località italiane, partecipando a rassegne e concerti. Dal 2007 la direzione è affidata al M° Andrea Caselli, il quale ha proseguito l’opera del suo predecessore ampliando il repertorio con canti della tradizione emiliana con sue elaborazioni e con uno sguardo anche a composizioni d’autore. Parallelamente al repertorio popolare, il coro si dedica anche alla musica sacra proponendo sia in concerto e sia in cerimonie liturgiche, musiche sacre di vari autori ma in particolare quelle del sacerdote compositore villaminozzese Don Savino Bonicelli (1903-1983) in collaborazione con “I fiati di Villa” ottetto strumentale di ottoni e legni. Dal 2002 è organizzatore e promotore della rassegna corale nella quale ospita cori e formazioni vocali provenienti da tutta Italia. Nel 2016 nell’occasione del ventennale di fondazione il coro ha avuto come ospite nella propria rassegna corale Villaminozzese la compagine corale “I Crodaioli” diretta e fondata dal musicista e compositore Bepi de Marzi. Il Coro ha collaborato con la band Nuvole Barocche, tributo a Fabrizio de André, nell’esecuzione integrale dell’album del cantautore genovese, “La buona novella”. Nell’ottobre 2018 la corale su invito della Cappella musicale pontificia, ha animato la S. Messa prefestiva in San Pietro con musiche di Don Savino Bonicelli, il quale proprio a Roma dal 1939 al 1943 frequentò l’istituto e si diplomò in canto gregoriano al Pontificio Istituto di Musica Sacra.

Federico Bigi Ewerhart

Nato a Reggio Emilia, è organista titolare nella chiesa dei Ss. Donnino e Biagio in Rubiera (RE) e organista contitolare nella chiesa di San Francesco da Paola in Villa Ospizio (RE). Ha al suo attivo diversi concerti, in Italia e all’estero (Vienna, Basilea, …) in veste sia di solista, sia di accompagnatore di Ensemble corali e strumentali, sia di corista [Cappella Musicale di San Francesco da Paola di Reggio Emilia, Schola Cantorum Sancta Caecilia di Correggio (RE), Coro Mavarta di Sant’Ilario d’Enza (RE) e altri]. Esercita, da diversi anni, l’attività di restauratore e di costruttore di organi a canne nel laboratorio del padre Pierpaolo, assumendone, a pieno titolo, la conduzione della ditta in Castellazzo (RE). Nel marzo 2024 ha conseguito il Diploma Accademico di I Livello in Organo presso il Conservatorio “Achille Peri – Claudio Merulo” di Reggio Emilia e Castelnovo ne’ Monti (RE) sotto la guida del M° Renato Negri. Da novembre ’24, presso lo stesso Conservatorio, frequenta la classe di Organo del M° Renato Negri per il conseguimento della Laurea Magistrale di II livello.

Andrea Caselli

Nel 1978 Inizia gli studi musicali con il M° Anselmo Guidetti presso la scuola della banda civica di Cavola RE; nel 1994 frequenta l’Istituto Musicale C. Merulo di Castelnovo Monti studiando pianoforte. Ha partecipato a corsi di direzione corale, tecnica vocale ed interpretazione con i Maestri: G. Vacchi, U. Rolli, M. Uberti C. Chiavazza. Ha studiato canto con Cristina Calzolari e Gianfranco Boretti. Ha cantato nel Coro Polifonico di Reggio Emilia diretto da Giuliano Giaroli, e come solista in produzioni musicali del periodo barocco (formazioni solistiche madrigalistiche). Ha cantato nell’Ensemble Vocale “Loquebantur” interpretando musica polifonica sacra e profana dal ‘400 al ‘700, nel trio vocale francese “Paroplapi”, gruppo vocale a cappella che propone musiche tradizionali e di autori contemporanei in lingua occitana esibendosi in Francia Belgio e USA. È stato direttore del Coro Matildico Val Dolo di Toano (RE) dal 1994 al 2009. Ha tenuto corsi d’indirizzo musicale in canto e pianoforte presso scuole primarie e superiori della provincia. Nel 2004 ha curato l’edizione di un libro di ricerca musicale dal titolo “Dei Montanari il Canto”: un saggio di ricerca musicologica sulle tradizioni del canto popolare e d’ispirazione religiosa della media vallata del Secchia. Dal 2007 dirige la corale il Gigante di Villa Minozzo (RE) suona il pianoforte nel gruppo “Nuvole Barocche”, cover di Fabrizio de André. Nel luglio 2007 e 2008 ha seguito in Inghilterra un masterclass di canto con il soprano inglese Evelin Tubb presso la Dartington International Summer School nel Devonshire (UK). Nel 2012-2013 ha partecipato come solista in alcune produzioni concertistiche, tra le quali la Messa dell’Incoronazione di W. A. Mozart, Messa di Santa Cecilia di C. Gounod. Si è occupato del riordino e catalogazione delle musiche di Don Savino Bonicelli e del maestro Giuliano Giaroli. Nel 2013 con l’ensemble vocale “la Cantoria” nell’ambito della rassegna concertistica Soli Deo Gloria, ha eseguito in prima esecuzione in tempi moderni, il Miserere di Marc’Antonio Ingegneri, a dieci voci in due cori, curato e trascritto dalle stampe antiche del 1588. Sempre con lo stesso gruppo vocale e strumentale, nel maggio 2014 ha proposto al pubblico locale la Messa del Moro del compositore fiorentino Pietro del Moro scritta per coro maschile e strumenti a fiato. Ha collaborato inoltre con il coro della Cappella musicale di San Francesco da Paola in Reggio Emilia diretto dalla musicologa Silvia Perucchetti. Dal 2016 presta servizio occasionale nel coro della Cappella Musicale della Cattedrale di Reggio Emilia diretta dal M° Primo Iotti.

Fonte: Soli Deo Gloria

Libro su Coppia. Amore tossico, come riconoscerlo, come evitarlo

Tre storie per capire quando la relazione sta diventando soffocante e rischia di aprire la strada a forme di controllo e di possessività. Situazioni pericolose in cui la violenza è in agguato.
Amore tossico, come riconoscerlo, come evitarlo

Icp online

“Ciao Amore. Tre storie per salvarsi dalle relazioni tossiche” (Effatà Editrice) è l’ultimo libro di Nicoletta Musso Oreglia, mediatrice familiare, counselor professioni­sta, consulente in sessuologia, coordinatore genitoriale sistemico, accompagna coppie e singoli da venticinque anni. Con il marito Davide Oreglia – hanno cinque figli – amano definirsi artigiani delle relazioni. Si dedicano alla pastorale familiare tenendo corsi e incontri in tutta Italia. Sono anche attivi in rete con video, riflessioni e corsi online per singoli e coppie. Il libro, uscito ieri – e di cui per gentile concessione dell’editore proponiamo uno stralcio – aiuta a riflettere su quelle storie in cui uno dei componenti della coppia finisce dentro una situazione che lo cristallizza, lo immobilizza impoverendolo in modo inesorabile. Una sottrazione minuscola ma continua di piccole parti di stima, valore, capacità di generare progetti. È un avvelenamento lento che spegne una o più parti buone di chi lo subisce, ma forse anche di chi lo agisce. Sono situazioni su cui aprire gli occhi, per capire e prendere le distanze. Sia per chi vive queste vicende, sia per genitori ed educatori che dovrebbero avere a cuore l’educazione affettiva dei ragazzi.

Nel parcheggio del supermercato vicino a casa, Daniel e Giada si stanno baciando; non c’è più traccia della tensione che era presente fra di loro, o almeno così pare. Lui l’ha fatta sedere sulle sue gambe, lei ha la schiena contro il volante. Le accarezza i capelli e sussurra al suo orecchio: «Sei stata cattiva prima, sai che ho paura di perderti. Non puoi andare alla festa del diciottesimo di Luca: tu gli piaci, io lo so. Tutte le volte che ti guarda perde la testa. Se vai là, chissà cosa ti potrebbe accadere! Poi non ha nemmeno invitato me, quel cretino; in fondo, abbiamo fatto due anni di basket insieme!». Giada lo sta ascoltando e questo suo modo di fare, per la prima volta, non le piace. Si è sempre sentita amata da Daniel e non è neanche la prima volta che le parla in quel modo. All’inizio le piaceva molto avere accanto un ragazzo che le diceva che senza di lei si sentiva perso; è bellissimo! La prima volta che le ha fatto quella confessione si è sentita irresistibile, indispensabile, potentissima. È così che l’ha conquistata.

Quando si sono incontrati, all’inizio, Giada era andata a una festa per accompagnare una sua amica che voleva provarci con un ragazzo che le piaceva. Sofia era fatta così: quando si prendeva una cotta per uno, lo doveva seguire sui social e nella vita reale.

L’aveva implorata di non lasciarla da sola, di accompagnarla, perché se lei non fosse riuscita a vedere e a parlare con questo meraviglioso ragazzo, si sarebbe sentita morire. E quella era l’ultima occasione possibile! Poi l’anno scolastico si sarebbe concluso – era fine maggio – e lei avrebbe trascorso tutta l’estate a piangere per l’occasione persa. Così, Giada si era fatta convincere; tuttavia, appena arrivate alla festa, lei l’aveva persa di vista: Sofia, infatti, si era attaccata al migliore amico del ragazzo che aveva puntato e l’aveva completamente ignorata. Giada aveva pensato di tornarsene a casa, ma il passaggio i suoi gliel’avevano dato all’andata; al ritorno sarebbe dovuta rientrare con la mamma di Sofia, per poi dormire da lei. Per cui si era messa in un angolo, da sola, e lì le era venuto incontro Daniel, come un salvatore, e aveva attaccato bottone dicendo che si sentiva un pesce fuor d’acqua. Le era stato simpatico fin da subito; simpatico e dolcemente insistente. Si era fatto dare il numero di telefono e le aveva promesso che le avrebbe scritto il giorno dopo, perché non voleva perderla; e così era andata. Si era svegliata da Sofia con centoventisette suoi messaggi, in cui le diceva che l’aveva stregato e che se non lo avesse chiamato si sarebbe sentito perso; da lì era partita la loro storia. Ancora sente il cuore sbronzo di eccitazione se pensa a quella mattina: Sofia era triste, perché non aveva rimediato neppure un sorriso dal suo tizio, e lei, invece, era sommersa di attenzioni da questo Daniel.

«Per un amore così si deve pur essere disposti a qualche sacrificio», si era ripetuta fra sé e sé nei mesi successivi; ma ora, per la prima volta, il suo cuore era inquieto e, guardando Daniel a distanza di naso, si sentiva soffocare. «Ma tu credi che tutto il mondo voglia me? Sono bella, ma non così irresistibile. Dai, lo sai!», prova a scherzare Giada. «Tu sei più che irresistibile; sei fantastica! Mi sei entrata nella testa, nel cuore. Io ti amo. Ma quel Luca non mi piace e a me non va che tu vada a quella festa». «Ma alla festa non sarò mica sola: ci sarà tutta la mia classe e anche Sofia!», insiste. «Già, le tue compagne, buone quelle! Ma se sono solo tutte delle gatte morte invidiose, pure Sofia. Della sua affidabilità non me ne faccio nulla; è un’oca fatta e finita», continua Daniel che, mentre le sussurra queste cose, le ricopre il volto di baci. Lui fa così: sa dire cose durissime mentre fa cose dolcissime; quando la bacia così è stupendo stare sotto la sua pioggia gentile di amore, anche se le mani di lui sono saldamente ancorate al volante e le fanno come da sponde sicure, sì, ma irremovibili.

Giada inizia a sentirsi stretta e cerca di allontanarsi, ma lui la stringe ancora, in modo più avvolgente. Sentendo la forza delle braccia di Daniel, lei non può più resistere; non lo ha mai fatto.

«Lui non sa stare senza di me, mi vuole troppo» dice a sé stessa, anche se l’imbarazzo per la figura che le ha fatto fare nel teatro poco prima è ben stampata dentro di lei. Non è la prima volta che Daniel le urla addosso. Lui non è perfetto, o meglio, quando è dolce è meraviglioso; il problema sorge quando si arrabbia, e ultimamente capita spesso. «Però è così bello», si sorprende a pensare. «L’amore deve essere passionale, se no che amore è?», e lui, anche quando si arrabbia, è appassionato e si abbandona ai suoi baci. L’orologio suona la mezzanotte: «Dai, vai a casa. Io resto qua finché vedo la luce che si accende e si spegne in camera. Poi vado a casa anch’io».

Giada si risiede al posto del passeggero; si sistema i vestiti e i capelli, si volta verso di lui e sorride: «Buonanotte, amore», lo saluta. «Buonanotte, amore. Mi raccomando, subito a nanna! E quando la tua finestra sarà buia, saprò che stai dormendo. Non messaggiare la notte, che poi sei stanca domani e diventi lamentosa», e con questa regola che si erano dati – la notte non si chatta con nessuno – Giada varca il portone di casa, non prima di avergli lanciato un ultimo bacio.

Cinema. Bullismo, che fare? Genitori al bivio nel film “About Luis”

La regista Lucia Chiarla premiata al Tertio Millennio Film Fest di Roma: «Il problema è che la nostra società capitalistica è permeata di prevaricazione sui più deboli»
Una scena del film “About Luis” della regista Lucia Chiarla

Una scena del film “About Luis” della regista Lucia Chiarla

Il tema del bullismo solitamente viene affrontato puntando i riflettori, giustamente, sui ragazzini che ne sono vittime. Ma con una interessante cambio di prospettiva, la regista Lucia Chiarla in About Luis gira la cinepresa sui genitori, presi contropiede dalla scoperta di avere un figlio bullizzato, raccontandone lo spaesamento e l’angoscia. E poi allarga il campo per dimostrare che il bullismo, ovvero la prevaricazione sui più deboli, è essenza stessa della società contemporanea.

Sono tanti i livelli di lettura del bel film About Luis, premiata alla 28ma edizione del Tertio Millennio Film Fest, organizzato dalla Fondazione Ente dello Spettacolo, che si conclude questa sera al Cinema delle Provincie di Roma. La pellicola ha vinto la Menzione speciale della Giuria interreligiosa e il premio della Giuria Nuovi Sguardi composta dagli studenti della Facoltà di Scienze della comunicazione sociale dell’Università Pontificia Salesiana. Miglior film del Tertio Millennio Film Fest è invece stato votato dalla Giuria interreligiosa Songs of slow burning heart della regista ucraina Ohla Zhurba sulla guerra nel suo Paese. Infine il premio della giuria Sncci va a Il mio compleanno di Christian Filippi.

About Luis è una produzione tedesca girata in Germania dalla regista italiana che, dopo essersi diplomata alla Scuola d’Arte Dammatica Paolo Grassi di Milano, vive e opera a Berlino dove si era fatta notare sceneggiando e interpretando il film satirico Bye bye Berlusconi. About Luis, è la sua opera seconda come regista, ed è stato anche applaudito alla recente Festa del Cinema di Roma, aspettando una distribuzione italiana. Che sarebbe meritatissima perché il film tocca una degli argomenti più urgenti della nostra società, come purtroppo dimostra la cronaca quotidiana.

La regista, che incontriamo a Roma, ci spiega come si sia ispirata, riadattandolo per il cinema con molte integrazioni originali, l’opera teatrale The little pony scritta nel 2016 dall’autore spagnolo Paco Bezerra che è un intenso e drammatico dialogo fra due genitori che scoprono che il figlio di 10 anni a scuola viene perseguitato dai compagni a causa del suo zainetto preferito, decorato con un unicorno di strass, tratto dalla sua serie animata preferita. Nel film, con una trovata narrativa intelligente, la regista trasferisce la pièce prevalentemente dentro al taxi guidato da Jens (Max Riemelt) dove lui e la moglie Constanze (Natalia Rudziewick) riescono a incontrarsi e a dialogare per brevi momenti nelle loro vite indaffarate per poter tirare avanti. Lui impegnato in lunghi turni notturni, sempre più in difficoltà a causa della liberalizzazione e della concorrenza delle piattaforme stile Uber, lei architetto che si trova a fare orari assurdi nella speranza di venire assunta nello studio in cui lavora. Un giorno una telefonata che arriva dalla scuola sconvolge la loro routine: loro figlio Luis è stato aggredito dagli amichetti a causa della stravaganza del suo zainetto considerato poco maschile. Il preside della scuola consiglia ai genitori di acquistarne uno nuovo più conforme agli standard, ma la proposta provoca nella coppia un profondo conflitto: Luis dovrebbe conformarsi o imporsi combattendo per la sua unicità? Il bambino non si vede mai, ma lo si sente nelle telefonate, mentre inizia una battaglia verbale fra i genitori fatta sensi di colpa e accuse di fronte all’impotenza di proteggere il figlio quotidianamente maltrattato. Gli eventi porteranno, dopo un evento drammatico che sarà la svolta della pellicola, alla riscoperta del proprio valore di famiglia.

«Ho mantenuto due elementi portanti del testo teatrale: l’assenza di questo bambino e il fatto che i genitori hanno lo stesso obiettivo, fare uscire il bambino da una situazione complessa, ma lo affrontano in maniera diametralmente opposta, polarizzandosi – ci spiega Lucia Chiarla – . La madre vorrebbe spingere il figlio a conformarsi, mentre il padre vuole che lotti per affermare la sua personalità. Riuscivo ad identificarmi con entrambi, e questo sviluppa nell’opera una grandissima empatia». L’attualità sempre più pressante del bullismo nelle scuole ha fatto decidere la regista di portarlo sul grande schermo, in quanto cartina di tornasole della nostra società: «Volevo parlare di bullismo perché è così intrinseco nella nostra società restando nei panni dei genitori senza entrare in quella pornografia della violenza esibita – aggiunge – . Ho trasportato tutto in cinema cambiando completamente dialoghi e prospettiva sociale. In questo entrava molto la situazione lavorativa dei genitori: i genitori stessi vivono delle situazioni di mobbing, perché il padre tassista vive il mercato della nuova mobilità ed ha costantemente l’ansia di perdere il lavoro, e lei è una libera professionista, non ancora arrivata dove vorrebbe, e viene sfruttata dal suo capo». Il taxi, aggiunge la cineasta, creava così uno spazio claustrofobico in cui i personaggi si incontrano «in questa continua fretta in cui viviamo tutti, la claustrofobia del quotidiano per cui cui siamo tutti con l’acqua alla gola. I due genitori non riescono a capire il figlio perché non riescono a stare al passo con tutte le problematiche che li inseguono».

E’ tutto fuori controllo, anche nella scuola di Luis, dove si bada alle apparenze e si preferisce colpevolizzare la vittima. «Una scuola che non riesce a prendersi la responsabilità – spiega Chiarla -, perché la scuola stessa ha paura di ammettere il problema, e dà la responsabilità ai genitori o la addossa al bambino stesso e ai suoi comportamenti. Il bullismo è un problema globale: «Sicuramente è un problema globale nelle scuole, nel lavoro e, sempre più evidente, nella politica dove vediamo personaggi che si insultano a vicenda bullizzandosi. Sparano commenti personali per creare la dinamica del branco e individuare un nemico che la pensa diversamente”. Il bullismo è intrinseco al sistema e funzionale alla società, sostiene la nonna del piccolo Luis in un lucido e disincantato monologo. «In questa società così competitiva hai bisogno di avere persone che vincono e persone che perdono – chiarisce la regista e sceneggiatrice -. Se non ci fossero le persone che perdono la società non andrebbe avanti perché quelli che hanno paura di perdere, cascano nella rete dello sfruttamento e, in questo sistema capitalista, straproducono sempre più sfruttati». Il finale aperto, però, porta speranza. «Quello che è importante è che loro due si sono ritrovati, l’unico modo per salvare il figlio è di riconnettersi e di ricreare i ponti, i due decidono di restare insieme. L’unica cosa che possiamo fare in qualunque situazione è ricreare unità. Loro si sono allontanati a causa dello stress e neanche se ne sono accorti. Luis è salvifico in qualche modo perché attraverso il dramma loro due sono tornati a guardarsi».

Avvenire

Migranti. Minori non accompagnati, solo 1 su 5 va a scuola

Secondo una ricerca di Fondazione Ismu soltanto il 21% segue percorsi didattici capaci di dare un titolo di studio. La maggior parte frequenta corsi di alfabetizzazione.
Minori non accompagnati, solo 1 su 5 va a scuola

Ansa

Avvenire

Come sono inseriti i minori stranieri non accompagnati nel circuito scolastico-formativo italiano? Una domanda cruciale cui cerca di rispondere una approfondita ricerca condotta dal settore educazione di Fondazione Ismu Ets (e di cui si parlerà il 20 novembre in un webinar dalle 16.30 alle 18).
La premessa: su 3.399 MSNA censiti, i maschi rappresentano il 98,6% del campione. La componente numericamente più rilevante è composta da diciassettenni e neomaggiorenni (3/4 del campione), mentre i sedicenni sono pari al 18%. Quasi la metà del campione ha frequentato l’istruzione primaria (46%), il 28% l’istruzione secondaria e circa il 15% nessuna scolarizzazione (per l’8% la scolarizzazione non è nota e per il 3% è la scuola coranica).

Competenze linguistiche. Circa il 60% dei MSNA censiti parla almeno un’altra lingua oltre all’italiano, il 30% parla almeno due lingue straniere e il 7% tre lingue e più. Tra le lingue più parlate troviamo: arabo (1.194 sul totale del campione), albanese (546), bengalese (481), francese (407), inglese (385).

Provenienze. Il 35% del campione proviene dal Nord Africa, con una netta predominanza di egiziani (774) e tunisini (351). Segue il continente asiatico (circa 1/4 del campione totale), soprattutto Bangladesh (548) e Pakistan (265). Circa il 20% è originario dell’Africa subsahariana, in particolare: Gambia (167) e Costa d’Avorio (100), seguiti da Guinea, Somalia, Mali, Senegal. Infine, il 17% circa arriva da Paesi dell’Est Europa, soprattutto dall’Albania (531), con una piccola quota di kosovari (53).

Condizioni nel Paese di origine. Nel Paese di provenienza, quasi la metà era studente; il 19% studenti-lavoratori (19% circa), il 13% lavoratori. Fra i MSNA provenienti da Paesi Europei predominano gli studenti. I lavoratori e gli studenti-lavoratori rappresentano, invece, il 35% circa dei MSNA originari di Africa e Asia. I giovani in condizione di NEET, cioè giovani che non studiavano né lavoravano già in patria, sono oltre il 20% fra i subsahariani e gli asiatici.

Principali aree geografiche di accoglienza e inserimento in Italia. Circa 1/3 dei MSNA censiti è ospitato in un centro di prima accoglienza, i restanti 2/3 vivono in strutture di seconda accoglienza. Il 21% è ospitato in strutture di accoglienza collocate in Sicilia. Segue la Lombardia, con quasi il 14%. Nel complesso, le più alte concentrazioni di MSNA si trovano al Sud o in Sicilia (42%) e nelle regioni del Nord-Ovest (31%).

Il quadro sull’inserimento scolastico-formativo dei MSNA in Italia. La quota maggiore di MSNA è inserita in corsi di alfabetizzazione linguistica in Italiano L2 realizzati presso gli enti che li ospitano (per oltre il 45% del campione) oppure, in misura leggermente inferiore, presso i CPIA del territorio (40%). Nell’istruzione ordinaria, la presenza di MSNA è decisamente inferiore rispetto agli altri programmi di apprendimento considerati.

Esiti nei programmi di apprendimento. Il 67,9% dei MSNA ha concluso i programmi di apprendimento frequentati: nel complesso, quasi 500 MSNA del campione hanno ottenuto attestati di certificazione dei corsi di lingua italiana frequentati e circa 300 hanno conseguito la licenza di terza media (soprattutto nei CPIA, ma anche nella scuola secondaria di primo grado).

Integrazione nel sistema scolastico. Tra i MSNA censiti, risulta che solo un minore su cinque è integrato nel sistema scolastico italiano (21%), ovvero in percorsi frequentati da coetanei nativi e che offrono la possibilità di acquisire un titolo di studio. Anche considerando i corsi di primo/secondo livello presso i CPIA, solo il 18% è in questa condizione. Non trascurabile (9%) è infine la quota di MSNA non coinvolti in alcuna tra le attività educativo-formative, risultando fuori da ogni tipo di programma di apprendimento.

I minori che arrivano nel nostro Paese sono consapevoli dell’importanza di imparare la lingua e ricevere un’istruzione adeguata. “Senza lingua non puoi vivere” dice uno dei giovani intervistati dagli autori della ricerca. E un altro aggiunge: “Io penso che se tu hai la scuola, hai una qualificazione, tu puoi trovare lavoro, trovi lavoro dove vuoi”. Una convinzione che può e deve essere il punto di partenza di un efficace percorso di integrazione.

 

L’emergenza. Ben Mahmud, 28 anni, è l’ottantunesimo suicida nelle nostre carceri

L’ultima vita perduta è quella di un tunisino di 28 anni che si è impiccato a Genova Marassi. Aumentano le aggressioni. A Milano San Vittore sovraffollamento record
Il carcere di San Vittore a Milano, il più affollato d'Italia

Il carcere di San Vittore a Milano, il più affollato d’Italia – IMAGOECONOMICA

Dietro le sbarre si muore ancora. Sono 81 i suicidi di persone detenute dall’inizio dell’anno nelle carceri italiane. E 131 sono quelle decedute per altre cause: 212 vittime in tutto, un numero mai così alto dal 1992, e l’anno deve ancora finire. Nel tragico conto vanno aggiunti, inoltre, i 7 agenti di polizia penitenziaria che si sono tolti la vita negli ultimi dieci mesi. Un altro segno che al disagio e alla disperazione di chi vive “dentro” non è stata ancora data una risposta concreta.

L’ultima vita perduta è quella di Ben Mahmud Moussa, un tunisino di 28 anni che si è impiccato nella sua cella della Casa circondariale Marassi di Genova. Gli addetti alla sorveglianza hanno cercato di salvarlo ma è spirato in ospedale poche ore dopo. Fuori aveva un lavoro, faceva il pizzaiolo, ed era in cura per disturbi mentali. Arrestato in stato confusionale, all’udienza preliminare il suo legale aveva chiesto una perizia psichiatrica, che non è stata mai eseguita. E anche Ivan Domenico Lauria, 29 anni di Messina, recluso nell’istituto penale “Caridi” di Catanzaro (dove i tentati suicidi rilevati sono stati finora 84) ha cessato di vivere, per cause da accertare (il referto medico parla di arresto cardiocircolatorio) e aveva bisogno di essere seguito più da vicino a causa di patologie di carattere psichiatrico legate perlopiù alla tossicodipendenza e a una invalidità riconosciuta al 75%. “Sul corpo del ragazzo sono stati rilevati evidenti ematomi e ferite da taglio sanguinanti – afferma il difensore del giovane, avvocato Pietro Ruggeri – e la famiglia vuole vederci chiaro: abbiamo già presentato una denuncia e nominato un consulente per l’esame autoptico”.

“Sono oltre 15mila i ristretti oltre i posti disponibili e più di 18mila le unità mancanti alla Polizia penitenziaria. Qualsiasi azienda o organizzazione complessa sarebbe già fallita da tempo – commenta Gennarino De Fazio, segretario generale della Uilpa-Polizia penitenziaria -. Ma è chiaro, almeno a noi, che di questo passo anche il sistema penitenziario sprofonderà sempre più. Servono misure immediate per deflazionare la densità detentiva, adeguare concretamente gli organici della Polizia penitenziaria e riorganizzare, riformandolo, l’intero apparato”.

Tornando ai suicidi, risulta che la maggior parte riguarda detenuti tra i 26 e i 39 anni, come sottolinea la relazione diffusa ieri dall’ufficio del Garante nazionale delle persone private della libertà personale. E circa i due terzi dei reclusi che si sono tolti la vita erano accusati o erano stati condannati per reati contro la persona. L’istituto dove è avvenuto il maggior numero di suicidi è quello di Prato (4). Sconcertante è anche il numero delle aggressioni registrato dal 1° gennaio 2024 a oggi: sono state 5.094, ovvero 392 in più rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Di queste, quasi 2.000 sono state quelle contro agenti di polizia penitenziaria, anch’esse in sensibile aumento. Sei le rivolte dietro le sbarre (erano state 2) e 1.842 i tentati suicidi (126 in più).

Va ricordato, infine, il tasso di affollamento delle strutture carcerarie, con punte che superano il 200% a Milano San Vittore e nella Casa circondariale di Foggia. A livello nazionale il sovraffollamento medio è del 133,25%: alla data del 18 novembre i detenuti presenti nei 189 penitenziari italiani erano 62.323 (il 31,91% stranieri) rispetto a una capienza regolamentare di 51.162 posti. Sono circa 10.000 i ristretti in attesa di primo giudizio e 9.367 quelli in Alta Sicurezza. Il costo medio di ogni singolo detenuto è di 157 euro al giorno.

Avvenire

La guerra. Kiev colpisce in Russia con missili Usa. Mosca: potremmo usare armi nucleari

Due giorni dopo il via libera di Biden, sarebbe stato centrato un bersaglio a 130 chilometri dal confine. Putin ha approvato il decreto che aggiorna la dottrina nucleare
Un missile Atacms

Un missile Atacms – Ansa / Afp / Us Department of Defense

Avvenire

Due giorni dopo il via libera del presidente statunitense Joe Biden all’utilizzo su territorio russo dei missili balistici Atacms forniti all’Ucraina, per la prima volta oggi le forze di difesa di Kiev annunciano di averli usati oltre confine, e non più soltanto sui territori ucraini formalmente annessi da Mosca.

«Il bersaglio è stato colpito con successo» ha detto una fonte informata delle Forze di Difesa al media ucraino Rbc. Secondo la fonte, è stata colpita una struttura militare vicino alla città di Karachev nella regione di Bryansk. «Per la prima volta l’Atacms è stato utilizzato per un attacco sul territorio della Federazione Russa. L’attacco è stato effettuato contro un obiettivo nella regione di Bryansk». Karachev si trova non lontano da Bryansk e a circa 130 km dal confine con l’Ucraina. Gli Atacms hanno un raggio d’azione di circa 300 chilometri.

Da Mosca è arrivata la conferma, con la precisazione che 5 missili sono stati abbattuti e il sesto è stato danneggiato. I frammenti «sono caduti sul territorio tecnico di una struttura militare nella regione di Bryansk, provocando un incendio che è stato prontamente spento. Non ci sono state vittime né danni» comunica il ministero della Difesa.

«Sì, è menzionato» ha risposto il portavoce del Cremlino, Dmitrij Peskov, a una domanda sulla possibilità di una risposta con arma nucleare ad attacchi con missili forniti da Paesi occidentali, e dunque da potenze nucleari. Alla base del «sì» del Cremlino c’è la nuova dottrina nucleare russa, annunciata da tempo dal presidente Vladimir Putin. Proprio stamani Putin ha approvato il decreto che la aggiorna. La mossa arriva nel millesimo giorno dell’offensiva russa contro l’Ucraina.

Il neo-cardinale. Nemet: io, vescovo del dialogo fra Est e Ovest

Arcivescovo di Belgrado, 68 anni, missionario verbita, parla 7 lingue. «I cattolici nei Balcani? Profezia di pace. La Russia non sia esclusa dalla famiglia europea. Politiche contro i migranti»
Il futuro cardinale Ladislav Nemet con il patriarca ortodosso serbo Porfirije

Il futuro cardinale Ladislav Nemet con il patriarca ortodosso serbo Porfirije – Arcidiocesi di Belgrado

Avvenire

Secondo le categorie della geopolitica, incombe ancora sui Balcani l’incubo della Grande Serbia. E il barometro continua ad annunciare “burrasca” fra Belgrado e due Paesi limitrofi: il Kosovo che, secondo lo Stato da cui si è dichiarato indipendente nel 2008, resta una provincia da riannettere; e il Montenegro che accusa la nazione vicina di mire espansionistiche. Tensioni che, fra alti e bassi, segnano il quotidiano di dieci milioni di abitanti. Se, però, il punto di vista diventa quello della Chiesa cattolica, allora Serbia, Montenegro, Kosovo e Macedonia del Nord vivono già nel segno della fraternità. Come testimonia la Conferenza episcopale dei Santi Cirillo e Metodio che riunisce i vescovi delle quattro realtà nazionali. «Mettiamo in pratica ciò che tutta l’area dei Balcani desidera: vivere in pace e in armonia gli uni con gli altri e gli uni accanto agli altri. Non abbiamo la bacchetta magica per cambiare l’intera regione, ma possiamo essere profezia di una nuova coesistenza», spiega l’arcivescovo Ladislav Nemet. Il presule guida l’arcidiocesi di Belgrado e presiede la Conferenza episcopale internazionale dei Santi Cirillo e Metodio. Ed è uno dei nuovi ventuno cardinali che saranno creati da papa Francesco il 7 dicembre.

L’arcivescovo di Belgrado e futuro cardinale Ladislav Nemet

L’arcivescovo di Belgrado e futuro cardinale Ladislav Nemet – Arcidiocesi di Belgrado

Viene da chiamarlo un “globetrotter” perché parla sette lingue ed è stato nelle Filippine e in Ungheria, in Italia e in Austria, prima di tornare da vescovo nella sua terra d’origine, la Serbia, dove è nato 68 anni fa. Una berretta senza confini, sui passi del carisma missionario della Società del Verbo Divino in cui Nemet è entrato a 21 anni grazie a uno degli zii materni. «Quando seppe che volevo diventare prete – racconta ad “Avvenire” – mi rivelò di essere un verbita, ma clandestino perché a quel tempo in Ungheria gli ordini religiosi erano stati messi al bando. Non dimenticherò mai quel colloquio che ha segnato per sempre la mia vita. Del resto ancora oggi mi sento innanzitutto un missionario del Verbo Divino». E adesso anche una berretta-ponte: fra Est e Ovest dell’Europa; e fra il cristianesimo orientale e quello occidentale in una nazione dove la mentalità prevalente (insieme con le sue forze politiche) vuole che ogni serbo debba essere di per sé ortodosso. La religione del 90% della popolazione. Eppure, quando il Pontefice ha annunciato la porpora per Nemet, è arrivato anche il messaggio affettuoso del capo della Chiesa ortodossa serba, il patriarca Porfirije, che ha definito la scelta di Francesco un «riconoscimento per la nostra patria». «Viviamo in un’epoca dove i rapporti fra le nostre Chiese sono ben più positivi rispetto a 30 anni fa – sottolinea l’arcivescovo -. Anche Porfirije gioca un ruolo importante e, con il suo stile aperto, la sua esperienza multiculturale e la sua gentilezza, ha fatto molto perché a noi cattolici sia permesso di vivere in modo più sicuro e sereno in Serbia». Un avvicinamento che ha lasciato ipotizzare anche il primo viaggio di un Papa nel Paese, dopo l’invito delle autorità di Belgrado. Ma davanti ai giornalisti il futuro cardinale mette le mani avanti soprattutto considerando certe titubanze ortodosse: «Il Papa non si recherai mai in una nazione dove le altre realtà religiose non sono d’accordo. Ma la speranza della visita c’è tutta».

Eccellenza, la guerra in Ucraina ha congelato il dialogo ecumenico con la maggioranza del mondo ortodosso?

«A livello globale è una visione condivisibile, ma non in Serbia. Qui la Santa Sede e il patriarca serbo non hanno mai interrotto i rapporti. Anzi, si sono intensificati. Ad esempio, a settembre il segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, è stato fra noi: il patriarca lo ha invitato nella sua residenza e poi è venuto alla Messa nella Cattedrale cattolica».

Lei è uno dei vicepresidenti del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa. Il continente fa poco per la pace?

«L’Europa è troppo frammentata per avere un significativo peso politico nel mondo. Quasi tutti i “grandi” Paesi agiscono per i propri interessi. Così non sentiamo la voce dell’Europa di fronte ai conflitti che insanguinano l’umanità e alla possibilità di aprire negoziati. La Ue è utile solo dal punto di vista economico, non per apportare cambiamenti sulla scena politica internazionale».

 

L’arcivescovo di Belgrado, Ladislav Nemet, con i giovani serbi all'incontro del Mediterraneo a Marsiglia

L’arcivescovo di Belgrado, Ladislav Nemet, con i giovani serbi all’incontro del Mediterraneo a Marsiglia – Arcidiocesi di Belgrado

Lei ha denunciato più volte le divisioni fra Est e Ovest dell’Europa. Che cosa sta accadendo?

«La storia europea ci insegna che il continente si è sviluppato quando è stato segnato da una visibile unità politica e sociale. Cito l’Impero Romano o il regno di Carlo Magno, ma anche il Medioevo delle università e degli ordini religiosi. Oggi manca un dialogo reale, aperto, onesto. Ed è ormai anacronistico ritenere che alcune nazioni debbano avere un ruolo di leadership. La mancanza di dialogo vale anche per la Chiesa. Ma ad agosto, prima del Sinodo a Roma, si sono riuniti a Linz i partecipanti europei all’Assemblea in Vaticano. L’atmosfera è stata molto buona e tutti hanno potuto parlarsi e ascoltare a vicenda. Secondo l’opinione di un paio di vescovi, l’evento si è svolto senza “autorità ecclesiastica” e coloro che si considerano gli innovatori si sono tenuti alla larga».

È stato missionario nelle Filippine. Ora è l’Europa una terra di missione?

«Sicuramente. Quando sono rientrato dall’Asia nel 1990, ho compreso quanto il nostro continente, che per centinaia di anni ha portato il Vangelo nel globo, si muovesse ormai verso altri orizzonti. Certo, non è la geografia che determina l’impegno missionario. Ogni continente è terra di missione in sé: non c’è eccezione. E ogni situazione di vita è una sfida alla missione. Inoltre tutti siamo chiamati ad annunciare il Vangelo alle genti: vicine o lontane».

Il futuro cardinale Ladislav Nemet con il patriarca ortodosso serbo Porfirije

Il futuro cardinale Ladislav Nemet con il patriarca ortodosso serbo Porfirije – Arcidiocesi di Belgrado

I cattolici sono una piccola minoranza: il 5% in Serbia o lo 0,2% in Macedonia. In gran parte di radici ungheresi, ma c’è anche chi è d’origine slava: croati, bulgari, cechi, slovacchi. Si corre il rischio di essere discriminati?

«Grazie a Dio, in tutti i Balcani regna la pace: quindi anche noi, come Chiesa delle minoranze, viviamo un clima di distensione. Stiamo molto meglio rispetto ad alcuni decenni fa, anche se abbiamo ancora margini di miglioramento. Tuttavia, è importante che i credenti lavorino insieme per una società riconciliata: siano essi ortodossi, cattolici, evangelici o rappresentanti della comunità musulmana».

La Serbia e la Macedonia sono tappe della rotta balcanica, la «via di terra» verso l’Europa dei migranti in fuga da guerre, miseria, persecuzioni.

«Chiunque non sia contagiato dal nazionalismo si rende conto che il fenomeno migratorio fa parte della storia dell’umanità. Purtroppo l’Europa si sta chiudendo in se stessa; si moltiplicano gli atteggiamenti xenofobi; dilaga una politica sovranista. Nel frattempo si dimentica la crisi demografica che sta guastando molti Stati del continente. Allo stesso tempo abbiamo milioni di lavoratori a basso costo che sono trattati come schiavi. Papa Francesco parla chiaramente delle quattro azioni fondamentali, ossia accogliere, accompagnare, sostenere e integrare, che possono aiutare ad affrontare la questione migranti».

La Serbia è considerata vicina alla Russia. Il Papa, anche grazie alla missione affidata al cardinale Matteo Zuppi, mantiene aperto un canale con Mosca.

«Il popolo russo è un grande popolo. Ha dato molto alla cultura e allo sviluppo umano. Ho letto i classici russi mentre ero al liceo: Tolstoj, Dostoevskij, Pasternak, Solzenicyn. Quando sono stato in Russia, sono rimasto colpito dall’ospitalità. È necessario rispettare questa grande nazione e al tempo stesso accettare che la società non sia governata solo da regole di stampo occidentale. Pertanto dobbiamo fare il possibile affinché la Russia non si senta esclusa dalla famiglia europea».

L’arcivescovo di Belgrado, Ladislav Nemet, e papa Francesco

L’arcivescovo di Belgrado, Ladislav Nemet, e papa Francesco – Arcidiocesi di Belgrado

Lei ha partecipato all’ultimo Sinodo in Vaticano. Possiamo parlare di “rivoluzione” sinodale nella Chiesa?

«Questa dimensione era già presente nel primo millennio della Chiesa. Ma ciò di cui stiamo parlando oggi è del tutto nuovo. Finora non ci sono mai stati così tanti laici preparati che sanno dialogare in maniera paritaria con il clero, portando la freschezza di cui abbiamo davvero bisogno. Il Concilio ha aperto la Chiesa al mondo. Adesso, con il processo sinodale, la comunità ecclesiale è chiamata a lasciarsi alle spalle un approccio rigido e stantio per spalancare le porte a tutti».

Al Sinodo si è discusso del ruolo delle donne nella Chiesa e anche di diaconato femminile. Ma nel Documento finale il paragrafo sul “genio femminile” ha avuto il maggiore numero di voti contrari.

«Anche nel 2015, durante il Sinodo sulla famiglia, il punto che aveva ricevuto più “no” era stato quello sui sacramenti per quanti vivono relazioni irregolari. C’è chi teme – non importa se vescovo, prete o laico – che una valorizzazione della donna non sia in linea con gli insegnamenti di Cristo. Le paure vanno comprese, anche se oggi nella Chiesa si manifesta una maggioranza che la pensa diversamente. Una maggioranza che non è il risultato di un iter democratico ma del cammino sinodale. Il Battesimo che rende partecipi del sacerdozio comune dei fedeli ci incoraggia a un serio rinnovamento. Serve trovare risposte pastorali nuove anche in questo ambito. E non sono ammessi ulteriori ritardi».

Automobili e tecnologia. Le ragioni dell’incredibile sorpasso della cinese Byd

Era una startup 30 anni fa, oggi fattura più di Tesla, vanta 1 milione di dipendenti e ha prodotto 10 milioni di veicoli a energia alternativa. Altavilla: «Ragionano con un’altra velocità»
Una linea di montaggio ad alta automazione di Byd

Una linea di montaggio ad alta automazione di Byd – Byd

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Una trimestrale d’oro, ricavi in crescita esponenziale, 200 mila persone assunte solo da agosto a ottobre, e piani di espansione programmati in tutto il mondo. Se l’automobile continua a dibattersi in una fase di crisi che sembra irreversibile, c’è un marchio che viaggia in netta controtendenza e ha appena festeggiato il traguardo della produzione di 10 milioni di veicoli a nuova energia dall’inizio della sua storia a oggi.

Byd, multinazionale cinese dell’high-tech, continua a sorprendere con numeri impressionanti: l’auto è solo uno dei settori del gigante aziendale nato come piccola startup con 20 dipendenti nel 1995 per produrre batterie ricaricabili, e che vanta oggi un’attività diversificata che comprende trasporto ferroviario, nuove energie ed elettronica, con oltre 30 parchi industriali in tutto il mondo. Il giro d’affari di Byd nel terzo trimestre dell’anno è cresciuto del 24% a 28,24 miliardi di dollari. Un valore che significa il sorpasso rispetto alla rivale Tesla che nello stesso periodo ha messo a segno un fatturato di 3 miliardi di dollari inferiore. L’azienda di Shenzhen ha pubblicato risultati positivi anche sul fronte dell’utile netto, in crescita dell’11,5% (a 11,63 miliardi di dollari). Merito anche dei sussidi del governo cinese, che stanno sostenendo le vendite sul mercato interno. Nel confronto con Tesla, Byd resta ancora indietro sul fronte delle consegne: il costruttore cinese, nel terzo trimestre dell’anno, ha venduto 443.426 elettriche pure (+2,7% sull’anno scorso) in tutto il mondo, contro le 462.890 della Casa californiana. Ma sul mercato interno resta sostanzialmente imbattibile: da sola, Byd ha totalizzato più di un terzo di tutte le immatricolazioni di elettriche e ibride plug-in in Cina dall’inizio dell’anno.

Una crescita che si riflette anche nell’organico aziendale. Mentre in Occidente, i marchi automobilistici tagliano personale e chiudono fabbriche, in Cina la situazione pare completamente differente. Le cifre fornite dal vicepresidente He Zhiqi dicono che negli ultimi tre mesi ben 200 mila lavoratori si sono aggiunti alla già enorme forza lavoro della società. All’attuale ritmo delle assunzioni, il costruttore cinese supererà a breve la soglia del milione di lavoratori, una cifra senza precedenti nel settore automobilistico globale.

Anche se è ancora il caso di precisare che l’azienda di Shenzhen non produce solo auto o bus, ma anche batterie, componenti per l’elettronica di consumo e sistemi di trasporto urbano, stando a quanto affermato da He Zhiqi tramite il suo account sul social cinese Weibo, gran parte dell’incremento della forza lavoro è legata alla continua crescita in campo automobilistico. Byd ha venduto a ottobre oltre 500 mila veicoli nel mondo, e probabilmente supererà la soglia dei 4 milioni di veicoli entro la fine dell’anno, registrando così una crescita del 42% rispetto al 2023.

Uno degli stabilimenti di Byd

Uno degli stabilimenti di Byd – Byd

La spiegazione di un fenomeno del genere sta nel valore tecnologico raggiunto, con innovazioni come la batteria Blade e la tecnologia super ibrida DM-i. Non a caso con oltre 110 mila dipendenti impiegati nella ricerca e sviluppo, Byd è l’azienda con il maggior numero di addetti R&S al mondo. Si sta rivelando vincente anche la scelta di non puntare solo sulle vetture elettriche pure, in calo di consensi ovunque (tranne che in Cina). Nei primi dieci mesi dell’anno, le vendite di auto ibride ricaricabili hanno sfiorato 1,9 milioni di unità, il 62% in più rispetto al pari periodo del 2023, mentre le auto 100% a batteria sono state commercializzate in 1,35 milioni di esemplari, con un incremento di circa il 12%. In prospettiva, il marchio cinese ha annunciato che investirà l’equivalente di 13 miliardi di euro nello sviluppo di tecnologie intelligenti che integrino l’intelligenza artificiale nei sistemi automobilistici, promuovendo il continuo aggiornamento di tutti i modelli in gamma.

La presenza di Byd in 90 mercati in tutto il mondo è un’altra motivazione alla base della sua crescita, e la sua espansione è destinata ad aumentare grazie a nuove fabbriche in America Latina, Thailandia ed Europa, e al lancio globale degli altri suoi marchi come Fang Cheng Bao, Denza e Yangwang. Oggi Byd realizza oltre il 90% dei suoi volumi sul mercato interno, ma ha venduto in Europa 94.477 unità nel terzo trimestre, registrando una crescita del 32,6%. L’obiettivo per la fine dell’anno è quello di esportare almeno 450 mila unità, il doppio rispetto al 2023.

Per sfondare in Europa, l’azienda ha puntato su nuovi manager di esperienza, come Alfredo Altavilla, ex braccio destro di Sergio Marchionne ai tempi di Fiat-Chrysler, da poco nominato special advisor per il mercato europeo: «Negli ultimi anni ho collaborato con altri tre costruttori cinesi – ha spiegato nei giorni scorsi al convegno “Quattroruote Next” di Milano -. Ma quando ho conosciuto Byd, mi sono reso conto che questa azienda è qualcosa di diverso perché non si presenta come un costruttore di automobili ma come una tech company. Per esempio, fornisce molti componenti elettronici alla Apple, ed è tra i maggiori produttori al mondo di pannelli fotovoltaici. Byd ha 103 mila ingegneri e sviluppa 42 brevetti al giorno: cifre che comportano un approccio unico in termini di velocità per affrontare il difficile mercato dell’automobile attuale. Dal prossimo anno arriveranno modelli concepiti per il mercato europeo, anche perché l’obiettivo di Byd è chiaro: con le due fabbriche in Ungheria e Turchia, si punta a rendere l’Europa completamente autosufficiente in meno di 18 mesi in termini produttivi. Quindi non si potrà più parlare di Byd come un produttore cinese, ma europeo».

Quanto ai dazi sull’importazione di veicoli elettrici cinesi, Altavilla ha chiarito che non si tratta di un pericolo per marchi come Byd, ma per l’Europa stessa: «I dazi bloccano gli investimenti asiatici nei Paesi che li hanno votati. Mi auguro - ha sottolineato il manager - che la misura venga rivista sul piano della durata e dell’ammontare, perché è impensabile che la Cina non reagisca. I dazi non servono assolutamente a niente. Per quanto ci riguarda, sono solo un mal di testa passeggero, sicuramente fino a settembre dell’anno prossimo: una volta resa operativa la fabbrica in Ungheria, non saranno più un problema del tutto».

Sciopero di medici e infermieri, 1,2 milioni prestazioni a rischio

Una immagine relativa ad un precedente sciopero dei medici - RIPRODUZIONE RISERVATA

Sono 1,2 milioni le prestazioni sanitarie che potrebbero saltare per lo sciopero nazionale di 24 ore dei medici, dirigenti sanitari, infermieri e altre professioni sanitarie indetto per mercoledì 20 novembre.

Lo riferiscono Anaao Assomed e Cimo-Fesmed e gli infermieri ed altre professioni sanitarie del Nursing Up che hanno proclamato l’astensione e che manifestano a Roma alle 12 in Piazza SS Apostoli. “A rischio – dicono le sigle sindacali – tutti i servizi di assistenza, esami radiografici (50mila), 15mila interventi chirurgici programmati e 100mila visite specialistiche. Garantite le prestazioni d’urgenza”.

I principali motivi della protesta, sottolineano Anaao Assomed e Cimo-Fesmed e gli infermieri ed altre professioni sanitarie del Nursing Up, toccano i contratti di lavoro, compresi quelli dell’ospedalità privata, a cui “vengono assegnate risorse assolutamente insufficienti”; mancata detassazione di una parte della retribuzione; mancata attuazione della normativa sulla depenalizzazione dell’atto medico e sanitario; esiguo ed intempestivo incremento dell’indennità di specificità infermieristica, senza estensione alle ostetriche.

In piazza anche per protestare contro l’assenza di risorse per l’immediata assunzione di personale; la mancata introduzione di norme che impegnino i ministeri competenti all’immediata attivazione di Presidi di Pubblica Sicurezza negli ospedali italiani al fine di renderli luoghi sicuri per il personale che vi opera; mancata riforma delle cure ospedaliere e territoriali; mancata contrattualizzazione degli specializzandi di area medica e sanitaria, e mancata previsione di retribuzione anche per quelli di area non medica. Inoltre l’ammissione ai benefici per il riconoscimento del lavoro usurante e la richiesta di sospensione per la figura dell’assistente infermiere e infine concreta abolizione del vincolo di esclusività per gli infermieri ed i professionisti sanitari ex legge n 43/2006.

Parteciperanno alla manifestazione i leader delle Associazioni, Pierino Di Silverio per l’Anaao Assomed, Guido Quici per la Cimo-Fesmed e Antonio de Palma per il Nursing Up.

Il testo della Manovra, considerata “deludente” dai sindacati, “conferma la riduzione del finanziamento per la sanità rispetto – affermano le organizzazioni mediche – a quanto annunciato nelle scorse settimane e cambia le carte in tavola rispetto a quanto proclamato per mesi”. Un altro fronte si sta inoltre aprendo in vista dello sciopero e della manifestazione del 20: Coina, il sindacato delle professioni sanitarie, denuncia l’abuso di precettazione da parte della Fondazione Gemelli in occasione della manifestazione. “Non solo una violazione dei diritti, ma un attacco deliberato per ostacolare uno sciopero legittimo”, afferma il segretario nazionale Coina Marco Ceccarelli, riferendosi alla decisione del Gemelli di precettare settori non essenziali. La Prefettura, ricorda il Coina, ha confermato la violazione del Contratto: “le autorità ci danno ragione, chiarendo che solo i servizi di urgenza vanno garantiti”, dice Ceccarelli. Per quanto riguarda poi l’arrivo di infermieri stranieri, per Nursing Up si tratta di “una misura tampone su una ferita profonda, soprattutto considerando il numero di colleghi italiani all’estero che rientrerebbero in presenza di condizioni contrattuali dignitose”. La misura non risolve “la carenza di valorizzazione economica e contrattuale alla base dell’abbandono e della disaffezione dei giovani verso i nostri percorsi formativi”, sottolineano gli infermieri, chiedendo il perché il governo “abbia posticipato al 2026 il piano di assunzioni”.

La manovra prevede inoltre un aumento dell’indennità di specificità medica di 17 euro per i medici e 14 per i dirigenti nel 2025, 115 nel 2026 per i medici e zero per i dirigenti , mentre per gli infermieri circa 7 euro per il 2025 e circa 80 per il 2026. L’Intersindacale dei dirigenti medici, veterinari e sanitari chiede al governo che questa sia finanziata direttamente in busta paga, opponendosi alla defiscalizzazione che “non aumenta la massa salariale”. Inoltre, aggiungono, “abbiamo già segnalato che le risorse devono essere anticipate già dal 2025 ed essere distribuite equamente tra i dirigenti”.

Grande malcontento anche tra i medici liberi professionisti, che contestano la preclusione alle prescrizioni di farmaci con piani terapeutici e alle certificazioni per patologia ai fini di esenzione. “Abolire ingiustificabili limitazioni ai medici privati, considerando la grossa utenza che storicamente ad essa afferisce, si tradurrebbe in un importante alleggerimento delle liste di attesa ad esclusivo vantaggio dei cittadini soprattutto di coloro che oggi rinunciano alle cure”, affermano l’Associazione medici e odontoiatri liberi professionisti (Amolp) e l’Associazione flebologica italiana (Afi) dopo che il presidente Amolp Di Martino e il vicepresidente Afi Rosi sono stati ricevuti al Senato da Francesco Silvestro, presidente della Commissione bicamerale sulle questioni regionali.

“Ovviamente è un diritto scioperare. Noi abbiamo ricevuto i rappresentanti sindacali dei medici più di una volta e li incontreremo anche dopo questo sciopero. Siamo disponibili, come sempre e stato, non solo ad incontrarli ma a cercare di risolvere alcune questioni che sono rimaste in ballo”, ha detto il ministro della Salute Orazio Schillaci a margine della presentazione dello spot per la campagna nazionale per l’uso consapevole degli antibiotici. Sul tavolo del confronto fra il ministro e i sindacati dei medici ci potranno essere “tra i problemi rimasti in sospeso”, dalla “defiscalizzazione della indennità di specificità per tutti gli operatori sanitari ad un piano pluriennale di assunzioni nel servizio sanitario nazionale”, ha detto Schillaci.

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Le nuove linee rosse di Mosca sulle armi atomiche

Vladimir Putin © ANSA/EPA

La nuova dottrina nucleare russa, adottata oggi con un decreto del presidente Vladimir Putin, definisce il ricorso alle armi atomiche “un mezzo di deterrenza come misura estrema e ultima risorsa” a scopo di difesa.

Ma ne amplia la possibilità di impiego sulla base dell’attuale situazione, come ha spiegato il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov.

La nuova dottrina sostituisce quella in vigore dal 2014 e prevede che l’uso di armi nucleari debba essere deciso dal presidente.

* SOVRANITÀ E INTEGRITÀ – Tra i cambiamenti principali introdotti, sottolinea l’agenzia Tass, è che la dottrina precedente prevedeva l’impiego di armi nucleari solo nel caso in cui “l’esistenza stessa dello Stato sia minacciata”.

Ora il concetto viene ampliato, prevedendo appunto una risposta nucleare anche ad una “minaccia critica alla sovranità e all’integrità territoriale” della Russia o della Bielorussia, sua stretta alleata. Una minaccia che provenga da un attacco sia atomico sia con armi convenzionali.

* NATO E UCRAINA – Il documento prevede che ogni “aggressione da uno Stato che appartiene a una coalizione militare (per esempio la Nato, ndr) contro la Federazione Russa e i suoi alleati sarà considerata come un’aggressione da parte di tutta questa coalizione”. Inoltre, un’aggressione “da parte di uno Stato non nucleare con il coinvolgimento o il sostegno di uno Stato nucleare, sarà considerata come un attacco congiunto”. Alla domanda se ciò significhi che la Russia potrebbe dare una risposta nucleare anche ad attacchi non nucleari da parte dell’Ucraina con l’uso di missili forniti da Paesi occidentali, Peskov ha risposto affermativamente. “Sì, è menzionato”, ha detto il portavoce del Cremlino. Tuttavia vengono anche stabiliti nei dettagli i criteri per una valutazione della minaccia. Tra questi vi è l’esistenza di informazioni affidabili sul lancio di un attacco “massiccio” alla Russia con mezzi aerei e missilistici che oltrepassino il confine di Stato.

 * STATI TERZI – La nuova dottrina stabilisce che una risposta nucleare potrà essere diretta anche “contro Stati che mettano a disposizione il territorio, lo spazio aereo o marino e le risorse sotto il loro controllo per la preparazione e l’attuazione di un’aggressione” contro la Russia.

* L’ARSENALE NUCLEARE RUSSO – La Russia è considerata la prima potenza nucleare del pianeta, con quasi 6.000 testate. Il Bulletin of the Atomic Scientists stimava però nel 2022 che di queste 1.500 erano state ritirate per essere smantellate. Di quelle rimaste, quasi 1.600 sarebbero effettivamente dispiegate e pronte all’uso, mentre le restanti sarebbero “di riserva”. Di quelle operative, 812 sarebbero installate su missili balistici da terra, 576 su missili balistici lanciabili da sommergibili e 200 nelle basi dei bombardieri pesanti. Le testate nucleari sono comunemente catalogate come strategiche, capaci di raggiungere obiettivi più lontani, e tattiche, che potrebbero essere impiegate nei teatri di guerra. Si stima che Mosca disponga di 1.900 ordigni tattici.

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