“Marcia dei topolini” nel passato fine settimana a Domodossola

"Marcia dei topolini" nel passato fine settimana a Domodossola
“La marcia dei topolini” è andata in scena a Domodossola nel passato fine settimana, slittata di 7 giorni a causa del maltempo. Iniziativa nell’ambito degli eventi per l’equinozio di primavera di Fiab Bicincittà con la Pro Loco di Domodossola. Biciclettata dedicata ai più piccoli alla scoperta dei parchi gioco, merenda in piazza con biscotti a forma di ruota e giro nel centro storico per risvegliare la bella stagione.

A Domodossola continuano anche gli eventi di primavera presso i locali di piazza Mercato. L’11 aprile Party all’insegna della musica latinoamericana, il 12 aprile danza e musica folk contaminata da sonorità più moderne. Il calendario prosegue fino al 31 maggio.

vcoazzurratv.it

Gli stop ai treni previsti ad aprile sulla linea Milano-Gallarate-Arona-Domodossola

ferrovia Milano-Domodossola

Continuano gli impegnativi lavori di Rfi – Rete Ferroviaria Italiana per l’adeguamento tecnologico della linea Milano-Gallarate-Arona-Domodossola. Anche ad aprile sono previsti due momenti di stop alla circolazione dei treni, in attesa poi delle più impegnative chiusure previste in estate.

Dalle 22.40 di sabato 5 aprile alle ore 5.25 di lunedì 7 aprile 2025 è prevista un’interruzione della tratta Gallarate – Rho, per cantiere d’installazione del sistema di sicurezza ERTMS.
Di fatto la interruzione riguarda l’intera giornata di domenica.
I treni a lunga percorrenza sono soppressi nella tratta Milano-Domodossola: saranno limitati a/da Domodossola lato Nord; le corse da Venezia saranno limitate a Milano Centrale.
I treni Regionali avranno origine da Arona.

A fine mese i cantieri riguarderanno la tratta lungo il Lago Maggiore, tra Arona e Premosello, dalle ore 00.01 del 25 aprile alle ore 23.59 del 27 aprile 2025, sempre per lavorazione ERTMS/PC80.
Anche in questo caso i treni a lunga percorrenza come già indicato.
I treni regionali saranno limitati alla tratta Gallarate-Arona o limitati a Rho.

Un’altra interruzione è prevista anche sulla linea Novara – Domodossola. Per lavori propedeutici alia realizzazione nuovo apparato e nuova precedenza di 750 m nella stazione di Cressa – Fontaneto il 13 aprile 2025 saranno soppressi e sostituiti con autobus i treni regionali 11417-11404 -11406 – 11427.

varesenews.it

Idee. «Perché noi psicologi siamo al Giubileo della Salute mentale»

Nella riflessione della presidente dell’Ordine lombardo le ragioni di una partecipazione all’Anno Santo che porta un messaggio di condivisione e uno sguardo di cura
«Perché noi psicologi siamo al Giubileo della Salute mentale»

Il Giubileo, nella sua radice storica, è un tempo di rinascita: nato nella tradizione biblica come anno di perdono e restituzione della dignità ai più fragili, si è trasformato nei secoli in un’occasione di riflessione collettiva, rigenerazione sociale e riconciliazione.
Oggi, davanti a una crisi diffusa che riguarda la salute psicologica, assume un significato nuovo. Il Giubileo della Salute mentale che si tiene il 3 aprile a Roma, rappresenta un importante invito alla collettività: un richiamo condiviso alla responsabilità, alla solidarietà, al farsi carico dell’altro.

Papa Francesco ha più volte richiamato l’urgenza di non lasciare soli coloro che soffrono psicologicamente, superando lo stigma e promuovendo una cultura dell’incontro. In un tempo in cui molte forme di disagio – come ansia, ritiro sociale o disorientamento – segnalano spesso un malessere legato a precarietà, solitudine o esclusione, è fondamentale non ridurre ogni fatica esistenziale a un disturbo clinico. Serve uno sguardo capace di cogliere la complessità della sofferenza umana, evitando il rischio di una medicalizzazione eccessiva.

In questo scenario, il ruolo degli psicologi è più che mai centrale. Non solo come clinici ma come costruttori di contesti, alleati nella promozione della salute, mediatori tra individuo e società. Gli psicologi operano nelle scuole, nei servizi, negli ospedali, nei territori: aiutano a dare forma alla parola, a ricucire legami, a costruire significati. E soprattutto, adottano uno sguardo non stigmatizzante, in grado di riconoscere nella fragilità un elemento significativo dell’esperienza umana.

L’Ordine degli Psicologi della Lombardia porterà a questo Giubileo la voce di una professione impegnata ogni giorno nella cura e nella promozione della salute mentale. Un’occasione per riaffermare pubblicamente il valore sociale della psicologia e il ruolo attivo delle Istituzioni che la rappresentano.

L’espressione nella bolla di indizione del Giubileo – «La speranza non delude» – richiama al senso profondo di un lavoro che non si misura solo nei risultati ma nella qualità umana della cura. È difficile tuttavia dire con esattezza di cosa sia fatta la speranza per chi cura. Non è semplice ottimismo, né attesa passiva. Forse il modo più efficace per coglierne il significato è nelle parole di Cicely Saunders, fondatrice del movimento degli Hospice: «Dare vita ai giorni, non giorni alla vita». Un’espressione semplice e potente, che ricorda come, anche nei contesti più fragili, a scuola, in famiglia, nel lavoro, la qualità della relazione può fare la differenza.
Il Giubileo richiama infine l’idea che ogni crisi, grande o piccola che sia, possa diventare passaggio: un invito dunque a varcare una soglia simbolica per costruire un tempo nuovo per la salute mentale. Partecipare a questo Giubileo significa per l’Ordine che rappresento rinnovare un impegno: contribuire a costruire una società in cui la salute mentale sia diritto, dignità e bene comune.

Avvenire

Lotta agli abusi. Santuario di Lourdes, coperti i mosaici di Rupnik

Posati pannelli di alluminio sopra i mosaici delle due porte laterali della Basilica del Rosario. Nei prossimi giorni stesso trattamento per le due porte centrali, ha annunciato il vescovo Micas
Lourdes: operai al lavoro per coprire con pannelli di alluminio i mosaici delle porte laterali della Basilica del Rosario, realizzati da Marko Rupnik

Lourdes: operai al lavoro per coprire con pannelli di alluminio i mosaici delle porte laterali della Basilica del Rosario, realizzati da Marko Rupnik – Ansa

Avvenire

Un gesto forte ed eloquente, dal grande valore simbolico, in una delle mete di pellegrinaggio più importanti e amate del mondo: Lourdes, la località ai piedi dei Pirenei che, dalle apparizioni della Vergine Maria del 1858 a Bernadette Soubirous, si offre quale luogo di guarigione dei corpi e dei cuori per milioni di persone. Ebbene: nel “comprensorio” del Santuario di Lourdes sono stati coperti alcuni mosaici del sacerdote sloveno Marko Rupnik, l’ex gesuita accusato di abusi psicologi e sessuali da alcune religiose. I mosaici di due porte laterali della Basilica del Rosario sono state ricoperte con pannelli di alluminio e «le due grandi porte centrali saranno coperte tra qualche giorno, prima dell’inizio della stagione dei pellegrinaggi a Lourdes», ha annunciato il vescovo di Tarbes e Lourdes, Jean-Marc Micas.

Il vescovo di Tarbes e Lourdes: tutti devono poter varcare queste porte

«Conoscete la mia opinione sulla presenza di questi mosaici sulle porte della basilica – spiega Micas sul sito del Santuario di Lourdes –. Mi è sembrato, assieme ai miei collaboratori, che fosse necessario compiere un nuovo passo simbolico affinché l’ingresso in Basilica sia reso più agevole a tutte le persone che oggi non possono varcarne la soglia. Per questo motivo tutte le porte della Basilica del Rosario vengono modificate», ha detto il presule.

«È l’anno giubilare – prosegue il vescovo di Tarbes e Lourdes –. A Roma sono state aperte le Porte Sante nelle quattro Basiliche Maggiori. Ho emanato un decreto per dichiarare che il Santuario di Lourdes è uno dei due luoghi della diocesi – assieme alla Cattedrale di Tarbes – dove vivere l’anno giubilare e ricevere l’indulgenza plenaria. Il passaggio attraverso le porte d’ingresso della basilica doveva essere all’altezza simbolica di questo momento». Il 28 marzo scorso, «terzo venerdì di Quaresima», è stato per tutta la Chiesa di Francia «il Giorno della memoria e della preghiera per le vittime degli abusi sessuali commessi nella Chiesa», ha ricordato Micas. «Le due porte laterali sono state chiuse questo lunedì», 31 marzo, «mentre le due grandi porte centrali lo saranno tra qualche giorno, prima dell’inizio della stagione dei pellegrinaggi a Lourdes».

Il 2 luglio 2024, Micas aveva detto che «sarebbe preferibile rimuovere questi mosaici». Quello avvenuto lunedì 31 marzo «non è il primo, ma il secondo passo! Il primo è stato quello di non illuminarli più di notte, durante le processioni, già dallo scorso luglio». Per quanto riguarda i prossimi passi: «Un gruppo di lavoro sta portando avanti la riflessione e mi supporta nelle decisioni – ha infine reso noto il presule –. Preferiamo andare avanti con calma piuttosto che sotto il fuoco di varie pressioni. Lavoriamo a lungo termine, per le vittime, per la Chiesa, per Lourdes e per il suo messaggio per tutti».

 

Lourdes: dopo quelli delle porte laterali, verranno coperti anche i mosaici delle porte centrali della Basilica del Rosario

Lourdes: dopo quelli delle porte laterali, verranno coperti anche i mosaici delle porte centrali della Basilica del Rosario – Ansa

Le vittime: gli altri vescovi seguano l’esempio di Micas

«Accogliamo, con la gioia nel cuore, le parole illuminate di Jean Marc Micas, vescovo di Tarbes e Lourdes, da sempre vicino alle vittime di abusi, cui va il nostro sentito ringraziamento. Sappiamo bene che la sua decisione di coprire le porte della Basilica di Lourdes, dove sono presenti i mosaici di Marko Ivan Rupnik, è stata lungamente ragionata, attentamente ricercata e fortemente osteggiata». Lo dicono le ex suore vittime del sacerdote sloveno, ex gesuita e noto mosaicista, Marko Rupnik, in un comunicato diffuso dal loro avvocato, Laura Sgrò.

«La questione – spiegano – non è, infatti, quella di scindere l’artista dall’opera, come finora si è voluto erroneamente fare intendere, ma quella se è possibile scindere l’arte, cioè i mosaici, dall’abuso stesso e questo non è in alcun modo possibile, perché proprio durante la realizzazione delle opere e con riferimento alle stesse, opere esposte nei luoghi di culto più importanti al mondo, Rupnik ha abusato di alcune delle vittime». «Ogni fedele, e non solo ogni vittima di abuso – si sottolinea nel comunicato – deve avere il cuore libero nel momento in cui si accosta alla preghiera e ciò non può avvenire se deve inginocchiarsi davanti a un’opera che probabilmente è stata il luogo dove si è consumato un abuso».

«Le vittime di Marko Ivan Rupnik che rappresento –conclude la nota di Sgrò – pertanto chiedono che anche gli altri vescovi, nelle cui diocesi sono presenti opere del famoso mosaicista, compiano lo stesso gesto forte e inequivocabile di sostegno a tutte le vittime di abusi».

Lourdes: operai all'opera per coprire i mosaici di Rupnik. Il vescovo di Tarbes e Lourdes, Micas, sostiene l'ipotesi della loro vera e propria rimozione

Lourdes: operai all’opera per coprire i mosaici di Rupnik. Il vescovo di Tarbes e Lourdes, Micas, sostiene l’ipotesi della loro vera e propria rimozione – Ansa

Lotta agli abusi, la Chiesa di Francia rilancia l’impegno

La Chiesa di Francia, intanto, proprio da Lourdes rilancia il suo impegno contro gli abusi. È un bilancio sulle misure messe in atto per combattere la violenza sessuale nella Chiesa dopo la presentazione del rapporto della Ciase (Commissione indipendente sugli abusi sessuali nella Chiesa), quello organizzato dala Conferenza episcopale francese per lunedì 31 marzo e martedì 1° aprile, alla vigilia dell’Assemblea plenaria di primavera che si tiene dal 1° al 4 aprile nella città delle apparizioni.

La sessione speciale su un bilancio dal rapporto della Ciase (il cosiddetto “rapporto Sauvé” sugli abusi sessuali su minori e su persone vulnerabili dal 1950 fino alla presentazione del report, nel 2021), si svolge a Cité Saint-Pierre di Lourdes e alterna tavole rotonde, laboratori, momenti di spiritualità e la proiezione di uno spettacolo che mescola cinema e musica, creato e diretto da una vittima. Con la partecipazione di oltre trecento persone, questa giornata e mezza di incontri si propone non solo di discutere le diverse procedure e e iniziative messe in atto dalla Chiesa, ma anche di individuare quanto resta da fare e le prospettive ancora da aprire, dando voce alle vittime e agli attori-chiave della Chiesa e della società civile impegnati nella lotta contro la violenza sessuale.

Il presidente dei vescovi: dire la verità, per il bene delle vittime e di tutti

«Sono stati adottati provvedimenti, sono state prese decisioni e altre sono in corso di attuazione; altre ancora sono in attesa di un avvio serio di attuazione. Tutto deve essere perseguito, approfondito, raffinato. Fin dall’anno 2000 e dal primo opuscolo “Lotta contro la pedofilia” si è affermata una cultura di vigilanza e di buon trattamento che vogliamo sia quella di tutte le nostre istanze ecclesiali», ha affermato l’arcivescovo di Reims Eric de Moulins-Beaufort, dal 2019 presidente della Conferenza episcopale francese, aprendo i lavori della sessione.
«Stiamo lavorando affinché questa nuova cultura penetri nelle menti e nei cuori dei cattolici francesi. Che tutti si considerino corresponsabili di questa cultura. Anche a questo livello il cammino è aperto, è iniziato ma è ben lungi dall’essere completato», ha riconosciuto il presule. Che ha poi ringraziato le vittime degli abusi che hanno scelto di partecipare alla sessione speciale. «Vorrei ringraziarli in modo particolare – ha affermato –.Ci hanno aiutato molto. Per noi, queste persone sono passate dall’essere vittime a testimoni».
Il presidente dei vescovi francesi ha esortato infine tutti i partecipanti a «dire la verità». «Non chiediamo nient’altro che di dire semplicemente ciò che ritenete importante dire per il bene di tutti, per le vittime, per la nostra società, per la Chiesa in Francia e altrove». «Ognuno si senta libero di dire ciò che ha dentro – è stato il suo invito –. Bisogna dirlo in modo tale che venga recepito. Ma con tutto il cuore desidero sottolineare che noi vescovi siamo desiderosi di ascoltare ciò che voi avete da dirci».

Generazioni. Perché la famiglia per tanti anziani sta diventando nido di vipere

Si chiama “ageismo” il nuovo male oscuro che si è impadronito di troppi nuclei familiari e tende ad emarginare e penalizzare i nonni. L’analisi dello psichiatra Marco Trabucchi
Perché la famiglia per tanti anziani sta diventando nido di vipere

Foto Siciliani

Avvenire

Si intitola Ageismo. Il pregiudizio invisibile che discrimina gli anziani (Il Margine, pagg.187, euro 16), il nuovo libro di Marco Trabucchi, psichiatra, direttore scientifico del Gruppo di Ricerca Geriatrica di Brescia. Cos’è l’ageismo? “Una malattia cronica della società contemporanea, un meccanismo di difesa che sembra oscuro: chi lo pratica mostra una cultura fragile, perché dimentica che nella società complessa non basta aggredirne una porzione per risolvere problemi che riguardano tutti”. L’ageismo, in sostanza, tende a ridurre i diritti degli anziani e gli interventi a loro favore e produce un’emarginazione che tende a riprodursi. Pubblichiamo qui sotto ampi stralci del capitolo sull’ageismo in famiglia.

L’evoluzione dei costumi famigliari avvenuta negli ultimi decenni ha portato all’assunzione di atteggiamenti poco attenti e rispettosi nei confronti della persona anziana. La tradizionale centralità dei vecchi è stata scardinata dalla rottura dell’equilibrio tra le generazioni e dalle difficoltà organizzative ed economiche; in particolare, ha giocato un ruolo importante la modificazione del rapporto tra l’io e il noi, con la prevalenza del ruolo del singolo anche rispetto alla famiglia-comunità. In questa logica, il vecchio ha perso per definizione la sua centralità, la possibilità di vivere serenamente nella famiglia «nido degli affetti», di sentirsi rispettato e amato. Fortunatamente, il cambiamento dei costumi è avvenuto con tempistiche diverse e non ha ancora riguardato la maggioranza delle famiglie italiane; però il fenomeno non si arresta, con le relative conseguenze sulla salute psicofisica degli anziani e sull’equilibrio complessivo della collettività, perché il mancato rispetto della dignità dell’anziano provoca un cambiamento dell’atmosfera famigliare, che a sua volta induce disagio e sofferenza sociale.

Tutti i componenti, anche quelli coinvolti in atteggiamenti ageistici, comprendono che la fine dei rapporti d’amore comporta la fine della famiglia stessa, trasformata in un dormitorio dove prevalgono le relazioni economiche e operative, e ha poco spazio chi dona attenzione, accompagnamento, rispetto, affetti e tenerezza. Si potrebbe concludere che la famiglia che permette al suo interno atteggiamenti ageistici ha perso il suo ruolo e non funziona più nemmeno come struttura difensiva, anche sul piano delle azioni pratiche, cioè di protezione rispetto a violenze fisiche, psicologiche, economiche, organizzative. Ma allora la famiglia rischia di perdere il proprio ruolo di cellula fondamentale della società, come è stata forse troppo retoricamente definita in passato? Qualcuno sostiene che la presenza dell’anziano riguarda solo una parte della convivenza famigliare; però uno stile irrispettoso, egoista, insensibile esprime un disagio che ricade sull’intera famiglia.

Molte sono le forme di ageismo nella famiglia, che possono essere così schematicamente riportate. Quella più disturbante rispetto alla vita di tutti i giorni è la «trasparenza», intesa come condizione per la quale l’anziano non viene coinvolto nelle decisioni, piccole o grandi, negli eventi più significativi di festa o di dolore, non viene interessato nemmeno alle attività giornaliere (dal cibo agli orari di riposo, ecc.). È trasparente, come non esistesse. L’anziano vive nel suo cuore un grande dolore, che la famiglia non percepisce, sia per un’egoistica cecità, sia perché ritiene, anche se con poca convinzione, che l’anziano viva bene nel suo isolamento e nella separatezza. Non si coglie il fatto che l’essere considerato trasparente provoca all’anziano un grave stato di disagio, che in molti casi porta all’autoisolamento, condizione che confina con la solitudine vera e propria. In altre situazioni la famiglia esprime comportamenti apertamente negativi, sotto forma di scherzi, di battute generiche sugli anziani e sulla funzionalità del loro cervello, sugli aspetti estetici (ad esempio, commenti negativi sulla dentatura e sulle capacità masticatorie) sul modo di vestire. Inoltre, le difficoltà degli anziani, in particolare rispetto alla salute, non vengono prese in considerazione.

Anzi, talvolta alcune situazioni di malessere diventano argomento di dileggio, senza che l’anziano possa re agire. I dolori diffusi che spesso sono compagni della giornata dell’anziano vengono giudicati come un eccesso di ingiustificata lamentosità («i vecchi si lamentano sempre»). In queste circostanze l’anziano soffre doppiamente, per il dolore non lenito e per l’incomprensione e il dileggio. Sarebbe opportuno in questi casi l’intervento

della medicina di famiglia, in grado di identificare il dolore nelle sue caratteristiche, di prescrivere adeguati trattamenti, senza lasciarsi condizionare dagli atteggiamenti scettici dei famigliari. Talvolta l’anziano soffre di problemi visivi e uditivi; non sempre viene accettato per queste sue limitazioni e i famigliari non si impegnano per essere di supporto, riducendo le difficoltà del proprio caro. Anche se non viene derisa, come capita, in particolare per problemi uditivi, la persona anziana è di fatto espulsa dal gruppo e quindi dalle interazioni con il resto della famiglia. Anche se non è ageismo esplicito, i famigliari si irritano in particolare per il rifiuto di indossare strumenti acustici che permetterebbero migliori interazioni. Vengono proposti, comperati, spesso a prezzi non leggeri, e poi non vengono indossati dall’interessato. La condizione richiederebbe molta pazienza, che non sempre viene esercitata, soprattutto da parte dei più giovani.

La pazienza verso i vecchi potrebbe essere definita come un atteggiamento «antiageista» per eccellenza, perché porta ad accettare gli aspetti meno belli del comportamento di chi non è più giovane… spesso rende possibile scoprirne i punti di valore, l’esperienza, la saggezza, la calma nell’affrontare i problemi della vita. Senza un’atmosfera di pazienza in famiglia, la marginalità e la solitudine psicologica dell’anziano proseguono, accompagnate da una progressiva diminuzione della capacità di ricordare e di interazione, fino alla comparsa di deficit più o meno gravi delle funzioni cognitive. Così l’anziano entra in una spirale senza fine, con conseguenze progressivamente più gravi per la sua salute e per la possibilità di avere un rapporto positivo con la famiglia. Con una sofferenza, sebbene non sempre dichiarata, che tende ad autoriprodursi, senza che i famigliari se ne accorgano (o fingono di non accorgersi).

Una domanda viene naturale pensando ai vecchi nelle famiglie: fino a quando il loro utilizzo come guardiani dei bambini risponde a una logica di reciproca donazione e quando, invece, diventa un atteggiamento che nasconde una logica ageista («tu non fai nulla, cerca almeno di essere utile a noi che produciamo…»)? Le situazioni sono ovviamente molto diverse tra loro, variando da «lo facciamo con piacere da sempre, anche se a volte è un po’ faticoso», a un impegno pesante, soprattutto quando l’età dei nonni non è più così giovane. Però è raro incontrare anziani che si sentono sfruttati. Forse non conoscono la parola ageismo, perché la loro scelta è di aiutare le famiglie e quindi di non sentire il lavoro pesante delle estati e degli inverni di servizio!

In molte famiglie, fortunatamente, il rapporto non è venato di ageismo, ma da una scelta di generoso, reciproco aiuto, che dà senso alla convivenza tra le generazioni. Oggi la frequente trasformazione anche formale del legame famigliare espone l’anziano a condizioni di imbarazzo, perché si sente ospite di una convivenza precaria, nella quale uno dei due componenti della coppia può non avere piacere di condividere la giornata con l’anziano.

Anche in questo caso, il vecchio soffre ed è tentato di abbandonare la famiglia (talvolta subentrata, per ragioni organizzative, nella sua casa); in particolare, questa condizione viene vissuta dall’uomo, che sente di essere di peso a causa di una frequente minore capacità di autogestione casalinga, come invece capita meno alla donna, spesso più abituata percentualmente a occuparsi della casa (anche se talvolta intuisce che il legame è più pratico-commerciale che affettivo).

È anche vero che in alcuni casi il rapporto con gli anziani nella casa è caratterizzato da affetto, attenzione, disponibilità. Ci si potrebbe chiedere a cosa può essere attribuita questa atmosfera di serenità e di pace; non sempre sono in gioco fattori oggettivi, anche se non possono essere trascurati. Le dimensioni della casa, ad esempio: il nipote costretto a vivere su un lettino mobile nel soggiorno per permettere alla nonna di dormire in una stanza accogliente può essere un ostacolo allo svilupparsi di un’atmosfera serena. Questa potrebbe sentirsi in dovere di remunerare (eventualmente anche sul piano concreto) chi le ha ceduto il letto più comodo. La condizione economica è frequentemente causa di tensioni, perché la nonna è accusata di non contribuire adeguatamente al bilancio («sei più attenta ai nipoti che non vivono qui e non si occupano di te»). Al contrario, se la nonna mostra attenzione sia al bilancio famigliare sia nei riguardi dei singoli componenti, l’atmosfera si rasserena Accade che in famiglia si adottino comportamenti che la nonna non ritiene di dover approvare sul piano morale o religioso; si creano situazioni di disagio non sempre verbalizzato, ma che rovinano la qualità della convivenza. Spetta alla persona anziana mostrare tolleranza e comprensione, facendo capire che l’affetto prevale sulle sue idee, alle quali peraltro può restare fedele. Sembrerebbe, quindi, che l’impegno dei componenti della famiglia possa creare buone relazioni anche in situazioni che richiedono particolari attenzioni e qualche sacrificio. Il tutto, però, funziona solo se in famiglia ci si astiene da posizioni critiche sulla persona anziana con la quale si convive (…).

Anteprima. “The Chosen”, in sala arriva l’Ultima Cena

Dal 10 aprile nei cinema italiani le prime due puntate della quinta stagione della serie evento che racconta la Settimana Santa. Il protagonista Jonathan Roumie: “Il più grande dramma della Bibbia”
Una scena del film "The Chosen: Ultima Cena" nelle sale italiane dal 10 aprile

Una scena del film “The Chosen: Ultima Cena” nelle sale italiane dal 10 aprile – foto The Chosen

AVVENIRE

Gesù entra a Gerusalemme come una star tra due ali di folla che sventolano esultando rami di palma sulla base di una schitarrata rock. Ma prima aveva sfilato sul red carpet a distribuire selfie a centinaia di fans scatenati fuori dal centralissimo cinema Callao di Madrid. Ovviamente stiamo parlando dell’attore Jonathan Roumie che dà il volto a Cristo nella serie tv dei record The Chosen, protagonista anche del film The Chosen – Ultima Cena che ha avuto la sua première europea in Spagna martedì scorso e oggi la sua anteprima italiana presso la Filmoteca Vaticana, introdotta dal cardinale Lucio Adrian Ruiz Segretario del Dicastero per la Comunicazione del Vaticano. «Questa serie è una maniera nuova di approcciare l’immagine e il messaggio di Gesù perché è necessario che noi possiamo trasmettere alle nuove generazioni la profondità e l’innovazione che ha permanentemente il Vangelo e la capacità di essere proclamato nel loro linguaggio, nel loro tempo e nella loro dinamica. E penso che questo progetto sia ben riuscito» spiega monsignor Ruiz ad Avvenire.

In quel di Madrid abbiamo toccato con mano l’attesa crescente da parte di milioni di spettatori per la quinta stagione della serie americana scritta, diretta e prodotta da Dallas Jenkins, la prima lunga serialità su Gesù, appassionati che ieri hanno affollato anche la doppia proiezione per il pubblico presso il Cinema Moderno di Roma alla presenza dell’attrice Elizabeth Tabish (Maria Maddalena).

In vista dell’uscita ufficiale nazionale di The Chosen: Ultima Cena in oltre 110 cinema italiani dal 10 al 16 aprile grazie a Nexo Studios, il pubblico avrà l’opportunità di partecipare a cinque proiezioni speciali in anteprima: dopo Roma, il 3 aprile a Milano, il 5 aprile a Palermo, il 6 aprile a Catania, il 7 aprile a Napoli. Ogni proiezione è introdotta da Giovanni Zappalà, ambasciatore di “The Chosen Italia”, che guiderà gli spettatori in un’esperienza esclusiva dentro il film, che mette insieme i primi due episodi della quinta stagione che uscirà presto sulla app The Chosen e forse su piattaforma. Girato in formato cinematografico, The Chosen: Ultima Cena porta sul grande schermo la Settimana Santa e sarà distribuito in oltre 40 paesi tra Stati Uniti, Sud America, Europa, Asia e Africa.

Subito all’inizio del film lo spettatore si trova trasportato alla tavola dell’Ultima Cena, accanto a Gesù che cerca di far comprendere agli apostoli attoniti il sacrificio che sta per affrontare. Da lì una serie di flash back raccontano i giorni precedenti, a partire da quando il popolo di Israele accoglie Gesù a Gerusalemme come un re, mentre i suoi discepoli attendono ansiosi la sua incoronazione. Tuttavia, Gesù trasforma il significato della tradizionale festa religiosa ebraica, (basti vedere la drammatica scena della cacciata dei mercanti dal tempio) sfidando le aspettative dei leader religiosi e politici, che, sentendosi minacciati, cospirano per far sì che questa sia la sua ultima Pasqua. Una ricostruzione plausibile degli eventi e fedele alle scritture, raccontata con lo sguardo intimo di coloro che hanno seguito Gesù, che anticipa una quinta stagione drammatica, a cui faranno seguito la sesta sulla Crocifissione e la settima sulla Resurrezione.

Con oltre 280 milioni di spettatori, The Chosen è una delle serie più viste al mondo, distribuita a livello globale da Lionsgate. Nato come un progetto finanziato dal pubblico, ha raggiunto oggi oltre 900 milioni di visualizzazioni degli episodi e più di 17 milioni di follower sui social media. Ma, come ci spiega Giovanni Zappalà, si tratta di un prodotto che parla al cuore di tutti, credenti e non credenti: «La cosa più bella è come il pubblico italiano sta rispondendo, sono oltre 300mila le app scaricate in Italia di The Chosen dove vedere tutta la serie, prossimamente anche gli 8 episodi della quinta stagione. La cosa bella del film sull’Ultima Cena è che può vederlo anche chi non ha visto le precedenti stagioni».

Straordinario e commovente l’attore americano Jonathan Roumie nel ruolo di un Cristo che si avvicina non senza sofferenza al compimento della sua missione e che incontriamo a Madrid col cast. «Siamo a un punto della storia in cui vediamo la sua strada – racconta ad Avvenire Roumie –. Gesù comincia la quinta stagione con l’entrata in Gerusalemme su un asino. Lui inizia la settimana la domenica al suo massimo, tutti lo osannano, lo vogliono eleggere re, ma fino a venerdì c’è un precipitare della situazione fino a morire sulla croce. La domanda come attore era come navigare fra i colpi di scena della storia in quei 5 giorni? Questo è il più grande dramma che la Bibbia ha da offrire». Che si risolverà nella settima serie con la Resurrezione, aggiunge Roumie, perché «la vita di tutta l’umanità è il risultato del sacrificio di Cristo sulla croce». Per l’attore profondamente cattolico, interpretare Gesù è anche una questione di fede poiché «Lui è la rappresentazione di tutto quello che spero di poter adempiere nella mia vita su questa terra e la ragione della mia esistenza». Una grande responsabilità rappresentare per milioni di persone il volto di Cristo? «Tutto quello che faccio fuori e dentro lo schermo è un riflesso di questa responsabilità e lo prendo molto seriamente» ci spiega.

Dolce e determinata, al fianco di Gesù c’è sempre la madre Maria, interpretata da una volitiva Vanessa Benavente orgogliosa di interpretare, ci spiega un personaggio veramente d’impatto, perché porta un messaggio che tocca molti cuori nel mondo. Quello che mi piace di come ritraiamo Maria in questa serie tv è che è sì una madre che contribuisce al progetto di Gesù e al suo ministero, ma anche la vediamo in tutte le differenti sfumature, è un personaggio complesso, la vediamo come una donna, una amica, una parte della comunità, una mentore di alcuni discepoli. Io penso che oggi le donne abbiano tutti questi ruoli, devono destreggiarsi fra tutte queste cose nello stesso momento. Quello che amo è che è una prospettiva davvero moderna su Maria, molto rispettosa della storia, e rispettosa anche della sceneggiatura».

In The Chosen: Ultima Cena ci fa tenerezza ed anche sorridere Pietro, il bell’attore israeliano Shahar Isaac, che tiene impacciato il suo primo discorso pubblico a Gerusalemme, ma che è anche spiazzato dalle scelte di Gesù: «In questa quinta stagione io un po’ perdo la comprensione delle cose, non capisco che cosa sta succedendo e perché – racconta ad Avvenire -. Il segreto del successo della serie? E’ la cura nell’esplorare l’umanità attraversando la vita, non ci vergogniamo di mostrare la parte più oscura della vita, con le sue parti più difficili. E io apprezzo molto come l’esplorazione vada così in profondo senza voler imporre un credo a nessuno».