I Comandamenti di Benigni, dal Sinai all’attualità

Pensate quel che volete, ma solo Roberto Benigni poteva riuscire nell’ambizione temeraria di misurarsi in prima serata su Raiuno su un tema alto, altissimo, incommensurabile come i Dieci Comandamenti: tenerti incollato davanti al televisore parlando dell’anima, di Dio, di ciò che più conta per noi, scivolando con maestria tra il tono alto e basso, tra il serio (ma non tedioso) e il lievemente faceto. In prima serata salta letteralmente sul palcoscenico del Palastudio di Cinecittà, danza, asciutto e scattante nel suo abito nero con camicia bianca slacciata, al ritmo della musica del fido Nicola Piovani. «Mi piacerebbe essere un cagnolino per scodinzolare e mostrarvi quanto sono felice», e in effetti scodinzola anche senza coda. Il suo umorismo è garbato, qua e là scontato, ma funziona: «Siamo a Roma, la città più bella. Adesso poi per Natale tutte queste luminarie, queste luci bianche e blu messe sopra le automobili perché si vedano meglio, specialmente davanti al Campidoglio». Ma siamo qui per i Comandamenti. «Politici e amministratori romani sapevano che venivo qui a parlarne e allora hanno fatto in modo di violarli tutti, proprio tutti, li ho contati, eh?».
Ce n’è anche per il premier: «Solo un miracolo può salvarci. Infatti Renzi è andato in Vaticano. Ad esempio, la legge elettorale: quella vaticana gli va benissimo, uno viene eletto e governa per tutta la vita…». Ma bisogna parlare della Bibbia, «non di Rebibbia». E qui delle due l’una, «o mi arrestano o mi fanno cardinale».

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