Tredicesima NoiPA 2025: quando arriva, chi la riceve con cedolino separato e come si calcola l’importo

Tredicesima NoiPA 2025: quando arriva, chi la riceve con cedolino separato e come si calcola l’importo

Con l’avvicinarsi delle festività natalizie, per oltre un milione di dipendenti pubblici gestiti da NoiPA si avvicina anche uno degli appuntamenti più attesi dell’anno: la tredicesima mensilità. Quest’anno il Ministero dell’Economia ha programmato l’accredito per lunedì 15 dicembre 2025, data in cui la gratifica natalizia verrà inserita direttamente nel cedolino ordinario dello stipendio. Non tutti, però, la riceveranno con le stesse modalità: alcune categorie, come per esempio i lavoratori delle Aziende Sanitarie e Ospedaliere, vedranno infatti la tredicesima comparire su un cedolino separato, distinto da quello relativo alla mensilità di dicembre. E non è l’unica particolarità: anche altri comparti, come quello della scuola, seguono regole specifiche che incidono sulla maturazione e sulle modalità di pagamento.

Quando arriva la tredicesima
Per chi conclude il rapporto di lavoro prima del 1° dicembre (per dimissioni, pensionamento o scadenza naturale del contratto), la tredicesima maturata non va perduta. L’intero importo spettante viene infatti pagato nell’ultimo cedolino utile, quindi insieme allo stipendio finale; è una regola importante, soprattutto per chi termina il servizio a ridosso delle festività e teme di dover attendere ulteriori elaborazioni.

Scuola: regole diverse per supplenze brevi e annuali
Nel settore scuola si applicano regole particolari, come anticipato, diverse da quelle previste per il resto del personale pubblico: dipende, infatti, dalla tipologia di contratto:

Supplenti brevi e saltuari: la tredicesima non viene versata in un’unica soluzione a dicembre, ma mese per mese, in proporzione ai giorni lavorati. Esempio: un supplente che a novembre ha lavorato 10 giorni percepirà solo la quota maturata su quel periodo.
Supplenze fino al 30 giugno 2026 o al 31 agosto 2026: per questi contratti, assimilati al personale con servizio continuativo, il pagamento avviene a dicembre, insieme al resto dei dipendenti della scuola.

Come si calcola la tredicesima NoiPA
L’importo della tredicesima deriva dalla retribuzione globale del dipendente. In genere si prende come riferimento lo stipendio di dicembre; se il rapporto termina prima, si considera invece l’ultimo mese effettivamente lavorato.

Le regole fondamentali

1/12 per ogni mese lavorato: per ogni mese completo, o per frazioni superiori a 15 giorni, matura una quota pari a un dodicesimo della tredicesima.

Esempio: chi ha iniziato il servizio il 20 marzo matura la quota relativa da aprile in avanti.

Part-time: l’importo viene adeguato alla percentuale oraria prevista dal contratto.
Aspettativa non retribuita: durante questi periodi la tredicesima non matura.
Trattenute: anche la tredicesima è soggetta a tassazione e contributi.
Voci che non rientrano nel calcolo: straordinari, rimborsi spesa, indennità per ferie, reperibilità e tutte le somme prive di carattere strettamente retributivo.
In altre parole, la tredicesima riflette solo la parte fissa e continuativa della retribuzione, non gli elementi accessori o occasionali.
Come orientarsi tra cedolini e comunicazioni NoiPA
Chi desidera controllare importi, date di emissione o eventuali messaggi personali può farlo in modo rapido tramite l’app ufficiale NoiPA, che permette di consultare e scaricare i cedolini e ricevere notifiche in tempo reale. Per una lettura più approfondita delle voci presenti in busta paga, è disponibile anche la Guida illustrata alla lettura del cedolino, utile appunto per riconoscere con esattezza cosa concorre (e cosa no) al calcolo della tredicesima.

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Un film documentario sulla tomba di Pietro guidati da Chris Pratt

Chris Pratt mentre gira un documentario su San Pietro prodotto da Vatican Media, Fabbrica di San Pietro, AF Films
L’attore statunitense in questi giorni sta girando in Vaticano un viaggio alla scoperta della Necropoli vaticana, documentario prodotto da Vatican Media, Fabbrica di San Pietro e AF Films, che sarà lanciato nel 2026 400° anniversario dell’inaugurazione e dedicazione dell’attuale Basilica

Vatican News

Si stanno girando in questi giorni in San Pietro e nella Necropoli vaticana le riprese di un documentario prodotto da Vatican Media del Dicastero per la Comunicazione, la Fabbrica di San Pietro e AF Films (Frank Ariza and Manu Vega) dedicato alla scoperta della tomba dell’Apostolo. A guidare gli spettatori in questo viaggio affascinante e unico tra fede, storia e archeologia sarà l’attore americano Chris Pratt. “È un onore straordinario – ha dichiarato Pratt a Vatican News – collaborare con Papa Leone e il Vaticano a questo progetto. La storia di San Pietro è fondamentale per la fede cristiana e sono profondamente grato per la fiducia e l’accesso che mi sono stati concessi per aiutare a portare la sua eredità sullo schermo”.

AF Films ha affidato alla regista spagnola Paula Ortiz la regia di questo progetto. Il documentario, scritto da Andrea Tornielli con la consulenza di Pietro Zander, sarà lanciato nel 2026, 400° anniversario dell’inaugurazione e dedicazione dell’attuale Basilica di San Pietro, avvenuta il 18 novembre 1626.

La storia della Basilica s’intreccia con le vicende della vita di Pietro, il pescatore di Galilea al quale Gesù ha affidato la guida della Chiesa, che venne martirizzato a Roma sul Colle Vaticano nell’anno 64 d.C. Fini dai primissimi secoli l’area della sua sepoltura è diventata un centro di devozione e di culto: tanti cristiani hanno voluto essere sepolti accanto a lui. Passo dopo passo, in un emozionante viaggio nel tempo, attraverso immagini esclusive mai viste prima, lo spettatore sarà coinvolto in un percorso coinvolgente, che lo porterà alla scoperta della tomba di Pietro, che l’imperatore Costantino volle preservare spianando il Colle Vaticano per costruirvi la prima grande Basilica nella quale venne inglobata l’area della tomba.

Attraverso testimonianze storiche e scoperte archeologiche saremo guidati fino all’identificazione del luogo della sepoltura dell’Apostolo nella Necropoli vaticana, annunciata ufficialmente nel 1950 da Pio XII, il Papa che dieci anni prima aveva voluto iniziare gli scavi sotto la Basilica. Ricerche successive hanno portato, nel 1968, Paolo VI ad annunciare al mondo anche il ritrovamento delle ossa: “Le reliquie di Pietro – disse il Pontefice – sono state identificate in modo che possiamo ritenere convincente… Abbiamo ragione di ritenere che siano stati rintracciati i pochi, ma sacrosanti resti mortali del Principe degli Apostoli”.

In Pakistan nasce una Commissione per i diritti delle minoranze

La minoranza cristiana pakistana in attesa del Natale, Karachi
La legge è stata votata in seduta congiunta dal Parlamento con 160 voti favorevoli. Il commento del professor Mobeen Shahid: “Un passo molto positivo e atteso da tempo perché offre strumenti reali”

Guglielmo Gallone – Città del Vaticano – Vatican News

Il Parlamento del Pakistan ha approvato il National commission for minorities rights bill, che istituisce una Commissione nazionale incaricata di tutelare i diritti delle comunità non musulmane: cristiani, indù, sikh, parsi, bahá’í e altri gruppi religiosi. La legge, votata in seduta congiunta il 2 dicembre con 160 voti favorevoli e 79 contrari, dà attuazione alla sentenza della Corte suprema del 2014, che aveva ordinato la creazione di un organismo di monitoraggio sulle minoranze. Questo è il primo punto interessante. Perché proprio ora? «Rispetto a undici anni fa, il governo pakistano sembra riconoscere che lo sviluppo delle minoranze coincide con lo sviluppo del Pakistan  — esordisce Mobeen Shahid, professore presso la Facoltà di filosofia dell’università Urbaniana e fondatore dell’associazione Pakistani cristiani in Italia, parlando ai media vaticani — cioè, una democrazia stabile non può prescindere dalla tutela delle minoranze».

Leone XIV: educare, impegno delicato. Accompagnare i giovani con sapienza e affetto

Il Papa in Libano con i giovani del Medio Oriente

Leone XIV: educare, impegno delicato. Accompagnare i giovani con sapienza e affetto
Messaggio del Papa a firma del cardinale segretario di Stato Parolin, in occasione del Convegno nazionale per educatori e animatori dell’Azione Cattolica, in corso a Riccione, sul tema “Verso l’Alto. Per una scelta educativa fedele al Vangelo e alla vita”
Vatican News

“Favorire la consapevolezza di quanto sia delicato l’impegno educativo nei confronti di ragazzi, adolescenti e giovani che vanno accompagnati con sapienza e sostenuti con affetto”. È quanto afferma Papa Leone XIV in un messaggio, a firma del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, indirizzato all’assistente generale di Azione Cattolica italiana, monsignor Claudio Giuliodori, in occasione del Convegno nazionale per gli educatori e animatori. In corso a Riccione dal 5 al 7 dicembre, tema dell’appuntamento è “Verso l’Alto. Per una scelta educativa fedele al Vangelo e alla vita”.

Formazione di qualità
Per il Papa si tratta di un evento “significativo”. Nel messaggio il Pontefice auspica “una formazione di qualità” per coloro che sono chiamati a svolgere l’importante missione educativa: “Anzitutto la disposizione ad ascoltare e ad empatizzare con gli altri, quale ambito in cui germina e dà frutti l’evangelizzazione”. Leone XIV esorta poi a “considerare come la vita del formatore, la sua costante crescita umana e spirituale come discepolo di Cristo, sostenuto dalla Grazia di Dio, è un fattore fondamentale di cui dispone per conferire efficienza al suo servizio alle giovani generazioni”. “Di fatto – scrive – la sua stessa vita testimonia quello che le sue parole e i suoi gesti cercano di trasmettere nel dialogo e nell’accompagnamento formativo”.

Il Papa: la musica non elimina i problemi, ma ci ricorda che siamo molto di più

L'attrice e conduttrice Serena Autieri

Salutando i partecipanti al Concerto con i Poveri in Aula Paolo VI, Leone XIV esalta le melodie come un “dono divino accessibile a tutti”. Esse, afferma, non stordiscono, ma trasmettono emozioni “fino ai moti più profondi dell’animo”, elevandolo al di sopra “dei nostri guai”

Edoardo Giribaldi – Città del Vaticano Vatican – News

I “nostri guai”, le inquietudini, fanno stonare le esistenze. La tentazione è quella di metterle a tacere, soffocandole nello stordimento delle distrazioni. Lo sanno, le tremila persone fragili e ferite dalla vita che oggi pomeriggio, 6 dicembre, si ritrovano nell’Aula Paolo VI per prendere parte al Concerto con i Poveri. Esiste tuttavia uno spartito diverso, che non elimina le dissonanze, ma da esse eleva, perché “siamo molto di più”. È la musica, che Papa Leone XIV loda prendendo la parola al termine della sesta edizione dello spettacolo nato “dal cuore di Papa Francesco”, sotto la direzione artistica di monsignor Marco Frisina, con il Coro della Diocesi di Roma e l’organizzazione di Nova Opera.

Il dono universale della musica

Ad animare gli oltre ottomila spettatori invitati attraverso il Dicastero per il Servizio della Carità e grazie alla collaborazione di numerose realtà caritative e associazioni di volontariato è la musica del cantante canadese Michael Bublé. Un’alternanza tra i suoi brani più famosi e canti tradizionali natalizi al termine della quale il Pontefice pronuncia un saluto esaltando le melodie che, nel corso della serata, toccano “i nostri animi”, ricordando una verità fondamentale e il valore inestimabile della musica:

Non un lusso per pochi, ma un dono divino accessibile a tutti: ricchi e poveri.

Le realtà impegnate nel concerto

Michael Buble, your italian is wonderful, thank you so much!”, “Michael Bublé, il tuo italiano è fantastico, grazie mille!”, è il saluto iniziale del Papa al cantante, che ringrazia quindi tutti i presenti, tra cui il cardinale vicario generale per la Diocesi di Roma, Baldo Reina, e il cardinale prefetto del Dicastero per il Servizio della Carità, Konrad Krajewski. Nell’esprimere gratitudine all’Elemosineria Apostolica, Leone XIV ricorda le già citate realtà collaborative che si sono impegnate per la realizzazione dell’evento. Tra di esse figurano la Caritas di Roma, la Comunità di Sant’Egidio, il Sovrano Militare Ordine di Malta, il Circolo San Pietro, il Centro Astalli per i Rifugiati, l’ACLI di Roma e la Comunità Giovanni XXIII.

Il suo “grazie” si estende anche a quanti hanno riempito di note e melodie, “con arte e passione”, l’Aula Paolo VI: il Coro della Diocesi di Roma guidato dal Maestro mons. Marco Frisina, insieme alla Nova Opera Orchestra. Senza dimenticare la Fondazione Nova Opera e tutti i “partner” che hanno reso possibile il concerto.

“Sì, la musica può elevare il nostro animo!”

“Cari amici”, afferma Leone XIV, “la musica è come un ponte che ci conduce a Dio”. Dalle corde degli strumenti sgorgano note che muovono le corde del cuore, le più profonde dell’animo, elevandolo e trasformando i “moti più intimi” in un’ideale scala che “collega la terra e il cielo”.

Sì, la musica può elevare il nostro animo! Non perché ci distrae dalle nostre miserie, perché ci stordisce o ci fa dimenticare i problemi e le situazioni difficili della vita, ma perché ci ricorda che non siamo solo questo: siamo molto di più dei nostri problemi e dei nostri guai, siamo figli amati da Dio!

Le armonie del Natale

Il Natale, infatti, è la festa che riempie l’animo di canti tradizionali capaci di superare ogni barriera linguistica e culturale. Un Mistero che sarebbe difficile celebrare senza un degno accompagnamento musicale. Del resto, è lo stesso Vangelo a parlare di un “grande concerto di angeli” che accompagna la nascita di Gesù nella stalla di Betlemme.

“Gesù è il canto d’amore di Dio per l’umanità”

L’Avvento diventa così tempo di preparazione a quel canto “d’amore di Dio, che è Gesù Cristo”. “Impariamolo bene”, esorta Leone XIV, invitando a non appesantire gli animi con “interessi egoistici” o “preoccupazioni materiali”, ma a risvegliarli nell’attenzione verso il prossimo.

Sì, Gesù è il canto d’amore di Dio per l’umanità. Ascoltiamo questo canto! Impariamolo bene, per poterlo cantare anche noi, con la nostra vita.

Contemplare l’Incarnazione attraverso le melodie

Si tratta della prima volta in cui un Pontefice presenzia a un’edizione del Concerto con i Poveri, che negli anni ha visto succedersi artisti del calibro di Hans Zimmer, Ennio Morricone e Nicola Piovani, e che per l’edizione di quest’anno ha visto la conduzione affidata all’attrice e presentatrice Serena Autieri. Il Pontefice viene accolto dal Coro della Diocesi di Roma e la Nova Opera Orchestra con Tu sei Pietro, cui fa seguito una sequenza di brani che aprono alla contemplazione del Mistero dell’Incarnazione: Puer natus est nobis, antifona natalizia tra le più antiche, seguita da Quando nascette Ninno, celebre pastorale di sant’Alfonso Maria de’ Liguori interpretata da Serena Autieri, e da una esecuzione di Joy to the World. Il programma prosegue con Gloria in cielo, composizione tratta dal Laudario di Cortona ispirata all’annuncio degli angeli, e con The First Nowell, che accompagna il passaggio alla seconda parte della serata.

L’esibizione di Michael Bublé

Ad essa prende parte Michael Bublé, che propone la sua celebre Feeling Good, accompagnata da un arrangiamento sinfonico che esalta il dialogo tra la sua voce e l’orchestra. “Questo è davvero il momento più importante della mia vita e della mia carriera. Sono così grato”, afferma un emozionato Bublé, che invita tutti i presenti ad unirsi a lui in un unico insieme di voci. “Non vorrei cantare da solo”, afferma, esortando a non prestare troppa attenzione a pronunciare correttamente tutte le parole, o ad armonizzarle con la giusta intonazione. “Non importa, questa è la nostra serata!”, dice, prima di proseguire con la scaletta, comprendente anche la canzone L.O.V.E. e i celebri brani natalizi It’s Beginning to Look a Lot Like Christmas e Silent Night. Bublé rende omaggio al direttore d’orchestra e compositore statunitense Duke Ellington con una rilettura di Don’t Get Around Much Anymore.

Il momento clou è l’interpretazione dell’Ave Maria, eseguita in latino con un arrangiamento corale e orchestrale pensato per l’Aula Paolo VI. Un brano che, come spiegato dallo stesso cantante nel corso della conferenza stampa di presentazione dell’evento, è stato richiesto dal Papa. Il concerto include anche una cover di Bring It On Home to Me di Sam Cooke e una versione rivisitata di Always On My Mind, che chiude l’esibizione di un Bublé visibilmente emozionato. Dopo il saluto del Pontefice, mentre alcuni dei bisognosi presenti gli stringono la mano, c’è tempo per un ultimo brano: il celebre canto natalizio Feliz Navidad.

La sostenibilità del concerto

Al termine del concerto viene offerta una cena calda d’asporto per oltre 3.000 persone. Un evento che, nell’ottica di renderlo sempre più sostenibile, ha visto Nova Opera collaborare con l’impresa AzzeroCO₂ e sostenere l’associazione “I Patriarchi della Natura”, impegnata nella tutela del patrimonio arboreo nazionale. Come gesto simbolico, il Vaticano accoglierà un cipresso di San Francesco, discendente diretto di un esemplare secolare di Verucchio, mentre il concerto in sé contribuirà alla piantumazione di 1.000 nuovi alberi nei progetti di sostenibilità ambientale e sociale di Treedom: 950 alberi saranno piantati in Guatemala, in collaborazione con comunità locali (tra cui 150 alberi di cacao e 250 di caffè), insieme a 100 mangrovie nella Barra de Motagua, area ad altissima biodiversità; 50 olivi saranno invece piantati in Campania, su terreni confiscati alle mafie, sostenendo percorsi di riscatto sociale e ambientale.

Parola di Dio del giorno 7 Dicembre 2025

Lettura del Giorno

Prima Lettura

Dal libro del profeta Isaìa
Is 11,1-10

In quel giorno,
un germoglio spunterà dal tronco di Iesse,
un virgulto germoglierà dalle sue radici.
Su di lui si poserà lo spirito del Signore,
spirito di sapienza e d’intelligenza,
spirito di consiglio e di fortezza,
spirito di conoscenza e di timore del Signore.
Si compiacerà del timore del Signore.
Non giudicherà secondo le apparenze
e non prenderà decisioni per sentito dire;
ma giudicherà con giustizia i miseri
e prenderà decisioni eque per gli umili della terra.
Percuoterà il violento con la verga della sua bocca,
con il soffio delle sue labbra ucciderà l’empio.
La giustizia sarà fascia dei suoi lombi
e la fedeltà cintura dei suoi fianchi.
Il lupo dimorerà insieme con l’agnello;
il leopardo si sdraierà accanto al capretto;
il vitello e il leoncello pascoleranno insieme
e un piccolo fanciullo li guiderà.
La mucca e l’orsa pascoleranno insieme;
i loro piccoli si sdraieranno insieme.
Il leone si ciberà di paglia, come il bue.
Il lattante si trastullerà sulla buca della vipera;
il bambino metterà la mano nel covo del serpente velenoso.
Non agiranno più iniquamente né saccheggeranno
in tutto il mio santo monte,
perché la conoscenza del Signore riempirà la terra
come le acque ricoprono il mare.
In quel giorno avverrà
che la radice di Iesse si leverà a vessillo per i popoli.
Le nazioni la cercheranno con ansia.
La sua dimora sarà gloriosa.

Seconda Lettura

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani
Rm 15,4-9

Fratelli, tutto ciò che è stato scritto prima di noi, è stato scritto per nostra istruzione, perché, in virtù della perseveranza e della consolazione che provengono dalle Scritture, teniamo viva la speranza.
E il Dio della perseveranza e della consolazione vi conceda di avere gli uni verso gli altri gli stessi sentimenti, sull’esempio di Cristo Gesù, perché con un solo animo e una voce sola rendiate gloria a Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo.
Accoglietevi perciò gli uni gli altri come anche Cristo accolse voi, per la gloria di Dio. Dico infatti che Cristo è diventato servitore dei circoncisi per mostrare la fedeltà di Dio nel compiere le promesse dei padri; le genti invece glorificano Dio per la sua misericordia, come sta scritto:
«Per questo ti loderò fra le genti e canterò inni al tuo nome».

Vangelo del Giorno

Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 3,1-12

In quei giorni, venne Giovanni il Battista e predicava nel deserto della Giudea dicendo: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!». Egli infatti è colui del quale aveva parlato il profeta Isaìa quando disse: «Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!».
E lui, Giovanni, portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano cavallette e miele selvatico. Allora Gerusalemme, tutta la Giudea e tutta la zona lungo il Giordano accorrevano a lui e si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati.
Vedendo molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: «Razza di vipere! Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente? Fate dunque un frutto degno della conversione, e non crediate di poter dire dentro di voi: “Abbiamo Abramo per padre!”. Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo. Già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. Io vi battezzo nell’acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più forte di me e io non sono degno di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala e pulirà la sua aia e raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».

La lenta agonia dei giornali italiani

di: Stefano Feltri

giornali

All’improvviso, nel giro di pochi giorni, la crisi dei giornali italiani è diventata il tema sottostante a una serie di notizie di cronaca, dall’attacco alla sede de La Stampa alle censure del Tirreno, ai cambi di direzione nei quotidiani del gruppo Angelucci, agli scioperi per il rinnovo del contratto, alle risposte degli editori.

Come sempre, quelle che riguardano giornali e giornalisti sono un po’ vicende interne a una categoria sempre meno amata, ma sono anche questioni di interesse generale per le conseguenze che hanno sul modo in cui la realtà viene raccontata e percepita.

La vicenda di Torino

Il caso della Stampa è, da questo punto di vista, esemplare. Durante la giornata di venerdì 28 novembre un gruppo di manifestanti che si proclamano a difesa della Palestina ha fatto irruzione nella sede del quotidiano torinese, che era vuota perché anche i giornalisti stavano scioperando in piazza, nella stessa occasione.

Il pretesto per colpire la Stampa era l’espulsione dell’imam torinese di origine egiziana Mohamed Shahin, in Italia da oltre 20 anni, che in una piazza aveva detto di essere «d’accordo con quanto successo il 7 ottobre 2023, non è una violenza», nonostante 1.200 morti, stupri, bambini bruciati vivi e tutte le atrocità che conosciamo.

Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha firmato un decreto di espulsione per «motivi di sicurezza dello Stato e di prevenzione del terrorismo».

Questa storia è piena di paradossi. Il primo è che lo stesso imam, dal CPR di Caltanissetta dove è rinchiuso, ha condannato l’attacco alla Stampa: «Come persona di fede ho sempre provato a trasformare il dolore della Palestina in manifestazioni pacifiche, dove non ho appoggiato iniziative violente».

Invece che contestare il Governo per rivendicare una versione legittima per quanto estrema della libertà di espressione – censurare le idee sgradite è sempre scivoloso in un sistema liberale – i manifestanti ProPal di Torino finiscono per legittimare la linea del ministro Piantedosi, cioè per tenere la discussione sul rischio di terrorismo.

Entrano alla Stampa con gli slogan delle Brigate Rosse che a Torino i giornalisti, specie della Stampa, li uccidevano davvero negli anni Settanta: «Giornalista terrorista, sei il primo della lista». Peraltro, paradosso nel paradosso, quei manifestanti violenti e ammiratori dei terroristi, confermano di non sapere nulla del giornale che contestano, se non che è di Torino e dunque complice, chissà perché di una vicenda di ordine pubblico torinese.

Non sanno che i giornalisti sono in piazza con loro, non sanno che La Stampa è uno dei giornali che è stato più attento a raccontare il dramma e il genocidio di Gaza, con firme come Anna Foa, Rula Jebreal, Francesca Mannocchi, non sanno che il direttore Andrea Malaguti è stato l’unico a contestare la ministra della Famiglia Eugenia Roccella quando ha parlato di «gite degli studenti ad Auschwitz».

Soprattutto non sanno che da mesi la proprietà, il gruppo GEDI che fa capo a John Elkann, sta cercando di liberarsi del quotidiano in crisi strutturale – come tutte le testate regionali – e si parla dell’interessamento del gruppo NEM, Nord Est Multimedia, che sta costruendo un polo tra Piemonte e Veneto.

Dopo l’assalto dei manifestanti, lo stesso editore Elkann è costretto a schierarsi a difesa del giornale la cui storia è intrecciata con quella della famiglia Agnelli da oltre un secolo.

Insomma, i manifestanti che avversano tanto La Stampa da vandalizzarne la redazione, non soltanto non l’hanno mai letta, ma non hanno neanche mai consultato la voce di Wikipedia per sapere con chi se la stessero prendendo.

Poi, certo, ci si è messa anche Francesca Albanese, la relatrice speciale dell’ONU per i territori palestinesi che ha perso un’altra splendida occasione per stare zitta e prima ha parlato di «monito» per tutti i giornalisti, per poi smentire, smussare, spiegare, condannare. Anche se, va detto, in tutti i suoi interventi Albanese esplicita la stessa linea: la violenza è da condannare ma è sostanzialmente legittima perché quella di Hamas è una rivolta anti-colonialista e non un’azione terrorista.

Ovviamente, poiché condanna e legittimazione non possono stare insieme, le parole di critica sono da intendere soltanto come un modo per prevenire le polemiche, ma l’analisi di Albanese sui rapporti di forza in Israele e su come e quanto i palestinesi possano ricorrere alla violenza è ben nota e spesso ripetuta.

Ma torniamo alla crisi dei giornali. Venerdì in piazza c’erano anche i giornalisti, con il sindacato unitario della FNSI che chiedeva il rinnovo di un contratto scaduto da oltre dieci anni, così da recuperare potere d’acquisto.

Battaglia comprensibile, perché tutti i lavoratori dipendenti hanno subito le conseguenze dell’inflazione negli ultimi anni e senza aumenti non possono neppure recuperare l’impoverimento dovuto ai rincari (l’inflazione ha rallentato, ma i prezzi non sono scesi).

Però è una battaglia particolarmente difficile nel settore dell’editoria dove gli editori stanno provando a dimostrare ai loro battaglieri dipendenti che possono fare i giornali senza i giornalisti.

Giornali senza giornalisti

Non è soltanto una questione di tecnologia: l’intelligenza artificiale può aumentare la produttività e consentire di ridurre gli organici, correttori di bozze, grafici impaginatori e perfino redattori sono meno necessari. Il Foglio affida da mesi all’intelligenza artificiale anche editoriali e interi articoli.

Ma si moltiplicano i casi in cui un direttore, schierandosi con la proprietà, sceglie di mandare in edicola il quotidiano anche con la redazione in sciopero, grazie al lavoro di pochi dipendenti fedeli e di molti collaboratori pagati pochissimo che non possono scioperare o rifiutarsi.

E’ successo con il Sole 24 Ore, che il direttore Fabio Tamburini ha mandato in edicola in versione ridotta il 19 ottobre per far uscire comunque l’intervista alla premier Giorgia Meloni che presentava la legge di Bilancio.

Proprio quell’intervista, affidata a una collaboratrice del giornale, Maria Latella, invece che a un giornalista interno, aveva scatenato la protesta della redazione. Il giornale è uscito comunque, con sole 20 pagine, ma in edicola e nelle rassegne stampa c’era.

Nel giorno dello sciopero di venerdì il direttore della Gazzetta dello Sport, dello stesso gruppo RCS del Corriere della Sera, si è prodigato per far arrivare comunque in edicola una versione del quotidiano e per avere il sito aggiornato, contando su quelli che non volevano o non potevano aderire allo sciopero. Come protesta, il sindacato interno al giornale si è dimesso.

Stesso comportamento da parte della famiglia Angelucci, editore di riferimento della destra politica ed editoriale, che ha mandato in edicola Il Giornale sabato 29 novembre praticamente senza il contributo dei redattori.

Mancava il 90 per cento dei giornalisti, un atteggiamento quello dell’azienda – secondo il sindacato interno del Giornale – «che lascia supporre l’idea che un giornale possa uscire anche se sedute dietro alla scrivania non ci sono neanche 10 persone».

La risposta dell’editore è stata che sì, in effetti il giornale può uscire anche così e non è neanche male, visto che era addirittura «arricchito con contributi di firme apprezzate dai nostri lettori, nel rispetto della qualità editoriale ad essi dovuta».

Pochi giorni dopo Il Giornale ha cambiato direttore, nell’ennesimo giro di poltrone tra le testate del gruppo Angelucci, Alessandro Sallusti se ne va, arriva Tommaso Cerno dal Tempo, che pur avendo in curriculum un mandato da senatore del PD, una direzione dell’Espresso e persino una con-direzione di Repubblica, è considerato dall’editore il miglior interprete dello spirito del tempo, con la destra egemone.

Proprio il Tempo, giornale da cui arriva Cerno, è stato condannato ad agosto a pagare gli arretrati alla giornalista Gloria Oricchio che per un decennio ha scritto sull’edizione di carta e su quella online pezzi pagati tra i 3 e i 10 euro lordi, nella speranza di una assunzione che non arrivava mai. Ha fatto causa e l’editore ora è stato condannato a stabilizzarla e a pagarle 354 mila euro tra stipendi arretrati e contributi previdenziali.

Giornali fragili e permeabili

Il problema è generale: i costi del prodotto del giornale omnibus, quello che si occupa di tutto un po’ dallo sport alla geopolitica al costume, non sono più compatibili con i ricavi che genera. Affidarsi ai collaboratori sottopagati o agli editorialisti disposti a scrivere gratis in cambio di visibilità allunga l’agonia, ma non è una soluzione permanente.

Giornali più fragili sono giornali più influenzabili. E così ai problemi industriali si aggiungono quelli di legittimità. Mentre in altre redazioni lo scontro si consumava intorno alle battaglie sindacali, al Tirreno la redazione ha votato la sfiducia al direttore Cristiano Marcacci «per la scelta di non pubblicare notizie di rilievo nazionale come il recente “caso Manetti”».

Si tratta della storia, potenzialmente esplosiva, del presidente della regione Toscana Eugenio Giani che nella sera del voto va a recuperare la sua storica collaboratrice Cristina Manetti, già capo di gabinetto e dopo le elezioni assessora alla Cultura. Il 13 ottobre viene multata perché viaggiava in autostrada in corsia di emergenza: multa di 430 euro e possibile ritiro della patente.

Il presidente Giani, proprio nel giorno di chiusura della campagna elettorale, non solo arriva sul posto della multa, a parlare con la polizia, ma accompagna poi la collaboratrice in prefettura. Un approccio e un sostegno che non tutti i multati possono permettersi per contestare infrazioni gravi.

Ma se i giornali sono sempre sensibili alle priorità della politica, lo sono particolarmente a quelle della proprietà. Basta guardare alle prime pagine del Messaggero in questi giorni, dove non si trova traccia dell’inchiesta della Procura di Milano che riguarda la scalata dell’editore Francesco Gaetano Caltagirone, insieme a Delfin di Francesco Milleri, a Mediobanca tramite Monte Paschi di Siena.

Un’inchiesta che vede l’editore indagato per aver fornito false informazioni al mercato e il governo Meloni accusato di aver fatto la regia dell’operazione, che ha come obiettivo ultimo il controllo delle assicurazioni Generali.

Eppure, quando c’era da cavalcare l’operazione, tutti i giornali del gruppo erano schierati, la battaglia finale è stata innescata proprio da un editoriale di Roberto Napoletano sul Messaggero, contro l’alleanza tra Generali e la francese Natixis. In quel momento Napoletano dirigeva il Mattino di Napoli, ma ora è stato promosso al Messaggero.

I quotidiani all’italiana, insomma, hanno sempre meno lettori e sono un prodotto che non risponde più alle esigenze di informazioni del pubblico. Ma per gestire le partite di potere sono ancora considerati molto importanti. Almeno dagli editori e dalla politica.

Perché i giornali italiani sono più in crisi degli altri: l’analisi di Beda Romano

Beda Romano è corrispondente da Bruxelles del Sole 24 Ore. Per la rivista trimestrale del Mulino, in un numero dedicato all’informazione in Italia, ha scritto un interessante saggio sul declino dei giornali.

  • Perché sostieni che c’è una specificità italiana? Quali sono i modelli di successo che non abbiamo seguito?

Credo che ci siano almeno due caratteristiche che spiegano la crisi dei giornali in Italia.

La prima risale al secondo dopoguerra. Germania e Italia affrontarono in modo diverso la fine della dittatura e il ritorno della democrazia.

Nella Repubblica Federale i vecchi giornali furono chiusi, nuovi quotidiani videro la luce e tra la redazione e la proprietà furono create fondazioni indipendenti, con l’obiettivo di ridurre al minimo l’influenza degli editori sul giornale. Il periodo nazista aveva lasciato il segno e c’era il desiderio di garantire una stampa libera.

In Italia ciò non accadde. I giornali divennero, a seconda delle circostanze, proprietà di grandi aziende nazionali, di associazioni di categoria, di partiti politici, di enti confessionali. Non furono create muraglie cinesi tra redazione e proprietà. Questa scelta consolidò la tendenza degli editori a influenzare la linea editoriale, minando l’indipendenza dei quotidiani.

La seconda anomalia è più recente. I giornali italiani, a differenza di quelli di altri Paesi, tendono a seguire il flusso delle notizie, malgrado la rivoluzione provocata da Internet e dall’informazione in tempo reale.

La loro materia prima rimangono gli avvenimenti del giorno. I quotidiani guardano alla cronaca, piuttosto che all’attualità in senso più ampio. Non prendono le distanze dagli eventi: gli articoli, per la maggior parte, sono scritti a tambur battente, mancano gli approfondimenti.

Il risultato è che i giornali diventano un happening quotidiano. Non offrono molto di diverso dalla televisione, dalla radio o dai siti di informazione.

Se guardiamo agli altri Paesi europei, molti quotidiani riscuotono successo e aumentano le copie. Perseguono curiosità, rigore, indipendenza. Cercano di svincolarsi il più possibile dalla cronaca del giorno e guardano agli avvenimenti con il grandangolo. Così facendo competono ad armi pari con Internet, guadagnano lettori e offrono articoli di qualità che sopravvivono nel tempo.

I giornali italiani, per la maggior parte, sono invece rapidamente superati dagli eventi e invecchiano molto presto.

  • Un aspetto interessante che sottolinei è la cattura da parte della politica dei giornali, con ex politici o portavoce che fanno i direttori e i commentatori, o con agenzie di stampa che vivono solo grazie ai fondi di Palazzo Chigi. Anche questa è un’anomalia italiana?

In parte sì, è un’anomalia rispetto ai Paesi europei più moderni. Il motivo è relativamente semplice e si collega a quanto detto in precedenza.

I giornali italiani hanno, nella maggior parte dei casi, un assetto proprietario che tende a influenzare la copertura giornalistica, anche perché la stessa proprietà ha interessi che vanno ben oltre l’attività editoriale.

Il quotidiano diventa così uno strumento di pressione o di influenza nel dibattito pubblico. Da qui la tendenza a seguire il flusso delle notizie piuttosto che l’attualità più ampia.

In questo senso, con la politica i giornali hanno un rapporto promiscuo, comunque eccessivamente vicino. Guardiamoci attorno: di questi tempi, tre giornali nazionali contano tra i loro principali collaboratori tre ex presidenti del Consiglio.

In un recente passato, un altro ex premier è stato direttore editoriale di un quotidiano, mentre oggi un ex vicecapo del governo è commentatore assiduo di un grande giornale nazionale.

C’è di più: ai vertici del giornalismo italiano siedono persone che in passato erano parlamentari o portavoce di aziende pubbliche o private, di associazioni padronali o di personalità politiche.

Faccio un esempio: di recente un ex portavoce del governo è stato nominato alla guida di un giornale.

  • Il contesto — tra proprietà, ingerenze politiche e modelli sbilanciati sul flusso di notizie — condiziona anche i contenuti. Perché scrivi che il commento è un genere giornalistico molto più diffuso in Italia dell’analisi? Che differenza c’è tra i due tipi di articoli?

Il commento e l’analisi sono due generi giornalistici molto diversi tra loro. A differenza dell’analisi, il commento contiene l’opinione dell’autore, che è in fondo il succo dell’articolo.

L’autore farà del suo meglio — o almeno dovrebbe — per argomentare il proprio punto di vista con dati e fatti. Ma l’obiettivo rimane quello di offrire un commento, un punto di vista.

L’analisi, invece, non dovrebbe contenere l’opinione dell’autore: è chiamata a rivelare le diverse opinioni su un avvenimento o una tendenza, o più semplicemente a spiegare la complessità di una particolare situazione.

L’articolo serve a chiarire, non a giudicare. Prevede citazioni di osservatori esterni e dati che rafforzano le argomentazioni.

In Italia mi sembra che dominino i commenti più delle analisi. Sono più facili da scrivere e soprattutto meno controversi, se allineati alla proprietà.

In Italia ci si giustifica dicendo che un giornalista — come qualsiasi individuo — è portatore del suo bagaglio personale e quindi inevitabilmente soggettivo. È possibile. Ma farei una differenza tra oggettività e imparzialità: forse l’oggettività è difficile da raggiungere, ma l’imparzialità dovrebbe essere l’obiettivo del buon giornalismo.

  • Dal Substack di Stefano Feltri, Appunti, 2 dicembre 2025
  • in Settimana News