«Ma quand’è che è nato Gesù? Precisamente». L’oggi di Dio

di: Antonio Torresin

natività

Da un po’ di tempo ho ripreso a fare il catechismo ai bambini. I piccoli, lo sapete, sono spontanei, curiosi, ma anche tremendi nelle loro domande.

L’altro giorno ho fatto l’incontro con i più piccoli, quelli di seconda, che hanno sette anni. Mentre gli raccontavo la nascita di Gesù, e cercavo di farli entrare nel clima magico di quella notte santa, a un certo punto un bambino ha alzato la mano e mi ha chiesto: «ma quand’è che è nato Gesù? Precisamente». Ho dovuto fermare il racconto e ho iniziato a provare a spiegare.

L’ho fatto come farebbe un adulto, un po’ razionalista, cresciuto in una mentalità storico-critica, che non vuole raccontare favole, storie che storicamente non abbiano un fondamento scientifico. Ho provato a spiegargli che in realtà noi non conosciamo la data precisa della nascita di Gesù. Certo, sappiamo all’incirca l’anno, 2025 (più o meno) anni fa, ma non conosciamo il giorno esatto. Poi, ho continuato, convenzionalmente, abbiamo scelto la data del 25 Dicembre, in concomitanza con il solstizio d’inverno, per celebrare il compleanno di Gesù.

Ma la mia risposta non è sembrata sufficiente e lui, e anche altri bambini hanno continuato a chiedermi: «ma quando è nato Gesù?». Non ricordo come sia riuscito ad uscire dall’inghippo, ma so che qualche giorno dopo ho capito che avevo sbagliato tutto. Non dovevo cercare una risposta storico-scientifica, che alla fine non interessa veramente ai bambini, ma neppure a noi.

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Serviva una risposta più profonda. Bastava che prendessi in mano di nuovo il racconto della nascita e prestassi ascolto alle parole. Così ho fatto, e ho scoperto che in realtà lì c’è scritto «quando è nato Gesù». Gli angeli, infatti, dicono ai pastori: «oggi è nato per voi un salvatore». Allora, quando è nato Gesù? Oggi!!!

Da questa intuizione mi si è aperto un mondo. Perché quest’oggi di Dio risuona più volte nel Vangelo di Luca, come a spiegarmi quando accade l’oggi di Dio, ovvero la nascita di Gesù. Il primo è proprio l’oggi ai pastori, i quali non devono fare altro che cercare il segno di un bambino.

Forse il Vangelo vuole dirci che noi possiamo incontrare l’oggi di Dio, il giorno natale di Gesù, quando, come i pastori, restiamo semplicemente stupiti di fronte al miracolo della vita che nasce, davanti all’incanto di un bambino che dorme, che sorride, che piange… il miracolo della vita che nasce è il luogo prescelto da Dio per nascere in mezzo a noi. Dio sa bene che i bambini possono liberarci dai pensieri cupi, che molti nostri giorni tristi vengono salvati quando ci lasciamo coinvolgere nei giochi dei bambini, quando ci prendiamo cura di loro, come Maria e Giuseppe con il loro figlio appena nato. Nella cura dei piccoli succede un miracolo: l’oggi di Dio il giorno in cui è nato Gesù, accade di nuovo, Il Signore nasce oggi.

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Luca racconta di un altro «oggi di Dio». Un giorno, nella sinagoga di Nazaret, Gesù ha preso in mano il libro del profeta Isaia, e leggendo quella pagina ha detto: «oggi si compie per voi questa parola». L’oggi di Dio, quando nasce Gesù, accade quando ascolto la Parola, ed essa genera in me qualcosa. Si compie, nell’attimo stesso dell’ascolto, una grazia, prende corpo la presenza stessa di Dio. L’oggi di Dio, quando è nato Gesù, è legato alla sua Parola accolta nel nostro cuore. Se presto ascolto alla Parola, essa genera in me la vita stessa di Dio, nasce nell’oggi dell’ascolto. Il Signore visita la vita di chi si lascia plasmare dalla Parola.

E poi, ancora, c’è un bellissimo incontro nel Vangelo di Luca. Quando Gesù incontra un pubblicano di nome Zaccheo, un esattore delle tasse odiato dai suoi concittadini di Gerico, e gli dice: “oggi voglio venire a casa tua”. Magari l’oggi Dio, quando nasce Gesù, accade quando apro il cuore della mia casa negli incontri più inaspettati della vita. Ci sono incontri che bussano alla mia porta e chiedono di entrare nella mia vita: e quando apro veramente il cuore ad un incontro, ecco che lì Dio stesso entra, accade l’oggi di Dio, la nascita di Gesù.

Infine, l’oggi Dio l’ultimo oggi nel Vangelo di Luca è l’oggi del paradiso. Sulla croce, uno dei due ladroni sente dire da Gesù parole sorprendenti: «oggi sarai con me in paradiso!». Come sarebbe bello se la nascita di Gesù coincidesse con l’ultimo respiro della mia vita. Chiedo la grazia che la morte mi trovi come quel ladrone che da peccatore si affida a quell’uomo che trova al suo fianco. Basterebbe che come quell’uomo, sapendo di non meritare nulla, trovassi la fede di dire a Gesù: «ricordati di me». L’oggi di Dio, il giorno in cui nasce Gesù, è il momento in cui la morte diventa una nascita, e morire non è la fine, ma è nascere pienamente in Cristo. Il suo Natale può diventare il mio Natale, la mia rinascita definitiva.

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Natale allora, il momento preciso quando è nato Gesù, è oggi, anche questa notte. La grazia da chiedere è di non lasciarci sfuggire l’oggi di Dio, che può accadere in qualsiasi momento: nell’incontro con un bambino, nell’ascolto della Parola, nell’aprire la casa ad un’ospite, nell’ora della nostra morte.

Dio mi conceda di non perdere quest’oggi, il momento preciso in cui nasce Gesù.

settimananews

Diventa film la luce di un Dio bambino

Diventa film la luce di un Dio bambino

Vittorio Storaro firma con Carlo A. Martigli “Il romanzo del piccolo Messia”, da cui nascerà anche una pellicola: un racconto favolistico e documentato sui primi anni di Gesù

Avvenire

L’infanzia di Gesù resta uno dei grandi silenzi del Vangelo. Poche righe, un’unica annotazione decisiva – «cresceva in sapienza, età e grazia» – e poi il racconto si interrompe fino alla scena, potentissima, del dodicenne che discute con i dottori nel Tempio. In quello spazio vuoto si sono insinuate nei secoli leggende, narrazioni apocrife, devozioni popolari. Ma anche una domanda legittima e profondamente umana: come è cresciuto Gesù? Quale mondo ha abitato, quali volti, quali paesaggi hanno formato lo sguardo del Messia bambino?
È da questa domanda che nasce Il romanzo del piccolo Messia (Solferino, pagine 384, euro 21,00), firmato da Vittorio Storaro insieme allo scrittore Carlo A. Martigli, e destinato a diventare anche un film. Un progetto coltivato a lungo dal maestro della fotografia cinematografica, tre volte premio Oscar, che da credente ha sentito il bisogno di tornare all’origine, là dove tutto ha avuto inizio.
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«La figura di Gesù è stata il fondamento della mia vita, umana oltre che professionale», raccontava Storaro ad Avvenire anticipando il progetto, presentato poi al Lecco Film Festival, promosso dalla Fondazione Ente dello Spettacolo. «Mi ha sempre affascinato la sua storia, che ho approfondito in tutte le sue sfaccettature, studiandola attraverso le arti: dalla pittura alla scultura, fino al cinema». Ora quel percorso confluisce in un racconto che ha come filo conduttore la luce: non solo quella fisica, cifra inconfondibile del suo cinema (quello che ha dato colore ai film di Allen, Coppola, Bertolucci, Montaldo), ma quella teologica di un Dio che si fa bambino per illuminare il mondo.
Il romanzo sceglie una chiave favolistica, senza ambizioni biografiche, ma con un’attenzione rigorosa al contesto storico e religioso. I nomi sono quelli aramaici: Maria è Myriam, cresciuta giovanissima nel Tempio di Gerusalemme sotto la protezione dello zio Zekaryàh; Giuseppe è Yusaf, non un anziano ma un uomo adulto, forte e premuroso. Al centro c’è la tenerezza del loro legame, un amore casto e determinato, chiamato a custodire un mistero più grande di loro.
La storia si apre con la luce abbagliante della stella, interpretata come una rarissima congiunzione planetaria, che irrompe nella notte di Betlemme e accompagna la nascita di Yeshua in una grotta. «Furono abbagliati da quella stessa luce», si legge, «che scendeva all’interno della grotta e illuminava il neonato adagiato nella culla di paglia». Da qui prende avvio il racconto dell’infanzia e della prima giovinezza di Gesù, segnato dalla fuga in Egitto, dall’inseguimento dei sicari di Erode, dal rifugio presso le comunità essene, in un continuo alternarsi di pericolo e protezione.
Il passo è già cinematografico: deserti, monasteri, paesaggi attraversati dalla violenza del potere e dalla paura della morte. Erode appare come un sovrano feroce e malato, incapace di accettare il proprio declino; Roma, con Cesare Augusto, incarna la supponenza di un impero che non immagina di essere alle soglie di una svolta irreversibile. In mezzo, una famiglia in cammino, accompagnata – nella dimensione simbolica del racconto – dall’ombra vigile dell’arcangelo Gabriele, visibile solo al Bambino e agli animali.
Il romanzo immagina anche il rapporto con il cugino Giovanni, futuro Battista, compagno di formazione nel monastero esseno del Monte Carmelo, su consiglio del prozio Giuseppe di Arimatea. Il racconto avventuroso si intreccia con l’attesa da parte del mondo di un Messia che man mano si rivela attraverso le antiche profezie. «Mi sono accorto che nei Vangeli c’è un vuoto tra i 6 e i 12 anni di Gesù», spiega Storaro. «Un’età fondamentale, che invece è raccontata poco o nulla. Il Vangelo si ferma con “crebbe in sapienza”, ma noi vogliamo esplorare il significato di quella sapienza». Una crescita fatta di studio, di silenzio, di osservazione, ma anche di gesti prodigiosi e parole sorprendenti, che rivelano una consapevolezza fuori dal comune.
Un progetto che Storaro ha voluto condividere con la Chiesa confrontandosi con monsignor Davide Milani, presidente della Fondazione Ente dello Spettacolo. «È una legittima curiosità personale dell’autore», osserva Milani, «che immagina una storia tra la fantasia e la possibile realtà, basandosi sui Vangeli apocrifi e su altre tradizioni. Ma non è un romanzo con preoccupazioni biografiche: tende piuttosto a sottolineare il Mistero di questo bambino. Il positivo è mettere in luce un Dio che si incarna, che diventa accoglienza, vita, rifiuto della potenza. Una storia attraversata da una tenerezza diffusa».
Da qui nascerà anche il film, diretto da Rashid Benhadj, con il coinvolgimento del figlio di Storaro, Giovanni, come produttore esecutivo. «Il mio linguaggio non è quello della parola, ma dell’immagine», spiega ancora il direttore della fotografia. «Vogliamo una narrazione che parta da un’intuizione pittorica e arrivi dritta al cuore dei giovani, con un tono non drammatico ma favolistico».
Ed è proprio ai ragazzi che Il piccolo Messia guarda con maggiore attenzione. «Oggi molti giovani si sentono persi, senza punti di riferimento», conclude Storaro. «Vorrei proporre una figura alternativa: un Gesù bambino che cresce, studia, apprende, si forma. Una presenza reale e vicina, capace ancora di ispirare». In quella luce antica, che continua a interrogare il presente.

Intelligenza artificiale in classe: l’Europa è in ritardo sulla preparazione degli insegnanti

L'immagine è un'illustrazione generata con l'intelligenza artificiale che mostra un'insegnante affiancata da un robot, accanto a una lavagna. Entrambi stanno insegnando una materia scolastica agli studenti.

Avvenire

In meno di tre anni l’intelligenza artificiale ha scalato le gerarchie delle agende scolastiche europee. Ma il vero nodo che determinerà il successo o il fallimento della transizione digitale nella scuola è la formazione del corpo docente

In meno di tre anni l’intelligenza artificiale ha scalato le gerarchie delle agende scolastiche del Vecchio Continente, imponendosi come motore imprescindibile del cambiamento in tredici Paesi, Italia inclusa. È quanto emerge dalla nuova indagine di European Schoolnet, che analizzando ventitré sistemi educativi dell’Unione svela come l’accelerazione impressa da ChatGPT abbia costretto i governi a una corsa normativa senza precedenti.
La spinta di ChatGPT e la risposta normativa. Intelligenza artificiale e insegnamento: è arrivata nei giorni scorsi la fotografia scattata da European Schoolnet, un’indagine capillare che ha coinvolto i ventitré sistemi educativi dei paesi membri dell’unione europea. L’ente di ricerca ha pubblicato un rapporto di 48 pagine che traccia lo stato dell’arte dell’adozione dell’Ai nelle strutture scolastiche del vecchio continente. Lo scenario è radicalmente mutato rispetto al rilievo precedente (2021), infatti quella che pochi anni fa era considerata una curiosità per pochi pionieri è oggi una priorità politica assoluta per tredici paesi membri, tra cui Francia, Italia e Norvegia, mentre nessun paese la considera più un tema marginale. La spinta verso l’adozione dell’Ai nei processi di apprendimento è dettata prima di tutto da una motivazione pragmatica che vede nel miglioramento dell’insegnamento e dell’apprendimento il motore principale, citato da ben ventuno paesi su ventitré. L’accelerazione impressa dal lancio di ChatGPT e dalla conseguente diffusione dell’Ai generativa ha costretto i decisori politici a passare rapidamente dalla teoria alla regolamentazione pratica. La risposta istituzionale si è concretizzata in una corsa alla definizione di strategie nazionali: venti sistemi educativi dispongono oggi di politiche o linee guida specifiche che tentano di bilanciare le opportunità didattiche con la tutela dei dati e l’etica.
Questo sforzo normativo si intreccia inevitabilmente con l’AI Act dell’Unione Europea, la prima legge al mondo in materia, che classifica l’istruzione come un settore ad alto rischio; una classificazione che ha spinto quindici paesi ad avviare un processo di revisione delle proprie direttive per allinearsi ai nuovi standard di sicurezza e trasparenza. Sul fronte didattico, l’alfabetizzazione all’intelligenza artificiale sta entrando nelle aule, ma raramente come materia a sé stante: solo Croazia e Svezia la prevedono come disciplina autonoma, mentre la tendenza prevalente è quella di un approccio trasversale o integrato in moduli di competenza digitale, specialmente nell’istruzione secondaria. Paesi come la Repubblica Ceca e la Finlandia hanno scelto di incorporare l’Ai direttamente nel contesto di competenza digitale obbligatoria, intrecciandola con tutte le materie piuttosto che isolarla.
  Livello di inclusione dell'IA nei curricoli scolastici nazionali, Rapporto European Schoolnet.  
Oltre la burocrazia: efficienza e inclusione in aula. Tuttavia, l’integrazione curricolare rimane eterogenea: sebbene l’alfabetizzazione all’Ai sia presente in tutti i sistemi, essa viene raramente trattata come materia autonoma, preferendo un approccio trasversale o l’inserimento all’interno delle competenze digitali e informatiche. Il documento evidenzia come l’Ai venga percepita come un alleato strategico per il corpo docente, capace di migliorare l’efficienza nella pianificazione delle lezioni e nella correzione, alleggerendo così un carico di lavoro considerevole. Non meno importante è il potenziale inclusivo: l’uso di questi strumenti è percepito come una chiave per supportare l’accessibilità e garantire un’istruzione più equa, adattando i percorsi formativi alle diverse necessità degli studenti. Inoltre, i benefici si estendono alla struttura stessa della scuola, promettendo di ottimizzare i processi amministrativi e gestionali, liberando risorse preziose da reinvestire nella didattica.
Il fattore umano: l’urgenza delle competenze. In questo complesso mosaico di riforme e intenzioni, il vero nodo che determinerà il successo o il fallimento della transizione digitale del mondo della scuola è la formazione del corpo docente, un tema su cui il rapporto si sofferma con particolare attenzione. La preparazione degli insegnanti è stata universalmente indicata come una delle preoccupazioni più pressanti, citata da tutti i ventitré paesi coinvolti, superando persino i timori legati ai bias algoritmici. La consapevolezza che l’innovazione non possa prescindere dal fattore umano ha reso lo sviluppo professionale la priorità numero uno a breve e medio termine per quasi la totalità dei paesi del vecchio continente. Le strategie messe in campo per colmare questo divario di competenze mostrano un ecosistema formativo in rapida evoluzione, dove il confine tra pubblico e privato si fa sempre più labile: se i Ministeri dell’Istruzione mantengono il ruolo di registi principali, in sedici sistemi scolastici sono le aziende di tecnologia educativa (EdTech) a fornire direttamente il training necessario.
Le soluzioni europee e il gap universitario. Le iniziative formative spaziano da approcci strutturali a soluzioni più flessibili e mirate: la Slovacchia, ad esempio, ha istituzionalizzato la figura del coordinatore digitale scolastico, supportato dal progetto nazionale “DiTEdu”, per fornire una guida esperta all’interno degli istituti e facilitare l’uso di strumenti avanzati di intelligenza artificiale. In Grecia, una partnership pubblico-privata sta introducendo ChatGPT Edu in scuole pilota per potenziarne l’uso critico, mentre in Slovenia il progetto “GEN-UI” punta a creare scenari didattici concreti per l’uso dell’IA generativa. In Lituania, invece, la formazione assume i tratti di una partnership globale con il programma “Experience AI”, sviluppato in collaborazione con Google DeepMind e la Raspberry Pi Foundation, che offre ai docenti non solo corsi accreditati ma anche l’accesso a strumenti didattici d’avanguardia per le classi. Altrove, come nelle Fiandre belghe, si sperimentano format intensivi come i bootcamp sull’intelligenza artificiale, destinati a dirigenti e gruppi selezionati di insegnanti per creare nuclei di competenza diffusa. Nonostante l’abbondanza di webinar e corsi online, resta però evidente una frattura tra la formazione continua, ampiamente diffusa, e la formazione iniziale universitaria, che in molti paesi non è ancora coordinata a livello sistemico per includere l’Ai come elemento fondante della pedagogia moderna. La criticità che le scuole dovranno affrontare, quindi, non risiederà più nella disponibilità della tecnologia (come è avvenuto, per esempio, con l’introduzione dell’informatica nella scuola) ma nella capacità di formare educatori in grado di governarla, instaurando una pratica didattica quotidiana e consapevole.

Nel cielo delle feste una ghirlanda di galassie

La galassia NGC 646 (fonte: ESA/Euclid/Consorzio Euclid/Nasa, immagine elaborate dal segmento di terra di Euclid e M. Schirmer MPIA) - RIPRODUZIONE RISERVATA

La galassia NGC 646 brilla come una ghirlanda natalizia nell’immagine ripresa dal telescopio spaziale Euclid dell’Agenzia spaziale europea, che nel 2026 pubblicherà i risultati del primo anno di attività svelando dettagli inediti di centinaia di migliaia di galassie.

I dati, spiega l’Esa, copriranno circa 1.900 gradi quadrati di cielo (il 14% dell’area totale dell’indagine che durerà sei anni), offrendo nuove informazioni su come si formano ed evolvono le galassie e sul perché le cosiddette galassie barrate (caratterizzate dalla presenza di una barra centrale di stelle che attraversa il nucleo) diventano più comuni con l’invecchiamento dell’Universo.
La grande galassia a spirale barrata NGC 646 ritratta da Euclid si trova nella costellazione dell’Idra, a circa 392 milioni di anni luce dalla Terra, e si sta allontanando da noi a una velocità di circa 8.145 chilometri al secondo.

Nell’immagine spiccano il nucleo luminoso e i due bracci che brillano nei colori blu e bianco su uno sfondo nero intenso punteggiato di stelle. NGC 646 appare vicina a una galassia più piccola sulla sinistra, chiamata PGC 6014: in realtà distano circa 45 milioni di anni luce l’una dall’altra, con PGC 6014 a una distanza di 347 milioni di anni luce da noi. Quindi, qualsiasi interazione gravitazionale tra loro, se esistesse, sarebbe molto debole e di breve durata.

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Afghanistan, milioni di bambini a rischio

Una famiglia afghana intenta a trasportare taniche d'acqua a Kandahar

Vatican News

A più di quattro anni dal ritorno dei talebani al potere, circa la metà degli afghani — oltre 22 milioni di persone — necessita di aiuti umanitari in un contesto di crisi economica aggravata dalle restrizioni sui diritti, in particolare delle donne, e dalla complessa situazione politica
Francesco Citterich – Città del Vaticano

Da quando nell’agosto del 2021 i talebani sono rientrati al potere, l’Afghanistan è un Paese sempre più isolato, lontano dai riflettori internazionali e alle prese con una tra le peggiori crisi alimentari al mondo. Un’emergenza per la stremata popolazione civile che peggiora di giorno in giorno, destinata a inasprirsi con l’inverno.

Collasso economico e malnutrizione
Circa la metà della popolazione — oltre 22 milioni di persone — necessita di aiuti, afflitta da fame estrema, malnutrizione (soprattutto infantile), collasso economico, accesso limitato alla sanità e ai servizi essenziali, e impatti continui di disastri naturali come terremoti e siccità, aggravati dalle restrizioni sui diritti, in particolare delle donne, e dalla complessa situazione politica. L’assistenza alimentare in Afghanistan raggiunge solo il 2,7% della popolazione, secondo un rapporto dell’Ipc (Integrated Food Security Phase Classification, la principale autorità internazionale sulla gravità delle crisi alimentari), acutizzata da un’economia debole, dall’elevata disoccupazione e dal minor afflusso di rimesse dall’estero, con oltre 2,5 milioni di persone che quest’anno sono tornate dall’Iran e dal Pakistan. Crisi — che si stanno accumulando l’una sull’altra, creando un complesso intreccio di problemi umanitari e sociali, in un Paese ancora in ginocchio per le conseguenze dell’ultimo devastante sisma dello scorso agosto — certificate dalle principali organizzazioni umanitarie.

Un bambino su tre soffre la fame
Gli ultimi dati forniti dell’Ipc lasciano pochi dubbi sulla gravità del contesto: quest’inverno, più di un bambino su tre sta facendo fronte alla fame, con un aumento del 18% rispetto a un anno fa. Il documento evidenzia che il 36% delle bambine e dei bambini, all’incirca 9 milioni, dovrà affrontare livelli di fame critici o di emergenza prima di marzo 2026. Secondo la nuova ricerca, attualmente in Afghanistan quasi 3,7 milioni di bambini sotto i cinque anni soffrono di malnutrizione acuta, rispetto ai 3,5 milioni di un anno fa. Si stima che circa 1,2 milioni di donne incinte e in allattamento avranno bisogno di cure per malnutrizione.

I dati di Save The Children
Le cliniche sanitarie e nutrizionali dell’organizzazione umanitaria Save the Children in Afghanistan hanno registrato quest’anno un aumento del 13% dei bambini sotto i cinque anni e delle donne incinte e in allattamento ricoverati per il trattamento della malnutrizione acuta rispetto al periodo gennaio-ottobre 2024. Questo aumento arriva in un momento in cui i tagli ai fondi potrebbero ridurre la quantità di alimenti supplementari essenziali utilizzati per trattare la malnutrizione acuta moderata fino a 38.000 bambini e madri, a meno che non vengano trovati nuovi finanziamenti. Uno degli effetti dei tagli ai fondi è che solo 1 milione di persone — quasi sei volte meno rispetto allo stesso periodo del 2024 — riceveranno assistenza alimentare in un momento in cui i bisogni sono in aumento, secondo l’Ipc. I casi di malnutrizione tendono a raggiungere il picco nei mesi invernali, poiché il freddo indebolisce il sistema immunitario e provoca un aumento delle infezioni respiratorie, tra cui la polmonite. In inverno, le opportunità di lavoro per i genitori diventano più scarse e i prezzi dei generi alimentari e del combustibile aumentano a dismisura.

La siccità
Anche la siccità sta contribuendo a peggiorare i livelli di fame e malnutrizione, distruggendo i raccolti, uccidendo il bestiame e costringendo le persone ad abbandonare i propri villaggi, specialmente nelle regioni rurali. L’Unione europea, che ha aumentato i suoi aiuti, impegnandosi a fornire centinaia di milioni di euro per sostenere la popolazione, ha avvertito che l’Afghanistan è sempre più vulnerabile alla crisi climatica e che sono sempre di più gli afghani che non hanno accesso ad acqua potabile sicura a causa della siccità e delle infrastrutture danneggiate. Siccità che minacciano di raddoppiare entro il 2050, riducendo le risorse idriche e mettendo a rischio i mezzi di sussistenza. Da qualche mese, l’Afghanistan è tornato anche a essere zona di guerra, con numerosi attacchi aerei da parte del vicino Pakistan e scontri diffusi con vittime al confine tra i due Paesi.

27 Dicembre San Giovanni, Apostolo ed Evangelista

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Festa
Festa di san Giovanni, Apostolo ed Evangelista, che, figlio di Zebedeo, fu insieme al fratello Giacomo e a Pietro testimone della trasfigurazione e della passione del Signore, dal quale ricevette stando ai piedi della croce Maria come madre. Nel Vangelo e in altri scritti si dimostra teologo, che, ritenuto degno di contemplare la gloria del Verbo incarnato, annunciò ciò che vide con i propri occhi.

Santo del giorno 27 Dicembre San Giovanni

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“Il discepolo che Gesù amava”: semplicemente così, nel suo Vangelo, si autodefinisce Giovanni e ha ragione a vederla in questo modo, perché è lui a rivestire uno dei ruoli più importanti nella storia della salvezza, oltre, ovviamente, a Maria, che Gesù gli affida espressamente in punto di morte con quell’“ecco tuo figlio” ed “ecco tua madre”. Da allora in poi Giovanni prende Maria con sé come “la cosa più cara” e il punto di unione tra i due è proprio la purezza, la vita verginale che entrambi conducono.

Le fonti storiche dalle quali attingere i dettagli della vita dell’apostolo evangelista, sono diverse, alcune apocrife come un altro Vangelo, secondo alcuni da attribuire proprio alla sua penna. Di lui sappiamo che è il più giovane e che sarà il più longevo dei Dodici. È originario della Galilea, in una zona sul lago di Tiberiade e infatti viene da una famiglia di pescatori. Suo padre è Zebedeo e sua madre Salomè; il fratello Giacomo, detto il Maggiore, sarà anche lui un apostolo. È sempre nominato da Gesù ed è nella cerchia dei ristrettissimi che lo accompagnano nelle occasioni più importanti, come quando viene resuscitata la figlia di Giairo, nella Trasfigurazione sul Monte Tabor e durante l’agonia nel Getsemani. Anche nel corso dell’Ultima Cena siede in un posto d’onore, alla sua destra, e gli poggia il capo sulla spalla con un gesto d’affetto: è proprio in quel momento che lo Spirito Santo gli infonde la sapienza del racconto evangelico che scriverà in vecchiaia. È l’unico a stare ai piedi della Croce assieme a Maria e con lei trascorre in attesa i tre giorni precedenti alla Resurrezione; è ancora il primo ad arrivare al sepolcro vuoto dopo l’annuncio di Maria Maddalena, ma lascerà entrare Pietro perché ha rispetto dell’anzianità. Poi si trasferirà con Maria a Efeso, da dove si occuperà dell’evangelizzazione dell’Asia Minore. Sembra anche che dovrà subire la persecuzione di Domiziano ed essere esiliato nell’isola di Patmos, dalla quale, con l’avvento di Nerva, tornerà a Efeso per finire qui i suoi giorni da ultracentenario, intorno al 104.

Così viene chiamato il Vangelo scritto da Giovanni, noto anche come “Vangelo spirituale” o Vangelo del Logos, grazie alla raffinatezza del linguaggio teologico e al conio del termine polisemico “logos” per indicare Gesù con i significati di “parola”, “dialogo”, “progetto”, “verbo”. Nel suo Vangelo, inoltre, ricorre 98 volte la parola “credere”, perché è così che si raggiunge il cuore di Gesù, credendo nella libertà e accogliendo la grazia come il discepolo prediletto di Cristo ci mostra. Il suo è anche un Vangelo altamente mariano, non tanto per la quantità dei riferimenti alla Vergine, quanto per la speciale grazia di Colei che più di tutti conosce il Figlio e che rende il Mistero di Cristo. Eppure Maria nel racconto di Giovanni appare solo due volte: alle nozze di Cana e sul Calvario. Di particolare importanza proprio il racconto delle nozze di Cana, che costituisce anche il primo incontro di Gesù con Giovanni. Ma la chiamata di Giovanni – che assieme ad Andrea era già seguace di Giovanni il Battista – avviene probabilmente a Betania, presso il fiume Giordano. Quando arriva Gesù, il Battista lo saluta come “l’Agnello di Dio”. Giovanni resta talmente colpito da questo incontro da ricordare perfino l’ora in cui è avvenuto (la decima, circa le 16) e pertanto non potrà, dopo allora, non seguire Gesù. Ma oltre all’alto valore teologico, il Vangelo di Giovanni differisce dai sinottici anche per le sottolineature sull’umanità di Cristo che emerge dai dettagli di alcuni racconti, come il sedersi stanco, le lacrime versate per Lazzaro o la sete manifestata sulla Croce.

Giovanni scrive anche tre lettere e l’Apocalisse, l’unico libro profetico del Nuovo Testamento. Esso conclude le Scritture e già dal suo nome – che significa “rivelazione” – indica il concreto messaggio di speranza che porta in sé, mettendo in un certo qual modo un punto fermo al dialogo di Dio con l’uomo: d’ora in poi sarà la Chiesa a parlare, a leggere l’azione di Dio all’interno della Storia, fino al suo ritorno sulla Terra alla fine dei tempi. In questo senso l’Apocalisse è anche una “profezia”. Quanto alle tre Lettere, o Epistole, di Giovanni, scritte probabilmente a Efeso, sono lettere sull’amore e sulla fede che mirano a difendere alcune fondamentali Verità spirituali contro l’attacco delle dottrine gnostiche.

Questo è l’inimitabile incipit del Vangelo di Giovanni:

In principio era il Verbo,
il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
Egli era in principio presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di lui,
e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che
esiste.
In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre,
ma le tenebre non l’hanno accolta.
Venne un uomo mandato da Dio
e il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone
per rendere testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Egli non era la luce,
ma doveva render testimonianza alla luce.
Veniva nel mondo
la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.
Egli era nel mondo,
e il mondo fu fatto per mezzo di lui,
eppure il mondo non lo riconobbe.
Venne fra la sua gente,
ma i suoi non l’hanno accolto.
A quanti però l’hanno accolto,
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
i quali non da sangue,
né da volere di carne,
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.
E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi vedemmo la sua gloria,
gloria come di unigenito dal Padre,
pieno di grazia e di verità.
Giovanni gli rende testimonianza
e grida: «Ecco l’uomo di cui io dissi:
Colui che viene dopo di me
mi è passato avanti,
perché era prima di me».
Dalla sua pienezza
noi tutti abbiamo ricevuto
e grazia su grazia.
Perché la legge fu data per mezzo di Mosè,
la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
Dio nessuno l’ha mai visto:
proprio il Figlio unigenito,
che è nel seno del Padre,
lui lo ha rivelato.

Radio Vaticana

Lettura e Vangelo del giorno 27 Dicembre 2025

Letture del Giorno

Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo
1Gv 1,1-4

Figlioli miei, quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita – la vita infatti si manifestò, noi l’abbiamo veduta e di ciò diamo testimonianza e vi annunciamo la vita eterna, che era presso il Padre e che si manifestò a noi -, quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. E la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia piena.

Vangelo del Giorno

Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 20,2-8

Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala corse e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».
Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò.
Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario –  che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte.
Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette.

In pensione nel 2026, le possibilità caso per caso

Un anziano in una foto d 'archivio - RIPRODUZIONE RISERVATA
Ansa

Nel 2026 si andrà in pensione ancora con 67 anni di età nel caso della pensione di vecchiaia e indipendentemente dall’età con 42 anni e 10 mesi di contributi (uno in meno per le donne) oltre a tre mesi di attesa per la finestra mobile, in attesa dell’aumento dei requisiti a partire dal 2027, ma ci sono altre strade per l’uscita anticipata.

Non si potrà invece più utilizzare Opzione donna se non per chi ha maturato diritti acquisiti, perché la misura non è stata prorogata per l’anno dalla legge di Bilancio. Ecco le possibilità di uscita.

PENSIONE DI VECCHIAIA A 67 ANNI – Ci si potrà andare con 20 anni di contributi. Se si è completamente nel metodo contributivo (primi contributi versati dal 1996) bisogna aver maturato una pensione almeno pari all’assegno sociale, quindi almeno di 546 euro nel 2026. Altrimenti si dovranno attendere i 71 anni con almeno cinque anni di contributi versati.

PENSIONE ANTICIPATA INDIPENDENTE DALL’ETÀ – Gli uomini devono aver aver maturato 42 anni e 10 mesi di contributi, le donne 41 anni e 10 mesi. Poi sarà necessario attendere altri tre mesi di finestra mobile per ottenere l’assegno.

PENSIONE A 64 ANNI PER CHI È INTERAMENTE NEL SISTEMA CONTRIBUTIVO – Bisogna aver versato ameno 25 anni di contributi e aver maturato un assegno di pensione pari ad almeno tre volte l’assegno sociale (1.638 euro al mese nel 2026). Riguarderà le persone che sono nate fino alla fine del 1962 ma la soglia prevista per l’accesso terrà fuori i lavoratori a bassa retribuzione.

APE SOCIALE – La manovra ha prorogato la misura che prevede sostanzialmente un ammortizzatore sociale fino alla pensione per le persone che hanno almeno 63 anni e 5 mesi di età e sono in una situazione di disagio avendo maturato almeno 30 anni di contributi (i licenziati, care giver o le persone con almeno il 74% di invalidità) o 36 anni (le persone impegnate in attività gravose). Possono utilizzare la misura le persone nate entro luglio 1963. C’è una soglia massima per l’assegno (1.500 euro se il calcolo della pensione supera questa cifra) e non è prevista la tredicesima.

PRECOCI CON QUOTA 41 – Può accedere alla pensione anticipata chi ha versato almeno 12 mesi di contributi effettivi prima dei 19 anni, ha già versato 41 anni di contributi ed è in una situazione di difficoltà (care giver, licenziati, persone con almeno il 74% di invalidità, lavoratori impegnati in attività usuranti). Se ha lavorato in modo continuativo potrà accedere alla misura avendo versato contributi dal 1985.

LAVORI FATICOSI – Fino al 2026 può accedere alla pensione con 66 anni e 7 mesi di età con almeno 30 anni di contributi se si è stati impegnati in attività gravose. Tra i lavoratori che hanno questa possibilità ci sono gli operai dell’industria, gli infermieri e gli insegnanti della scuola dell’infanzia.

LAVORI USURANTI – per queste categorie fino al 2026 l’accesso alla pensione è possibile per i dipendenti con quota 97,6 con almeno 61 anni e sette mesi di età e 35 anni di contributi (98,6 per gli autonomi con un anno in più di età anagrafica). Ci rientrano i lavoratori a turni di notte, gli addetti alla linea catena, quelli che lavorano ad alte temperature. Riguarda chi è nato fino ai primi mesi del 1965 e che lavora ininterrottamente dal 1991.

PENSIONE DI INVALIDITÀ – prevista per i lavoratori dipendenti con una riduzione della capacità lavorativa pari ad almeno l’80%,Gli uomini possono utilizzare la misura avendo compiuto i 61 anni, le donne dai 56.

ISOPENSIONE 2026 – con un accordo tra azienda e lavoratore si può ottenere uno scivolo verso alla pensione fino a sette anni ma l’azienda deve pagare i costi per l’uscita compresi i contributi previdenziali.