Le parole dell’Ave generosa di Ildegarda di Bingen scorrono l’una dopo l’altra come grani di rosario che invitano a meditare e pregare il mistero dell’Incarnazione in Maria

Settimana News
| Ave, generosa, gloriosa et intacta puella, tu pupilla castitatis, tu materia sanctitatis, quæ Deo placuit.Nam hæc superna infusio in te fuit, quod supernum Verbum in te carnem induit. Tu candidum lilium, quod Deus O pulcherrima et dulcissima, Cum amplexione caloris sui in te posuit Venter enim tuus gaudium habuit, Viscera tua gaudium habuerunt, Nunc omnis Ecclesia in gaudio rutilet Amen. |
Ave, nobile, gloriosa e intatta fanciulla, tu pupilla della castità, tu materia della santità, che piacque a Dio.In te, infatti, avvenne quella divina infusione, per cui il Verbo divino in te indossò la carne. Tu candido giglio, cui Dio O bellissima e dolcissima, Nel calore del suo abbraccio ha posto in te E il tuo grembo esultò di gioia, Le tue viscere esultarono di gioia, Ora tutta la Chiesa risplenda di gioia Amen. |
Sostenute dalla vocalità lineare della melodia gregoriana composta dalla stessa Ildegarda[1] o armonizzate in forma polifonica, come nel recente lavoro del compositore norvegese Ola Gjeilo[2], le parole dell’Ave generosa di Ildegarda di Bingen scorrono l’una dopo l’altra come grani di rosario che invitano a meditare e pregare il mistero dell’Incarnazione in Maria.
La preghiera si schiude nel segno lucano dell’Ave per sgorgare dentro un’intensa dimensione dialogica, sottolineata dalla continua ripresa del pronome personale di seconda persona singolare (tu, in te, de te).
Il nesso in te – sul piano sintattico un complemento di stato in luogo – è ripetuto per ben cinque volte: superna infusio in te fuit; supernum Verbum in te carnem induit; Deus in te delectabatur; in te posuit; in te factum est.
Maria è il luogo, lo spazio, la dimora, la casa, la carne, in cui il Verbo divino incontra e assume l’umanità. Ma la maternità non è una dimensione di subìta passività, la matrice non è ricettività inerme, priva di dinamismo. Così come c’è generatività nel fecondare, c’è generatività nel mettere al mondo.
Mettere al mondo è un’azione che non si esaurisce nel tempo determinato del parto, ma si dispiega nel tempo continuato del continuare a dare la vita. Maria Dei genitrix, Theotokos, è la Madonna del latte, la Virgo lactans, la Panaghia Galaktotrophousa, la “Tutta santa che nutre col latte”, dal cui seno continua a sgorgare la vita per il Figlio.
Ita quod Filius eius de te lactatus est: riecheggia in questa tenerissima immagine la voce della donna che si rivolge a Gesù pronunciando un makarismos nei confronti di sua madre: “Beato il grembo che ti ha portato e le mammelle da cui hai succhiato!”[3]. Il latte materno come miracolo concreto e come simbolo potente, sul piano della significazione teologica e spirituale, della vita che permette alla vita di mantenersi viva.
Le parole si fanno poesia intrecciandosi in rimandi sonori e suggestioni visive. Come l’erba gioisce per la rugiada che infonde in lei la forza vivificatrice della verdeggiante viriditas, così gioisce Maria, mater omnis gaudii. È la gioia il filo che inanella i grani dei misteri gaudiosi. E come in Luca, l’evangelista della gioia, è il sussulto del bambino nel grembo di Elisabetta a farsi espressione della gioia intima e profonda dell’incontro con Maria, così, in Ildegarda, l’incontro di Maria con il suo Dio è gioia pura che germina nel grembo, spazio aperto e vivo dell’interiorità: Venter enim tuus gaudium habuit; Viscera tua gaudium habuerunt.
Ogni parola del testo ildegardiano è una piccola catechesi del discepolato. Guardando a Maria, generosa, gloriosa et intacta, i discepoli e le discepole possono scoprire, riscoprire, imparare, le qualità dell’umano che piacciono a Dio e che Dio ha scelto per prendere dimora fra noi.
Generosa dice l’animo grande, lo spirito largo che rifugge le piccinerie del pensiero, dell’agire e del sentire. Gloriosa racconta il sorriso luminoso, espressione di una luce interiore che nessun buio può spegnere. Intacta ci affida l’impegno a non lasciarci alterare o corrompere dal male, piegandoci nel cinismo o nell’indifferenza.
Guardando a Maria, la generosa Dei genitrix, madre e prima discepola del Figlio, anche la Chiesa può imparare a farsi grembo che vive la gioia viva dell’incontro con il suo Dio (Nunc omnis Ecclesia in gaudio rutilet) e, nella sua concava ospitalità, accoglie ogni voce in risonanza sinfonica (ac in symphonia sonet).
[1] https://www.youtube.com/watch?v=NRbR-_h7mMM
[2] https://www.youtube.com/watch?v=380NHyY1Nto
[3] Luca 11,27








