Vaticano II: una svolta nella crisi?
Lucio Fontana: Bozzetto per la porta centrale del Duomo di Milano.
Esattamente 60 anni fa, oggi, si concludeva solennemente il Concilio Vaticano II, seguito poi dal rollback romano. Un ricordo del suo futuro.
Chiudete gli occhi per un attimo. Immaginate un cielo stellato di notte e osservate le luci scintillanti. È come per i sedici documenti del Concilio Vaticano II (1962-1965). Sono come punti luminosi nel cielo notturno, che anche nel XXI secolo possono servire da orientamento se si sa collegarli in una costellazione. Da questa immagine non è lontano il concetto di costellazione (dal latino stella).
Una “lettura della costellazione”[1] del Concilio Vaticano II consente di stabilire le proprie priorità (opzione di primo ordine), purché si mantenga la tensione con le altre priorità (opzione di secondo ordine). Se si riuscisse a coltivare sinodalmente questa “doppia opzione” tra la propria parte e il grande insieme, ne risulterebbe uno stile di approccio non solo ai testi conciliari, ma anche tra di noi, capace di pluralità e sensibile alle differenze.
La costellazione del Concilio
Al centro del Concilio vi sono quattro costituzioni che possono essere sovrapposte alle dimensioni fondamentali della pastorale ecclesiale: la costituzione sulla liturgia Sacrosanctum concilium, la costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium, la costituzione sulla rivelazione Dei verbum (Martyria) e la costituzione pastorale sulla Chiesa Gaudium et spes (Diakonia).
Tutti e quattro i testi principali del concilio Vaticano II affondano le loro radici nei cambiamenti preconciliari della pastorale: SC nel movimento liturgico (actuosa participatio), LG nel movimento dei fedeli laici (la Chiesa si risveglia nelle anime), DV nel movimento biblico (réveil évangélique) e GS nel movimento missionario (la Chiesa deve uscire da sé stessa).
Squilibrio teologico. Questo modo di interpretare il Vaticano II attraverso le sue quattro costituzioni era già stato proposto dal Sinodo dei vescovi in occasione dell’anniversario del Concilio nel 1985, ma con un’enfasi diversa da quella che segue.
La formula sintetica con cui questo sinodo speciale, dominato da Joseph Ratzinger, ha sintetizzato il Concilio, presenta infatti uno squilibrio teologico conciliare. Essa riduce il plurale della costellazione dei suoi testi dottrinali a un singolare incentrato sulla liturgia: la Chiesa (LG) – sotto la parola di Dio (DV) – celebra i misteri di Cristo (SC) – per la salvezza del mondo (GS). Il verbo che dà senso a questa formula conciliare si riferisce alla liturgia come attività principale che determina l’essenza della Chiesa (“celebra i misteri di Cristo”).
Chiesa sensibile al mondo. La dinamica del Concilio stesso suggerisce un diverso punto focale: posto nella costituzione pastorale Gaudium et spes[2] .In essa era in discussione la questione pastorale fondamentale del Vaticano II: la Chiesa nel mondo di oggi – che cosa vuol dire?
Un riassunto autentico del Concilio sarebbe quindi: la Chiesa (LG) – a servizio della salvezza del mondo (GS) – attraverso i misteri di Cristo (SC) – sotto la parola di Dio (DV). Questa formula sintetica è confermata nei due testi quadro che, in quanto primi e ultimi documenti approvati dal Concilio, ne rappresentano il punto centrale non solo dal punto di vista storico ma anche sistematico: il Messaggio al mondo (20 ottobre 1962) e la Gaudium et spes (7 dicembre 1965).
Marie-Dominique Chenu, che ha ispirato non solo il suddetto messaggio, ma anche la successiva costituzione pastorale, delinea l’immagine ideale di una Chiesa “sensibile al mondo” in modo nuovo: “Il Concilio dovrà definire il problema della Chiesa […] in base alle dimensioni del mondo […]. Non si deve sottovalutare l’importanza […] della riforma liturgica, della rinascita di comunità veramente cristiane, del rinnovamento dei metodi dell’apostolato e del ripristino della funzione episcopale, che sono tutti giustamente all’ordine del giorno del prossimo Concilio, ma tutte queste questioni importanti trovano la loro luce […] nella visione di un mondo nuovo […]”.[3]
Svolta restaurativa
L’8 dicembre 1965 il Concilio si concluse solennemente, ma già il 9 dicembre iniziò la lotta romana contro il Concilio. Durante il lunghissimo doppio pontificato di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI (1978-2013), questa tendenza acquisì addirittura «egemonia culturale» (A. Gramsci) nella Chiesa universale.
Dopo la breve primavera conciliare sotto Giovanni XXIII e Paolo VI (1958-1978), iniziò un “periodo invernale” (Karl Rahner), che solo sotto i papi Francesco e Leone XIV (2013-oggi) si sta trasformando in un disgelo – e il cui periodo di grande freddo ha influenzato anche il sentimento ecclesiale dell’autore di queste righe.
Come molti altri, anche io ho imparato a distinguere, in una schizo-ecclesiologia cognitivamente dissonante, tra la mia esperienza parrocchiale locale e una politica ecclesiale globale, la cui elaborazione teologica non è ancora nemmeno iniziata.
Nuova evangelizzazione. Un momento chiave in questo passo indietro romano è stato il già citato sinodo speciale per l’anniversario del Concilio nel 1985. Esso stabilì un’interpretazione romana del Vaticano II che, partendo da una lettura negativa del periodo postconciliare, avrebbe dovuto contenere i cambiamenti allora in atto nella Chiesa universale: in riferimento alla liberazione politica (America Latina), all’inculturazione cristiana (Africa), al dialogo interreligioso (Asia) e alla secolarizzazione sociale (Europa, Nord America).
Il 1985 era già iniziato con un colpo di scena nella politica ecclesiastica: il Rapporto sulla fede di Joseph Ratzinger, in cui si parlava di una necessaria “restaurazione”. Al centro di questa contro-riforma c’era l’idea di una nuova evangelizzazione ricristianizzante, che allo stesso tempo rappresentava un manifesto allontanamento dal concetto olistico di evangelizzazione di papa Paolo VI espresso nell’Evangelii nuntiandi’[4]: che iniziava con l’auto-conversione della Chiesa ed era all’insegna della gioiosa sequela di Gesù nell’orizzonte del regno di Dio. Il sinodo speciale romano per l’anniversario del Concilio è sinonimo di conflitti massicci tra le Chiese locali e il centro della Chiesa universale, che hanno interessato tutti gli ambiti del popolo di Dio:
- Vescovi: uno strumento centrale di questa politica ecclesiale restauratrice furono nomine episcopali altamente controverse (compreso un questionario sulla fedeltà a Roma, la contraccezione, l’ordinazione delle donne, il celibato, ecc.). I vescovi sgraditi venivano destituiti dal loro ufficio, come accadde a Jacques Gaillot in Francia nel 1995.
- Preti: si arrivò a una completa riclericalizzazione, che portò persino a norme più severe in materia di abbigliamento. Ai “sacerdoti conciliari” vestiti in modo normale seguirono i “sacerdoti di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI” con il colletto romano. Inoltre, nel 1994, l’enciclica Ordinatio sacerdotalis approssimò il divieto dell’ordinazione delle donne a una dottrina infallibile.
- Vita religiosa: anche in questo caso ci furono interventi autorevoli, il più importante dei quali fu la nomina di un nuovo generale dei gesuiti nel 1981. A Roma si puntò soprattutto sui nuovi movimenti spirituali come Comunione e Liberazione o il Neocatecumenato, nonché sul potente Opus Dei, elevato a prelatura personale nel 1982.
- Laici: nella Christifideles laici, Giovanni Paolo II mise in guardia dal «livellamento tra il sacerdozio comune e il sacerdozio ministeriale» (23). I ministri ecclesiastici non ordinati, come gli operatori pastorali tedeschi, furono messi al loro posto con l’«Istruzione sui laici» del 1997.
- Teologi: nel 1979 Hans Küng fu privato dell’autorizzazione all’insegnamento, dando inizio a tutta una serie di condanne dottrinali. Nel 1989 oltre 700 professori di teologia di tutto il mondo firmarono la Dichiarazione di Colonia. Nello stesso anno Roma pubblicò una Professio fidei obbligatoria nella tradizione del giuramento antimodernista.
Alle proteste dei teologi seguirono quelle dei laici impegnati. Un esempio fu il Kirchenvolksbegehren austriaco del 1995, che prese forma a partire dallo scandalo degli abusi sessuali che coinvolse l’arcivescovo di Vienna Groër. La successiva scoperta degli abusi sessuali perpetrati dai sacerdoti in tutto il mondo (e della loro copertura da parte dei vescovi, che hanno protetto i colpevoli invece di proteggere le vittime) ha inaugurato una nuova fase del periodo postconciliare, che ha caratterizzato il pontificato di Benedetto XVI.
Quest’ultimo fu eletto nel 2005 come successore di Giovanni Paolo II perché prometteva la massima continuità nella lotta contro la “dittatura del relativismo”.
Questo pontificato ha raggiunto il suo punto più basso durante la Pasqua dell’Anno Sacerdotale 2010, quando il cardinale decano Angelo Sodano, che aveva già svolto un ruolo ambiguo come nunzio durante le dittature militari di estrema destra in America Latina, ha assicurato al papa in un discorso di solidarietà che le critiche alla Chiesa per i casi di abuso non erano altro che un chiacchiericcio del momento.
Una svolta nella crisi
Anche se papa Benedetto XVI è stato meno indulgente del suo predecessore in materia di abusi sessuali, fu solo il suo successore Francesco ad affrontare realmente le cause sistemiche di questa crisi epocale della Chiesa. Egli individuò nel clericalismo la causa strutturale principale degli abusi e raccomandò la sinodalità come antidoto efficace: abusi, clericalismo e sinodalità sono profondamente interconnessi.
Nel corso di una corrispondente svolta sinodale, papa Francesco ha compiuto diversi cambiamenti di paradigma, allontanandosi dalla linea restauratrice dei suoi predecessori, anche se molti di essi non sono stati sufficientemente incisivi: limitazione del centralismo romano nel senso di una “decentralizzazione salutare”; coinvolgimento di tutto il popolo di Dio nei processi sinodali (compreso il diritto di voto),; apertura a forme di vita “irregolari” (ad esempio divorziati risposati, omosessuali); rottura con la dottrina sociale classica a favore di un approccio teologico della liberazione (inclusa la riabilitazione di Gustavo Gutièrrez, Leonardo Boff e la canonizzazione di Oscar Romero) e molto altro ancora.
Attraverso il buco della serratura
Quello che ne è seguito, anche per l’ambito pastorale di lingua tedesca, non è tanto un cammino di uscita dalla crisi che la Chiesa stessa aveva prodotto, quanto piuttosto un movimento all’interno di essa che ha prodotto una ulteriore fase di ricezione del Concilio.
L’ampiezza pastorale globale di una Chiesa conciliare aperta sia all’interno che all’esterno non è stata finora quasi recepita dal mainstream cattolico locale.
Se si chiede ai cattolici cosa abbia portato di nuovo il Concilio, essi citeranno soprattutto riforme rivolte all’interno: sono stati installati i cosiddetti “altari rivolti al popolo” e la messa viene celebrata nella lingua nazionale. Oppure: i laici sono stati valorizzati ed è stato istituito un consiglio parrocchiale.
Questa immagine offre uno sguardo microstorico attraverso il buco della serratura nella vita quotidiana di una parrocchia postconciliare:
Fonte: La chiesa e la sua storia. Ai nostri giorni, Milano 1982.
Nell’area europea, la ricezione del Concilio ha consistito principalmente in una riorganizzazione interna della Chiesa (nel senso di liturgia e koinonia), piuttosto che in una missione nel mondo (di diakonia e martyria): il culto costituisce il divenire comunità.
L’attenzione si è concentrata sulle due costituzioni Sacrosanctum concilium e Lumen gentium. Solo con il pontificato di papa Francesco le altre due costituzioni, Gaudium et spes e Dei verbum, sono diventate sempre più centrali – una dinamica estroversa della missione nel mondo che sfida letteralmente la dinamica introversa della raccolta nella Chiesa: il servizio all’uomo come testimonianza di Dio.
Il Concilio ritorna così in Europa con una svolta latinoamericana. Perché una Chiesa in senso conciliare non è solo “a casa dentro”, ma anche “a casa fuori”. Attenzione però: non si tratta affatto di un appello “missionario” nel senso della nuova evangelizzazione, che dovrebbe distrarre dall’urgente necessità di affrontare i problemi sistemici della Chiesa (non dobbiamo ruotare solo intorno a noi stessi).
Fedeltà creativa al Concilio. Piuttosto, vale il paradosso missionario: chi esce all’esterno si trova confrontato con le patologie del proprio interno (“come, sei della Chiesa? Non voglio avere niente a che fare con essa”). Non si può eludere l’auto-conversione della Chiesa come presupposto per una nuova credibilità.
Perché una Chiesa clericale e coloniale, omofoba e misogina, identitaria e autoritaria, è un ostacolo manifesto all’evangelizzazione. Le questioni strutturali riflettono i contenuti della fede, altrimenti non sono conformi al Vangelo. Ciò significa che non deve esserci una “competizione tra vittime” (Regina Ammicht-Quinn) tra gli emarginati dalla società e quelli dalla Chiesa. Pertanto, anche il Cammino sinodale in Germania è in fedeltà creativa al Concilio.
Auto-evangelizzazione. Come già nel concilio Vaticano II, si tratta dell’auto-evangelizzazione della Chiesa nel senso dell’Evangelii nuntiandi, di cui oggi si celebra anche il 50° anniversario.
In definitiva, è come nel caso dei preti operai francesi dopo la II Guerra mondiale che hanno compreso il Vangelo proprio tra quei lavoratori che in realtà volevano convertire alla Chiesa. In breve: i sacerdoti (SC) lasciano l’interno della Chiesa (LG), escono nel mondo (GS) e lì scoprono le tracce di Dio (DV).
La via per arrivarci è indicata da Ad gentes, un altro testo conciliare sulla missione globale della Chiesa: “Come Cristo stesso penetrò nel cuore degli uomini per portarli attraverso un contatto veramente umano alla luce divina, così i suoi discepoli, animati intimamente dallo Spirito di Cristo, debbono conoscere gli uomini in mezzo ai quali vivono ed improntare le relazioni con essi ad un dialogo sincero e comprensivo, affinché questi apprendano quali ricchezze Dio nella sua munificenza ha dato ai popoli; ed insieme devono tentare di illuminare queste ricchezze alla luce del Vangelo […].
Come quindi Cristo percorreva tutte le città e i villaggi, sanando ogni malattia ed infermità come segno dell’avvento del regno di Dio, così anche la Chiesa […] si unisce a tutti gli uomini di qualsiasi condizione, ma soprattutto ai poveri ed ai sofferenti […]. Essa infatti condivide le loro gioie ed i loro dolori, conosce le aspirazioni e i problemi della vita, soffre con essi nell’angoscia della morte” (11-12).
Christian Bauer è docente ordinario di teologia pastorale presso la Facoltà cattolica di teologia dell’Università di Münster in Germania. Questo suo contributo per i 60 anni della conclusione solenne del Concilio Vaticano II viene pubblicato contemporaneamente su SettimanaNews e in versione tedesca su Feinschwarz.
[1] Cf. Ch. Bauer: Optionen des Konzils? Umrisse einer konstellativen Hermeneutik des Zweiten Vatikanums, in: Zeitschrift für katholische Theologie 134 (2012), 141-162.
[2] Il cardinale romano Brandmüller ha recentemente reagito alle critiche tradizionaliste al Concilio con un argomento tradizionalista (cf. la tesi di dottorato Pastorale Lehrverkündigung di Florian Kolfhaus), che ignora in linea di principio il significato dogmatico della costituzione pastorale: “I documenti veramente importanti, cioè le costituzioni sulla liturgia, sulla Chiesa, sulla Sacra Scrittura, sono duraturi e si inseriscono pienamente nella tradizione ecclesiale. […] È curioso che i tradizionalisti si scaglino proprio contro i testi che, a differenza delle costituzioni citate, hanno il minimo grado di vincolatività e sono solo dichiarazioni. Mi riferisco alla Nostra aetate sugli elementi di verità nelle altre religioni e alla Dignitatis humanae sulla libertà di fede e di coscienza”.
[3] M.-D. Chenu: Vie conciliaire de l’Église et sociologie de la foi, in: Id.: La foi dans l’intelligence. La Parole de dieu II, Parigi 1964, 371–383, 381.
[4] Cf. Ch. Bauer: Vom Lehren zum Hören. Offenbarungsmodelle und Evangelisierungskonzepte im Übergang vom Ersten zum Zweiten Vatikanum, in: J. Knop-M. Seewald (a cura di): Das Erste Vatikanische Konzil. Eine Zwischenbilanz 150 Jahre danach, Darmstadt 2019, 95-116.
Settimana News
Christian Bauer è docente ordinario di teologia pastorale presso la Facoltà cattolica di teologia dell’Università di Münster in Germania. Questo suo contributo per i 60 anni della conclusione solenne del Concilio Vaticano II viene pubblicato contemporaneamente su SettimanaNews e in versione tedesca su Feinschwarz.




