Libro. Itinerario geografico-teologico di Mosè
L’autore, Michelangelo Priotto, è presbitero della diocesi di Saluzzo (CN). Dopo il conseguimento della laurea in Teologia Biblica presso lo Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme, ha conseguito, nel 1985, il dottorato in Scienze Bibliche al Pontificio Istituto Biblico di Roma. Ha insegnato alla Facoltà teologica dell’Italia settentrionale e all’ISSR di Torino, ed è stato direttore della rivista Parole di Vita dal 1996 al 2007. Attualmente è professore ordinario allo Studio Teologico Interdiocesano di Fossano (CN) e professore invitato allo Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme.
Dopo aver illustrato il cammino geografico-teologico dei patriarchi della Genesi, in questo nuovo studio Michelangelo Priotto offre il profilo del cammino geografico–teologico di Mosè, l’ultimo grande patriarca del Pentateuco.
Nella premessa del libro egli riassume felicemente il contenuto e la finalità dello studio compiuto. Si fa notare che l’attenzione primaria si fissa sulla sua persona e, in particolare, sul suo dialogo con YHWH. Vengono perciò selezionati e commentati i passi più̀ significativi che delineano il cammino interiore dell’incontro di Mosè con Dio, a cominciare dai prodromi connessi con la sua nascita miracolosa sulle rive del Nilo fino alla sua morte ai piedi del monte Nebo.
L’oggetto di questo studio è il Mosè letterario, quello cioè che appare dalle pagine del racconto biblico. Non si tratta però di una semplice figura creata dal narratore, bensì̀ del ritratto teologico delineato dalla generazione dell’esilio, che, sulla scia di una lunga tradizione, voleva non solo celebrare il personaggio, ma proporlo come modello della rinnovata fede in YHWH.
Quello che ci descrive la pagina biblica è un Mosè vivo, profondamente legato al suo popolo e, allo stesso tempo, testimone di un’intensa ricerca e comunione con l’Altissimo.
In concreto, verranno descritti i tratti essenziali del rapporto di Mosè con Dio che emergono dalla narrazione dei libri dell’Esodo, dei Numeri e del Deuteronomio; non si tratta di tre personaggi diversi, ma di un’unica figura plasmata dall’articolazione di una storia ricca e appassionante.
Dopo le Sigle e le Abbreviazioni (pp. 5-6), l’autore espone una premessa generale al suo lavoro (pp. 7-10).
«Il principio ispiratore della precedente ricerca – ricorda Priotto – si basava sull’assunto che la descrizione degli spostamenti geografici dei patriarchi significasse anche e soprattutto un itinerario esistenziale alla ricerca di quel Dio che li chiamava ad attuare il suo progetto salvifico. Anche nel caso di Mosè l’itinerario geografico è molto significativo e ampio, perché include ben quattro libri biblici: l’Esodo, il Levitico, il libro dei Numeri e, infine, il libro del Deuteronomio» (p. 7).
«Quello che ci descrive la pagina biblica – prosegue l’autore – è un Mosè vivo, profondamente legato al suo popolo e, allo stesso tempo, testimone di un’appassionata ricerca e comunione con Dio. Non era sufficiente una tradizione storica autentica ma scarna di particolari biografici; la memoria scritturistica, guidata dallo Spirito, ha riempito, per così dire, lo spazio esistenziale mostrando come l’uomo Mosè abbia incontrato Dio e si sia abbandonato a lui in profonda comunione» (ivi).
Senza indulgere a commenti meramente psicologici, il volume intende dimostrare «come sia proprio questa comunione dialogica con Dio a costituire la ragione interiore degli avvenimenti narrati e la trama spirituale della biografia mosaica» (p. 8).
Nello studio di Priotto viene privilegiato «lo studio dei passi in cui questo dialogo si fa esplicito e costituisce di fatto la fonte degli avvenimenti narrati. Se, nella premessa narrativa del libro dell’Esodo, è Dio che interviene gratuitamente nella storia di Mosè, dopo l’esperienza teofanica al roveto l’incontro con lui diventa dialogo vocazionale, contemplazione teofanica, preghiera di intercessione, dialogo liturgico nella Tenda del convegno.
Se, in una prospettiva soltanto critica e umana, questo dialogo fra Mosè e Yhwh rischia di essere relegato soltanto nell’ambito dell’autocoscienza, senza alcuna fondazione reale – ammonisce Priotto –, lo studio accurato dei passi biblici inerenti ad esso mostrerà la realtà di questa presenza divina nella vita di Mosè. La vicenda esistenziale di Mosè con i suoi tratti positivi e negativi, entusiasmanti e problematici, di abbandono fiducioso e di contestazione, mostrano quanto l’incontro con Yhwh incida concretamente nelle scelte dell’azione del patriarca» (p. 8).
Il volume dello studioso si articola in tre parti: Il Mosè dell’Esodo: alla ricerca di Dio; Il Mosè dei Numeri: fedeltà e innovazione; Il Mosè del Deuteronomio: verso la vera Terra promessa.
Il primo aspetto di Mosè analizzato è quello presente nel libro dell’Esodo. È un Mosè alla ricerca di Dio. Priotto presenta il libro, il secondo del Pentateuco, con la sua struttura e la sua collocazione nel Pentateuco, di cui ricorda il problema critico. L’autore affronta la figura storica di Mosè: il nome, il retroterra storico della tradizione dell’esodo, la parentela madianita di Mosè, gli inizi del culto di YHWH e si chiede se esista un Mosè dimenticato.
L’autore segue e analizza i principali passi del libro.
Priotto presenta l’Egitto, il paese di Mosè: contesto, una casa di schiavitù (Es 1,8-22), dalla casa materna alla corte. Illustra quindi il paese di Madian, la fuga di Mosè in quel paese e varie figure incontrate: Ietro, Reuel, Obab, con la domanda circa l’esistenza di un culto yahwista qenita ed edomita.
Dopo la descrizione dei qeniti e degli edomiti, Priotto si sofferma sul dialogo vocazionale presente in Es 3–4, analizzando le fonti, la struttura e il contenuto della pericope. Sono presenti dialoghi vocazionali, l’autoproclamazione di YHWH, un primo invio con l’identità di Dio e quella di Mosè.
A un confronto serrato tra Mosè e YHWH seguono un secondo invio, con azioni e segni e un terzo invio con l’ultima obiezione di Mosè e risposta divina, la risposta positiva di Mosè e di Aronne, la partenza, l’attentato alla vita di Mosè (Es 4,24–26), l’incontro con Aronne e l’arrivo in Egitto.
In Es 5,22–7,7 c’è un nuovo dialogo vocazionale, con la crisi e la riconferma, la critica di Mosè e una doppia risposta di YHWH. All’oracolo di YHWH, seguono la riconferma e la genealogia di Mosè e di Aronne, con la missione di Mosè al faraone.
Un altro blocco narrativo analizzato da Priotto è Es 24,12-18; 32-34. Esso concerne la teofania, con il dialogo e la preghiera. Mosè sale sul monte e, al peccato di Israele, fa seguito la doppia intercessione di Mosè e il perdono. Mosè chiede di vedere la gloria di YHWH e, quando scende dal monte, il suo volto brilla di splendore.
Il complesso letterario di Es 40,1-38 riporta l’erezione della Dimora, luogo di presenza che offre l’occasione di un profondo dialogo tra Mosè e YHWH.
Nel trarre le conclusioni circa la presentazione della figura di Mosè nei vari libri biblici, citeremo espressamente le parole dello studioso, altrimenti difficilmente sintetizzabili.
«Nonostante lo scetticismo moderno, è tuttavia evidente – annota Priotto – che non si tratta di una figura inventata dal clero giudaico durante l’esilio di Babilonia nell’intento di ricostruire un’identità ebraica minacciata dalla scomparsa dell’Israele precedente. La tradizione orale e soprattutto cultuale – si pensi alla celebrazione della Pasqua o all’incipit del Decalogo – aveva conservato la memoria storica di una figura fondatrice della fede in Yhwh, liberatore dalla schiavitù egiziana e portatore di una fede e di una regola di vita in un nuovo paese. La grandezza e la novità di questa memoria mosaica consisteva nel fondare l’esistenza di Israele non su una monarchia, come d’abitudine nel Vicino Oriente Antico, bensì sulla profezia, sulla parola di un Dio rivelatore, grazie alla testimonianza di un uomo di fede, Mosè appunto. La tradizione seguente conserva, arricchisce e attualizza l’esperienza di questo profeta fondatore; di qui la ricchezza e anche la pluralità delle tradizioni raccolte in quel libro delle memorie che è il libro dell’Esodo» (p. 130).
Mosè arriva all’esperienza di YHWH come un Dio che lo ama e lo invia in missione. L’uomo è capax Dei. L’esperienza che Mosè gode nella teofania al roveto ardente è la vera meta dell’esodo: la comunione con Dio.
Mosè riceve, però, il dono di un’esperienza divina ancora più forte e importante di quella ricevuta al roveto ardente; è quella della teofania sinaitica. «[È] l’esperienza di una presenza personale – è a lui che Yhwh anzitutto appare – e di una presenza assolutamente gratuita. I fenomeni, pur nella loro eccezionalità, permangono nell’ordine della natura, ma servono come segno e invito all’uomo a guardare in alto, oltre sé stesso. La presenza di Dio si manifesta però nella Parola. È evidente che non si tratta semplicemente di un’esperienza uditiva, perché i locutori del Decalogo sono due» (p. 131).
Nella seconda teofania si accresce il dialogo tra YHWH e Mosè. Mosè riceve la Parola, dialoga, chiede di vedere la Gloria di YHWH.
«Il dono della presenza teofanica – annota Priotto – diventa strutturale grazie all’erezione della Dimora e, in particolare, alla Tenda del convegno che ne costituisce il cuore (c. 40). I due simboli che rappresentano la presenza di Yhwh, la nube e la gloria, ne definiscono pure la qualità: si tratta della presenza di un Dio trascendente, ma anche immanente e aperto alla comunione con l’uomo. I due simboli sono significativi, perché la nube, con la sua opacità, impedisce l’accesso diretto alla divinità, proteggendola da sguardi indiscreti o manipolatori; la gloria, da parte sua, dice invece lo “spessore”, cioè la visibilità di questa presenza che si fa vicina all’uomo. Ora è in questa presenza trascendente e immanente che Mosè viene invitato ad entrare, non più eccezionalmente, come al Sinai e in alcuni altri futuri momenti, ma abitualmente tramite il ministero della profezia e l’esercizio del ministero liturgico» (p. 132).
Il Mosè del libro dei Numeri presenta degli aspetti di fedeltà ma anche di innovazione. Priotto offre una premessa al libro, con cenni sulla sua origine e formazione. Si sofferma poi sulla struttura letteraria e geografico-teologica, sottolineando unità e coerenza letterarie nelle tre parti: Nm 1,1–10,10; 10,22–21,35; 22, –36,13.
Viene descritto un viaggio che è teologico (9,15-23).
Priotto si sofferma dapprima sul tragitto dal Sinai a Qades Barnea (Nm 10,11–12,16), in cui emerge la guida di YHWH e una doppia contestazione: a Taberà e a Kibrot-Taavà, con due dialoghi tra Mosè e YHWH. Il commento di Priotto si conclude sulla contestazione di Aronne e di Maria.
Nm 16 riporta la rivolta di Core, Datan e Abiràm.
Il peccato di Mosè (Nm 20,1-13) consiste nel percuotere la roccia due volte col bastone, invece di parlare ad essa pur col bastone in mano.
Nm 21 descrive il viaggio verso la terra di Moab, con la vittoria di Corma e l’episodio del serpente di bronzo. Da Obot si giunge all’Arnon, con la vittoria su Sicon, re di Chesbon. Descritta la situazione storico-geografica della regione di Chesbon e commentato il canto di Chesbon, viene presentata la figura di Mosè, il conquistatore (Nm 21,32-35).
Priotto offre a questo punto un excursus sulla tradizione del Mosè guerriero (pp. 218-224). Dalle tracce delle guerre di Mosè nella tradizione biblica, si passa alla conquista della terra e le guerre di Mosè secondo Ecateo di Abdera. Si illustrano le campagne etiopiche di Mosè in Artapano e in Flavio Giuseppe, per concludere con una storia delle guerre etiopiche di Mosè all’epoca persiana.
Nm 27,12-23 riporta il racconto della successione di Giosuè. Priotto ne illustra il contenuto e la struttura, per poi passare al commento. Si ricorda la redazione post-sacerdotale di Nm 27,12-23 e l’evidenza della figura di Eleazaro.
Nm 31 ricorda la guerra contro Madian e, dopo il commento, lo studioso descrive la popolazione dei madianiti.
Nm 32 riporta la spartizione della terra transgiordanica. L’autore commenta le problematiche letterarie e l’articolazione dell’unità, con una riflessione conclusiva.
Secondo Priotto, la peculiarità della figura di Mosè appare soprattutto in Nm 21–36.
A primo acchito, sembra che il tema principale sia il fatto che, a causa del peccato, sia Maria, che Aronne e Mosè devono morire. «Questa sezione del libro – annota lo studioso – si distacca dalle due precedenti, perché ha di mira soprattutto le prospettive dell’imminente sedentarizzazione. Inoltre, ed è molto significativo, questi capitoli finali affrontano il problema di una sedentarizzazione fuori dei confini della Terra promessa, come attestano vari testi» (p. 249).
«Al c. 32 Mosè, nonostante la perplessità iniziale, acconsente all’installazione di alcuni gruppi israelitici in Transgiordania, legittimando così – ricorda Priotto – la possibilità della diaspora. Certo, si difende il principio dell’unità e della solidarietà con gli altri gruppi israelitici, e questo deve avvenire prima, ma è importante l’affermazione che l’unità del popolo di Dio non è legata ad una unità geografica.
I cc. 27 e 36, che inquadrano l’ultima parte del libro affrontano il problema dell’eredità delle figlie di Selofcad, che appartengono al gruppo di Machir, della tribù di Manasse parzialmente stanziata in Transgiordania. Esse ottengono di poter ereditare la terra del proprio padre, nonostante la tradizione insegnasse che solo i figli maschi potevano ereditarla (27,5-8); possono, inoltre, ereditare anche se sposate con un uomo di un’altra tribù. Questa legiferazione apre dunque la possibilità di una pluralità di modi di appartenenza alla comunità di Israele, sia all’interno della Terra promessa che all’estero, qui in Transgiordania, dove risiede appunto parte della tribù di Manasse» (p. 249).
La Dimora non appare più al centro dell’organizzazione della comunità, come avveniva nei precedenti capitoli del libro.
«I membri dei gruppi israelitici autorizzati a installarsi in Transgiordania appartengono alla seconda generazione di coloro che sono usciti dall’Egitto – annota Priotto –; per essi, come per gli altri, gli avvenimenti del deserto sono paradigmatici (cf. 32,6–7). La loro installazione fuori della Terra promessa avviene sotto l’autorità di Mosè, accompagnata da Giosuè ed Eleazaro (32,28). Non si tratta, dunque, di una trasgressione, ma si inscrive nel quadro delle possibilità legali offerte agli Israeliti. Se la presenza del sommo sacerdote Eleazaro conferma la dimensione teocratica e ierocratica dell’organizzazione della comunità israelitica, legittima comunque delle modalità pluralistiche di appartenenza alla comunità. La fede giudaica può essere vissuta all’ombra del Tempio, ma anche nella diaspora. Pur riconoscendo la dimensione ierocratica della comunità, questi ultimi capitoli sottolineano ugualmente il ruolo e il valore dei responsabili non-sacerdotali» (pp. 249-250).
In questa terza parte del libro la figura di Mosè non solo non scompare, ma è attiva e autorevole.
«Certo – annota Priotto – c’è il riconoscimento della sua colpa, con la conseguenza della non entrata nella Terra promessa; ma questa potrebbe essere anche il segno di una concezione della terra meno legata alla territorialità fisica e più connessa all’unità di fede tra i membri del popolo di Dio. Al tempo della redazione del libro dei Numeri, verso la fine dell’epoca persiana e l’inizio dell’epoca ellenistica, l’autorità di Mosè significa soprattutto l’autorità di una Torà capace di rispondere alle nuove esigenze della comunità, pur nella fedeltà di fondo alla rivelazione che essa incarna. Si apre così la prospettiva di un giudaismo vissuto alle frontiere di Canaan e con ciò in rapporto diverso rispetto agli ambienti sacerdotali. Questa finale di Numeri – prosegue lo studioso – potrebbe avere la stessa funzione della finale del libro della Genesi con la storia di Giuseppe: la legittimazione di un giudaismo vissuto in diaspora. L’unità letteraria del libro rimane, ma si tratta di una unità dinamica e teologica; non serve soltanto a raccogliere in un contenitore le tradizioni e le disposizioni non recepite precedentemente nella Torà, ma a rispettare anche le diversità di un giudaismo che, nell’ultima parte del libro, si presenta con tratti particolari rispetto alla descrizione delle prime due parti (p. 250).
Priotto si sofferma infine a lungo sul Mosè del Deuteronomio verso la vera Terra promessa. Egli introduce dapprima al contenuto e all’importanza del libro, alla sua formazione, alla sua caratteristica quale proposta di un ideale, alla sua struttura. L’autore commenta il ruolo del Deuteronomio in quanto chiusura del Pentateuco.
Come nei capitoli precedenti, lo studioso illustra e commenta i passi principali del libro.
Egli presenta e commenta il primo discorso di Mosè (Dt 1,1–4,43), presentando di seguito la struttura, il commento e il messaggio. Si commentano gli episodi di Esodo-Numeri (1,16–3,29): dall’Oreb a Qades Barnea, da Seir a Bet Peor, da Seir attraverso Edom, il passaggio nel territorio moabita e ammonita. Seguono le vittorie su Sicon e su Og, i preparativi per la conquista, con la preghiera di Mosè (3,8-29) e l’esortazione finale (4,1-40) che, dopo un prologo, presenta una parenesi e un epilogo.
Dt 4,44–5,33 riporta la mediazione di Mosè all’Oreb. Sono riportate la teofania, la mediazione di Mosè, il fatto di una parola parlata e ascoltata.
Una seconda supplica di Mosè è riportata in Dt 9,26-29.
Dt 18,9-22 presenta Mosè come il profeta.
In Dt 27–28 viene riportata la risposta al dono della Torah. Priotto espone, dapprima, il contesto e, in seguito, la struttura e la teologia di Dt 27,1-26 e quella di Dt 28,1-69. Quest’ultima pericope viene studiata nelle sue suddivisioni: 28,1-14.15-46.47-68.69.
Dt 31,1-30 riporta la scrittura della Torah. Lo studioso ne esamina la struttura e l’articolazione teologica, per proporre in seguito un commento sintetico.
Dt 32,1-47 contiene il cantico di Mosè. Il cantico vero e proprio è riportato nei vv. 1-43, di cui Priotto offre una presentazione letteraria e gli elementi teologici essenziali. All’introduzione (Dt 31,30), seguono il proemio (32,1-3), il Cantico di Mosè (Dt 32,4-43) e la sua conclusione narrativa (Dt 32,44-47).
Il drammatico annuncio della morte di Mosè è raccontato in Dt 32,48-52. Priotto ne presenta il contesto letterario e teologico, a cui fa seguire il commento vero e proprio.
Dt 33 presenta il canto di benedizione. Dopo l’introduzione narrativa (33,1), seguono la teofania (33,2-5) e le benedizioni (33,6-25). Dopo una breve premessa, Priotto propone il suo commento. Dt 33,26-29 chiude il capitolo con la conclusione salmica, anch’essa debitamente commentata dallo studioso.
Dt 34,1-12 riporta la morte di Mosè, la conclusione del Deuteronomio e del Pentateuco. Alla presentazione del testo segue il consueto commento.
Il lavoro di Priotto si avvia al suo compimento con una sintetica conclusione (pp. 401-402) e una riflessione sul dono di Mosè (pp. 403-404).
La pagina conclusiva del libro del Deuteronomio presenta l’esito della vita di Mosè. Il suo itinerario esistenziale non è scontato, «perché, se per tre volte risuona il divieto di Yhwh a Mosè di attraversare il Giordano (Dt 1,34–37; 3,26–27; 4,21–221), non si parla mai della sua morte; certo, egli riconosce di avere centovent’anni e di non essere più in grado di entrare e di uscire (Dt 31,2), cioè di guidare militarmente gli Israeliti, ma non di essere incapace di attraversare il Giordano. Il tema è quello dell’entrare nella Terra promessa, non della morte; come conferma, d’altronde, il commento del narratore, che riconosce a Mosè appena morto un’eccezionale vigoria fisica (Dt 34,7).
Pur riconoscendo la difficoltà interpretativa dell’argomento e silentio – commenta Priotto – sta di fatto che il Mosè deuteronomico, giunto al termine dell’esposizione della Torà e della successiva ultima benedizione agli Israeliti, non ha mai chiesto a Yhwh di prolungare la sua vita terrena, ma semplicemente di poter entrare nella Terra promessa. È Yhwh che parlando per la prima volta nel Deuteronomio della morte di Mosè ne prospetta a lui l’imminenza (Dt 31,14-16)! Dunque, è solo a questo punto che Mosè prende coscienza direttamente da Dio dell’imminenza della morte; per cui è su questa parola di Yhwh che si chiude significativamente col c. 34 il libro del Deuteronomio, e anche, di conseguenza, la “biografia mosaica” iniziata in Es 2: un punto di vista eccezionale per abbracciare l’intera figura di Mosè» (p. 401).
Della lunga esistenza di Mosè, Priotto ha studiato «quello che ne costituisce il dato centrale, cioè l’incontro e il rapporto di Mosè con Yhwh. Certo, gli elementi più appariscenti sono la liberazione dalla schiavitù egiziana e il dono della Legge, uniti all’imminente entrata nella Terra promessa; però la realtà che costituisce l’anima stessa della vita di Mosè è l’incontro con Yhwh e la comunione indissolubile con lui, in conformità al disegno esodale divino: “wāʼābī ʼetkem (vi ho fatto entrare in me)” (Es 19,4).
La contemplazione della Terra fisica di Canaan, se, da un lato, testimonia il compimento della promessa di Yhwh, dall’altro, ne evidenzia anche i limiti – ricorda Priotto –.
Al termine della vita, davanti a Mosè si apre quella che è la vera Terra promessa, cioè la comunione con Yhwh. Egli muore ʽal–pî Yhwh (lett. «sulla bocca di Yhwh»: Dt 34,5), espressione che la tradizione ebraica interpreta alla lettera, come un gesto di particolare intimità di quel Dio che parlava con Mosè pānîm ʼel pānîm («faccia a faccia»: Dt 34,10). Il profeta può entrare così definitivamente nella pienezza della comunione con Dio.
Se la tradizione non conserva il ricordo del luogo della sepoltura, anzi lo esclude, perché opera di Dio (Dt 34,6) – osserva ancora lo studioso –, Mosè però sopravvive nella Torà. La parola, ricevuta al Sinai e proclamata agli Israeliti, viene posta a fianco dell’arca dell’alleanza (Dt 31,26), che già custodisce le dieci parole (Dt 10,5), e affidata ai leviti che, in tal modo, diventano i responsabili dell’eredità mosaica; grazie ad essi, la Torà verrà letta, interpretata e attualizzata nel corso delle generazioni dei credenti Israeliti, fino all’avvento di colui che, in quanto Parola del Padre, è il vero e ultimo Mosè, piena realizzazione del progetto esodico: “Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo” (Gv 1,17)» (p. 403).
Il volume si chiude con la bibliografa citata (pp. 405-414) e l’indice degli autori citati (pp. 415-418).
Il lavoro appassionato e molto ricco compiuto da Michelangelo Priotto, frutto della frequentazione dei testi biblici lunga tutta una vita, si propone come una presentazione completa della figura di Mosè liberatore, profeta e amico di Dio. Il linguaggio scientifico impiegato rimane sempre abbordabile. Mosè costituisce una figura fondamentale nel panorama biblico e spirituale di ogni appassionato del testo biblico. Il suo itinerario geografico-teologico è decisivo anche per quello di ciascuno che si sente interpellato dalla parola viva del Dio liberatore e vivificante.
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