Il dato. L’Ocse ha misurato il benessere: è calato quasi dovunque

Redditi sotto pressione, disuguaglianze in aumento, molto da fare per migliorare la sostenibilità ambientale. Nell’edizione 2024 del report “How’s life” i molti problemi delle economie avanzate
L'Ocse ha misurato il benessere: è calato quasi dovunque

CC Pexels

Redditi e occupazione resistono ma si fa sentire il costo della vita e c’è ancora tanto da fare su disuguaglianze sociali e politiche sostenibili. Mentre la pandemia diventa uno spartiacque fondamentale fra progresso e regresso. È il riassunto del Report Ocse 2024 “How’s life?”, presentato a Roma nel corso della Settima edizione del Forum sul benessere. Tornato in Italia a due decenni da Palermo 2004, nell’anno in cui ci è toccata la presidenza del G7.

Fronti diversi per un solo parametro, fatto da indicatori come cambiamento climatico, inclusione, salute, sostenibilità e per questo impossibile da misurare utilizzando solo il criterio economico. Lo ha ricordato anche il segretario generale dell’organizzazione Matthias Cormann, nella sessione di apertura dell’evento: «Disporre di dati validi e completi sul benessere può aiutare i governi a prendere decisioni migliori, pianificare il futuro e identificare interventi politici ad alto impatto». Non a caso, spesso i paesi Ocse migliorano quanto a condizioni materiali ma non su qualità della vita e delle relazioni all’interno della comunità, o viceversa.

Come stanno i cittadini nei 38 paesi parte dell’organismo internazionale? Alla domanda l’indagine risponde a partire da quattro punti strategici: stato attuale del benessere, andamento dell’indice nelle situazioni di crisi più importanti degli ultimi anni (prima fra tutte proprio la pandemia di Covid 19), aspetti connessi all’inclusione e specifiche nazionali di sviluppo.

L’Italia tra i Paesi in cui il benessere è diminuito
In alcune tra le nazioni considerate, dal 2010 al 2023 – cioè nell’intervallo di tempo considerato dal report – ci sono voci che non hanno registrato passi avanti oppure ne hanno fatti diversi indietro. Tra queste, c’è anche l’Italia, dove il benessere medio attuale risulta addirittura inferiore rispetto ad allora e così le stime su quello futuro.

Per il resto, il nostro Paese risulta in ritardo rispetto ai virtuosi stati nordici, nei quali la performance è rimasta positivamente costante da un quindicennio. A qualche miglioramento si assiste però sul fronte degli indicatori soggettivi del benessere: per lo più in crescita sono infatti le community relationships dei cittadini, ossia le loro relazioni sociali. «L’Italia è in prima linea nell’agenda del benessere» ha comunque ricordato il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti in apertura del Forum ribadendo «l’impegno a portarla avanti nei paesi del G7 e oltre» e sottolineando soprattutto la necessità di una transizione verde «giusta e inclusiva, affrontando gli impatti sociali e distributivi delle strategie di mitigazione del cambiamento climatico, nonché la loro accettabilità per la società in generale».

Costo della vita e salute: problemi globali
Dopo la pandemia, il reddito medio nei 38 Paesi (pari a circa 35. 220 dollari pro-capite nel 2022) e i livelli di occupazione si sono dimostrati resilienti anche per effetto delle misure adottate dai governi per evitare il tracollo. Le finanze di molte famiglie però sono messe a dura prova da un costo della vita troppo alto, reso tale da anni di incertezza economica. A crescere, in particolare, sono state le spese per la casa, tanto che, nel 2023, una persona su undici nell’Unione Europea non aveva le risorse per scaldare in maniera adeguata la propria abitazione. Nel 2019 erano 1 su 14.

Ma le criticità emergono anche per quanto riguarda gli aspetti di carattere non economico. Il Covid ha infatti influito sulla salute, l’aspettativa di vita – scesa da 81,1 a 80,7 anni- le relazioni e persino sul rendimento scolastico dei ragazzi. Sono tornati ad aumentare i suicidi, l’abuso di alcol e droghe con una media di 23,6 morti ogni 100mila dovute a questi fattori. E poi è peggiorata la capacità matematica e quella di lettura dei più giovani, con una crescita nella percentuale di quindicenni che hanno ottenuto punteggi bassi nelle prove “PISA” somministrate ogni tre anni dall’Ocse alla fine dell’obbligo scolastico.

Più solitudine e disuguaglianza anche nell’istruzione
Come vanno le vite dei singoli individui? Anche la qualità delle relazioni umane è stata oggetto di studio. Risultato, per circa un terzo dei cittadini residenti nell’area Ocse, male. Dal 2019, il benessere individuale e la socialità negli stati membri sono peggiorati o rimasti a livelli insoddisfacenti. C’è chi sperimenta ansia, preoccupazioni, stanchezza e soprattutto, prevalente con un tasso dl 4% a 14%, solitudine.

C’è poi la questione della parità salariale e dei divari legati a età e livelli di istruzione. In questo senso, nell’ultimo decennio si sono fatti passi vanti ma molte disuguaglianze rimangono marcate. Donne e uomini affrontano sfide diverse: le prime faticano a trovare un’occupazione e lavorano di più per paghe inferiori. Si percepiscono più in pericolo nella società, sperimentano emozioni negative e una qualità di vita peggiore. I secondi vanno meglio sul fronte occupazionale, ma hanno una speranza di vita più bassa e minor soddisfazione nelle relazioni umane. E lo scenario in media è invariato o peggiorato rispetto al pre-pandemia. I giovani la spuntano sul piano delle relazioni ma non su quello lavorativo, dove fanno più fatica a stabilizzare la propria posizione. E sono stati i più psicologicamente impattati dalle conseguenze del Covid. In generale, se sui primi due punti ci sono significativi miglioramenti, significative continuano ad essere anche le disuguaglianze educative.

Ultimo ma non meno importante il fronte della sostenibilità, soprattutto in campo climatico. Molti governi nei paesi Ocse hanno investito nelle rinnovabili ma la riduzione delle emissioni è ancora insufficiente per soddisfare gli standard posti dalla scienza.

Avvenire

Non lasciamoli soli. La violenza tra i giovanissimi: ma dove sono gli adulti?

«Esiste una traccia comune tra tutte le vicende? Io penso di sì e si tratta del baratro educativo in cui è caduta una generazione»
Palloncini bianchi davanti alla scoula di Aurora, morta dopo essere caduta dal terrazzo, forse spinta da un amico

Palloncini bianchi davanti alla scoula di Aurora, morta dopo essere caduta dal terrazzo, forse spinta da un amico – ANSA

Qualche giorno fa, a Piacenza, una ragazza di 13 anni è morta a causa della caduta dal balcone di casa, probabilmente spinta dal suo fidanzato – o pseudo tale – di 15 anni. Continua ad aumentare così il tragico catalogo delle morti violente per omicidi o suicido con protagonisti ragazze e ragazzi minorenni.

Esiste una traccia comune tra tutte le vicende? Io penso di sì e si tratta del baratro educativo in cui è caduta una generazione. Non tanto sul piano dei bisogni materiali, quanto su quello dei bisogni educativi fondamentali, quelli che sostengono la crescita e che sembrano non interessare più a nessuno.

In questa assenza si riconosce un tratto comune, che crea le condizioni favorevoli per atti impensabili, agiti come se ci si trovasse dentro un videogioco. “Non so perché l’ho fatto” dichiara uno di questi ragazzi, rendendo chiarissimo come il confine fra realtà e fantasia sembra non essere stato acquisito a livello di comportamenti e di mentalizzazione. Sembra mancare un substrato di apprendimento, quello che da sempre si definisce “imparare a stare al mondo” e che rappresenta il collante necessario nel passaggio da una generazione all’altra. Oggi questo appare un optional moralistico, inutile, consegnato a puri e semplici spiegoni che non vengono raccolti dai ragazzi in fuga dal nido familiare.

In tale contesto, salta agli occhi l’assenza di un educativo paterno che sappia porre un limite fra i desideri e la realtà. Che possa chiarire come la vita sia convivenza e non il tentativo di assoggettare chi ti sta vicino alle tue pretese. Serve un paterno che sappia aiutare a riconoscere, affrontare e gestire gli inevitabili conflitti relazionali senza che siano percepiti come un pericolo.

Ogni forma di contraddizione rispetto al proprio pensiero non può risultare una minaccia insostenibile. Purtroppo, il più delle volte questa figura sembra essersi liquefatta in contemporanea all’assenza di una forte comunità sociale educativa che potrebbe funzionare come valido sostituto. Stiamo di fatto abbandonando i ragazzi e le ragazze a un destino di orfanità educativa, con i mille pericoli che ciò comporta.

La sessualità, lasciata in balia dei siti porno, è una delle principali spie di questa situazione. Ricordiamo che questi siti possono essere frequentati anche da bambini di 8-9 anni, se lasciati liberi di usare uno smartphone con accesso a Internet, con tutti i traumi che tale atto può causare. La carenza di educazione sessuale spinge a una promiscuità esperienziale priva di tempo, senza una corrispondenza con i tempi di crescita. Avere il primo rapporto sessuale a 12 o 13 anni può generare traumi. Chi si è formato su siti porno, intrinsecamente misogini, rischia di percepire la sessualità come semplice atto meccanico basato sulla performance, dimenticando di fatto lo scambio affettivo.

Ma dov’è il mondo adulto? Come si può lasciare che già a 13-14 anni i genitori lascino dormire assieme un ragazzino e una ragazzina, trattandoli come se fossero una coppia adulta? Sono concessioni che alimentano la precocità sessuale e danneggiano la tenuta psichica. Altra problematica che emerge è quella del genitore-amico, che non introduce un’organizzazione educativa in risposta all’esplosione adolescenziale.

Una figura che eccede nelle urla ma non ama mettere paletti. Tra eccesso di maternage e ruolo paterno latitante, viene a mancare un gioco di squadra che permetta di non mettersi alla pari con i propri figli e di mantenere i propri ruoli. I ragazzi e le ragazze non hanno bisogno di genitori amici ma di adulti che sappiano reggere il peso del proprio ruolo. Così a farla da padrone è l’isolamento, specie quello virtuale, che sopperisce a una difficoltà nello stare con gli altri, nel creare quella compagnia adolescenziale che da sempre ha fatto da sfondo creativo alla crescita dei ragazzi e delle ragazze. Un isolamento che a volte gli stessi adulti sembrano incentivare, nella paura che lo stare con gli altri si riveli pericoloso.

Ma il punto vero è che in queste tragedie non ci sono colpevoli. Ci sono drammi che si consumano nell’indifferenza sociale e politica. È mai possibile che a fronte del costo di 900.000 euro per una rotonda, non si riesca a dare alle famiglie un adeguato sostegno economico per far frequentare ai propri figli i centri estivi, le scuole dell’infanzia e agli asili nido? I genitori sono soli. Occorre investire di più nel sostegno educativo dei genitori, nelle scuole, nello sport, nelle strutture di aggregazione. Dobbiamo dare vita a una riflessione comune su come i nostri soldi debbano essere usati. Continuare a spenderli in autostrade e cemento o ricordarci che la priorità sono le nuove generazioni? Se le tradiamo solo perché non votano, tradiamo noi stessi e il futuro di tutti.

avvenire

 

Sono sempre di più gli italiani che si trasferiscono all’estero e c’è la crisi dei rimpatri

Manifestazione degli studenti Erasmus. Immagine d 'archivio - RIPRODUZIONE RISERVATA

“Dal 2020 l’Italia conta circa 652 mila residenti in meno. Nello stesso periodo, invece, continua la crescita di chi ha deciso di risiedere fuori dei confini nazionali (+11,8% dal 2020). Oggi la comunità dei cittadini e delle cittadine residenti all’estero è composta da oltre 6 milioni 134 mila unità: da tempo, l’unica Italia a crescere continua ad essere soltanto quella che ha scelto l’estero per vivere”. E’ quanto afferma il 19/esimo Rapporto Italiani nel mondo della Fondazione Migrantes, diffuso oggi.
“Che l’impatto sia differente ed eterogeno – si legge nel Rapporto – è di facile deduzione, ma quanto potente sia la ripercussione dell’attuale emigrazione sui territori già provati da criticità, quali lo spopolamento e la depressione economica, è materia…

ansa

PASSI SILENZIOSI NEL BOSCO. NICOLA MAGRIN INCONTRA HUGO PRATT Festival dell’illustrazione Di-Se | Quarta edizione, parte II | dal 16 novembre 2024 al 2 febbraio 2025, Domodossola

Nicola Magrin - Hugo Pratt. Passi silenziosi nel bosco

Le tavole di Hugo Pratt, uno degli autori di fumetti più noti del mondo, dialogano con gli acquarelli di Nicola Magrin, artista e illustratore per tanti grandi autori, da Primo Levi a Paolo Cognetti, da Jack London a Robert Macfarlane. A esplorare e (s)velare il cammino, i testi di Marco Steiner, scrittore e studioso, uno dei più stretti collaboratori di Pratt.

“Passi silenziosi nel bosco” è un percorso che intreccia natura e storia, temi che hanno da sempre affascinato Pratt e che sono fondanti della ricerca artistica di Magrin che qui si fa suggestionare proprio dagli scenari di Pratt. Un dialogo tra due artisti accomunati da una profonda sensibilità e connessione spirituale verso la natura e la complessità delle culture indigene. La ballata Il respiro del bosco è stata scritta da Marco Steiner che, affascinato dalle immagini di Pratt e Magrin e dalla loro sintonia, ne ha sentito pienamente il mondo poetico e lo ha espresso con parole toccanti e ricche di significati.

Lungo il percorso espositivo il visitatore entra con passo delicato e rispettoso nel “bosco”, ammira gli originali a china di Pratt insieme ad alcune grandi riproduzioni dei suoi acquarelli realizzati, come le tavole esposte, per Wheeling. Wheeling, il romanzo d’avventura e formazione disegnato e scritto da Pratt, è un vero omaggio agli autori che hanno marcato la sua infanzia e la sua adolescenza come Kenneth Roberts, James Fenimore Cooper, James Oliver Curwood e Zane Gray. Wheeling ha accompagnato l’illustratore veneziano lungo tutta la sua carriera, dalle prime tavole disegnate nel 1962, alle ultime pagine create negli anni ‘90 poco prima della sua scomparsa. Nicola Magrin si ispira al romanzo di Pratt, alle lotte tra i nativi e i coloni, al paesaggio del Nord America e crea i bellissimi acquarelli per Passi silenziosi nel bosco. In mostra sono esposti anche gli acquarelli creati da Magrin per il volume Ancora poche lune. La risposta di capo Seattle, un vero inno poetico indiano alla Natura e quelli realizzati per Il richiamo della foresta di Jack London. I tre volumi da cui provengono le opere sono ideati per Edizioni Nuages da Cristina Taverna, storica gallerista e amica di Hugo Pratt.

Sul libro e sull’omonima mostra che ne è nata così scrive Cristina Taverna: “Penso a questo libro e a questa mostra come a una eredità di Hugo Pratt. Pratt amava mettere insieme le persone che stimava, appassionate delle cose che lo avvincevano, amava creare occasioni, indicare un cammino. Marco Steiner ha iniziato a scrivere per lui, la passione per la letteratura d’avventura li infiammava. Nicola Magrin ha incontrato presto l’opera di Pratt, ne è rimasto subito affascinato e da allora sparge di acquarello le sue carte dando loro vita. Ama il bosco, gli animali, le storie raccontate da Pratt, anche lui è un suo erede”.

Un’installazione con grandi teli in stile kakemono ci fa immergere nelle betulle dipinte da Magrin perché, con le parole di Steiner, “per vivere il bosco bisogna essere bosco”. L’esposizione raccoglie infine un video del reportage realizzato nel 1983 da Vincenzo Mollica per la Rai sui luoghi delle storie di Pratt nello stato di New York, e un secondo video, girato da Nicolò Piazza, che mostra Magrin mentre dipinge.

L’esposizione è a cura di Associazione Musei d’Ossola in collaborazione con Galleria Nuages Milano e Cong Edizioni
Evento nell’ambito della quarta edizone del Festival dell’illustrazione Di-Se

Inaugurazione
sabato 16 novembre ore 17

artego.it

Regionali Emilia Romagna, al voto quasi 3,6 milioni di elettori il 17 e 18 novembre

Quasi 3,6 milioni di cittadini emiliano-romagnoli sono chiamati al voto, il 17 e 18 novembre, per eleggere il o la presidente della Regione e i componenti dell’Assemblea legislativa dell’Emilia-Romagna.

Nella rilevazione a 45 giorni dal voto gli elettori sono complessivamente 3.580.529, esattamente 1.831.650 donne e 1.748.879 uomini. Le sezioni elettorali in regione sono 4.529 di cui oltre una quarantina quelle ospedaliere.

I seggi nei 330 comuni della regione resteranno aperti domenica 17 dalle ore 7 alle ore 23 e lunedì 18 dalle ore 7 alle ore 15: immediatamente dopo la chiusura delle operazioni di voto inizierà lo scrutinio che si potrà seguire in diretta sul sito della Regione.

È online, in vista di questo appuntamento elettorale un apposito sito con tutte le informazioni utili al voto realizzato in collaborazione tra Giunta e Assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna.
Oltre a notizie e indicazioni di servizio, il portale mette a disposizione una infografica sugli elettori (divisi per provincia e comune), un’animazione video su come si vota, le leggi che regolano la consultazione elettorale, il calendario degli adempimenti elettorali per i Comuni nonché la banca dati dei risultati delle precedenti tornate.

stampareggiana

Vezzano, proseguono gli interventi per la sicurezza territoriale su tre torrenti

Torrente Campola

VEZZANO SUL CROSTOLO (Reggio Emilia) – Tanti gli interventi realizzati dall’Agenzia per la sicurezza territoriale e la Protezione Civile della Regione Emilia-Romagna a seguito degli eventi calamitosi di fine giugno che hanno provocato ingenti danni sul territorio del Comune di Vezzano sul Crostolo.

I lavori di somma urgenza attuati nelle settimane immediatamente successive le piogge hanno riguardato il torrente Fiumicello in località La Vecchia dove, la piena del corso d’acqua aveva provocato danni alla strada per Pollecchia con conseguenti problemi alla viabilità.

Il Vicesindaco Mauro Lugarini ha dichiarato: “Siamo molto grati all’Agenzia per la sicurezza territoriale e la Protezione Civile per gli interventi realizzati sui corsi dei torrenti che attraversano il nostro Comune, fortemente danneggiati delle ingenti piogge e conseguenti piene improvvise di giugno, sia quelli realizzati in urgenza sul Fiumicello che quelli messi in campo nei mesi successivi sul Campola e Crostolo“.

In queste settimane sono infatti in fase di ultimazione gli interventi lungo il torrente Campola mentre sono iniziati quelli nel Crostolo.
Le opere, realizzate o in corso, sui tre torrenti consistono nella rimozione del materiale secco portato dalla piena, la risagomatura delle sponde e la movimentazione del materiale inerte solido trasportato post alluvione, fino al taglio della vegetazione e la trinciatura in loco di una parte del materiale; a protezione di alcune abitazioni particolarmente esposte sono infine stati posizionati massi ciclopici per la messa in sicurezza delle stesse.

Per quanto riguarda la legna, molti cittadini hanno potuto procedere alla raccolta di legname secco o già abbattuto dagli eventi atmosferici presentando una semplice comunicazione all’Ufficio provinciale dell’Agenzia per la sicurezza territoriale e la Protezione Civile.

“Il ringraziamento che rivolgiamo all’Agenzia per la sicurezza territoriale e la Protezione Civile è dovuto anche e soprattutto alla costanza di presenza e intervento della stessa sul nostro territorio, potendo infatti il nostro Comune contare su ulteriori interventi già in programma – prosegue il Vicesindaco Lugarini. – Considerati i tanti corsi d’acqua che attraversano il nostro territorio e gli eventi atmosferici che hanno evidenziato la fragilità dello stesso, la presenza di una realtà come quella dell’Agenzia che può arrivare dove le risorse di un piccolo Comune non possono, è una sicurezza”.

Diversi gli interventi programmati tra la fine del 2024 e il 2025: manutenzione ordinaria delle opere idrauliche esistenti, con stabilizzazione delle quote di fondo dell’alveo e il controllo della vegetazione nel bacino del torrente Crostolo, compreso il tratto tra La Bettola e La Vecchia, per un importo di € 120.000, lavori di manutenzione straordinaria alle opere idrauliche danneggiate e la buona funzionalità idraulica del torrente Crostolo con interventi anche nel tratto tra La Vecchia e Casoletta per un importo di € 170.000. Per il 2025, sono in programma sul bacino del torrente Crostolo ulteriori interventi di manutenzione ordinaria per complessivi € 145.000, oltre che un ulteriore intervento straordinario per € 350.000.

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“Io Tifo Pulito”, riparte il progetto di IREN e Pallacanestro Reggiana

REGGIO EMILIA – Nella splendida sala conferenze della sede reggiana di Gruppo Iren, è stato annunciato il rinnovo della collaborazione tra Pallacanestro Reggiana e Gruppo IREN. Insieme a “Scuola di Tifo”, le due realtà hanno rilanciato “Io Tifo Pulito”, progetto già attivo dal 2019 sul territorio reggiano e rivolto a scuole primarie e secondarie.

Negli anni, quest’iniziativa ha offerto a numerosi studenti l’opportunità di entrare in contatto con una realtà sportiva professionistica come quella di Pallacanestro Reggiana, con incontri a cui partecipano anche i giocatori, veri e propri beniamini dei più giovani. Inoltre, grazie alla proficua collaborazione di Eduiren, il progetto si propone di sensibilizzare i giovani su temi fondamentali come il rispetto per l’ambiente, la sostenibilità e la raccolta differenziata. Tematiche che, mai come nel 2024, non sono solo attuali, ma necessarie per la salvaguardia del pianeta in cui viviamo.

Non manca inoltre l’impronta educativa di “Scuola di Tifo”: un’associazione che collabora con Pallacanestro Reggiana da più di 10 anni e che si pone l’obiettivo di insegnare ai giovani studenti che il tifo va vissuto con valori positivi, dediti al rispetto ed il sostegno, e non allo scontro verbale o l’insulto. Scuola di Tifo insegna ad incitare la propria squadra nei palasport in maniera corretta ed educata.

Lo scorso anno il progetto ha coinvolto circa 450 bambini di 20 classi diverse, non solo in città ma anche in istituti della provincia quali Puianello, Montecchio, Campagnola e Rio Saliceto, e anche quest’anno ha già iniziato il suo percorso tra le scuole del territorio che proseguirà fino alla prossima primavera.

Queste le parole di Arturo Bertoldi, responsabile di EduIren: “Io Tifo Pulito è una delle esperienze italiane più significative sul tema della integrazione tra i valori dello sport e i valori della sostenibilità. Un progetto tra Eduiren e Scuola di Tifo che si è evoluto nel tempo e che vede protagonisti attivi gli stessi giocatori professionisti. Con una modalità giocosa, ma al tempo stesso precisa ed approfondita, “Io tifo pulito” permette alle scuole di toccare con mano quanto ci sia di comune tra realtà all’apparenza così diverse. Una festa di creatività, sostenibilità è sport”.

Emanuele Maccaferri, responsabile di Scuola di Tifo e del progetto We CaRE di Pallacanestro Reggiana, ha aggiunto: “In questi sei anni di collaborazione con IREN, fatta eccezione per una breve interruzione dovuta al Covid, siamo riusciti a coinvolgere più di duemila bambini. Questo progetto raggiunge anche ragazzi che forse non hanno mai visto una partita di basket, ma che si appassionano proprio grazie a questi incontri e seguono con interesse anche le tematiche ambientali. Cerchiamo di essere capillari in tutta la provincia e vorremmo convogliare le scuole del centro città in un grande evento che coinvolga tutti gli istituti ‘dentro le mura’. Concludo dicendo che mi piace pensare che, nella bellissima curva di ragazzi giovani che si è creata quest’anno al PalaBigi, fatta di tifo corretto e con valori positivi, un po’ del merito sia anche del lavoro che Scuola di Tifo da più di 10 anni sta facendo sul territorio insieme a Pallacanestro Reggiana”.

Infine, l’Assessore allo Sport del Comune di Reggio Emilia, Stefania Bondavalli, presente alla conferenza, ha commentato: “È molto positivo che questa partnership tra Pallacanestro Reggiana e IREN si rafforzi ogni anno su temi così rilevanti. Io Tifo Pulito è un progetto di cui essere fieri, perché incentrato sulla promozione dei valori dello sport e del rispetto per l’ambiente. Anche per l’Amministrazione, lo sport ha un ruolo centrale nella crescita dei nostri giovani, arricchendo ulteriormente ciò che già si svolge all’interno delle scuole.”

In rappresentanza della prima squadra della UNAHOTELS Reggio Emilia, erano presenti alla conferenza anche gli atleti Momo Faye e Filippo Gallo, nella foto insieme ai relatori.

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Reggio Emilia. Dopo la messa in suffragio dei Caduti, svoltasi in Cattedrale, le autorità cittadine hanno deposto corone d’alloro al monumento ai Caduti della Resistenza in piazza Martiri del 7 Luglio e al monumento ai Caduti di tutte le guerre in piazza della Vittoria

REGGIO EMILIA – Si è svolta stamani anche a Reggio Emilia la Giornata dell’Unità nazionale e delle Forze armate. Dopo la messa in suffragio dei Caduti, celebrata in Cattedrale dall’arcivescovo Giacomo Morandi, le autorità cittadine hanno deposto corone d’alloro al monumento ai Caduti della Resistenza in piazza Martiri del 7 Luglio e al monumento ai Caduti di tutte le guerre in piazza della Vittoria. Sono stati resi gli onori militari al prefetto Maria Rita Cocciufa, ai Gonfaloni e ai Labari delle Associazioni combattentistiche e d’Arma. Alcune ragazze e ragazzi delle scuole reggiane hanno letto testimonianze e riflessioni sul tema della Giornata.

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Reggio Emilia. Giornata diocesana del Ringraziamento

"Il seminatore", Vincent van Gogh, 1888, olio su tela, museo Kröller-Müller, Otterlo (NL).
Domenica 10 novembre alle ore 11.30 in Cattedrale l’arcivescovo Giacomo Morandi presiede la Messa in occasione della Giornata Diocesana del Ringraziamento dedicata a tutte le Associazioni agricole che sul nostro territorio operano in questo settore.
Tale ricorrenza annuale permette anche qualche riflessione sul messaggio che la Commissione Episcopale per i problemi sociali e il lavoro ogni anno propone.
Diversi sono i punti meritevoli di attenzione: innanzitutto, viene posto l’accento sull’importanza di pensare e mettere in atto un’agricoltura che permetta di salvaguardare al meglio le risorse naturali considerate come un dono della Creazione.

La responsabilità di preservare la terra, così come l’importanza di guardare con occhi di gratitudine a quello che ci viene donato e la centralità della custodia del Creato, sono tutti motivi che portano a un concetto più ampio di custodia che si estende alla vita umana di fratelli e sorelle che vivono sulla terra e di questa terra usufruiscono. Nel messaggio viene quindi indicato come importante riflettere in merito all’uso indiscriminato del suolo agricolo che, invece, dovrebbe essere primariamente dedicato a garantire la produzione alimentare.

Importante il richiamo alla formazione delle nuove generazioni di agricoltori che, insieme alle necessarie innovazioni sociali e tecnologiche, possono giocare un ruolo importante nel processo di valorizzazione della terra. Vengono inoltre sottolineati i pericoli legati all’abbandono delle terre agricole in nome di un maggiore profitto costituito da attività più redditizie ma a volte dannose, che, alla lunga, possono impoverire la biodiversità e il futuro dell’agricoltura.

La necessità che si riconosca il giusto valore del lavoro agricolo è auspicata come risultato di una riforma delle politiche agricole. Infine, si suggerisce un approccio non dicotomico ma piuttosto di cooperazione tra diversi tipi di agricoltura (convenzionale e biologica) per rispondere in modo più efficiente alle sfide ambientali e sociali contemporanee.
L’ottica dell’ecologia integrale pervade quindi tutto il documento insieme a una riflessione importante su un tema spesso sottolineato dalla Dottrina sociale della Chiesa quale quello del paradigma tecnocratico.

Équipe diocesana di Pastorale Sociale e del Lavoro

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Scaffale basso. I libri rosicchiati del topolino, una piccola luce che accende il mondo

I LIBRI DEL TOPOLINO. IL VENTO. LA MERENDA. MONIQUE FELIX; CAMELOZAMPA; 12,90 CAD.

Onore all’editore Camelozampa che nella sua ricerca di classici contemporanei riporta in Italia dopo decenni di assenza “I libri del topolino” una serie (tre milioni di copie vendute nel mondo, già tradotta in 17 lingue) pubblicata dall’autrice svizzera Monique Felix a partire dal 1980, il cui primo libro è stato premiato nel 1981 con la Mela d’Oro alla Biennale di Bratislava. Formato quadrotto come gli originali, rivisitati con una copertina rigida raffinata e un’emblematica rosicchiatura che lascia intravvedere il protagonista, i libri del topolino sono il classico esempio di quanto ricchi di racconto possano essere i silent book, nati da mani sapienti e genialità indiscusse. La storia con una sequenza quasi cinematografica e un incipit che si ripete in ogni volume, ci presenta il topolino intrappolato nella pagina bianca del libro sotto il titolo, guardare in camera – si direbbe in un video – e incontrare lo sguardo del lettore. Come evadere da quella prigione verrà da sé: che altro può fare un topolino se non rosicchiare la carta? Di pagina in pagina lo vediamo instancabilmente all’opera finché mordicchiato tutto il contorno e abbattuto ogni limite si apre una finestra sul mondo. E allora sì che di nuovo grazie alle pagine del libro, il topolino potrà partire per nuove avventure. In terra, in cielo e chissà anche per mare. Dai 3 anni

IL PICCOLO JACOMINUS. RÉBECCA DAUTREMER; RIZZOLI; 16 EURO

I bambini più grandicelli e gli adulti forse conoscono già molte cose di Jacominus Gainsborough, anche lui ormai un classico contemporaneo. Il coniglio di cui l’artista francese Rébecca Dautremer ha raccontato in vari capitoli tutti scenografici l’intera esistenza, i giorni felici e quelli più complicati da adulto, l’amore della sua vita Dolce Vidoq, i tre figliolini, gli amici, l’inciampo che gli ha lasciato una gamba stramba e lo ha costretto alla gruccia. Insomma tutto il suo mondo; una storia in cui l’imperfezione non deforma il proprio sguardo positivo sull’esistenza avanzando a colpi di flashback, piena di ricordi, avventure, viaggi e riflessioni senza mai concludersi davvero. Quanto fosse carino, tenero, burlone, ingegnoso e tanto altro Jacominus da piccolo lo scopriamo in questo librotto con le pagine spesse cartonate dove il coniglietto in una serie di istantanee che ne descrivono sinteticamente il carattere, appare con i compagni di gioco, coniglietti, topini, pulcini, cagnolini. In realtà bambini, come umanizzato è tutto il mondo che Rebécca Dautremer rappresenta con Jacominus. Dai 3 anni

IO MI PIACCIO COSÌ. ISABELLA PAGLIA; ILLUSTRAZIONI DI FRANCESCA PIRRONE; LA MARGHERITA EDIZIONI; 12,95 EURO

Che cosa sono i difetti? Un nasino un po’ schiacciato, due denti un po’ troppo distanti tra loro, un viso pieno di lentiggini o una macchia scura sulla pelle di un braccio? Gli occhiali sul naso, una cicatrice sulla guancia, un particolare che va oltre quale canone prestabilito? L’esuberanza, la timidezza, la vivacità? Sarebbe meglio sgombrare il campo fin da piccoli e capire che perfezione e normalità applicati all’aspetto fisico o a un tratto del carattere sono due concetti vuoti, anzi ambigui e ingannevoli. Questo albo aiuta a mettere le cose a posto e i puntini sulle i: con un catalogo divertente delle creature animali più varie, ciascuna con la propria caratteristica e la propria unicità, Isabella Paglia racconta – accompagnata dalle illustrazioni allegre e cariche di humor di Francesca Pirrone – la bellezza delle diversità fatte di tanti colori, mille caratteristiche e peculiarità personali. Di quella varietà e perfezione a modo proprio che rendono più ricca la nostra umanità. Una lettura preziosa da condividere a casa e a scuola e su cui lasciare la parola ai bambini. Dai 3 anni

UNA PICCOLA COSA. ALBERTO BENEVELLI; ILLUSTRAZIONI DI LORETTA SEROFILLI; STORIEDICHI EDIZIONI; 16 EURO

A volte basta una piccola cosa per innescare un grande cambiamento, una scintilla per accendere una luce abbagliante, una parola per far ritrovare una fiducia che pareva smarrita. Questa storia, perfetta da leggere ad alta voce prima del sonno, si apre in una notte buia che più buia non si può. La città sembra non solo addormentata, ma reclusa, trincerata dietro le persiane a luci spente, come se gli abitanti si nascondessero impauriti e intristiti da qualcosa. Ed ecco scattare quella piccola, piccolissima cosa. Non si sa di chi sia la voce narrante di questa storia se non all’ultima pagina, ma scopriamo che proprio lo slancio con cui questa creatura si mette in gioco per stanare i barricati in casa scardina le paure e fa sì che pian piano la città di apra alla luce. E gli abitanti, uno per uno con una tranquillità ritrovata, ritornino alla vita consueta. Il racconto di Arturo Benevelli e le illustrazioni di Loretta Serofilli, realizzate ad acquerelli, acrilici e collage, fotografate e poi lavorate in post produzione per dare spessore ai personaggi, ci parlano di gentilezza, generosità e di coraggio nel fare il primo passo per dar vita a un cambiamento. E non solo, perché aprire le finestre significa uscire dall’isolamento, incontrare il vicino di casa e abbandonare il clima di sospetto. Mettere in circolazione un’aria buona di cui abbiamo tutti bisogno di respirare. Dai 3 anni

IL BRUTTO ANATROCCOLO. CON LA MUSICA DI WOLFGANG AMADEUS MOZART. ANNA PEDRAZZINI; ILLUSTRAZIONI DI SERENA VIOLA. CURCI YUNG EDITORE; 16 EURO

Leggere, osservare, ascoltare, cantare attraverso l’intreccio di parole, immagini e musica. Un libro interattivo per un’esperienza multisensoriale: è ciò che consente questa particolare versione de “Il brutto anatroccolo”, l’arcinota fiaba di Andersen, secondo volume dopo “Cappuccetto Rosso” della collana “In punta di dita. Fiabe sonore in movimento” realizzata da Anna Pedrazzini, musicista ed educatrice specializzata nella formazione della prima infanzia, con le illustrazioni di Serena Viola. Grazie a un QR code presente nel libro, la storia del pulcino emarginato per la propria diversità e il suo percorso intrapreso alla scoperta di sé e della propria identità si accompagnano a una versione digitale animata della fiaba visibile sullo smartphone, che ha per colonna sonora brani di Mozart. Minuetti, danze, rondò e sonate, eseguiti al pianoforte scandiscono il movimento delle immagini che a loro volta rappresentano con precisione l’andamento della melodia. Dai 4 anni

da Avvenire

Storie. I Pergola (9 figli più 78 in affido) e gli altri: il segreto delle maxifamiglie

Si conclude oggi a Montesilvano (Chieti) l’Incontro nazionale dell’Associazione famiglie numerose. Premiati Nicola ed Elena Pergola di Potenza, 9 figli naturali e 78 in affido negli ultimi 18 anni
Nicola ed Elena Pergola con i loro 9 figli naturali. La più grande ha 22 anni, la più piccola due

Nicola ed Elena Pergola con i loro 9 figli naturali. La più grande ha 22 anni, la più piccola due – .

da Avvenire

Un cuor solo, un’anima sola. È l’immagine che, più e meglio di altre, racconta la storia d’amore tra Nicola Pergola, 47 anni, assistente sociale ed educatore ed Elena Comentale, 44 anni, psicologa e psicoterapeuta. Una storia ambientata a Potenza, capoluogo della Basilicata. Qui, nell’ex contrada Montocchino, Nicola ed Elena vivono in due case attigue. In una abitano anche i nove figli naturali: da Noemi, 22 anni, ad Adele , la più piccola, che di anni ne ha due, passando per Manuel (quasi 21 anni) Simone (18), Alessia (16), Andrea – quasi 15 anni – , David (12), Irene (7 anni) e Giosué (4 anni), tutti preceduti in cielo da Elisabetta e Giovanni . L’altra casa, più grande, è la sede della casa famiglia «Melania» e può ospitare contemporaneamente fino a dodici ragazzi, tra camere private ed ambienti comuni.

«Un cuor solo e un’anima sola. È questo lo spirito che unisce le nostre vite in un amore che non aveva pretese e che ha visto compiersi meraviglie – raccontano i due ad Avvenire. Ci siamo fidanzati il 6 aprile 1994 sotto un metro di neve. Il 2 agosto 2001 ci siamo uniti in matrimonio nella chiesa dedicata al beato Bonaventura da Potenza con il desiderio e la preghiera che l’amore fosse sempre presente nella nostra vita». Non che il sogno di una famiglia da record fosse presente sin dagli inizi della loro vita di coppia. «Io desideravo non più di quattro figli» confida lui. «Ed io almeno quattro» ribatte lei. Ma dopo l’arrivo dei primi figli «abbiamo imparato a guardare alla nostra famiglia come all’unica vera ricchezza che potevamo condividere». Di qui, vocazione nella vocazione, i Pergola si sono aperti all’accoglienza di chi una famiglia (o almeno una «solida») non ce l’ha. In diciotto anni hanno avuto in affidamento ben 78 tra bambini ed adolescenti.

I Pergola (che si sono presentati in 19 all’appuntamento) hanno ritirato il premio «Due cuori & una tribù» 2024, una scultura realizzata dall’artista pisano Andrea D’Aurizio. La cerimonia è avvenuta all’interno dell’incontro nazionale di Anfn – l’associazione che raduna e dà voce alle famiglie numerose in Italia – che da giovedì e fino a oggi riunisce all’hotel Club Esse a Montesilvano più di 450 persone. Significativa l’immagine scelta per promuovere l’evento: una famiglia numerosa sul cucuzzolo di una montagna: «Arrivare in cima alla montagna – ha spiegato il presidente dell’associazione Alfredo Caltabiano – consente una visione unica, che a valle non puoi avere. È un’immagine che calza a pennello con la storia d’amore delle grandi famiglie in Italia e nel mondo: alla pari degli esperti scalatori, hanno fatto fatica, probabilmente in qualche momento hanno provato anche sconforto; ma una volta arrivati alla vetta, la fatica si trasforma in gioia». Due talk show , laboratori, giochi, poesia, musica e risate a gogò. In occasione dell’assemblea di Montesilvano è stato presentato, per la prima volta, il bilancio sociale dell’associazione. Si è aperto un cantiere per la stesura del piano associativo che orienterà le scelte Anfn nel medio e lungo termine. Avviato un confronto sulla rappresentatività dei minori, vecchio cavallo di battaglia dell’associazione (ne parliamo nell’articolo qui sotto): Anfn potrebbe scegliere, in futuro, di dare più «peso» al voto delle coppie con molti figli. Sabato la premiazione delle migliori tesi di laurea dedicate alla famiglia. E applausi a scena aperta per gli otto finalisti del talent The Big Family show presentato dalla simpaticissima famiglia perugina degli Aquino.

Sono poco più di 285mila le famiglie composte da almeno sei componenti in Italia, secondo l’ultimo report Istat. La maggior parte tra queste sono rappresentate da coppie con molti figli. Cosa hanno in comune? È quanto ha cercato di indagare una indagine sociologica, che ha coinvolto 1.330 coppie equamente distribuite in Italia con in comune, una prole numerosa (le più rappresentate hanno quattro e tre figli). In 6 casi su 10 papà e mamma lavorano entrambi fuori casa (e se uno dei due resta a casa per occuparsi full-time della famiglia, quasi sempre è la donna). Non sempre sin dall’inizio della loro storia, la coppia sognava di crescere insieme a molti bambini: in 34 casi su 100 avevano espresso il desiderio di generare uno o, al più, due figli. La scelta di aprirsi alla vita è prerogativa di uomini e donne di fede? Non necessariamente. Alla domanda: «la vostra scelta di accogliere tanti figli affonda le sue radici nella fede?» quasi il 20% ha risposto «per niente», mentre il 45% ha risposto «sì, molto» e il 35% «sì, abbastanza».
Dopo il terzo figlio è soprattutto la vita della donna a cambiare, nei ritmi o nel lavoro fuori casa: «non è cambiata per niente», infatti, per appena il 15.7% delle mamme, è «cambiata abbastanza» nel 45.7% dei casi, è cambiata molto secondo il 34.8% delle donne che hanno risposto al sondaggio.

E la situazione economica dopo il terzo figlio? «È rimasta eguale» per il 24.5% dei casi, è «leggermente migliorata» per l’11% dei casi, è «leggermente peggiorata» per il 44.1%, è «molto peggiorata» per il 17.1% dei casi. Secondo 7 coppie su 10 che hanno risposto al sondaggio «la scelta di generare molti figli è privata, ma ha un valore per la società». «Riavvolgendo il nastro della vostra storia, fareste di nuovo la scelta di mettere al mondo molti figli?» Quasi il 95% delle coppie che ha risposto al sondaggio ha risposto che sì, ne è valsa la pena. Sulle motivazioni etiche che spingono una coppia ad aprirsi (o a non aprirsi) alla vita c’è anche un altro studio, predisposto dall’Università di Udine e dall’Università Cattolica del Sacro Cuore a Roma a cui hanno partecipato anche molte famiglie numerose. Studio i cui risultati saranno illustrati prossimamente. Ma da cui emerge, ad esempio, come molte famiglie numerose – anche se non tutte – conoscono i cosiddetti “metodi” di gestione naturale della fertilità. E li osservano in modo corretto, ovvero non con mentalità contraccettiva.

 

Lunedì dello spirito. La preghiera apre il cuore

Ogni settimana uno spazio dedicato alla riflessione personale con l’aiuto di testimoni della fede e maestri spirituali. Oggi san Vincenzo de’ Paoli e la lotta contro l’indifferenza
Nessuno mai dovrebbe sentirsi abbandonato

Nessuno mai dovrebbe sentirsi abbandonato – ICP

da Avvenire

Anche se non esiste tribunale che abbia il potere di infliggerla, una delle peggiori pene cui una persona può essere condannata, è l’indifferenza. Capita quando ci si sente dimenticati, messi da parte, invisibili. Una triste consapevolezza che pur in modi differenti colpisce a tutti i livelli e che diventa particolarmente grave quando si accompagna a una condizione di sofferenza e povertà. Non a caso il Papa mette in guardia dalla globalizzazione dell’indifferenza, l’atteggiamento per cui in nome del profitto ci si dimentica degli altri. Il cristiano però dev’essere diverso, sente il bisogno, sulla scia del Vangelo, di farsi piccolo tra i piccoli, privilegiando proprio i dimenticati, gli esclusi. E quest’impegno di servizio va vissuto il più possibile nella gioia e nell’ascolto dei bisogni degli altri. Vuol dire essere gentili, rispettosi, attenti con chiunque incrociamo sulla nostra strada: «la vostra affabilità – dice san Paolo ai Filippesi – sia nota a tutti». Uno stile, una risposta alla chiamata di Dio che san Vincenzo de’ Paoli (1581-1660), apostolo della carità, ha vissuto ogni giorno della sua esistenza, e che testimonia in questa preghiera (conosciuta non a caso come “preghiera dei Vincenziani”), quasi un manifesto del suo amore a Dio e all’umanità.

«Signore, fammi buon amico di tutti,
fa’ che la mia persona ispiri fiducia
a chi soffre e si lamenta.
A chi cerca luce lontano da te,
a chi vorrebbe cominciare e non sa come,
a chi vorrebbe confidarsi e non se ne sente capace.
Signore aiutami,
perché non passi accanto a nessuno
con il volto indifferente, con il cuore chiuso,
con il passo affrettato.
Signore, aiutami ad accorgermi subito
di quelli che mi stanno accanto,
di quelli che sono preoccupati e disorientati,
di quelli che soffrono senza mostrarlo,
di quelli che si sentono isolati senza volerlo.
Signore, dammi una sensibilità
che sappia andare incontro ai cuori.
Signore, liberami dall’egoismo,
perché ti possa servire,
perché ti possa amare,
perché ti possa ascoltare,
in ogni fratello che mi fai incontrare».

Dibattito. I manuali scolastici non vanno buttati: sono una risorsa

Rileggendo le vecchie antologie Paolo Di Paolo ha scritto un’opera sulle poesie studiate a scuola
Studenti impegnati nell'esame di maturità

Studenti impegnati nell’esame di maturità – Fotogramma

da Avvenire

La prima cosa che fanno molti studenti alla fine di ogni scolastico è quella di andare a vendere i libri di testo. In cambio di pochi euro, ci si sbarazza dei volumi su cui si è studiato (o non studiato) nel corso dei mesi precedenti. È anche – credo – una sorta di rito apotropaico: nell’imminenza delle sospirate vacanze, ci si vuole liberare, almeno per i mesi estivi, dello spettro della scuola. Quando insegnavo al liceo, esortavo i miei studenti a non farlo, a conservare cioè i manuali scolastici. Non solo perché di tanto in tanto sarebbe potuto tornare utile, negli anni successivi, andare a ripassare certe nozioni in essi contenute, ma soprattutto, in una prospettiva più ampia, per un’altra ragione: avere, più avanti nella vita, la possibilità di sfogliare nuovamente i libri di scuola equivale a un modo di rievocare una stagione della propria esistenza, quella trascorsa sui banchi. Qualcuno taccerà questa mia idea di sentimentalismo. Siamo nell’età del virtuale, della Rete, dell’intelligenza artificiale.

A che cosa serve archiviare tomi cartacei destinati a ricoprirsi di polvere? Eppure i manuali scolastici continuano a rivestire un’importante valenza culturale, anche perché in molte case sono gli unici libri a entrare. Peccato che le biblioteche non li custodiscano. Se va bene, si trovano nelle nostre case, magari relegati in un baule in soffitta oppure in cantina. Se non avesse avuto la possibilità di riprendere in mano le antologie di letteratura italiana sue e di sua madre, Paolo Di Paolo non avrebbe potuto scrivere la sua ultima, gustosa opera: Rimembri ancora. Perché amare da grandi le poesie studiate a scuola (il Mulino, pagine 240, euro 16,00). Ripercorrendo l’impostazione di quei manuali (i suoi, essendo lui nato nel 1983, sono quelli di una trentina d’anni or sono, quelli della madre risalgono invece a mezzo secolo fa), l’autore non può fare a meno di prendere le distanze da un’impostazione moralistica e parenetica, che vedeva nella lettura dei testi letterari a scuola un’occasione per suscitare buoni sentimenti nei discenti: «Letteratura come pedagogia, come allenamento alla virtù. Una palestra etica». Però è anche vero che quelle pagine hanno rappresentato, per la generazione di Di Paolo e per quelle precedenti, la prima, preziosa, insostituibile occasione per incontrare i grandi classici. Esse sono state il tramite per l’incontro iniziale con Foscolo, Manzoni, Carducci, Pascoli, Gozzano, Ungaretti, Montale. Ciò accade ancora oggi ed è stato vero anche per chi della letteratura avrebbe poi fatto il proprio mestiere.

Di Paolo riporta una testimonianza di Mario Luzi: «Mi ricordo che nei miei anni di scuola avevo un libro, un’antologia di poeti del primo Novecento. I professori in classe non ce le hanno mai fatte leggere, anche perché non erano preparati. L’ho scoperto da me, innamorandomene. Credo che quel vecchio libro di scuola sia stato fondamentale per il mio avvicinamento alla poesia». Il libro di Di Paolo presenta i testi di alcuni celebri componimenti dei poeti che abbiamo citato sopra e li commenta dal punto di vista storico e letterario, ma sempre con un’attenzione alle risonanze prodotte da quei versi nella sua esperienza personale di giovane lettore. In quest’ultima si diramano gli echi di altre poesie, di autori e autrici del secondo Novecento, un’epoca che a scuola «è un corridoio che si percorre a passi svelti, quasi in corsa e comunque sempre un po’ in affanno», quando va bene nelle ultime settimane dell’ultimo anno delle superiori: da Andrea Zanzotto ad Amelia Rosselli, da Giovanni Giudici a Edoardo Sanguineti, da Giovanni Raboni ad Alda Merini. Per il lettore, il volume rappresenta un’opportunità per riprendere in mano le poesie dei tempi della scuola e per scoprirne di nuove sulla base delle intelligenti suggestioni proposte da Di Paolo anche sulla base del ricordo dei propri personali incontri con molti dei poeti contemporanei summenzionati.

La riscoperta in età matura di testi accostati per la prima volta da ragazzi equivale a un secondo incontro, che può essere quello decisivo, perché, con la consapevolezza data dall’età, si è in grado in grado di apprezzarli in tutta la loro bellezza e profondità, accendendo a livelli di lettura per forza di cose preclusi a un adolescente (nonostante tutta la buona volontà dell’insegnante che glieli spiega). Si scopre così che – scrive Di Paolo – «la poesia è un modo che abbiamo trovato per ricordarci di essere vivi». Sembra scontato, ma non lo è.

Stati Uniti. Tutto sul voto Usa: ecco come si vota e quando avremo i risultati

Agli sgoccioli la sfida tra Donald Trump e Kamala Harris: qui quello che vi serve sapere per prepararvi alla grande notte elettorale a stelle e strisce
Tutto sul voto Usa: ecco come si vota e quando avremo i risultati

Ansa

da Avvenire

Siamo ormai al conto alla rovescia finale per le elezioni presidenziali Usa di martedì prossimo, 5 novembre. Il repubblicano Donald Trump da un lato, la democratica Kamala Harris dall’altro: chi vince prenderà il posto, alla Casa Bianca, del presidente uscente Joe Biden. Qui tutto quello che vi serve sapere per prepararvi alla grande notte elettorale a stelle e strisce.

Perché si vota martedì 5 novembre?

Il Congresso ha stabilito nel 1845 che si votasse sempre il primo martedì del mese di novembre quattro anni dopo l’ultima elezione del presidente. Una scelta del mese legata alle radici fortemente agricole degli Stati Uniti – a novembre si era concluso il raccolto e le strade non erano ancora bloccate dalla neve – e una scelta del giorno legata al fatto che, calcolando che la domenica era dedicata alla chiesa, molti degli elettori che vivevano nelle zone più remote non sarebbero riusciti a raggiungere i centri dove si votava in tempo il lunedì. Secondo la Costituzione i requisiti per diventare presidente sono tre: un’età superiore ai 35 anni, essere nati negli Stati Uniti e risiedervi da almeno 14 anni.

Come si vota?

Il risultato del voto più importante non è quello nazionale, ma di collegio. Il voto popolare è il totale dei voti espressi dai cittadini americani durante le elezioni presidenziali. Ogni elettore vota per un candidato presidente e un candidato vicepresidente. Ma questo voto non determinerà chi andrà alla Casa Bianca, altrimenti nel 2016 avrebbe vinto Hillary Clinton, che aveva ottenuto il 2,1 per cento in più di voti rispetto a Donald Trump. Oppure, nel 2000, Al Gore con il 48,4 per cento avrebbe battuto il Repubblicano George W. Bush, che aveva ottenuto il 47,9. Questo perché, se valesse il numero totale di voti, la California, lo Stato più popoloso d’America con circa 40 milioni di persone, avrebbe un peso sempre maggiore rispetto al Wyoming, che ha 576 mila abitanti, o al Vermont, 643 mila. Per riequilibrare la questione demografico-elettorale, il sistema americano prevede il voto di collegio. Gli Stati Uniti sono divisi in cinquanta Stati e ciascuno ha un certo numero di Grandi Elettori, basato sulla sua rappresentanza al Congresso, cioé numero di senatori più il numero di rappresentanti. In totale ci sono 538 Grandi Elettori, una cifra che si ricava sommando i 435 rappresentanti della Camera, i 100 del Senato e i tre in rappresentanza della capitale, Washington DC. Quando gli elettori votano, stanno in realtà scegliendo i Grandi Elettori, che poi voteranno il candidato presidente che ha vinto il voto popolare nello Stato di cui sono rappresentanti. Il candidato che riceve almeno 270 voti dei Grandi Elettori vince le elezioni.

Come vengono distribuiti i voti?

I voti elettorali vengono aggiudicati all’interno di ciascuno Stato con un sistema maggioritario secco, che viene definito il “winner takes all”. Fanno eccezione Nebraska e Maine, gli unici due Stati che hanno scelto di assegnare i loro voti elettorali, rispettivamente cinque e quattro, con il sistema proporzionale. In tutti gli altri Stati, quindi, il vincitore prende tutto anche se per uno scarto minimo di voti, come hanno dimostrato le elezioni del 2000, quando George W. Bush si è aggiudicato, con un vantaggio di poche centinaia di voti, tutti i 27 voti elettorali della Florida che gli hanno consegnato la Casa Bianca.

Cosa sono gli “swing states”?

“Swing state”, cioè gli Stati che oscillano, gli Stati il cui risultato è in bilico e quindi decisivo per le presidenziali. Il riferimento è al fatto che sono Stati in bilico tra Repubblicani e Democratici, diversi da quelli che tradizionalmente eleggono sempre il candidato di un partito: il Texas è considerato storicamente repubblicano, New York e la California democratici. Gli swing state considerati fondamentali per assegnare la vittoria il 5 novembre, giorno del voto, sono sette: Pennsylvania, Michigan, Wisconsin, Nevada, North Carolina, Georgia e Arizona. Harris nei sondaggi risulta avanti, anche se di poco, nei primi tre, che rappresentano il cosiddetto “blue wall”, il muro blu, dal colore dei democratici, più il Nevada. Il rosso è, invece, il colore che contraddistingue i repubblicani. Secondo le recenti medie dei sondaggi, Trump è avanti in North Carolina, Georgia e Arizona. La notte elettorale saranno da seguire soprattutto questi Stati. Se Harris conquisterà gli Stati tradizionali assegnati ai democratici, avrà bisogno di vincere in Pennsylvania, Michigan, Wisconsin e Nevada per avere la certezza di andare alla Casa Bianca. Viceversa, per la candidata democratica il percorso verso la vittoria sarà molto difficile.

A che ora chiuderanno i seggi?

L’orario di chiusura dei seggi si differenzia nei 50 Stati perché gli Usa hanno 6 fusi orari dalla costa Est sull’Atlantico alle Hawaii nel Pacifico. I primi a chiudere a mezzanotte (ora italiana) saranno Indiana e Kentucky, a seguire all’1 di notte del 6 novembre chiuderanno Florida, Georgia, South Carolina, Vermont e Virginia. Alle 2, tra gli altri, arriverà la chiusura, e le prime proiezioni, di altri due Stati in bilico, Pennsylvania e del Michigan. L’ultimo Stato a chiudere i seggi sarà l’Alaska alle 6 di mercoledì 6 novembre ora italiana.

Come funziona il voto via posta?

Nel 2020 il 43% degli elettori votarono per posta, contro il 20-25% dei precedenti cicli elettorali, sulla base di misure che, nella maggioranza degli Stati, vietava di aprire e controllare la validità di questi voti prima dell’Election Day. Da qui gli enormi ritardi nello spoglio di questi voti, ritardi che alimentarono teorie del complotto. Anche quest’anno è prevista una percentuale alta di voto per posta, per questo sono state cambiate le regole e quasi tutti gli Stati ora permettono di aprire e controllare la validità dei voti per posta prima dell’Election Day. Tra gli stati chiave, Michigan, Nevada – dove la maggioranza degli elettori vota per posta – Arizona, Georgia e North Carolina permettono di processare prima dell’election day il voto per posta. Questo però non avverrà in Wisconsin e, cosa ancora più importante, in Pennsylvania, considerato il più cruciale degli stati chiave. In questi due stati non sarà possibile aprire le buste che contengono i voti per posta prima del 5 novembre.

Cosa succede se nessun candidato ottiene la maggioranza?

In caso di parità tra i due candidati all’interno del Collegio elettorale, la decisione viene demandata alla Camera dei rappresentanti, che sceglie il presidente fra i tre candidati che hanno ottenuto il maggior numero di voti elettorali. La delegazione di ciascuno Stato alla Camera deve esprimere un solo voto, e se non riesce ad avere una maggioranza al suo interno, il suo voto non verrà conteggiato. Diventa presidente chi ottiene la maggioranza dei voti degli stati, che è 26. Le elezioni presidenziali sono state decise due volte dalla Camera: nel 1800, quando Thomas Jefferson e Aaron Burr ottennero ciascuno 73 voti del Collegio Elettorale e Jefferson vinse solo al 36esimo ballottaggio; nel 1824, invece, Andrew Jackson ottenne 99 voti elettorali, John Quincy Adams 84, William Crawford 41 e Henry Clay 37. Dal momento che nessuno aveva raggiunto la maggioranza, decise la Camera e vinse Jackson al primo ballottaggio.

I grandi elettori possono cambiare idea?

Nella storia americana, anche più recente, non sono mancati questi “tradimenti”. Nel 1988, per esempio, Margaret Leach, grande elettrice del candidato democratico Michael Dukakis – che fu nettamente sconfitto da Ronald Reagan – votò invece per il candidato alla vicepresidenza, il senatore Lloyd Bentsen. Nel 1976 un grande elettore repubblicano dello stato di Washington invece di votare per lo sconfitto Gerald Ford votò, anticipando i tempi, per Reagan. Anche nel 2000 ci fu una sorpresa, ininfluente ai fini dei risultati: in segno di protesta per il modo in cui era stata condotta l’elezione un grande elettore di Al Gore votò scheda bianca.