Le parole dell’Ave generosa di Ildegarda di Bingen scorrono l’una dopo l’altra come grani di rosario che invitano a meditare e pregare il mistero dell’Incarnazione in Maria

di: Anita Prati

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Settimana News

Ave, generosa, gloriosa et intacta puella,
tu pupilla castitatis, tu materia sanctitatis,
quæ Deo placuit.Nam hæc superna infusio in te fuit,
quod supernum Verbum in te carnem induit.

Tu candidum lilium, quod Deus
ante omnem creaturam inspexit.

O pulcherrima et dulcissima,
quam valde Deus in te delectabatur!

Cum amplexione caloris sui in te posuit
ita quod Filius eius de te lactatus est.

Venter enim tuus gaudium habuit,
cum omnis caelestis symphonia de te sonuit,
quia, virgo, filium Dei portasti
ubi castistas tua in Deo claruit.

Viscera tua gaudium habuerunt,
sicut gramen super quod ros cadit
cum ei viriditatem infundit;
ut et in te factum est, o mater omnis gaudii.

Nunc omnis Ecclesia in gaudio rutilet
ac in symphonia sonet
propter dulcissimam virginem
et laudabilem Mariam Dei genitricem.

Amen.

Ave, nobile, gloriosa e intatta fanciulla,
tu pupilla della castità, tu materia della santità,
che piacque a Dio.In te, infatti, avvenne quella divina infusione,
per cui il Verbo divino in te indossò la carne.

Tu candido giglio, cui Dio
rivolse lo sguardo prima di ogni creatura.

O bellissima e dolcissima,
quanto grandemente Dio si è compiaciuto in te!

Nel calore del suo abbraccio ha posto in te
suo Figlio, così che potesse essere da te allattato.

E il tuo grembo esultò di gioia,
quando tutta la sinfonia celeste sgorgò da te,
perché tu, o vergine, portasti il Figlio di Dio,
quando la tua castità rifulse in Dio.

Le tue viscere esultarono di gioia,
come l’erba su cui cade la rugiada
infondendovi viridità;
così è accaduto anche in te, o madre di ogni gioia.

Ora tutta la Chiesa risplenda di gioia
e risuoni in armonia
per la dolcissima vergine Maria
madre di Dio degna di lode.

Amen.

Sostenute dalla vocalità lineare della melodia gregoriana composta dalla stessa Ildegarda[1] o armonizzate in forma polifonica, come nel recente lavoro del compositore norvegese Ola Gjeilo[2], le parole dell’Ave generosa di Ildegarda di Bingen scorrono l’una dopo l’altra come grani di rosario che invitano a meditare e pregare il mistero dell’Incarnazione in Maria.

La preghiera si schiude nel segno lucano dell’Ave per sgorgare dentro un’intensa dimensione dialogica, sottolineata dalla continua ripresa del pronome personale di seconda persona singolare (tu, in te, de te).

Il nesso in te – sul piano sintattico un complemento di stato in luogo – è ripetuto per ben cinque volte: superna infusio in te fuit; supernum Verbum in te carnem induit; Deus in te delectabatur; in te posuit; in te factum est.

Maria è il luogo, lo spazio, la dimora, la casa, la carne, in cui il Verbo divino incontra e assume l’umanità. Ma la maternità non è una dimensione di subìta passività, la matrice non è ricettività inerme, priva di dinamismo. Così come c’è generatività nel fecondare, c’è generatività nel mettere al mondo.

Mettere al mondo è un’azione che non si esaurisce nel tempo determinato del parto, ma si dispiega nel tempo continuato del continuare a dare la vita.  Maria Dei genitrixTheotokos, è la Madonna del latte, la Virgo lactans, la Panaghia Galaktotrophousa, la “Tutta santa che nutre col latte”, dal cui seno continua a sgorgare la vita per il Figlio.

Ita quod Filius eius de te lactatus est: riecheggia in questa tenerissima immagine la voce della donna che si rivolge a Gesù pronunciando un makarismos nei confronti di sua madre: “Beato il grembo che ti ha portato e le mammelle da cui hai succhiato!”[3]. Il latte materno come miracolo concreto e come simbolo potente, sul piano della significazione teologica e spirituale, della vita che permette alla vita di mantenersi viva.

Le parole si fanno poesia intrecciandosi in rimandi sonori e suggestioni visive. Come l’erba gioisce per la rugiada che infonde in lei la forza vivificatrice della verdeggiante viriditas, così gioisce Maria, mater omnis gaudii. È la gioia il filo che inanella i grani dei misteri gaudiosi. E come in Luca, l’evangelista della gioia, è il sussulto del bambino nel grembo di Elisabetta a farsi espressione della gioia intima e profonda dell’incontro con Maria, così, in Ildegarda, l’incontro di Maria con il suo Dio è gioia pura che germina nel grembo, spazio aperto e vivo dell’interiorità: Venter enim tuus gaudium habuit; Viscera tua gaudium habuerunt.

Ogni parola del testo ildegardiano è una piccola catechesi del discepolato. Guardando a Maria, generosa, gloriosa et intacta, i discepoli e le discepole possono scoprire, riscoprire, imparare, le qualità dell’umano che piacciono a Dio e che Dio ha scelto per prendere dimora fra noi.

Generosa dice l’animo grande, lo spirito largo che rifugge le piccinerie del pensiero, dell’agire e del sentire. Gloriosa racconta il sorriso luminoso, espressione di una luce interiore che nessun buio può spegnere. Intacta ci affida l’impegno a non lasciarci alterare o corrompere dal male, piegandoci nel cinismo o nell’indifferenza.

Guardando a Maria, la generosa Dei genitrix, madre e prima discepola del Figlio, anche la Chiesa può imparare a farsi grembo che vive la gioia viva dell’incontro con il suo Dio (Nunc omnis Ecclesia in gaudio rutilet) e, nella sua concava ospitalità, accoglie ogni voce in risonanza sinfonica (ac in symphonia sonet).


[1] https://www.youtube.com/watch?v=NRbR-_h7mMM

[2] https://www.youtube.com/watch?v=380NHyY1Nto

[3] Luca 11,27

«I ragazzi plusdotati», spiega Maria Assunta Zanetti, «hanno una mente che corre avanti, ma serve equilibrio tra crescita cognitiva ed emotiva

Nei giorni scorsi ha fatto il giro del mondo la notizia di Lina Heider, 12 anni, entrata alla Facoltà di economia di Bonn, dopo avere bruciato le tappe dell’istruzione. La sua storia è iniziata come quella di tanti bambini che poi vengono riconosciuti come plusdotati: con i genitori che si sono accorti presto di capacità intellettive molto precoci. Lina a un anno apprezzava storie con testi lunghi, a due sapeva contare fino a dieci: potenzialità che sono state assecondate al punto da portarla a conseguire la maturità appena undicenne, con un percorso scolastico fatto di anticipi e di classi saltate.

Ma è giusto? Lo abbiamo chiesto alla professoressa Maria Assunta Zanetti, associata di Psicologia dello sviluppo, che all’Università di Pavia dirige il Lab-Talento (Laboratorio italiano di ricerca e sviluppo del potenziale, talento e plusdotazione), punto di riferimento a livello nazionale per la ricerca e la gestione della plusdotatozione, ossia la caratteristica dei bambini con quoziente intellettivo elevato.

«È probabile», spiega la professoressa Zanetti, che, «nell’immediato, un contesto formativo universitario appaghi questa ragazzina che vi troverà soddisfazione riguardo all’aspetto cognitivo, ma mi omando: che cosa comporta, per una preadolescente, confrontarsi con colleghi che sono giovani adulti, qual è l’aspetto emotivo e il carico psicologico che deve imparare a gestire? L’appagamento cognitivo non è tutto, l’altra faccia della medaglia è un precorrere i tempi di crescita a una velocità che sotto il profilo psicologico chiede troppo».

Come rispondete nel vostro lavoro a un genitore tentato di assecondare il desiderio dei figli plusdotati di correre intellettualmente?

«Tendiamo a frenare: spesso questi ragazzi hanno la difficoltà di far combaciare la maturità intellettuale, che è avanti a volte molto avanti, con quella emotiva, che è allo stesso livello dei coetanei a volta anche un poco più indietro, c’è proprio un’asincronia dello sviluppo. Quello che noi facciamo è tenere insieme, alla ricerca di un equilibrio bilanciato, la dimensione cognitiva e la dimensione emotiva, questo non vuol dire che dobbiamo riportare indietro il cognitivo, ma che non possiamo neanche favorire un allargamento ulteriore della distanza tra il cognitivo e l’emotivo».

Possiamo spiegarlo con l’esempio di Lina?

«Questa ragazzina deve confrontarsi in un contesto di universitari che hanno 8 e 10 anni più di lei. Questa distanza temporale richiede che lei precorra alcune tappe dello sviluppo emotivo. Significa, per rispettare le richieste dell’università, rischiare di bruciare la sua adolescenza. Ci sono dei tempi di crescita che dovrebbero essere più accompagnati. Mi domando dove porti questa fretta di anticipare. Per arrivare dove? A prendere un titolo di studio che le consentirà di entrare prima nel mondo del lavoro? Perché tutta questa esigenza e questa frenesia nell’anticipare delle tappe di sviluppo? Forse dobbiamo recuperare un po’ anche, non dico la lentezza, tempi più consoni con i tempi di vita. Siamo accelerati su tutto, abbiamo un mondo che ci spinge a livello di prestazione al tutto e subito, ma questo ha costi psicologici emotivi importanti: il rischio è non solo che questa ragazza si senta vecchia a trent’anni, ma che questo accada al prezzo di una infinita solitudine. Noi, quando ci troviamo di fronte bambini con quozienti intellettivi molto alti che hanno una sete infinita di conoscenza, cerchiamo anche di trasmettere loro l’importanza di prendersi momenti di tregua, di muoversi per dare anche al fisico il modo di incanalare anche altrove la loro energia, perché diversamente il cervello non ha mai una pausa e questo ha un costo».

Famiglia Cristiana

Sulle pista da sci ora il casco è obbligatorio per tutti

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Dalla stagione invernale 2025/2026 l’Italia dice addio alle distinzioni d’età: il casco protettivo è ora legge per ogni sciatore e snowboarder. Indossarlo ridurrà i traumi più gravi

Filippo Rizzardi – Famiglia Cristiana
La stagione della neve di quest’anno porta con sé una novità che cambierà per sempre il volto delle nostre montagne. Se fino alla scorsa stagione il casco era un compagno di viaggio obbligatorio solo per i minori di 18 anni, da quest’anno la musica cambia: la protezione della testa diventa un obbligo universale. L’Italia è la prima nazione dell’arco alpino a compiere questo passo, puntando tutto sulla sicurezza in vista dei grandi appuntamenti internazionali come le Olimpiadi Milano- Cortina 2026.

Il cuore del cambiamento è il Decreto Sport n. 96/2025, che ha esteso l’obbligo a chiunque pratichi sci, snowboard e slitta. Non importa se sei un veterano con molti anni di esperienza alle spalle o se stai affrontando il tuo primo campo scuola: se sei in pista, il casco ci deve essere. E anche ben allacciato. L’obbligo vale per tutte le aree sciabili attrezzate, comprese le piste di allenamento e gli snowpark.

Dopo Gaza, le Chiese sono chiamate a riflettere sul proprio ruolo: pregare, aiutare e ricostruire, pur nella loro limitatezza e con la consapevolezza di non essere fuori dalla colpa di questa Storia

di: Fulvio Ferrario

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Dopo Gaza, le Chiese sono chiamate a riflettere sul proprio ruolo: pregare, aiutare e ricostruire, pur nella loro limitatezza e con la consapevolezza di non essere fuori dalla colpa di questa Storia. Un’altra sfida, inoltre, è tenere vivi la fede e il dialogo contro ogni antisemitismo e anti islamismo. Fulvio Ferrario è professore di Teologia sistematica presso la Facoltà valdese di Teologia di Roma. Dal sito della rivista Confronti, 1 dicembre 2025

Tutte e tutti sembrano d’accordo sul fatto che anche per le Chiese, per l’Ebraismo, per il dialogo interreligioso, vi è un prima e un dopo Gaza. Per due anni, la tragedia si è consumata sotto gli occhi di un mondo e di una politica internazionale in parte impotenti, in parte (l’America di Trump) decisamente complici della mattanza compiuta da Israele in seguito alla strage del 7 ottobre.

Lo stesso Trump è poi riuscito a imporre una tregua: precaria e quanto mai equivoca, ma pur sempre una tregua, che anche le Chiese hanno salutato con molta prudenza, ma constatando la diminuzione del numero di vittime della furia scatenata dallo Stato di Israele. Perché bisogna pur dirlo, con grande dolore (almeno di chi si è sempre considerato amico di Israele e acceso fautore del suo diritto all’esistenza): Netanyahu non ha agito da solo.

Ma torniamo alle Chiese. Che cosa possono fare, di fronte alle macerie di Gaza, ai morti, allo scempio di ogni diritto internazionale e al trionfo di una politica brutale, anche quando strappa brandelli di tregua? Le Chiese, anzitutto, pregano. In questo scenario tragico, sembra a chi scrive che ci siano buone ragioni per privilegiare la preghiera silenziosa nella cameretta, della quale parla Gesù (Mt. 6,6), rispetto a manifestazioni spettacolari organizzate da un capo o da una lobby religiosa, con altri e altre a far da contorno.

Constato però che su questo punto non c’è unanimità. Essenziale, comunque, è che la preghiera ci sia, perché la Chiesa non può rinunciare a gridare al suo Signore la propria angoscia e il proprio disorientamento. Le Chiese, in secondo luogo, possono aiutare. In questo, esse dispongono di una secolare esperienza, di collaudate strutture organizzative e, oggi ancora, di una discreta capacità di raccogliere fondi. Il loro intervento, naturalmente, non ha alcuna pretesa di essere risolutivo, ma può essere rilevante ed ecumenico.

In realtà, non sappiamo ancora quando giungerà l’ora della ricostruzione, non sarà in ogni caso domani: ma non può non venire. Sarà carica di speranza, ma a modo suo anch’essa terribile, perché abitata da immane miseria e perché attraversata da odio, terrore diffidente e da un lutto che non sembra estinguibile in tempi storici.

L’opera delle Chiese non sarà inutile. Certo, neppure essa potrà vantare chissà quale innocenza o purezza: nessuno è fuori dalla Storia, e, in questa Storia, nessuno è fuori dalla colpa. Detto questo, tra Hamas e le Chiese, tra Trump e le Chiese, tra Netanyahu e le Chiese, scelgo le Chiese. Infine, le Chiese possono contribuire alla lotta contro antisemitismo e anti islamismo. È fin troppo chiaro, certo, che la loro Storia non fornisce credenziali particolarmente autorevoli, né su un fronte, né sull’altro.

Negli ultimi decenni, tuttavia, almeno nell’ambito del Cattolicesimo e del Protestantesimo, qualcosa è accaduto e sono state poste basi significative per un futuro diverso. La comprensione teologica cristiana di Israele si è profondamente modificata e, per certi aspetti, rovesciata, fino a determinare l’inizio di un ripensamento complessivo dell’autocoscienza della Chiesa.

Karl Barth prima e il Vaticano II poi hanno fornito impulsi teologici che stanno iniziando a produrre frutti: ancora modesti, ma che vanno al di là dell’esercitazione accademica. L’incompatibilità tra la fede in Gesù e l’antisemitismo è acquisita da ogni persona cristiana consapevole, cattolica o evangelica; essa può coesistere (purtroppo è diventato necessario ribadirlo) con la critica anche dura, non solo della politica del governo israeliano, ma anche con l’ideologia a quanto pare dominante in quel Paese.

Per quanto riguarda l’anti islamismo, le Chiese cristiane sono impegnate su due terreni in particolare. Uno è quello della conoscenza della pluralità e della ricchezza dell’Islam, contro semplificazioni grossolane; il secondo, più visibile, è l’incontro concreto con le persone islamiche che vivono nel nostro Paese o vi transitano, con l’impegno sociale che ne deriva e che non sempre incontra consenso sociale. Preghiera, solidarietà, sensibilizzazione: non è molto e non sposta gli equilibri della politica mondiale, ma è la sfida del presente, al di là delle chiacchiere.

Settimana News

L’incarnazione profonda, una teologia promettente

di: Stefano Fenaroli

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Lo scorso 16 dicembre, nell’Aula Magna del Seminario vescovile di Pistoia si è tenuta la cerimonia di assegnazione della Terza edizione del Premio nazionale di Teologia «Mons. Giordano Frosini» (cf. qui su SettimanaNews). La terza edizione ha premiato il lavoro di Stefano Fenaroli, La teologia della deep incarnation. Indagine, dialogo e prospettive (Queriniana, Brescia 2024). Riprendiamo di seguito il discorso di Fenaroli per l’accettazione del premio

La teologia dell’incarnazione profonda (o della deep incarnation) è una sensibilità, una corrente, una prospettiva teologica nata agli inizi del Duemila grazie alla riflessione di Niels Gregersen, teologo danese luterano, e che progressivamente ha interessato il lavoro di numerosi teologi e teologhe in tutto il mondo e che oggi sta cercando di farsi strada anche nel panorama italiano (e questo mio lavoro è uno dei primi passi per provare a illustrare e fare sintesi in maniera sistematica di questa proposta).

Parlo di «sensibilità» e non di scuola in quanto non c’è un maestro cui poi si affiliano diversi «discepoli» che bene o male ripetono gli stessi concetti, ma c’è un’intuizione di fondo, originaria, che viene poi declinata, sviluppata e portata avanti in maniera singolare e personale nella riflessione dei diversi studiosi e studiose.

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Gregersen, dunque, è il primo che ha utilizzato questa espressione (deep incarnation) per sottolineare il totale coinvolgimento di Dio e della creazione nell’evento dell’incarnazione del Figlio in Gesù. Infatti, dice Gregersen, facendosi carne (sarx) in Gesù, il Logos non ha assunto solo questo singolo individuo di Nazaret (aner), non ha assunto solo il nostro essere-umano (anthropos), ma proprio nel suo divenire un essere-umano ha assunto la matrice stessa di tutto ciò che è creato, ovvero la nostra creaturalità.

In questo senso, facendosi carne, il Logos assume e fa proprio il cuore, l’essenza, la realtà più propria del nostro stesso esistere così come dell’esistere di ogni creatura, umana e non umana. Pensiamo a quanto già affermava Paolo in Rm 8,20-22:

«La creazione infatti è stata sottoposta alla caducità – non per sua volontà, ma per volontà di colui che l’ha sottoposta – nella speranza che anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi».

C’è dunque un coinvolgimento nell’evento dell’incarnazione di tutta la creazione, e non solo dell’umanità o, peggio, dell’umanità peccatrice bisognosa di redenzione. Si supera quella prospettiva che legava l’incarnazione al peccato dell’uomo per ricollocarla all’interno di un disegno salvifico più ampio.

E d’altra parte, questa è solo una «prima» assunzione, che dev’essere riletta – dice Gregersen – alla luce della «seconda» assunzione, ovvero la risurrezione e ascensione al cielo. Con la risurrezione, infatti, tutto ciò che siamo, tutto ciò che ci appartiene in quanto creature e che il Verbo ha assunto in Gesù facendosi carne, già ora è presente in Dio, è a sua volta assunto nell’abbraccio trinitario e, come dice Gesù in Giovanni, «ci prepara il posto»: «Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve l’avrei detto. Io vado a prepararvi un posto; quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io» (14,3-4).

Una duplice assunzione, dunque, che nella singolarità di Gesù riconosce il darsi di un evento teologico in cui tutta la creazione è coinvolta e da cui tutta la creazione riceve la salvezza e una promessa di vita eterna.

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Trovo questa prospettiva di estremo interesse, principalmente per due motivi.

Innanzitutto perché, lungi dal volersi presentare come la novità dirompente e inedita che stravolge ogni discorso teologico, l’incarnazione profonda si riconosce come radicata e impegnata a riscoprire una tradizione teologica che risale fino alle lettere paoline (cf. l’inno di Col 1,15-20), ai Padri apostolici niceni e pre-niceni (Ireneo, Atanasio) e che dopo Calcedonia è stata ripresa da Massimo il Confessore e dalla tradizione francescana (Bonaventura).

Una tradizione che rilegge l’incarnazione nel suo autentico contesto economico-salvifico, quale culmine di un disegno d’amore che parte dalla creazione, in quanto il Verbo incarnato è lo stesso Verbo creatore di cui ci parla sempre il Prologo di Giovanni (Gv 1) e, prima ancora, l’Antico Testamento (Pr 8, Sir 24), e arriva fino alla seconda creazione, alla fine dei tempi, quando Dio sarà tutto in tutti.

Un’unica economia della salvezza che rimette al centro l’evento Gesù nel suo contesto prettamente biblico, quale compimento di una storia della salvezza più ampia, superando dunque quelle derive che spesso hanno portato il discorso cristologico a diventare un conflitto terminologico (persona-natura), filosofico-teologico, specialmente attorno al concilio di Calcedonia (tradizione che da Calcedonia tende ad affievolirsi e a rimanere sempre in secondo piano, riemergendo in alcuni specifici punti della storia della teologia).

Il secondo motivo d’interesse, e ritorniamo così al contesto di questo premio, è la volontà dell’incarnazione profonda di fare propria la sensibilità ecologica dei nostri giorni, impegnarsi nel dialogo con essa e offrire un fondamento credibile e autentico all’importanza del discorso ecologico per la fede cristiana. Un fondamento, dice Gregersen, che non si rifaccia solo al primo articolo di fede (Dio Padre creatore) ma al secondo (il Figlio incarnato). Un dialogo che quindi si impegna anche con le scienze, la biologia, la fisica, e con diverse interpretazioni del mondo e del divino (non ultima la prospettiva post-teista o trans-teista. Nel mio lavoro, infatti, un capitolo è dedicato al confronto con la proposta di Paolo Gamberini, una delle principali visioni post-teiste in Italia).

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Una teologia, quella dell’incarnazione profonda, che ci offre un incontro di passato, presente e futuro, che prova ad alimentare con nuova linfa il lavoro teologico, il suo linguaggio, il suo modo di vedere e di raccontare il mondo.

Il mio lavoro è solo un primo passo su questo sentiero di aggiornamento, un sentiero che al momento non sappiamo forse dove potrà arrivare, quali salite o quali ostacoli dovrà affrontare prima di arrivare a un qualche rifugio o quali compagni metterà al nostro fianco. Questo riconoscimento, tuttavia, offre una preziosa boccata d’ossigeno, è già un chiaro segnavia e, per quanto siamo solo all’inizio, lascia presumere che forse siamo sulla strada giusta e che vale la pena percorrerla fino in fondo.

Settimana News

Cast del Festival al completo, Angelica Bove e Nicolò Filippucci vincono Sarà Sanremo I titoli dei brani in gara nella Categoria Big

Destinazione Ariston per i vincitori di Sarà Sanremo.

Dopo la finalissima in diretta dal Teatro del Casinò di Sanremo, anche il cast artistico è finalmente al completo. Le quattro Nuove Proposte, di cui 2 uscite vincitrici dal contest Rai, condotto dalla coppia Conti-Gazzoli, sono Angelica Bove e Nicolò Filippucci, mentre Blind, El Ma & Soniko e Mazzariello, dopo la selezione di Area Sanremo, in base al nuovo Regolamento del Festival, avevano già conquistato la meta.
A decretare il risultato dei vincitori di Sarà Sanremo, dopo l’esibizione dal vivo, la Commissione musicale presieduta dal direttore artistico del Festival Carlo Conti, e composta da Manola Moslehi, Ema Stokholma, Carolina Rey, Daniele Battaglia ed Enrico Cremonesi, insieme al “giurato dietro le quinte” Claudio Fasulo, vicedirettore della Direzione Intrattenimento Prime Time.
I quattro della categoria Nuove Proposte, si aggiungono così ai 30 “Big” in gara per il 76° Festival della Canzone Italiana, in diretta su Rai 1 (ma anche Rai Radio2 e RaiPlay) dal Teatro Ariston di Sanremo dal 24 al 28 febbraio. La serata di Sarà Sanremo ha visto, inoltre, la partecipazione dei 30 Big che hanno svelato, durante la diretta, il titolo del proprio brano in gara.

SANREMO 76 – ARTISTI CAMPIONI e TITOLI CANZONI 

Arisa – Magica favola
Bambole Di Pezza: Resta Con Me
Chiello – Ti penso sempre
Dargen D’Amico – AI AI
Ditonellapiaga: Che fastidio!
Eddie Brock – Avvoltoi
Elettra Lamborghini: Voilà
Enrico Nigiotti – Ogni volta che non so volare
ERMAL META – Stella stellina
Fedez & Masini – Male necessario
Francesco Renga – Il meglio di me
Fulminacci: Stupida sfortuna
J-AX – Italia Starter Pack
LDA & AKA 7even – Poesie clandestine
Leo Gassmann: Naturale
Levante: Sei tu
Luchè – Labirinto
Malika Ayane – Animali notturni
Mara Sattei – Le cose che non sai di me
Maria Antonietta & Colombre –  La felicità e basta
Michele Bravi: Prima o poi
Nayt – Prima che
Patty Pravo – Opera
Raf –  Ora e per sempre
Sal Da Vinci – Per sempre sì
Samurai Jay – Ossessione
Sayf – Tu mi piaci tanto
Serena Brancale – Qui con me
Tommaso Paradiso – I romantici
Tredici Pietro – Uomo che cade

LE QUATTRO NUOVE PROPOSTE 

DA SANREMO GIOVANI
Angelica Bove – Mattone
Nicolò Filippucci – Laguna

DA AREA SANREMO
Blind, El Ma & Soniko – Nei miei DM
Mazzariello – Manifestazione d’amore

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IV domenica di Avvento (Anno A) – 21 dicembre 2025

The Dream of St. Joseph, Luca Giordano (Italian, 1632-1705), about 1700, oil on canvas, 46-5/8 x 54-1/4 in. (canvas) approximately 57-1/2 x 64-1/2 x 4 in. (framed), European Painting and Sculpture Before 1800 , Penta Springs Limited

Famiglia Cristiana

Giuseppe, l’uomo della notte, del silenzio e dei sogni

l Vangelo dell’ultima domenica di Avvento ci conduce nella casa silenziosa di Giuseppe. Qui, prima ancora del Natale, tutto si muove attorno a un turbamento profondo. Il sogno di Giuseppe, infatti, nasce come rovesciamento di un incubo. La realtà gli era appena crollata addosso: Maria, la sua promessa sposa, è incinta. Matteo dice che lo è «per opera dello Spirito Santo», ma questo annuncio teologico non attenua lo smarrimento di un giovane uomo che non aveva mai visto – né nella Scrittura né nella storia – un concepimento così. Giuseppe si trova stretto tra due decisioni dolorose: denunciare pubblicamente Maria, esponendola all’accusa di adulterio, oppure sciogliere il legame in segreto.

Per capire la drammaticità del momento basta ricordare che, nel mondo ebraico, il matrimonio era valido già dal primo accordo tra i due, anche se gli sposi non vivevano ancora insieme. È proprio in questo periodo che Maria risulta incinta: una gravidanza così era punita dalla legge come adulterio.

Matteo definisce Giuseppe “giusto”. Non perché esegua meccanicamente il codice, ma perché sa ascoltare anche la legge del cuore. La sua giustizia è fatta di misericordia, di discernimento, di una tenerezza forte e silenziosa. È giusto perché non si lascia imprigionare dalla durezza della norma e, prima di tutto, vuole proteggere Maria. Decide di sciogliere il vincolo in segreto: preferisce pagare un prezzo personale piuttosto che esporre l’amata alla vergogna e alla morte.

In questo atteggiamento si rivela la grandezza di Giuseppe. Egli insegna che la vera giustizia non è cieca applicazione della legge, ma capacità di leggere le persone prima dei codici. C’è la legge scritta sulla carta e c’è quella impressa nella coscienza: quando le due entrano in conflitto, occorre scegliere la via che salva. Ed è proprio qui che Dio interviene. Un angelo, nel sogno, gli dice: «Non temere di prendere con te Maria». Il sogno non è evasione dalla realtà, ma conferma luminosa del bene che Giuseppe aveva già intuito. L’incubo si capovolge: ciò che sembrava una minaccia diventa una vocazione. Giuseppe accoglie, non senza timore, un compito inedito e più grande di lui. La sua obbedienza – semplice, ferma, nascosta – apre la strada all’incarnazione.

C’è un tratto profondamente umano in questa pagina. Anche noi custodiamo un sogno di vita affettiva piena, perché nasciamo nella relazione e viviamo di relazioni. Per questo l’incubo del tradimento, dell’incomprensione, della solitudine, è uno dei più dolorosi che la vita possa riservare. Quando l’amore viene ferito – tra marito e moglie, tra genitori e figli, tra amici –, il cuore sanguina a lungo.

Ma Giuseppe ricorda che nessuna ferita affettiva è irreparabile. Che il sogno non va accantonato, ma purificato. Che Dio può trasformare ciò che appare come una fine in un inizio nuovo. È lo stile di Dio: entrare nelle nostre fratture per farne culla di una vita nuova.

Arrivati all’ultima tappa dell’Avvento, il Vangelo ci invita a riconoscere che la preparazione al Natale non consiste solo in riti o in attese spirituali generiche, ma nella disponibilità ad accogliere il modo sorprendente con cui Dio entra nelle nostre storie. Come Giuseppe.