Liturgia Domenica 14 Dicembre 2025 Messa del Giorno III DOMENICA DI AVVENTO – ANNO A

Colore Liturgico  Rosa

Indicazioni liturgiche per l'Avvento – Diocesi di

Antifona
Rallegratevi sempre nel Signore, ve lo ripeto:
rallegratevi. Il Signore è vicino! (Cf. Fil 4,4.5)

Non si dice il Gloria.

Colletta
Guarda, o Padre, il tuo popolo,
che attende con fede il Natale del Signore,
e fa’ che giunga a celebrare con rinnovata esultanza
il grande mistero della salvezza.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.

Oppure:

Dio della gioia, che fai fiorire il deserto,
sostieni con la forza creatrice del tuo amore
il nostro cammino sulla via santa preparata dai profeti,
perché, maturando nella fede,
testimoniamo con la vita la carità di Cristo.
Egli é Dio, e vive e regna con te.

Prima Lettura
Ecco il vostro Dio, egli viene a salvarvi.
Dal libro del profeta Isaìa
Is 35,1-6a.8a.10

Si rallegrino il deserto e la terra arida,
esulti e fiorisca la steppa.
Come fiore di narciso fiorisca;
sì, canti con gioia e con giubilo.
Le è data la gloria del Libano,
lo splendore del Carmelo e di Saron.
Essi vedranno la gloria del Signore,
la magnificenza del nostro Dio.
Irrobustite le mani fiacche,
rendete salde le ginocchia vacillanti.
Dite agli smarriti di cuore:
«Coraggio, non temete!
Ecco il vostro Dio,
giunge la vendetta,
la ricompensa divina.
Egli viene a salvarvi».
Allora si apriranno gli occhi dei ciechi
e si schiuderanno gli orecchi dei sordi.
Allora lo zoppo salterà come un cervo,
griderà di gioia la lingua del muto.
Ci sarà un sentiero e una strada
e la chiameranno via santa.
Su di essa ritorneranno i riscattati dal Signore
e verranno in Sion con giubilo;
felicità perenne splenderà sul loro capo;
gioia e felicità li seguiranno
e fuggiranno tristezza e pianto.

Parola di Dio.

Salmo Responsoriale
Dal Sal 145 (146)

R. Vieni, Signore, a salvarci.
Oppure:
R. Alleluia, alleluia, alleluia.

Il Signore rimane fedele per sempre
rende giustizia agli oppressi,
dà il pane agli affamati.
Il Signore libera i prigionieri. R.

Il Signore ridona la vista ai ciechi,
il Signore rialza chi è caduto,
il Signore ama i giusti,
il Signore protegge i forestieri. R.

Egli sostiene l’orfano e la vedova,
ma sconvolge le vie dei malvagi.
Il Signore regna per sempre,
il tuo Dio, o Sion, di generazione in generazione. R.

Seconda Lettura
Rinfrancate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina.
Dalla lettera di san Giacomo apostolo
Gc 5,7-10

Siate costanti, fratelli miei, fino alla venuta del Signore. Guardate l’agricoltore: egli aspetta con costanza il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le prime e le ultime piogge. Siate costanti anche voi, rinfrancate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina.
Non lamentatevi, fratelli, gli uni degli altri, per non essere giudicati; ecco, il giudice è alle porte. Fratelli, prendete a modello di sopportazione e di costanza i profeti che hanno parlato nel nome del Signore.

Parola di Dio.

Acclamazione al Vangelo
Alleluia, alleluia.

Lo Spirito del Signore è sopra di me,
mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio. (Is 61,1 (cit. in Lc 4,18)

Alleluia.

Vangelo
Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 11,2-11

In quel tempo, Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!».
Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: “Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via”.
In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui».

Parola del Signore.

Si dice il Credo.

Sulle offerte
Sempre si rinnovi, o Signore,
l’offerta di questo sacrificio
che attua il santo mistero da te istituito,
e con la sua divina potenza
renda efficace in noi l’opera della salvezza.
Per Cristo nostro Signore.

Antifona alla comunione
Dite agli smarriti di cuore: «Coraggio, non temete!
Ecco il vostro Dio. Egli viene a salvarvi». (Cf. Is 35,4)

*A
Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete:
ai poveri è annunciato il Vangelo. (Mt 11,4-5)

Dopo la comunione
Imploriamo, o Signore, la tua misericordia:
la forza divina di questo sacramento
ci purifichi dal peccato
e ci prepari alle feste ormai vicine.
Per Cristo nostro Signore.

Fonte CEI

Vaticano II: una svolta nella crisi?

di: Christian Bauer
bauer31

Lucio Fontana: Bozzetto per la porta centrale del Duomo di Milano.

Esattamente 60 anni fa, oggi, si concludeva solennemente il Concilio Vaticano II, seguito poi dal rollback romano. Un ricordo del suo futuro.

Chiudete gli occhi per un attimo. Immaginate un cielo stellato di notte e osservate le luci scintillanti. È come per i sedici documenti del Concilio Vaticano II (1962-1965). Sono come punti luminosi nel cielo notturno, che anche nel XXI secolo possono servire da orientamento se si sa collegarli in una costellazione. Da questa immagine non è lontano il concetto di costellazione (dal latino stella).

Una “lettura della costellazione”[1] del Concilio Vaticano II consente di stabilire le proprie priorità (opzione di primo ordine), purché si mantenga la tensione con le altre priorità (opzione di secondo ordine). Se si riuscisse a coltivare sinodalmente questa “doppia opzione” tra la propria parte e il grande insieme, ne risulterebbe uno stile di approccio non solo ai testi conciliari, ma anche tra di noi, capace di pluralità e sensibile alle differenze.

La costellazione del Concilio

Al centro del Concilio vi sono quattro costituzioni che possono essere sovrapposte alle dimensioni fondamentali della pastorale ecclesiale: la costituzione sulla liturgia Sacrosanctum concilium, la costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium, la costituzione sulla rivelazione Dei verbum (Martyria) e la costituzione pastorale sulla Chiesa Gaudium et spes (Diakonia).

Tutti e quattro i testi principali del concilio Vaticano II affondano le loro radici nei cambiamenti preconciliari della pastorale: SC nel movimento liturgico (actuosa participatio), LG nel movimento dei fedeli laici (la Chiesa si risveglia nelle anime), DV nel movimento biblico (réveil évangélique) e GS nel movimento missionario (la Chiesa deve uscire da sé stessa).

Squilibrio teologico. Questo modo di interpretare il Vaticano II attraverso le sue quattro costituzioni era già stato proposto dal Sinodo dei vescovi in occasione dell’anniversario del Concilio nel 1985, ma con un’enfasi diversa da quella che segue.

La formula sintetica con cui questo sinodo speciale, dominato da Joseph Ratzinger, ha sintetizzato il Concilio, presenta infatti uno squilibrio teologico conciliare. Essa riduce il plurale della costellazione dei suoi testi dottrinali a un singolare incentrato sulla liturgia: la Chiesa (LG) – sotto la parola di Dio (DV) – celebra i misteri di Cristo (SC) – per la salvezza del mondo (GS). Il verbo che dà senso a questa formula conciliare si riferisce alla liturgia come attività principale che determina l’essenza della Chiesa (“celebra i misteri di Cristo”).

Chiesa sensibile al mondo. La dinamica del Concilio stesso suggerisce un diverso punto focale: posto nella costituzione pastorale Gaudium et spes[2] .In essa era in discussione la questione pastorale fondamentale del Vaticano II: la Chiesa nel mondo di oggi – che cosa vuol dire?

Un riassunto autentico del Concilio sarebbe quindi: la Chiesa (LG) – a servizio della salvezza del mondo (GS) – attraverso i misteri di Cristo (SC) – sotto la parola di Dio (DV). Questa formula sintetica è confermata nei due testi quadro che, in quanto primi e ultimi documenti approvati dal Concilio, ne rappresentano il punto centrale non solo dal punto di vista storico ma anche sistematico: il Messaggio al mondo (20 ottobre 1962) e la Gaudium et spes (7 dicembre 1965).

Marie-Dominique Chenu, che ha ispirato non solo il suddetto messaggio, ma anche la successiva costituzione pastorale, delinea l’immagine ideale di una Chiesa “sensibile al mondo” in modo nuovo: “Il Concilio dovrà definire il problema della Chiesa […] in base alle dimensioni del mondo […]. Non si deve sottovalutare l’importanza […] della riforma liturgica, della rinascita di comunità veramente cristiane, del rinnovamento dei metodi dell’apostolato e del ripristino della funzione episcopale, che sono tutti giustamente all’ordine del giorno del prossimo Concilio, ma tutte queste questioni importanti trovano la loro luce […] nella visione di un mondo nuovo […]”.[3]

Svolta restaurativa

L’8 dicembre 1965 il Concilio si concluse solennemente, ma già il 9 dicembre iniziò la lotta romana contro il Concilio. Durante il lunghissimo doppio pontificato di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI (1978-2013), questa tendenza acquisì addirittura «egemonia culturale» (A. Gramsci) nella Chiesa universale.

Dopo la breve primavera conciliare sotto Giovanni XXIII e Paolo VI (1958-1978), iniziò un “periodo invernale” (Karl Rahner), che solo sotto i papi Francesco e Leone XIV (2013-oggi) si sta trasformando in un disgelo – e il cui periodo di grande freddo ha influenzato anche il sentimento ecclesiale dell’autore di queste righe.

Come molti altri, anche io ho imparato a distinguere, in una schizo-ecclesiologia cognitivamente dissonante, tra la mia esperienza parrocchiale locale e una politica ecclesiale globale, la cui elaborazione teologica non è ancora nemmeno iniziata.

Nuova evangelizzazione. Un momento chiave in questo passo indietro romano è stato il già citato sinodo speciale per l’anniversario del Concilio nel 1985. Esso stabilì un’interpretazione romana del Vaticano II che, partendo da una lettura negativa del periodo postconciliare, avrebbe dovuto contenere i cambiamenti allora in atto nella Chiesa universale: in riferimento alla liberazione politica (America Latina), all’inculturazione cristiana (Africa), al dialogo interreligioso (Asia) e alla secolarizzazione sociale (Europa, Nord America).

Il 1985 era già iniziato con un colpo di scena nella politica ecclesiastica: il Rapporto sulla fede di Joseph Ratzinger, in cui si parlava di una necessaria “restaurazione”. Al centro di questa contro-riforma c’era l’idea di una nuova evangelizzazione ricristianizzante, che allo stesso tempo rappresentava un manifesto allontanamento dal concetto olistico di evangelizzazione di papa Paolo VI espresso nell’Evangelii nuntiandi’[4]: che iniziava con l’auto-conversione della Chiesa ed era all’insegna della gioiosa sequela di Gesù nell’orizzonte del regno di Dio. Il sinodo speciale romano per l’anniversario del Concilio è sinonimo di conflitti massicci tra le Chiese locali e il centro della Chiesa universale, che hanno interessato tutti gli ambiti del popolo di Dio:

  • Vescovi: uno strumento centrale di questa politica ecclesiale restauratrice furono nomine episcopali altamente controverse (compreso un questionario sulla fedeltà a Roma, la contraccezione, l’ordinazione delle donne, il celibato, ecc.). I vescovi sgraditi venivano destituiti dal loro ufficio, come accadde a Jacques Gaillot in Francia nel 1995.
  • Preti: si arrivò a una completa riclericalizzazione, che portò persino a norme più severe in materia di abbigliamento. Ai “sacerdoti conciliari” vestiti in modo normale seguirono i “sacerdoti di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI” con il colletto romano. Inoltre, nel 1994, l’enciclica Ordinatio sacerdotalis approssimò il divieto dell’ordinazione delle donne a una dottrina infallibile.
  • Vita religiosa: anche in questo caso ci furono interventi autorevoli, il più importante dei quali fu la nomina di un nuovo generale dei gesuiti nel 1981. A Roma si puntò soprattutto sui nuovi movimenti spirituali come Comunione e Liberazione o il Neocatecumenato, nonché sul potente Opus Dei, elevato a prelatura personale nel 1982.
  • Laici: nella Christifideles laici, Giovanni Paolo II mise in guardia dal «livellamento tra il sacerdozio comune e il sacerdozio ministeriale» (23). I ministri ecclesiastici non ordinati, come gli operatori pastorali tedeschi, furono messi al loro posto con l’«Istruzione sui laici» del 1997.
  • Teologi: nel 1979 Hans Küng fu privato dell’autorizzazione all’insegnamento, dando inizio a tutta una serie di condanne dottrinali. Nel 1989 oltre 700 professori di teologia di tutto il mondo firmarono la Dichiarazione di Colonia. Nello stesso anno Roma pubblicò una Professio fidei obbligatoria nella tradizione del giuramento antimodernista.

Alle proteste dei teologi seguirono quelle dei laici impegnati. Un esempio fu il Kirchenvolksbegehren austriaco del 1995, che prese forma a partire dallo scandalo degli abusi sessuali che coinvolse l’arcivescovo di Vienna Groër. La successiva scoperta degli abusi sessuali perpetrati dai sacerdoti in tutto il mondo (e della loro copertura da parte dei vescovi, che hanno protetto i colpevoli invece di proteggere le vittime) ha inaugurato una nuova fase del periodo postconciliare, che ha caratterizzato il pontificato di Benedetto XVI.

Quest’ultimo fu eletto nel 2005 come successore di Giovanni Paolo II perché prometteva la massima continuità nella lotta contro la “dittatura del relativismo”.

Questo pontificato ha raggiunto il suo punto più basso durante la Pasqua dell’Anno Sacerdotale 2010, quando il cardinale decano Angelo Sodano, che aveva già svolto un ruolo ambiguo come nunzio durante le dittature militari di estrema destra in America Latina, ha assicurato al papa in un discorso di solidarietà che le critiche alla Chiesa per i casi di abuso non erano altro che un chiacchiericcio del momento.

Una svolta nella crisi

Anche se papa Benedetto XVI è stato meno indulgente del suo predecessore in materia di abusi sessuali, fu solo il suo successore Francesco ad affrontare realmente le cause sistemiche di questa crisi epocale della Chiesa. Egli individuò nel clericalismo la causa strutturale principale degli abusi e raccomandò la sinodalità come antidoto efficace: abusi, clericalismo e sinodalità sono profondamente interconnessi.

Nel corso di una corrispondente svolta sinodale, papa Francesco ha compiuto diversi cambiamenti di paradigma, allontanandosi dalla linea restauratrice dei suoi predecessori, anche se molti di essi non sono stati sufficientemente incisivi: limitazione del centralismo romano nel senso di una “decentralizzazione salutare”; coinvolgimento di tutto il popolo di Dio nei processi sinodali (compreso il diritto di voto),; apertura a forme di vita “irregolari” (ad esempio divorziati risposati, omosessuali); rottura con la dottrina sociale classica a favore di un approccio teologico della liberazione (inclusa la riabilitazione di Gustavo Gutièrrez, Leonardo Boff e la canonizzazione di Oscar Romero) e molto altro ancora.

Attraverso il buco della serratura

Quello che ne è seguito, anche per l’ambito pastorale di lingua tedesca, non è tanto un cammino di uscita dalla crisi che la Chiesa stessa aveva prodotto, quanto piuttosto un movimento all’interno di essa che ha prodotto una ulteriore fase di ricezione del Concilio.

L’ampiezza pastorale globale di una Chiesa conciliare aperta sia all’interno che all’esterno non è stata finora quasi recepita dal mainstream cattolico locale.

Se si chiede ai cattolici cosa abbia portato di nuovo il Concilio, essi citeranno soprattutto riforme rivolte all’interno: sono stati installati i cosiddetti “altari rivolti al popolo” e la messa viene celebrata nella lingua nazionale. Oppure: i laici sono stati valorizzati ed è stato istituito un consiglio parrocchiale.

Questa immagine offre uno sguardo microstorico attraverso il buco della serratura nella vita quotidiana di una parrocchia postconciliare:

bauer

Fonte: La chiesa e la sua storia. Ai nostri giorni, Milano 1982.

Nell’area europea, la ricezione del Concilio ha consistito principalmente in una riorganizzazione interna della Chiesa (nel senso di liturgia e koinonia), piuttosto che in una missione nel mondo (di diakonia e martyria): il culto costituisce il divenire comunità.

L’attenzione si è concentrata sulle due costituzioni Sacrosanctum concilium Lumen gentium. Solo con il pontificato di papa Francesco le altre due costituzioni, Gaudium et spes Dei verbum, sono diventate sempre più centrali – una dinamica estroversa della missione nel mondo che sfida letteralmente la dinamica introversa della raccolta nella Chiesa: il servizio all’uomo come testimonianza di Dio.

Il Concilio ritorna così in Europa con una svolta latinoamericana. Perché una Chiesa in senso conciliare non è solo “a casa dentro”, ma anche “a casa fuori”. Attenzione però: non si tratta affatto di un appello “missionario” nel senso della nuova evangelizzazione, che dovrebbe distrarre dall’urgente necessità di affrontare i problemi sistemici della Chiesa (non dobbiamo ruotare solo intorno a noi stessi).

Fedeltà creativa al Concilio. Piuttosto, vale il paradosso missionario: chi esce all’esterno si trova confrontato con le patologie del proprio interno (“come, sei della Chiesa? Non voglio avere niente a che fare con essa”). Non si può eludere l’auto-conversione della Chiesa come presupposto per una nuova credibilità.

Perché una Chiesa clericale e coloniale, omofoba e misogina, identitaria e autoritaria, è un ostacolo manifesto all’evangelizzazione. Le questioni strutturali riflettono i contenuti della fede, altrimenti non sono conformi al Vangelo. Ciò significa che non deve esserci una “competizione tra vittime” (Regina Ammicht-Quinn) tra gli emarginati dalla società e quelli dalla Chiesa. Pertanto, anche il Cammino sinodale in Germania è in fedeltà creativa al Concilio.

Auto-evangelizzazione. Come già nel concilio Vaticano II, si tratta dell’auto-evangelizzazione della Chiesa nel senso dell’Evangelii nuntiandi, di cui oggi si celebra anche il 50° anniversario.

In definitiva, è come nel caso dei preti operai francesi dopo la II Guerra mondiale che hanno compreso il Vangelo proprio tra quei lavoratori che in realtà volevano convertire alla Chiesa. In breve: i sacerdoti (SC) lasciano l’interno della Chiesa (LG), escono nel mondo (GS) e lì scoprono le tracce di Dio (DV).

La via per arrivarci è indicata da Ad gentes, un altro testo conciliare sulla missione globale della Chiesa: “Come Cristo stesso penetrò nel cuore degli uomini per portarli attraverso un contatto veramente umano alla luce divina, così i suoi discepoli, animati intimamente dallo Spirito di Cristo, debbono conoscere gli uomini in mezzo ai quali vivono ed improntare le relazioni con essi ad un dialogo sincero e comprensivo, affinché questi apprendano quali ricchezze Dio nella sua munificenza ha dato ai popoli; ed insieme devono tentare di illuminare queste ricchezze alla luce del Vangelo […].

Come quindi Cristo percorreva tutte le città e i villaggi, sanando ogni malattia ed infermità come segno dell’avvento del regno di Dio, così anche la Chiesa […] si unisce a tutti gli uomini di qualsiasi condizione, ma soprattutto ai poveri ed ai sofferenti […]. Essa infatti condivide le loro gioie ed i loro dolori, conosce le aspirazioni e i problemi della vita, soffre con essi nell’angoscia della morte” (11-12).

bauer2Christian Bauer è docente ordinario di teologia pastorale presso la Facoltà cattolica di teologia dell’Università di Münster in Germania. Questo suo contributo per i 60 anni della conclusione solenne del Concilio Vaticano II viene pubblicato contemporaneamente su SettimanaNews e in versione tedesca su Feinschwarz.


[1] Cf. Ch. Bauer: Optionen des Konzils? Umrisse einer konstellativen Hermeneutik des Zweiten Vatikanums, in: Zeitschrift für katholische Theologie 134 (2012), 141-162.

[2] Il cardinale romano Brandmüller ha recentemente reagito alle critiche tradizionaliste al Concilio con un argomento tradizionalista (cf. la tesi di dottorato Pastorale Lehrverkündigung di Florian Kolfhaus), che ignora in linea di principio il significato dogmatico della costituzione pastorale: “I documenti veramente importanti, cioè le costituzioni sulla liturgia, sulla Chiesa, sulla Sacra Scrittura, sono duraturi e si inseriscono pienamente nella tradizione ecclesiale. […] È curioso che i tradizionalisti si scaglino proprio contro i testi che, a differenza delle costituzioni citate, hanno il minimo grado di vincolatività e sono solo dichiarazioni. Mi riferisco alla Nostra aetate sugli elementi di verità nelle altre religioni e alla Dignitatis humanae sulla libertà di fede e di coscienza”.

[3] M.-D. Chenu: Vie conciliaire de l’Église et sociologie de la foi, in: Id.: La foi dans l’intelligence. La Parole de dieu II, Parigi 1964, 371–383, 381.

[4] Cf. Ch. Bauer: Vom Lehren zum Hören. Offenbarungsmodelle und Evangelisierungskonzepte im Übergang vom Ersten zum Zweiten Vatikanum, in: J. Knop-M. Seewald (a cura di): Das Erste Vatikanische Konzil. Eine Zwischenbilanz 150 Jahre danach, Darmstadt 2019, 95-116.

Settimana News

Concilio, quando la Chiesa riprese colore

san pietro

Settimana News

L’8 dicembre 1965 si concludeva il Vaticano II, che ha dato nuova luce alla fede, una “tavolozza” di cui cinque documenti rappresentano le “tinte” primarie. Sessant’anni dopo, una riflessione sui frutti di quello straordinario evento spirituale. Dal portale della Diocesi di Milano

Sessant’anni dopo la conclusione del Concilio Vaticano II, possiamo dire senza retorica che il Concilio ha restituito alla Chiesa i colori del Vangelo, dopo secoli in cui l’immagine ecclesiale rischiava di apparire in bianco e nero: vera, sì, ma appiattita, rigida, poco capace di rispecchiare la varietà della vita e dei volti umani. Il Concilio non ha cambiato la fede, ma ha cambiato la luce sotto cui la contempliamo. E, cambiando la luce, ha trasformato la percezione dell’intero paesaggio ecclesiale.

Fra le sue acquisizioni più decisive, cinque documenti spiccano come tinte primarie di questa nuova tavolozza. Ognuno ha acceso un colore, un tratto, un modo di essere Chiesa che ancora oggi illumina il cammino.

Dei Verbum ha restituito alla Parola di Dio il suo splendore originario: non un testo-sacrario, ma una voce viva che interpella, plasma, converte. Il Concilio ha ricordato che la Rivelazione non è un pacchetto di verità, bensì un Dio che parla nella storia, in un dialogo che coinvolge l’umanità intera. Da qui la centralità della Scrittura nella liturgia, nella teologia e nella vita spirituale. È come se la Chiesa avesse riaperto le finestre e fatto entrare aria fresca nella casa del credente.

Con Lumen Gentium, l’ecclesiologia ha scoperto la sua dimensione più genuina: la Chiesa non è una piramide, ma un popolo in cammino, animato dallo Spirito, nel quale tutti – laici, consacrati, ministri ordinati – condividono una medesima dignità battesimale. Il Concilio ha rimesso al centro il mistero della Chiesa come comunione, come icona della Trinità. È il colore della fraternità, della corresponsabilità, della santità feriale.

Sacrosanctum Concilium ha riportato la liturgia al cuore della vita ecclesiale, restituendole il calore della partecipazione e la bellezza della semplicità. La riforma liturgica non è stata un lifting estetico, ma il ritorno all’essenziale: il popolo di Dio radunato, la Parola proclamata, il mistero pasquale celebrato in modo comprensibile e coinvolgente. La liturgia è tornata a essere fonte e culmine, non spettacolo per esperti.

Con Gaudium et Spes, finalmente, il Concilio ha riconosciuto a piena voce che il mondo non è un nemico da cui difendersi, ma una terra da abitare con responsabilità e stupore. La Chiesa ha scelto il dialogo, non la contrapposizione; la simpatia per l’umano, non il sospetto. «Le gioie e le speranze…» non sono lo slogan di una stagione, ma il Dna di una Chiesa che prende sul serio l’incarnazione. Il colore qui è quello della umanità condivisa, della responsabilità per il futuro, della passione per la dignità di ogni persona.

Infine, Dignitatis Humanae ha consegnato uno dei frutti più maturi del Concilio: il riconoscimento della libertà religiosa come diritto fondamentale. Una Chiesa che non teme la libertà è una Chiesa che vive nella verità; una Chiesa che difende la libertà altrui difende anche la propria. Qui brilla il colore limpido della coscienza, luogo interiore in cui Dio parla e l’uomo risponde.

Il lascito
Che cosa resta oggi di questa “Chiesa a colori”?

L’ultimo Concilio «fu un momento straordinario, forse quello più bello della mia vita, quello in cui si poteva ripensare, rilanciare e riproporre, in cui si sentiva vibrare una scioltezza, una libertà di parola, una capacità di penetrazione nuova» (Carlo Maria Martini). Sono rimasti, senz’altro, molti lasciti di quella stagione entusiasmante.

Prima di tutto quanti l’hanno vissuta hanno compiuto un passo importantissimo per la loro vita, perché hanno ricevuto dal Concilio una fiducia rinnovata nella possibilità della Chiesa di parlare a tutti. Effettivamente, la Chiesa in questo periodo post-conciliare ha respirato a pieni polmoni il nuovo clima innescato da quello straordinario evento spirituale, così che molti suoi frutti sono di fatto penetrati nelle fibre del corpo ecclesiale.

Basti richiamare la maturata coscienza della vocazione ecclesiale di ogni battezzato; la qualità della celebrazione eucaristica; il richiamo a vivere l’autorità come servizio e non come dominio; l’invito a un accostamento assiduo alla Scrittura (lectio divina); la consapevolezza di tutti i credenti di essere chiamati all’annuncio del Vangelo e alla testimonianza di vita; l’impulso al dialogo ecumenico e al confronto con le altre religioni; la rinnovata apertura al mondo e alla cultura; la riscoperta della dignità di ogni persona umana e il riconoscimento dell’atto di fede come appello alla libertà. E l’elenco potrebbe continuare.

Per la nostra Chiesa si è trattato di una grande ricchezza che mantiene intatta tutta la sua attualità e tutto il suo valore.

Resta la convinzione che la tradizione non è un museo, ma un giardino: cresce, si rinnova, fiorisce nelle stagioni.

Resta un metodo – l’ascolto, il discernimento, la corresponsabilità – che oggi ritroviamo nella sinodalità.

Resta una promessa: la Chiesa sarà sempre più fedele al Vangelo quanto più saprà rispecchiare la multiforme ricchezza dell’umano.

Leone XIV ai piedi dell’Immacolata: l’umanità è provata, fioriscano dignità e pace

Il Papa in preghiera ai piedi della statua della Immacolata in Piazza Mignanelli

Il Papa in Piazza di Spagna per il tradizionale atto di devozione alla statua della Vergine Maria nella Solennità dell’Immacolata. Circondato da 30 mila fedeli, il Pontefice prega perché “fiorisca la speranza giubilare a Roma e in ogni angolo della terra” ed esprime l’augurio che dopo le Porte Sante aperte per il Giubileo, si aprano altre porte “di case” e di “oasi di pace in cui rifiorisca la dignità, si educhi alla non violenza, si impari l’arte della riconciliazione”
Salvatore Cernuzio – Roma

Leone XIV alza lo sguardo verso la statua della Immacolata in Piazza Mignanelli. Alla base in marmo del monumento, che con i suoi 27 metri di altezza veglia sull’Urbe, il Papa – con l’ausilio di due gentiluomini di Sua Santità – depone una corona di rose bianche e, al contempo, pone ai piedi della Madonna le speranze per questa “umanità provata, talvolta schiacciata” con la preghiera che dopo le Porte Sante aperte per il Giubileo, “si aprano ora altre porte di case e oasi di pace”

“Rifiorisca la dignità, si educhi alla non violenza, si impari l’arte della riconciliazione”

Una tradizione mai interrotta
Anche in questo 2025 messo a dura prove da guerre e crisi si rinnova l’atto di devozione del Papa alla statua della Vergine in Piazza di Spagna, centro nevralgico del lusso capitolino. Un momento di popolo, un appuntamento che suggella il legame tra Roma e il suo vescovo. Leone XIV prosegue la tradizione avviata da Giovanni XXIII nel 1958 e mai interrotta. Mai, neppure durante gli anni della pandemia di Covid-19, quando Papa Francesco volle ugualmente compiere “privatamente”, al mattino presto, l’atto di venerazione al monumento mariano realizzato dall’architetto Luigi Poletti e dallo scultore Giuseppe Obici in onore del dogma dell’Immacolata Concezione.

Vatican News

Con il presepe di Greccio san Francesco inventò
lo spazio
immersivo

Con il presepe di Greccio san Francesco inventò
lo spazio
immersivo

Tra realtà e immagine c’è di norma una soglia, ad esempio una cornice, che distingue e delimita la rappresentazione dal suo modello. Ma cosa succede se questa viene meno, come negli ambienti immersivi e nella realtà virtuale? Andrea Pinotti, tra i principali studiosi di cultura visuale, definisce queste immagini “an-icone”, ossia immagini che negano se stesse per presentarsi a noi come se fossero la realtà di cui sono la rappresentazione. Il meccanismo di queste immagini da abitare si basa sul principio dell’embodiment e sulla “telepresenza”, ossia la sensazione di uscire dal corpo restando nel corpo. Bisogna osservare che entrambi sono fenomeni propri della mistica, vale a dire la possibilità di fare esperienza delle verità delle fede attraverso i propri sensi. Queste immagini-non-immagini sono un dispositivo per generare un surrogato (secolare, ma non necessariamente) dell’esperienza mistica. In ogni caso, il punto è godere con il corpo di qualcosa che normalmente al corpo è escluso.

La storia tecnologica di questo fenomeno è lunga, ha nel cinema e nella fantasmagoria le tappe più vicine ma può essere fatta risalire alla funzione dei dipinti nella devotio moderna (che trabocca nella preghiera immaginativa ignaziana). Il suo remoto punto di origine può essere forse individuato in una data e in un luogo preciso: il Natale dell’anno 1223 a Greccio, quando Francesco “inventa” il presepe.
L’episodio è narrato nella Vita prima di Tommaso da Celano e poi ripreso più sinteticamente da Bonaventura nella Legenda maior, la biografia ufficiale del santo e fonte degli affreschi di Giotto ad Assisi.
Tommaso da Celano riporta che l’invenzione di Francesco risponde al suo desiderio di “vedere con gli occhi del corpo” il mistero della nascita del Salvatore. Il biografo ci mostra il frate con la mente e il cuore continuamente immersi nella meditazione delle parole del Vangelo, al punto di non poter pensare ad altro. È una sorta di ruminatio benedettina declinata su una pratica immaginativa dello spirito, che però a un certo punto a Francesco non basta più. Da uomo pratico, sente la necessità di passare dagli occhi spirituali a quelli fisici. La storia è nota. Possiamo considerare autentiche se non nella lettera almeno nel senso, le parole che Francesco rivolge a un cavaliere di Greccio di nome Giovanni: «Vorrei raffigurare il bambino nato in Betlemme e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si trovava per la mancanza di quanto occorre a un neonato; come fu adagiato in una greppia, e come tra il bove e l’asinello sul fieno si giaceva».
Francesco sembra apparecchiare una sacra rappresentazione, ma se così fosse non sarebbe una novità. Che sia qualcosa di realmente inedito lo dimostra indirettamente Bonaventura che nella sua Legenda maior si preoccupa di specificare che Francesco, “ne vero hoc novitati posset adscribi”, si rivolge direttamente al papa ottenendone l’autorizzazione. Allo stesso tempo quello a cui assistiamo non è il primo presepe vivente, almeno come lo intendiamo oggi. Non ci sono figuranti per Maria e Giuseppe, non ci sono pastori né re magi. Abbiamo solo un bue e un asino e il fieno. Ma soprattutto non c’è nemmeno Gesù Bambino: non è d’altronde necessario perché grazie alla messa celebrata sopra la mangiatoia, Cristo sarà davvero presente nel pane eucaristico.
“Ora si accomoda la greppia, vi si pone il fieno e si introducono il bue e l’asinello. In quella scena commovente risplende la semplicità evangelica, si loda la povertà, si raccomanda l’umiltà. Greccio è divenuto come una nuova Betlemme”. Francesco “se ne sta davanti al presepio pieno di sospiri compunto di pietà e pervaso di gioia ineffabile”. Tutta l’esperienza mistica di Francesco è un processo di incorporazione, fondato su un desiderio di provare nella propria carne la Passione di Cristo che giungerà all’esito delle stigmate. È un fenomeno nuovo nella mistica, non solo cristiana, basata soprattutto sull’abbandono del corpo sentito come un fardello di materia. Quella di Francesco è invece una mistica per via empatica, che sul mistero dell’Incarnazione fa perno.
A Greccio, dunque, Francesco vive la Passione nella sua anticipazione: la povertà e la desolazione del Natale. L’efficacia del dispositivo della greppia è tale che non solo Francesco ne è rapito ma lo è anche tutta la popolazione, con il frate a svolgere la funzione di medium. L’evento si trasforma in un sogno lucido collettivo. Uno dei presenti, per Bonaventura è lo stesso Giovanni, arriva ad avere una “mirabilis visio” che neppure Francesco ha: “Vedeva nel presepio giacere un bambinello senza vita e accostarglisi il Santo e svegliarlo da quella specie di sonno profondo”. È evidentemente una metafora pasquale. Ma qui ci interessa il fatto che l’uomo comune arriva a vedere con gli occhi del corpo quello che Francesco non ha dichiarato di avere visto. È quanto Giotto, forzando la stessa fonte bonaventuriana e fissandolo nell’immaginario comune, registra nella basilica superiore di Assisi.
A Greccio non cade semplicemente la quarta parete. Francesco non dà forma a un palco e a una sceneggiatura ma crea uno spazio per una performance che avviene interamente all’interno della liturgia (il frate indossa la dalmatica del diacono, canta il Vangelo e predica) e in cui egli stesso è tanto attore quanto contemplatore. Anzi non potrebbe essere contemplatore se non fosse attore e non sarebbe vero attore se non vivesse il momento con attitudine contemplativa. Prima ancora che scintilla di una inesauribile tradizione, il presepe di Greccio appare come la prima formulazione esplicita del prototipo dello spazio immersivo, indicandone con chiarezza la matrice mistica.
avvenire

Corsa senza hijab in Iran, arrestati gli organizzatori

In Iran due arresti per una maratona con donne senza hijab - RIPRODUZIONE RISERVATA

Il pugno di ferro delle autorità si abbatte ancora una volta sulla società civile in Iran.

Stavolta, a farne le spese due organizzatori di una maratona svoltasi venerdì sull’isola di Kish, arrestati dopo che sono comparse sui media e su internet le immagini di donne che hanno gareggiato senza indossare l’hijab. Mentre il tema del velo e delle regole dell’abbigliamento femminile continua a essere terreno di scontro istituzionale nella Repubblica islamica.     “Due dei principali organizzatori della gara sono stati arrestati”, ha riportato il sito web della magistratura Mizan Online, dopo che sono rimbalzate su internet le foto di diverse maratonete che non all’evento di venerdì non hanno rispettato il rigido codice di abbigliamento femminile. “Uno degli arrestati è un funzionario della zona franca di Kish, mentre l’altro lavora per la società privata che ha organizzato la gara”. La magistratura aveva precedentemente riferito che era stato aperto un procedimento penale contro gli organizzatori della gara, che secondo i media locali ha visto la partecipazione di cinquemila persone. “Nonostante i precedenti avvertimenti sulla necessità di rispettare le leggi e i regolamenti vigenti nel Paese, nonché i principi religiosi, consuetudinari e professionali, l’evento si è svolto in modo tale da violare la decenza pubblica”, ha dichiarato il procuratore locale.
Gli arresti giungono dopo che i media di orientamento conservatore, tra cui Tasnim e Fars, avevano duramente condannato la maratona come “indecente” e irrispettosa delle leggi islamiche. Ma l’osservanza delle regole dell’hijab è diventata più sporadica dopo le proteste del 2022 seguite alla morte in custodia di Mahsa Amini, la giovane donna arrestata con l’accusa di aver violato le leggi sul velo. Ed è oggetto di uno scontro di poteri, alimentato anche dalla posizione del governo del presidente Masoud Pezeshkian, che lo scorso anno si è rifiutato di ratificare un disegno di legge approvato dal parlamento che avrebbe imposto pene severe per le donne che non rispettano le norme sull’abbigliamento. All’inizio di questa settimana, la maggioranza dei legislatori ha accusato la magistratura di non applicare correttamente la legge sul velo.
In risposta, il presidente della corte suprema Gholamhossein Mohseni Ejei ha chiesto un’applicazione più rigorosa delle norme.

Riproduzione riservata © Copyright ANSA

Auguri per la festa dell’Immacolata 2025, le migliori frasi da inviare l’8 dicembre

Immacolata Concezione, 2025

Oggi, lunedì 8 dicembre 2025, si celebra l’Immacolata concezione: si tratta di una delle più importanti date del calendario liturgico della Chiesa Cattolica. La ricorrenza si concentra sul “concepimento senza macchia” della Vergine Maria, la madre di Gesù. Secondo la religione cristiana, nel momento in cui Adamo ed Eva disobbedirono a Dio e mangiarono il frutto proibito, condannarono l’umanità intera a portare questa colpa. Il sacramento del Battesimo risulta l’unica opzione per liberarsi da questo peccato, tranne per Maria: infatti, secondo le scritture, risulterebbe l’unico essere umano concepito senza peccato originale.  L’Immacolata Concezione, quindi, fa riferimento al concepimento di Maria da parte dei suoi genitori San Gioacchino e Sant’Anna, non al concepimento di Gesù. Quest’ultimo secondo la Bibbia fu opera dello Spirito Santo, che preservò la verginità di Maria. A sancire definitivamente la purezza di Maria ci ha pensato Papa Pio IX con la bolla Ineffabilis Deus, che ufficializzava una volta per tutte la nascita della Vergine Maria senza peccato l’8 dicembre 1854. Abbiamo selezionato per voi le migliori frasi e citazioni per la celebrazione dell’Immacolata concezione.

Che l’Immacolata porti alla tua casa armonia e ogni bene. Auguri di cuore.
Possa questo giorno donarti un soffio di bellezza e tranquillità. Felice festa dell’Immacolata!
Oggi si celebra la purezza, la rinascita e la luce: che tu possa accoglierne un raggio. Buona Immacolata!
Un augurio sincero perché questa festa ti regali pace interiore e nuove energie.
Che l’Immacolata custodisca i tuoi sogni e renda lieve ogni passo. Auguri.
Nel silenzio di questa festa, trova un momento per te: per respirare, sperare, ripartire. Buona Immacolata!
Ti auguro un’Immacolata piena di dolcezza, famiglia e tempo sereno.
Che la luce dell’8 dicembre apra il cuore alla gioia e alle nuove possibilità. Felice Immacolata!
Oggi è il giorno che accende le prime luci del Natale: ti auguro calore, serenità e sorrisi.

https://www.fanpage.it/