
Il mondo che guardiamo è incerto e l’ansia sta diffondendosi a dismisura tra guerre, ingiustizie, normalizzazione del dolore, crisi economiche, violenze e paure interiori… E proprio in questo tempo, dominato da attacchi di panico e da una fatica nascosta al cuore, la speranza si fa urgente e necessaria. Nel contesto del Giubileo del 2025, proclamato da Papa Francesco come Giubileo della Speranza, risuona forte l’invito a camminare insieme, pellegrini verso luoghi antichi e interiori di grazia. Il vero giubileo, la vera Porta Santa, è imparare a superare e attraversare la crisi, vincendo il muro dell’indifferenza e facendoci solidali. Se penso al mio primo incontro in strada con Angelo, un ragazzo che ho salvato da un’overdose, circa oramai 30 anni fa, ricordo che mi mostrò un murales dove — prima di tentare il suicidio appena sventato — aveva scritto: «Nonostante la vostra indifferenza noi esistiamo». Nella Bolla Spes non confundit leggiamo: «Possa il Giubileo essere per tutti occasione di rianimare la speranza», poiché solo la Parola può riaccendere nel cuore la fiducia che salva.
Papa Leone XIV, fin dal suo primo saluto, ha voluto seminare speranza attraverso le parole di Gesù Risorto: «Pace a voi», invitando tutti noi a fare la nostra parte disarmando i nostri cuori e le nostre parole. Perché la pace e la speranza si costruiscono un mattoncino alla volta, iniziando dall’amare concretamente chi abbiamo accanto e vivendo la «carità della porta accanto», tanto cara a Papa Francesco e spesso citata da Papa Leone. Nel messaggio per la IX Giornata Mondiale dei Poveri (13 giugno 2025), il Santo Padre afferma: «In mezzo alle prove della vita, la speranza è animata dalla certezza, ferma e incoraggiante, dell’amore di Dio, riversato nei cuori dallo Spirito Santo … la speranza cristiana è come un’àncora, che fissa il nostro cuore sulla promessa del Signore Gesù». Questa speranza, non evanescente, germoglia dalla fedeltà gioiosa di Dio.
«Sono tempi cattivi, tempi penosi!» si dice. Ma cerchiamo di vivere bene e i tempi saranno buoni. «I tempi siamo noi; come siamo noi così sono i tempi» (Agostino, Discorsi, 80,8). Papa Leone ha citato questa frase incontrando gli operatori dei mezzi di comunicazione. Il Pontefice ci ha ricordato che «la più grave povertà è non conoscere Dio» e che nei momenti in cui la carità viene meno, il rischio più grande è togliere speranza al prossimo, rimarcando la responsabilità reale che abbiamo l’uno verso l’altro. Se da una parte siamo chiamati a un agire libero, consapevole e responsabile, ad essere noi costruttori di speranza abbattendo i muri dell’indifferenza, dall’altra dobbiamo avere chiaro che cosa sia la speranza cristiana. Nella sua enciclica Spe Salvi (30 novembre 2007), Papa Benedetto XVI ci invita a una comprensione più profonda della speranza: non è un semplice «sperare di cavarsela», ma è un dono della fede che agisce già nel presente. La speranza cristiana è definita come «sostanza delle realtà che si sperano» e «prova delle cose che non si vedono» — un’ancora verso un futuro che entra ora nella vita. Aver fatto esperienza di Dio che è Amore significa avere speranza di ciò che sarà grazie a ciò che già abbiamo sperimentato: Lui è l’Emmanuele, il Dio con noi, che non ci lascia mai soli e che ha già vinto!
Papa Benedetto ci spiega che la speranza terrestre — una volta realizzata — si rivela spesso vuota, perché non può saziare il cuore. Solo la speranza infinita che ha radici nell’amore di Dio può gioire veramente ed essere trasformativa. Tutti abbiamo un bisogno fondamentale di amare ed essere amati realmente e per ciò che siamo, e solo Dio può rispondere a questo bisogno! Ma non è sufficiente guardare in alto: la speranza deve scendere dove viviamo davvero, nelle relazioni, nella cura, nello sguardo che riconosce l’altro — soprattutto il povero — come fratello e sorella, come chi custodisce una speranza più grande. Il Giubileo 2025 ci richiama a incontrare le Porte Sante e a unirci a Cristo in cammino nei nostri cuori, famiglie, città: pellegrini che portano speranza. Non ho mai pensato di fondare qualcosa… Eppure, se ci si mette in cammino, seguendo il Signore, non si può restare sordi dinnanzi al grido dell’umanità che ci sta accanto. È così che è nata Nuovi Orizzonti. Una realtà che ha proprio come mission portare la gioia a chi ha perso la speranza e dischiudere nuovi orizzonti a chi vive situazioni di profondo disagio. Da una semplice esperienza di ascolto in strada a una prima sede un po’ accampati, oggi Nuovi Orizzonti è una Comunità Internazionale, che raggiunge 40.000 persone in 80 Paesi con il percorso di conoscenza di sé e guarigione del cuore chiamato Spiritherapy e con più di 231 centri di accoglienza, orientamento e formazione e 1.020 equipe di servizio impegnate in diversi ambiti, ponendosi l’obiettivo di intervenire in tutti gli ambiti del disagio sociale realizzando azioni di solidarietà a sostegno di chi è in grave difficoltà, con una particolare attenzione alle tante problematiche che caratterizzano i ragazzi di strada e il mondo giovanile.
Nuovi Orizzonti è un nome che già di per sé offre speranza e una via di uscita alle tante situazioni di disagio sociale. L’orizzonte è il punto di incontro tra la terra e il cielo. Dai primi anni ’90 quando andavo da sola di notte alla Stazione Termini di allora, per ascoltare il grido di tanti giovani vittime di dipendenze, prostituzione, violenza, si è sviluppata nel tempo una realtà molto articolata che opera ad ampio raggio nella prevenzione, nell’accoglienza, nell’evangelizzazione di strada, nella cooperazione internazionale e in tanti altri ambiti come la comunicazione o l’arte e lo spettacolo, custodendo la scintilla iniziale: «Portare l’amore a chi non ha conosciuto l’amore, la luce a chi vive nelle tenebre, la vita a chi è nella morte, la pace e l’unità là dove c’è angoscia e divisione, il paradiso della comunione con Dio a chi vive nell’inferno del peccato» (Statuti Generali Art. 4). Non a caso il carisma specifico è portare la gioia di Cristo ponendo una particolare attenzione al mistero della discesa agli inferi di Gesù e alla sua Risurrezione.
Oggi le problematiche più palesi sono solo la punta dell’iceberg di un disagio molto più profondo e diffuso. Si può chiamare anoressia, alcolismo, tossicodipendenza, sesso dipendenza, ludopatia, internet addiction, social dipendenza, shopping compulsivo… ma sotto c’è sempre un bisogno più profondo inascoltato o mal soddisfatto: il bisogno di amare ed essere amati. Tutti cerchiamo la felicità. Il problema è quali risposte troviamo o ci diamo per essere felici. Spesso si ricorre a palliativi che ci rendono più infelici e creano dipendenze mortali. Inoltre non diamo ascolto alla parte più profonda di noi, a quella parte spirituale che ci caratterizza e ci rende unici. Non a caso il percorso di Spiritherapy che dalla Pandemia si è diffuso in 80 Paesi del Mondo raggiugendo 40.000 persone, è un percorso basato sul Vangelo per imparare l’Arte di Amare attraverso un cammino di conoscenza di sé e guarigione del cuore, perché solo Colui che è l’Amore può insegnarci ad amare veramente e in modo pieno e perché solo Colui che fascia le «piaghe dei cuori spezzati» può guarire le ferite profonde del cuore.
E allora, proprio per la mia esperienza sul campo in più di 30 anni contemplando tanti giovani passare dalla morte alla vita, posso dire che la speranza che abbiamo è fondata. E alla domanda: «In cosa speriamo?» rispondo così:
Speriamo in una Speranza che ha un nome, quello di Gesù, luce vera che illumina le tenebre.
Speriamo in una Speranza che scava, rompe le croste dell’indifferenza e della disperazione, e trova il cuore di ciascuno.
Speriamo in una Speranza che ci chiama all’azione e ci rende semi, capaci di germogliare gesti di pace, bellezza, gratuità — là dove tutto sembra chiuso.
Speriamo in una Speranza non fragile, anzi — forte e affidabile — perché si fonda sull’amore fedele di Dio, su una fede viva e su un futuro che già abita il presente.
Quando disperi, quando ti senti abbattuto, ricordati che non sei solo/a, non c’è buio senza fondo, ma anzi, come diceva santa Teresina, più in basso sei caduto più in alto potrai tornare se ti metti nelle mani di Dio! In questa nostra storia personale e collettiva, la Speranza — quella vera — invita a restare, ad alzare lo sguardo, a tendere la mano. Camminiamo insieme, pellegrini di un tempo santo, verso cuori aperti e cieli nuovi. Sii luce — luce fragile ma vera —: con un sorriso, un ascolto, una carezza silenziosa. Anche il seme più piccolo può fiorire quando esposto alla tenerezza di chi crede. E allora: «In cosa speriamo?». Nell’amore che salverà, che rinnova, che non delude. In un mondo assetato di consolazione, sii sorgente — con il tuo amore, il tuo tempo, il tuo impegno. Lasciati toccare dalla gioia che non passa, dal soffio che rinnova, dalla promessa che vince la morte. Insieme, rendiamo il nostro tempo più umano, più vero, più bello. Speriamo: non come chi non ha altra via, ma come chi ha trovato la Via, la Verità, la Vita — e vive già, dentro di sé, la novità dell’eternità.
avvenire