La cucina italiana adesso ha il “bollino” dell’Unesco

La cucina italiana adesso ha il “bollino” dell'Unesco

Dal Prosecco superiore di Valdobbiadene ai pizzaioli napoletani. La cucina italiana, da Nord a Sud, è intessuta di ricette, prodotti e saperi che non sono solo una dote culturale. Ma anche, e forse soprattutto, economica. Coldiretti stima in 707 miliardi di euro il valore della filiera agroalimentare allargata mentre l’istituto Ismea calcola che è l’Italia a detenere il record di prodotti Dop, Igp e Stg (Specialità tradizionali garantite) in Europa: 331 marchi che valgono da soli 9,64 miliardi di euro alla produzione.
Stamani questa eredità è stata riconosciuta come patrimonio culturale immateriale da parte di Unesco, che ha espresso il suo parere positivo a Nuova Delhi con il voto della maggioranza dei delegati di 24 Stati riuniti in India. «La comunità internazionale sostiene in questo modo che la cucina italiana è cultura. Una cultura che è coacervo di patrimoni culinari diversi: quello arabo, normanno, francese, spagnolo e persino americano». Così commenta il riconoscimento alla cucina italiana il professor Pier Luigi Petrillo, direttore dell’università Unitelma Sapienza di Roma e professore di Cultural heritage and food alla università Luiss, che ha redatto il dossier presentato dal ministero della Cultura per la candidatura all’agenzia Onu. Ma il docente mette in guardia da un eccessivo ottimismo sull’impatto economico del marchio Onu: «È molto difficile ad oggi poter quantificare l’effetto del riconoscimento Unesco sulla filiera agroalimentare, anche perché i prodotti italiani non hanno bisogno dell’Onu per essere attrattivi»..
Un giovane pizzaiolo: la pizza è uno dei cibi italiani più apprezzati nel mondo
Un giovane pizzaiolo: la pizza è uno dei cibi italiani più apprezzati nel mondo
Quasi ovunque in Italia, in realtà, l’approvazione Unesco ha già prodotto un impatto economico positivo: l’isola siciliana di Pantelleria, ad esempio, dall’entrata nel 2014 tra i patrimoni culturali per la coltivazione della vite ad alberello, ha fatto registrare un +9,7% di turismo ogni anno, un +75% di turismo fuori stagione e un +500% della forza lavoro nell’agriturismo negli ultimi dieci anni. Lo stesso è successo a Napoli, dove dall’arrivo del marchio Onu all’arte dei “pizzaiuoli” i corsi professionali sono cresciuti del 283% e le scuole accreditate, tutte all’estero, del 420%. Per le colline del Prosecco superiore di Conegliano e Valdobbiadene, riconosciute dall’Unesco nel 2019, la crescita è stata del 45,4% nelle strutture turistiche. A monitorare la crescita economica dei patrimoni Unesco italiani è lo studio “Impatto economico dei riconoscimenti Unesco”, avviato nel 2023 dalla cattedra Unesco dell’università Unitelma Sapienza di Roma, diretta dallo stesso Petrillo. Ma stavolta, secondo il docente, si tratta di un riconoscimento diverso: «Non è stato insignito un singolo prodotto o un’arte, ma un’intera cultura alimentare che, nei decenni, si è comportata come una spugna imbevuta di numerose altre tradizioni». Non per questo, però, il marchio Onu non sarà in grado di generare un positivo «effetto a cascata sui ristoranti italiani, in Italia e all’estero», chiosa il professore.
Del resto, i luoghi riconosciuti dall’Onu oggi sono molto più attrattivi dei siti non Unesco, come misura la stessa ricerca Unitelma. Nel biennio 2023-24, i siti culturali non Unesco hanno fatto registrare mediamente una riduzione del 3,26% di arrivi contro un aumento del 7,39% di quelli Unesco. Anche tra le presenze, la distanza è grande: +2,5% nei siti privi di riconoscimento e +14,9% nei siti Unesco
Una donna prepara gli spaghetti alla chitarra, una delle eccellenze alimentari italiane
Una donna prepara gli spaghetti alla chitarra, una delle eccellenze alimentari italiane
Ma per quanto riguarda la filiera alimentare, secondo gli esperti, il marchio delle Nazioni unite «non produce effetti da solo»: «È un’occasione di aggregazione culturale da non sprecare – commenta Mauro Rosati, direttore  Fondazione Qualivita  per la valorizzazione dei prodotti Dop e Igp – ma serve una strategia coordinata tra Governo, Regioni e altri Enti. Dobbiamo progettare azioni di lungo periodo, educando i giovani all’agroalimentare e riavvicinandoli a consumare i prodotti italiani».
Il modello, per il direttore di Qualivita, è la cucina francese, già insignita dello stesso riconoscimento nel 2010: «Hanno sviluppato una campagna lunga due o tre anni in grado di individuare i propri obiettivi in Paesi esteri, attirati dai loro prodotti nazionali. Anche noi non dovremmo far cadere questo riconoscimento nel vuoto». A queste condizioni, la filiera agroalimentare italiana potrà resistere anche alla minaccia dei dazi: «La nostra cucina – ragiona Rosati – è assolutamente in grado di superare le resistenze delle tariffe doganali, che negli ultimi 8 anni sono state 55mila. Ma serve una comunicazione che vada oltre la celebrazione dell’Italia».
Nelle intenzioni dei promotori della candidatura, però, il riconoscimento Unesco è anche l’occasione per accendere una luce sulla condizione delle persone che vivono in condizioni di povertà alimentare, circa il 10% della popolazione italiana. «Cittadini che trovano sostegno nelle cucine popolari – commenta Andrea Segrè , presidente di Casa Artusi e ordinario di Economia circolare all’università di Bologna –. L’Unesco dimostra che la cucina italiana non è un monumento da contemplare, ma un gesto sociale che si rinnova ogni giorno perché incarna uno dei valori più profondi del nostro patrimonio: non sprecare».
I commenti dei politici
«La cucina italiana è il nostro ambasciatore più formidabile. Accompagna il turismo, arricchisce l’offerta culturale italiana e annuncia in tutto il mondo il desiderio di essere presente nei tanti luoghi e tra le persone che rendono l’Italia una comunità. E oggi voglio ringraziare tutti gli italiani nel mondo, perché è anche un’opportunità per loro». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio in occasione della riunione del comitato Unesco in corso in India sull’iscrizione di beni non tangibili patrimonio dell’umanità, che ha visto il riconoscimento della cucina italiana.
«La cucina italiana è patrimonio dell’umanità. Oggi l’Italia ha vinto ed è una festa che appartiene a tutti perché parla delle nostre radici, della nostra creatività e della nostra capacità di trasformare la tradizione in valore universale». Così il ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste Francesco Lollobrigida. «Questo riconoscimento celebra la forza della nostra cultura che è identità nazionale, orgoglio e visione – prosegue Lollobrigida -. La cucina Italiana è il racconto di tutti noi, di un popolo che ha custodito i propri saperi e li ha trasformati in eccellenza, generazione dopo generazione. È la festa delle famiglie che tramandano sapori antichi, degli agricoltori che custodiscono la terra, dei produttori che lavorano con passione, dei ristoratori che portano nel mondo il valore autentico dell’Italia. A loro e a chi ha lavorato con dedizione a questa candidatura va il mio più profondo ringraziamento. Questo riconoscimento è motivo di orgoglio ma anche di consapevolezza dell’ulteriore valorizzazione di cui godranno i nostri prodotti, i nostri territori, le nostre filiere. Sarà anche uno strumento in più per contrastare chi cerca di approfittare del valore che tutto il mondo riconosce al made in Italy e rappresenterà nuove opportunità per creare posti di lavoro, ricchezza sui territori e proseguire nel solco di questa tradizione che l’Unesco ha riconosciuto come patrimonio dell’Umanità».
«Esprimo la più profonda soddisfazione per il raggiungimento di un obiettivo storico: la cucina italiana è stata insignita del titolo di patrimonio Immateriale dell’Umanità dall’Unesco». Lo ha dichiarato la ministra del Turismo Daniela Santanchè. «Si tratta, infatti, del riconoscimento mondiale di un modello culturale che è parte integrante della nostra identità nazionale e, allo stesso tempo, un asset strategico di grande rilevanza per il tessuto economico italiano. Il successo delle nostre eccellenze culinarie risiede in un apparato vincente e inossidabile in cui tutti gli elementi operano in sinergia. Il suo cuore è la convivialità e il valore sociale, che lega famiglie e comunità e che si unisce indissolubilmente alla ricchezza dei nostri territori, promuovendo la tutela dei prodotti locali», ha concluso la ministra.
Avvenire

Reggio Emilia, al PalaBigi la “Partita del Centro Storico”

Stampa Reggiana

REGGIO EMILIA – UNA Hotels Reggio Emilia – Dolomiti Energia Trento, in programma domenica 21 dicembre al PalaBigi alle 19:00, sarà la “Partita del Centro Storico“, un’iniziativa promossa dal Comune di Reggio Emilia in collaborazione con Pallacanestro Reggiana per sostenere e valorizzare il commercio del centro storico nel periodo natalizio.

L’iniziativa prevede la distribuzione di speciali coupon promozionali presso gli esercizi commerciali del centro storico, destinati ai clienti che effettuano acquisti nei negozi aderenti. I coupon consentono di acquistare il biglietto per la gara al prezzo promozionale di 10 euro nel settore di curva non numerata. Per usufruire dell’agevolazione, il coupon dovrà essere presentato e riscattato presso lo StoRE di Pallacanestro Reggiana in Piazza Prampolini, dove verrà emesso il biglietto a tariffa agevolata.

La “Partita del Centro Storico” nasce con l’obiettivo di creare un’ulteriore occasione di attrazione e movimento nel cuore della città durante il periodo delle festività, generando valore sia per i commercianti sia per la comunità di tifosi biancorossi. I coupon sono utilizzabili anche dai commercianti stessi.

Festeggiati in Sant’Agostino a Reggio Emilia gli anniversari di matrimonio

Stampa Reggiana

Come da tradizione, l’8 dicembre – festa dall’Immacolata Concezione di Maria – la parrocchia cittadina dei Santi Agostino, Stefano e Teresa ha festeggiato gli anniversari di matrimonio. Nella chiesa di Sant’Agostino nel corso della celebrazione eucaristica delle 11.30 presieduta dal parroco don Luca Grassi  – che ha sottolineato nell’omelia la rilevanza di queste significative tappe nel percorso matrimoniale – si sono ritrovate le seguenti coppie.

Nozze d’oro: Marinella Franzoni e Savio Filippini; Maria Adele D’Aniello e Gianni Maggese. 30° di matrimonio: Silvia Fantuzzi e Andrea Burani, Maria Ivetta Ferrari e Eugenio Cerelli; Cristina Ferrari e Franco Giacomini; Cristina Burani e Giovanni Prandi; Mariacarla Chicchi e Stefano Rivi; Delia Caldarini e Marco Villa.

Nozze d’argento: Chiara Zingariello  e Lauro Gaddi; Cristiana Davolio e Marco Mazzolani.

20 anni di matrimonio: Tiziana Landi e Felice Liccardo; Maria Chiara Serri e Erik Maffei.

Infine 5 anni: Elisa Gargioni e Stefano Soncini

Liturgia Domenica 14 Dicembre 2025 Messa del Giorno III DOMENICA DI AVVENTO – ANNO A

Colore Liturgico  Rosa

Indicazioni liturgiche per l'Avvento – Diocesi di

Antifona
Rallegratevi sempre nel Signore, ve lo ripeto:
rallegratevi. Il Signore è vicino! (Cf. Fil 4,4.5)

Non si dice il Gloria.

Colletta
Guarda, o Padre, il tuo popolo,
che attende con fede il Natale del Signore,
e fa’ che giunga a celebrare con rinnovata esultanza
il grande mistero della salvezza.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.

Oppure:

Dio della gioia, che fai fiorire il deserto,
sostieni con la forza creatrice del tuo amore
il nostro cammino sulla via santa preparata dai profeti,
perché, maturando nella fede,
testimoniamo con la vita la carità di Cristo.
Egli é Dio, e vive e regna con te.

Prima Lettura
Ecco il vostro Dio, egli viene a salvarvi.
Dal libro del profeta Isaìa
Is 35,1-6a.8a.10

Si rallegrino il deserto e la terra arida,
esulti e fiorisca la steppa.
Come fiore di narciso fiorisca;
sì, canti con gioia e con giubilo.
Le è data la gloria del Libano,
lo splendore del Carmelo e di Saron.
Essi vedranno la gloria del Signore,
la magnificenza del nostro Dio.
Irrobustite le mani fiacche,
rendete salde le ginocchia vacillanti.
Dite agli smarriti di cuore:
«Coraggio, non temete!
Ecco il vostro Dio,
giunge la vendetta,
la ricompensa divina.
Egli viene a salvarvi».
Allora si apriranno gli occhi dei ciechi
e si schiuderanno gli orecchi dei sordi.
Allora lo zoppo salterà come un cervo,
griderà di gioia la lingua del muto.
Ci sarà un sentiero e una strada
e la chiameranno via santa.
Su di essa ritorneranno i riscattati dal Signore
e verranno in Sion con giubilo;
felicità perenne splenderà sul loro capo;
gioia e felicità li seguiranno
e fuggiranno tristezza e pianto.

Parola di Dio.

Salmo Responsoriale
Dal Sal 145 (146)

R. Vieni, Signore, a salvarci.
Oppure:
R. Alleluia, alleluia, alleluia.

Il Signore rimane fedele per sempre
rende giustizia agli oppressi,
dà il pane agli affamati.
Il Signore libera i prigionieri. R.

Il Signore ridona la vista ai ciechi,
il Signore rialza chi è caduto,
il Signore ama i giusti,
il Signore protegge i forestieri. R.

Egli sostiene l’orfano e la vedova,
ma sconvolge le vie dei malvagi.
Il Signore regna per sempre,
il tuo Dio, o Sion, di generazione in generazione. R.

Seconda Lettura
Rinfrancate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina.
Dalla lettera di san Giacomo apostolo
Gc 5,7-10

Siate costanti, fratelli miei, fino alla venuta del Signore. Guardate l’agricoltore: egli aspetta con costanza il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le prime e le ultime piogge. Siate costanti anche voi, rinfrancate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina.
Non lamentatevi, fratelli, gli uni degli altri, per non essere giudicati; ecco, il giudice è alle porte. Fratelli, prendete a modello di sopportazione e di costanza i profeti che hanno parlato nel nome del Signore.

Parola di Dio.

Acclamazione al Vangelo
Alleluia, alleluia.

Lo Spirito del Signore è sopra di me,
mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio. (Is 61,1 (cit. in Lc 4,18)

Alleluia.

Vangelo
Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 11,2-11

In quel tempo, Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!».
Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: “Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via”.
In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui».

Parola del Signore.

Si dice il Credo.

Sulle offerte
Sempre si rinnovi, o Signore,
l’offerta di questo sacrificio
che attua il santo mistero da te istituito,
e con la sua divina potenza
renda efficace in noi l’opera della salvezza.
Per Cristo nostro Signore.

Antifona alla comunione
Dite agli smarriti di cuore: «Coraggio, non temete!
Ecco il vostro Dio. Egli viene a salvarvi». (Cf. Is 35,4)

*A
Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete:
ai poveri è annunciato il Vangelo. (Mt 11,4-5)

Dopo la comunione
Imploriamo, o Signore, la tua misericordia:
la forza divina di questo sacramento
ci purifichi dal peccato
e ci prepari alle feste ormai vicine.
Per Cristo nostro Signore.

Fonte CEI

Vaticano II: una svolta nella crisi?

di: Christian Bauer
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Lucio Fontana: Bozzetto per la porta centrale del Duomo di Milano.

Esattamente 60 anni fa, oggi, si concludeva solennemente il Concilio Vaticano II, seguito poi dal rollback romano. Un ricordo del suo futuro.

Chiudete gli occhi per un attimo. Immaginate un cielo stellato di notte e osservate le luci scintillanti. È come per i sedici documenti del Concilio Vaticano II (1962-1965). Sono come punti luminosi nel cielo notturno, che anche nel XXI secolo possono servire da orientamento se si sa collegarli in una costellazione. Da questa immagine non è lontano il concetto di costellazione (dal latino stella).

Una “lettura della costellazione”[1] del Concilio Vaticano II consente di stabilire le proprie priorità (opzione di primo ordine), purché si mantenga la tensione con le altre priorità (opzione di secondo ordine). Se si riuscisse a coltivare sinodalmente questa “doppia opzione” tra la propria parte e il grande insieme, ne risulterebbe uno stile di approccio non solo ai testi conciliari, ma anche tra di noi, capace di pluralità e sensibile alle differenze.

La costellazione del Concilio

Al centro del Concilio vi sono quattro costituzioni che possono essere sovrapposte alle dimensioni fondamentali della pastorale ecclesiale: la costituzione sulla liturgia Sacrosanctum concilium, la costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium, la costituzione sulla rivelazione Dei verbum (Martyria) e la costituzione pastorale sulla Chiesa Gaudium et spes (Diakonia).

Tutti e quattro i testi principali del concilio Vaticano II affondano le loro radici nei cambiamenti preconciliari della pastorale: SC nel movimento liturgico (actuosa participatio), LG nel movimento dei fedeli laici (la Chiesa si risveglia nelle anime), DV nel movimento biblico (réveil évangélique) e GS nel movimento missionario (la Chiesa deve uscire da sé stessa).

Squilibrio teologico. Questo modo di interpretare il Vaticano II attraverso le sue quattro costituzioni era già stato proposto dal Sinodo dei vescovi in occasione dell’anniversario del Concilio nel 1985, ma con un’enfasi diversa da quella che segue.

La formula sintetica con cui questo sinodo speciale, dominato da Joseph Ratzinger, ha sintetizzato il Concilio, presenta infatti uno squilibrio teologico conciliare. Essa riduce il plurale della costellazione dei suoi testi dottrinali a un singolare incentrato sulla liturgia: la Chiesa (LG) – sotto la parola di Dio (DV) – celebra i misteri di Cristo (SC) – per la salvezza del mondo (GS). Il verbo che dà senso a questa formula conciliare si riferisce alla liturgia come attività principale che determina l’essenza della Chiesa (“celebra i misteri di Cristo”).

Chiesa sensibile al mondo. La dinamica del Concilio stesso suggerisce un diverso punto focale: posto nella costituzione pastorale Gaudium et spes[2] .In essa era in discussione la questione pastorale fondamentale del Vaticano II: la Chiesa nel mondo di oggi – che cosa vuol dire?

Un riassunto autentico del Concilio sarebbe quindi: la Chiesa (LG) – a servizio della salvezza del mondo (GS) – attraverso i misteri di Cristo (SC) – sotto la parola di Dio (DV). Questa formula sintetica è confermata nei due testi quadro che, in quanto primi e ultimi documenti approvati dal Concilio, ne rappresentano il punto centrale non solo dal punto di vista storico ma anche sistematico: il Messaggio al mondo (20 ottobre 1962) e la Gaudium et spes (7 dicembre 1965).

Marie-Dominique Chenu, che ha ispirato non solo il suddetto messaggio, ma anche la successiva costituzione pastorale, delinea l’immagine ideale di una Chiesa “sensibile al mondo” in modo nuovo: “Il Concilio dovrà definire il problema della Chiesa […] in base alle dimensioni del mondo […]. Non si deve sottovalutare l’importanza […] della riforma liturgica, della rinascita di comunità veramente cristiane, del rinnovamento dei metodi dell’apostolato e del ripristino della funzione episcopale, che sono tutti giustamente all’ordine del giorno del prossimo Concilio, ma tutte queste questioni importanti trovano la loro luce […] nella visione di un mondo nuovo […]”.[3]

Svolta restaurativa

L’8 dicembre 1965 il Concilio si concluse solennemente, ma già il 9 dicembre iniziò la lotta romana contro il Concilio. Durante il lunghissimo doppio pontificato di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI (1978-2013), questa tendenza acquisì addirittura «egemonia culturale» (A. Gramsci) nella Chiesa universale.

Dopo la breve primavera conciliare sotto Giovanni XXIII e Paolo VI (1958-1978), iniziò un “periodo invernale” (Karl Rahner), che solo sotto i papi Francesco e Leone XIV (2013-oggi) si sta trasformando in un disgelo – e il cui periodo di grande freddo ha influenzato anche il sentimento ecclesiale dell’autore di queste righe.

Come molti altri, anche io ho imparato a distinguere, in una schizo-ecclesiologia cognitivamente dissonante, tra la mia esperienza parrocchiale locale e una politica ecclesiale globale, la cui elaborazione teologica non è ancora nemmeno iniziata.

Nuova evangelizzazione. Un momento chiave in questo passo indietro romano è stato il già citato sinodo speciale per l’anniversario del Concilio nel 1985. Esso stabilì un’interpretazione romana del Vaticano II che, partendo da una lettura negativa del periodo postconciliare, avrebbe dovuto contenere i cambiamenti allora in atto nella Chiesa universale: in riferimento alla liberazione politica (America Latina), all’inculturazione cristiana (Africa), al dialogo interreligioso (Asia) e alla secolarizzazione sociale (Europa, Nord America).

Il 1985 era già iniziato con un colpo di scena nella politica ecclesiastica: il Rapporto sulla fede di Joseph Ratzinger, in cui si parlava di una necessaria “restaurazione”. Al centro di questa contro-riforma c’era l’idea di una nuova evangelizzazione ricristianizzante, che allo stesso tempo rappresentava un manifesto allontanamento dal concetto olistico di evangelizzazione di papa Paolo VI espresso nell’Evangelii nuntiandi’[4]: che iniziava con l’auto-conversione della Chiesa ed era all’insegna della gioiosa sequela di Gesù nell’orizzonte del regno di Dio. Il sinodo speciale romano per l’anniversario del Concilio è sinonimo di conflitti massicci tra le Chiese locali e il centro della Chiesa universale, che hanno interessato tutti gli ambiti del popolo di Dio:

  • Vescovi: uno strumento centrale di questa politica ecclesiale restauratrice furono nomine episcopali altamente controverse (compreso un questionario sulla fedeltà a Roma, la contraccezione, l’ordinazione delle donne, il celibato, ecc.). I vescovi sgraditi venivano destituiti dal loro ufficio, come accadde a Jacques Gaillot in Francia nel 1995.
  • Preti: si arrivò a una completa riclericalizzazione, che portò persino a norme più severe in materia di abbigliamento. Ai “sacerdoti conciliari” vestiti in modo normale seguirono i “sacerdoti di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI” con il colletto romano. Inoltre, nel 1994, l’enciclica Ordinatio sacerdotalis approssimò il divieto dell’ordinazione delle donne a una dottrina infallibile.
  • Vita religiosa: anche in questo caso ci furono interventi autorevoli, il più importante dei quali fu la nomina di un nuovo generale dei gesuiti nel 1981. A Roma si puntò soprattutto sui nuovi movimenti spirituali come Comunione e Liberazione o il Neocatecumenato, nonché sul potente Opus Dei, elevato a prelatura personale nel 1982.
  • Laici: nella Christifideles laici, Giovanni Paolo II mise in guardia dal «livellamento tra il sacerdozio comune e il sacerdozio ministeriale» (23). I ministri ecclesiastici non ordinati, come gli operatori pastorali tedeschi, furono messi al loro posto con l’«Istruzione sui laici» del 1997.
  • Teologi: nel 1979 Hans Küng fu privato dell’autorizzazione all’insegnamento, dando inizio a tutta una serie di condanne dottrinali. Nel 1989 oltre 700 professori di teologia di tutto il mondo firmarono la Dichiarazione di Colonia. Nello stesso anno Roma pubblicò una Professio fidei obbligatoria nella tradizione del giuramento antimodernista.

Alle proteste dei teologi seguirono quelle dei laici impegnati. Un esempio fu il Kirchenvolksbegehren austriaco del 1995, che prese forma a partire dallo scandalo degli abusi sessuali che coinvolse l’arcivescovo di Vienna Groër. La successiva scoperta degli abusi sessuali perpetrati dai sacerdoti in tutto il mondo (e della loro copertura da parte dei vescovi, che hanno protetto i colpevoli invece di proteggere le vittime) ha inaugurato una nuova fase del periodo postconciliare, che ha caratterizzato il pontificato di Benedetto XVI.

Quest’ultimo fu eletto nel 2005 come successore di Giovanni Paolo II perché prometteva la massima continuità nella lotta contro la “dittatura del relativismo”.

Questo pontificato ha raggiunto il suo punto più basso durante la Pasqua dell’Anno Sacerdotale 2010, quando il cardinale decano Angelo Sodano, che aveva già svolto un ruolo ambiguo come nunzio durante le dittature militari di estrema destra in America Latina, ha assicurato al papa in un discorso di solidarietà che le critiche alla Chiesa per i casi di abuso non erano altro che un chiacchiericcio del momento.

Una svolta nella crisi

Anche se papa Benedetto XVI è stato meno indulgente del suo predecessore in materia di abusi sessuali, fu solo il suo successore Francesco ad affrontare realmente le cause sistemiche di questa crisi epocale della Chiesa. Egli individuò nel clericalismo la causa strutturale principale degli abusi e raccomandò la sinodalità come antidoto efficace: abusi, clericalismo e sinodalità sono profondamente interconnessi.

Nel corso di una corrispondente svolta sinodale, papa Francesco ha compiuto diversi cambiamenti di paradigma, allontanandosi dalla linea restauratrice dei suoi predecessori, anche se molti di essi non sono stati sufficientemente incisivi: limitazione del centralismo romano nel senso di una “decentralizzazione salutare”; coinvolgimento di tutto il popolo di Dio nei processi sinodali (compreso il diritto di voto),; apertura a forme di vita “irregolari” (ad esempio divorziati risposati, omosessuali); rottura con la dottrina sociale classica a favore di un approccio teologico della liberazione (inclusa la riabilitazione di Gustavo Gutièrrez, Leonardo Boff e la canonizzazione di Oscar Romero) e molto altro ancora.

Attraverso il buco della serratura

Quello che ne è seguito, anche per l’ambito pastorale di lingua tedesca, non è tanto un cammino di uscita dalla crisi che la Chiesa stessa aveva prodotto, quanto piuttosto un movimento all’interno di essa che ha prodotto una ulteriore fase di ricezione del Concilio.

L’ampiezza pastorale globale di una Chiesa conciliare aperta sia all’interno che all’esterno non è stata finora quasi recepita dal mainstream cattolico locale.

Se si chiede ai cattolici cosa abbia portato di nuovo il Concilio, essi citeranno soprattutto riforme rivolte all’interno: sono stati installati i cosiddetti “altari rivolti al popolo” e la messa viene celebrata nella lingua nazionale. Oppure: i laici sono stati valorizzati ed è stato istituito un consiglio parrocchiale.

Questa immagine offre uno sguardo microstorico attraverso il buco della serratura nella vita quotidiana di una parrocchia postconciliare:

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Fonte: La chiesa e la sua storia. Ai nostri giorni, Milano 1982.

Nell’area europea, la ricezione del Concilio ha consistito principalmente in una riorganizzazione interna della Chiesa (nel senso di liturgia e koinonia), piuttosto che in una missione nel mondo (di diakonia e martyria): il culto costituisce il divenire comunità.

L’attenzione si è concentrata sulle due costituzioni Sacrosanctum concilium Lumen gentium. Solo con il pontificato di papa Francesco le altre due costituzioni, Gaudium et spes Dei verbum, sono diventate sempre più centrali – una dinamica estroversa della missione nel mondo che sfida letteralmente la dinamica introversa della raccolta nella Chiesa: il servizio all’uomo come testimonianza di Dio.

Il Concilio ritorna così in Europa con una svolta latinoamericana. Perché una Chiesa in senso conciliare non è solo “a casa dentro”, ma anche “a casa fuori”. Attenzione però: non si tratta affatto di un appello “missionario” nel senso della nuova evangelizzazione, che dovrebbe distrarre dall’urgente necessità di affrontare i problemi sistemici della Chiesa (non dobbiamo ruotare solo intorno a noi stessi).

Fedeltà creativa al Concilio. Piuttosto, vale il paradosso missionario: chi esce all’esterno si trova confrontato con le patologie del proprio interno (“come, sei della Chiesa? Non voglio avere niente a che fare con essa”). Non si può eludere l’auto-conversione della Chiesa come presupposto per una nuova credibilità.

Perché una Chiesa clericale e coloniale, omofoba e misogina, identitaria e autoritaria, è un ostacolo manifesto all’evangelizzazione. Le questioni strutturali riflettono i contenuti della fede, altrimenti non sono conformi al Vangelo. Ciò significa che non deve esserci una “competizione tra vittime” (Regina Ammicht-Quinn) tra gli emarginati dalla società e quelli dalla Chiesa. Pertanto, anche il Cammino sinodale in Germania è in fedeltà creativa al Concilio.

Auto-evangelizzazione. Come già nel concilio Vaticano II, si tratta dell’auto-evangelizzazione della Chiesa nel senso dell’Evangelii nuntiandi, di cui oggi si celebra anche il 50° anniversario.

In definitiva, è come nel caso dei preti operai francesi dopo la II Guerra mondiale che hanno compreso il Vangelo proprio tra quei lavoratori che in realtà volevano convertire alla Chiesa. In breve: i sacerdoti (SC) lasciano l’interno della Chiesa (LG), escono nel mondo (GS) e lì scoprono le tracce di Dio (DV).

La via per arrivarci è indicata da Ad gentes, un altro testo conciliare sulla missione globale della Chiesa: “Come Cristo stesso penetrò nel cuore degli uomini per portarli attraverso un contatto veramente umano alla luce divina, così i suoi discepoli, animati intimamente dallo Spirito di Cristo, debbono conoscere gli uomini in mezzo ai quali vivono ed improntare le relazioni con essi ad un dialogo sincero e comprensivo, affinché questi apprendano quali ricchezze Dio nella sua munificenza ha dato ai popoli; ed insieme devono tentare di illuminare queste ricchezze alla luce del Vangelo […].

Come quindi Cristo percorreva tutte le città e i villaggi, sanando ogni malattia ed infermità come segno dell’avvento del regno di Dio, così anche la Chiesa […] si unisce a tutti gli uomini di qualsiasi condizione, ma soprattutto ai poveri ed ai sofferenti […]. Essa infatti condivide le loro gioie ed i loro dolori, conosce le aspirazioni e i problemi della vita, soffre con essi nell’angoscia della morte” (11-12).

bauer2Christian Bauer è docente ordinario di teologia pastorale presso la Facoltà cattolica di teologia dell’Università di Münster in Germania. Questo suo contributo per i 60 anni della conclusione solenne del Concilio Vaticano II viene pubblicato contemporaneamente su SettimanaNews e in versione tedesca su Feinschwarz.


[1] Cf. Ch. Bauer: Optionen des Konzils? Umrisse einer konstellativen Hermeneutik des Zweiten Vatikanums, in: Zeitschrift für katholische Theologie 134 (2012), 141-162.

[2] Il cardinale romano Brandmüller ha recentemente reagito alle critiche tradizionaliste al Concilio con un argomento tradizionalista (cf. la tesi di dottorato Pastorale Lehrverkündigung di Florian Kolfhaus), che ignora in linea di principio il significato dogmatico della costituzione pastorale: “I documenti veramente importanti, cioè le costituzioni sulla liturgia, sulla Chiesa, sulla Sacra Scrittura, sono duraturi e si inseriscono pienamente nella tradizione ecclesiale. […] È curioso che i tradizionalisti si scaglino proprio contro i testi che, a differenza delle costituzioni citate, hanno il minimo grado di vincolatività e sono solo dichiarazioni. Mi riferisco alla Nostra aetate sugli elementi di verità nelle altre religioni e alla Dignitatis humanae sulla libertà di fede e di coscienza”.

[3] M.-D. Chenu: Vie conciliaire de l’Église et sociologie de la foi, in: Id.: La foi dans l’intelligence. La Parole de dieu II, Parigi 1964, 371–383, 381.

[4] Cf. Ch. Bauer: Vom Lehren zum Hören. Offenbarungsmodelle und Evangelisierungskonzepte im Übergang vom Ersten zum Zweiten Vatikanum, in: J. Knop-M. Seewald (a cura di): Das Erste Vatikanische Konzil. Eine Zwischenbilanz 150 Jahre danach, Darmstadt 2019, 95-116.

Settimana News

Concilio, quando la Chiesa riprese colore

san pietro

Settimana News

L’8 dicembre 1965 si concludeva il Vaticano II, che ha dato nuova luce alla fede, una “tavolozza” di cui cinque documenti rappresentano le “tinte” primarie. Sessant’anni dopo, una riflessione sui frutti di quello straordinario evento spirituale. Dal portale della Diocesi di Milano

Sessant’anni dopo la conclusione del Concilio Vaticano II, possiamo dire senza retorica che il Concilio ha restituito alla Chiesa i colori del Vangelo, dopo secoli in cui l’immagine ecclesiale rischiava di apparire in bianco e nero: vera, sì, ma appiattita, rigida, poco capace di rispecchiare la varietà della vita e dei volti umani. Il Concilio non ha cambiato la fede, ma ha cambiato la luce sotto cui la contempliamo. E, cambiando la luce, ha trasformato la percezione dell’intero paesaggio ecclesiale.

Fra le sue acquisizioni più decisive, cinque documenti spiccano come tinte primarie di questa nuova tavolozza. Ognuno ha acceso un colore, un tratto, un modo di essere Chiesa che ancora oggi illumina il cammino.

Dei Verbum ha restituito alla Parola di Dio il suo splendore originario: non un testo-sacrario, ma una voce viva che interpella, plasma, converte. Il Concilio ha ricordato che la Rivelazione non è un pacchetto di verità, bensì un Dio che parla nella storia, in un dialogo che coinvolge l’umanità intera. Da qui la centralità della Scrittura nella liturgia, nella teologia e nella vita spirituale. È come se la Chiesa avesse riaperto le finestre e fatto entrare aria fresca nella casa del credente.

Con Lumen Gentium, l’ecclesiologia ha scoperto la sua dimensione più genuina: la Chiesa non è una piramide, ma un popolo in cammino, animato dallo Spirito, nel quale tutti – laici, consacrati, ministri ordinati – condividono una medesima dignità battesimale. Il Concilio ha rimesso al centro il mistero della Chiesa come comunione, come icona della Trinità. È il colore della fraternità, della corresponsabilità, della santità feriale.

Sacrosanctum Concilium ha riportato la liturgia al cuore della vita ecclesiale, restituendole il calore della partecipazione e la bellezza della semplicità. La riforma liturgica non è stata un lifting estetico, ma il ritorno all’essenziale: il popolo di Dio radunato, la Parola proclamata, il mistero pasquale celebrato in modo comprensibile e coinvolgente. La liturgia è tornata a essere fonte e culmine, non spettacolo per esperti.

Con Gaudium et Spes, finalmente, il Concilio ha riconosciuto a piena voce che il mondo non è un nemico da cui difendersi, ma una terra da abitare con responsabilità e stupore. La Chiesa ha scelto il dialogo, non la contrapposizione; la simpatia per l’umano, non il sospetto. «Le gioie e le speranze…» non sono lo slogan di una stagione, ma il Dna di una Chiesa che prende sul serio l’incarnazione. Il colore qui è quello della umanità condivisa, della responsabilità per il futuro, della passione per la dignità di ogni persona.

Infine, Dignitatis Humanae ha consegnato uno dei frutti più maturi del Concilio: il riconoscimento della libertà religiosa come diritto fondamentale. Una Chiesa che non teme la libertà è una Chiesa che vive nella verità; una Chiesa che difende la libertà altrui difende anche la propria. Qui brilla il colore limpido della coscienza, luogo interiore in cui Dio parla e l’uomo risponde.

Il lascito
Che cosa resta oggi di questa “Chiesa a colori”?

L’ultimo Concilio «fu un momento straordinario, forse quello più bello della mia vita, quello in cui si poteva ripensare, rilanciare e riproporre, in cui si sentiva vibrare una scioltezza, una libertà di parola, una capacità di penetrazione nuova» (Carlo Maria Martini). Sono rimasti, senz’altro, molti lasciti di quella stagione entusiasmante.

Prima di tutto quanti l’hanno vissuta hanno compiuto un passo importantissimo per la loro vita, perché hanno ricevuto dal Concilio una fiducia rinnovata nella possibilità della Chiesa di parlare a tutti. Effettivamente, la Chiesa in questo periodo post-conciliare ha respirato a pieni polmoni il nuovo clima innescato da quello straordinario evento spirituale, così che molti suoi frutti sono di fatto penetrati nelle fibre del corpo ecclesiale.

Basti richiamare la maturata coscienza della vocazione ecclesiale di ogni battezzato; la qualità della celebrazione eucaristica; il richiamo a vivere l’autorità come servizio e non come dominio; l’invito a un accostamento assiduo alla Scrittura (lectio divina); la consapevolezza di tutti i credenti di essere chiamati all’annuncio del Vangelo e alla testimonianza di vita; l’impulso al dialogo ecumenico e al confronto con le altre religioni; la rinnovata apertura al mondo e alla cultura; la riscoperta della dignità di ogni persona umana e il riconoscimento dell’atto di fede come appello alla libertà. E l’elenco potrebbe continuare.

Per la nostra Chiesa si è trattato di una grande ricchezza che mantiene intatta tutta la sua attualità e tutto il suo valore.

Resta la convinzione che la tradizione non è un museo, ma un giardino: cresce, si rinnova, fiorisce nelle stagioni.

Resta un metodo – l’ascolto, il discernimento, la corresponsabilità – che oggi ritroviamo nella sinodalità.

Resta una promessa: la Chiesa sarà sempre più fedele al Vangelo quanto più saprà rispecchiare la multiforme ricchezza dell’umano.

Leone XIV ai piedi dell’Immacolata: l’umanità è provata, fioriscano dignità e pace

Il Papa in preghiera ai piedi della statua della Immacolata in Piazza Mignanelli

Il Papa in Piazza di Spagna per il tradizionale atto di devozione alla statua della Vergine Maria nella Solennità dell’Immacolata. Circondato da 30 mila fedeli, il Pontefice prega perché “fiorisca la speranza giubilare a Roma e in ogni angolo della terra” ed esprime l’augurio che dopo le Porte Sante aperte per il Giubileo, si aprano altre porte “di case” e di “oasi di pace in cui rifiorisca la dignità, si educhi alla non violenza, si impari l’arte della riconciliazione”
Salvatore Cernuzio – Roma

Leone XIV alza lo sguardo verso la statua della Immacolata in Piazza Mignanelli. Alla base in marmo del monumento, che con i suoi 27 metri di altezza veglia sull’Urbe, il Papa – con l’ausilio di due gentiluomini di Sua Santità – depone una corona di rose bianche e, al contempo, pone ai piedi della Madonna le speranze per questa “umanità provata, talvolta schiacciata” con la preghiera che dopo le Porte Sante aperte per il Giubileo, “si aprano ora altre porte di case e oasi di pace”

“Rifiorisca la dignità, si educhi alla non violenza, si impari l’arte della riconciliazione”

Una tradizione mai interrotta
Anche in questo 2025 messo a dura prove da guerre e crisi si rinnova l’atto di devozione del Papa alla statua della Vergine in Piazza di Spagna, centro nevralgico del lusso capitolino. Un momento di popolo, un appuntamento che suggella il legame tra Roma e il suo vescovo. Leone XIV prosegue la tradizione avviata da Giovanni XXIII nel 1958 e mai interrotta. Mai, neppure durante gli anni della pandemia di Covid-19, quando Papa Francesco volle ugualmente compiere “privatamente”, al mattino presto, l’atto di venerazione al monumento mariano realizzato dall’architetto Luigi Poletti e dallo scultore Giuseppe Obici in onore del dogma dell’Immacolata Concezione.

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