Vangelo e sentimento

Nel nostro Paese sono sempre più numerosi i cori che si dedicano al gospel: un fenomeno che nasce spesso a margine delle parrocchie cattoliche e che sta portando alla ribalta questa musica di origine afroamericana e dalla forte impronta religiosa. Perché, alla fine, non si tratta soltanto di concerti ma di occasioni per celebrare il Signore Gesù e la sua «buona notizia».

Il Jazz Gospel Alchemy Choir in concerto

Il Jazz Gospel Alchemy Choir in concerto.

«Perché il gospel? Beh, da ragazzo cantavo e suonavo nel coro della mia parrocchia, la stessa in cui dirigo ora: quando alla chitarra attaccavo Camminiamo sulla strada già la suonavo con arrangiamenti gospel. Capita ancora adesso che qualcuno ci dica: “Bello, ma è una Messa un po’ troppo animata!”, e per me è un gran complimento. Nel 1989 il nostro è diventato un coro vero e proprio, ma all’inizio seguivamo il servizio liturgico con la chitarra e i canti della tradizione italiana». Piero Basilico, direttore di BruCo Gospel Choir (ovvero Brusuglio Coro, a nord di Milano), racconta così la sua esperienza. Le fa eco Fausta Molfini, grintosa direttrice del Peter’s Gospel Choir di Napoli: «Mi trovavo con il mio coro per una Gospel Connection a Milano. Dovevamo spostarci dalla sede dei seminari al Teatro Smeraldo, dove avremmo cantato la sera. Gli unici mezzi possibili per il trasferimento di circa duecento persone erano gli autobus cittadini che, per fortuna, a Milano sono particolarmente lunghi. Salimmo in circa trenta tra coristi, musicisti e direttori su di un autobus, con lieve disappunto dei viaggiatori che si trovavano già sul veicolo. A un certo punto mi ritrovai con un paio di coristi bolognesi, qualcuno di Livorno e altri milanesi a intonare a voce bassa un famoso spiritual, Amen. Di lì a poco tutto il gruppo si unì nel canto e l’autobus si trasformò in un long gospel vehicle! In un attimo anche gli altri passeggeri si sentirono coinvolti e cominciarono a battere il tempo con le mani e a ballare con noi… Questo è gospel!».

Il St. Jacob's Choir, diretto da Massimo Bracci.

Il St. Jacob’s Choir, diretto da Massimo Bracci.

Sono due voci tra le tante, di uomini e donne di ogni età, da Nord a Sud Italia, determinati e pieni di entusiasmo, che, poco per volta, anno dopo anno, hanno invaso pacifica mente la penisola. Spesso hanno iniziato negli oratori, cantato alle Messe, oppure hanno approfondito vocazioni e studi personali, creato gruppi in cui la musica e il canto erano il collante, l’espressione condivisibile e universale per qualcos’altro. Tutti catturati, chi per caso, chi per studio o per passione, dalla musica gospel. Perché i cori gospel in Italia sono tantissimi: una realtà che conta migliaia di formazioni. Eppure del gospel come fenomeno si parla ancora poco: nonostante i numeri, il seguito, il sostegno che la loro attività di volontari offre ad associazioni no-profit. Nonostante il messaggio.

Il Jazz Gospel Alchemy Choir in versione afro

Il Jazz Gospel Alchemy Choir in versione afro.

È una tradizione che arriva da lontano, dalla cultura afroamericana, dai canti di lavoro degli schiavi: il gospel è il Vangelo, sono i salmi che i neri ripetevano ossessivamente, con l’accompagnamento della musica, nelle sale del culto, in cui i partecipanti si univano al coro e al predicatore con il canto, il battito delle mani, la danza. Una preghiera a Dio che si faceva fisica, di voce e sudore: «Un approccio di continua e costante ricerca volta a studiare le radici, a capire da dove questa straordinaria musica ha preso origine», spiega Laura Robuschi, carismatica direttrice del Free Voices Gospel Choir di Beinasco (Torino). «Più il percorso si addentra nella storia e più cresce il rispetto per questo patrimonio di un popolo che, attraverso la musica, ha saputo raccontare il proprio cammino umano e spirituale travagliato. Non è un caso che il gospel, e prima ancora lo spiritual, siano musicalmente così pieni di passione. La musica è talvolta un pretesto per parlare di sé, del proprio vissuto. Dapprima il racconto di un’umanità calpestata nei suoi diritti primari, il canto di anime anelanti alla libertà, e poi la gioia di gridare che questa libertà è soprattutto spirituale e, proprio per questo, patrimonio di tutti».

Il Peter's Gospel Choir

Il Peter’s Gospel Choir.

In Italia sono anni che si sono mossi i primi passi nella direzione del gospel, prima timidamente, poi con sempre più consapevolezza e autorità, tanto che oggi si può affermare che esiste una tradizione gospel italiana riconosciuta anche all’estero e che certi complessi di inferiorità sono andati scemando. Resta sempre, per lo meno nei rappresentanti dei cori che abbiamo incontrato, oltre a una grande umiltà e alla voglia di imparare, il sentimento di esprimere un qualcosa che va oltre il genere musicale, che travalica lo spettacolo, un messaggio che parte dai cuori e si trasmette, per osmosi, ad altri cuori. Colpiscono, nei nostri interlocutori, l’entusiasmo e la passione che trapelano dalle parole e dagli sguardi, l’affetto con cui raccontano di altre realtà analoghe, facendoci intravedere una rete di amicizie che il gospel e l’essere parte di un coro hanno creato.

Black History Month 2012 al Teatro Cristallo di Cesano Boscone

Black History Month 2012 al Teatro Cristallo di Cesano Boscone.

La Chiesa cattolica non vede sempre di buon occhio questa forma di canto. Abituati al canto gregoriano e alla tradizionale musica liturgica, il gospel viene percepito come una realtà “altra”, che non ci appartiene. Molti, però, ne sono rimasti progressivamente conquistati. I più fortunati hanno trovato chiese pronte ad accogliere questo nuovo modo di cantare, come il Peter’s Gospel Choir, che deve il suo nome a padre Piero Romeo, allora responsabile della Cappella dei padri dehoniani di via Mare chiaro, a Napoli. «Ci chiese di organizzare il coro domenicale», spiega Fausta Molfini, «lasciandoci liberissimi nella scelta dei generi musicali e anche dei testi: per lui l’importante era che si cantasse qualcosa di profondo e sincero, che coinvolgesse gli animi. Fu proprio padre Piero che ci propose di inserire brani gospel durante la Messa e la cosa ci calzò a pennello, unendo l’amore per un determinato genere musicale alla possibilità di trasmettere un messaggio spirituale, che partisse dalle nostre voci per toccare il cuore di chi ci ascoltava». Perché chi canta gospel si prefigge di essere tramite di un messaggio spirituale, di pace, fratellanza e speranza, al di là del credo personale. «Ci proponiamo come gruppo che», continua Molfini, «attraverso i testi, la musica e la nostra interpretazione, possa trasmettere al cattolico, al musulmano, all’induista, all’ateo, qualcosa di puro, che porti ad apprezzare la vita e a rispettarla».

Il Free Voices Gospel Choir di Beinasco (To)

Il Free Voices Gospel Choir di Beinasco (To).

Robuschi ci racconta di un profondo rispetto reciproco con la Chiesa locale: «Certo, l’accoglienza nelle varie chiese che ci ospitano è spesso a discrezione del parroco ed è capitato più di una volta che il primo approccio fosse di “resistenza”, per poi sciogliersi alla fine del concerto. Probabilmente, da una parte c’è ancora parecchia disinformazione, e dall’altra è necessario che il rapporto sia assolutamente rispettoso dei luoghi e della tradizione cattolica».

Un concerto del Jazz Gospel Alchemy Choir, diretto da Pietro Catanese

Un concerto del Jazz Gospel Alchemy Choir, diretto da Pietro Catanese.

Il fatto è che il gospel riesce a far breccia, comunica gioia: è una preghiera che, con la sua spettacolarità, si adatta di più ai nostri tempi, come sottolinea Massimo Bracci, di formazione classica, dieci anni di canto gregoriano, prima di dirigere il St. Jacob’s Choir di Montecalvoli, vicino a Pisa: «Rappresenta un modo nuovo di comunicare la parola del Signore al di fuori dei canoni classici della Chiesa cristiana, ma con alcuni distinguo: oltre a essere direttore del St. Jacob’s, sono organista presso la mia parrocchia e durante tutte le funzioni liturgiche il repertorio che scelgo rispecchia la tradizione liturgica italiana nella sua essenza “classica”, senza inserimenti moderni da canzonetta. Scelgo anche autori contemporanei, ma con solide basi musicali e culturali. In altre parole niente chitarre, niente percussioni, ma solo l’organo. Questo perché non fa parte della nostra cultura. Quello che ho visto e ascoltato negli Usa mi ha entusiasmato, mi ha coinvolto emotivamente, ma al tempo stesso mi ha fatto capire che non potrebbe mai essere il nostro modo di pregare, perché da centinaia di anni abbiamo sempre fatto diversamente. Sono culture troppo differenti. A questo punto potreste dirmi: “Perché allora fai gospel?’ Perché ritengo che questo genere, al di fuori della liturgia, sia uno strumento fenomenale per avvicinare la gente a Dio, soprattutto i giovani, e tutto questo con i concerti in chiesa o in altri luoghi. Visto in quest’ottica, il gospel è veramente eccezionale».

Il Free Voices Gospel Choir diretto da Laura Robuschi

Il Free Voices Gospel Choir diretto da Laura Robuschi.

Forse è questo il motivo per cui il gospel riscuote tanto successo: «È il grande desiderio di emozionarci nel pregare Dio con la voce», afferma ancora Fausta Molfini, «ma anche con il corpo e con l’anima, perché il gospel è davvero la musica dell’anima. Penso che il canto gospel diventi un luogo dove ci si sente a casa, dove si può essere sé stessi e dove crollano le barriere e le maschere che a volte la vita spinge a indossare. È unione di sentimenti, di intenti, di gioia, di lacrime, di forza, di fede… al di là di tutte le differenze. Probabilmente questo è anche il motivo di una tale diffusione del gospel negli ultimi anni: la voglia di cantare qualcosa che dia un messaggio positi vo, di grande umanità, e che sia per tutti, che non conosca le parole discriminazione o esclusione, che tanto ci opprimono nelle cronache della società attuale».

Un'esibizione del coro Al ritmo dello Spirito

Un’esibizione del coro Al ritmo dello Spirito.

Nico Bucci, direttore di Roma Gospel Voices, esprime un parere analogo: «Questa tipologia di canto, la musicalità e l’energia che emana sono strettamente connesse con le nostre radici umane. Il ritmo e l’uso della voce sono ciò che hanno sempre caratterizzato l’essere umano sin dalla preistoria. La spiritualità connessa a esso e il messaggio di pace che viene veicolato mediante la storia di Cristo sono un fenomeno che puntualmente energizza, dà vigore e vitalità. Con questo orizzonte apocalittico, in questo tempo di forte crisi, la gente ha bisogno di trovare una propria dimensione spirituale in un modo culturalmente diverso da quello che ci appartiene. Ecco perché stiamo assistendo a questo fenomeno di crescita rapida del gospel in Italia. Ognuno esprime la propria fede personale con la gioia del canto. I membri del nostro coro appartengono a religioni differenti ed è bellissimo vedere la loro spiritualità esprimersi durante le prove e i concerti».

Black History Month 2011 al Teatro Cristallo di Cesano Boscone

Black History Month 2011 al Teatro Cristallo di Cesano Boscone.

Anche nel coro Al ritmo dello Spirito di Abbiategrasso, diretto da Alberto Meloni, sono presenti persone di confessioni differenti: «Ci sono due ragazzi protestanti e, quando li vedi cantare, capisci che credono veramente in quello che dicono. Sono più sul pezzo, sono più dentro. Mi sembra che noi cattolici stiamo un po’ perdendo il filo. E il gospel, con il suo messaggio universale, può aiutare: puoi anche non credere in Dio, ma le cose che io ti canto non ti possono lasciare indifferente, vanno a toccare la tua sensibilità»

«Il nostro scopo», afferma Piero Basilico di BruCo, «è diffondere il messaggio di salvezza di Gesù Cristo. Il gospel racconta la storia di questa salvezza. In Italia il tramite per avvicinarsi a Gesù Cristo è la chiesa. Il gospel, con la sua matrice protestante non europea, sottolinea il rapporto personale con Dio, in una continua attualizzazione: si ringrazia Dio per la guarigione dalle malattie, per le cose materiali, racconti la tua storia di salvezza o di sofferenza, ma sempre con un messaggio di speranza».

Spesso i concerti aiutano associazioni di volontari e raccolgono fondi per beneficenza. Rudy Fantin e Alessandro Pozzetto, direttori di Friuli Venezia Giulia Gospel Connection, raccontano: «Non sapremmo quantificare il numero di concerti fatti per beneficenza nel corso di quasi dieci anni: possiamo dire che finora lo scopo si è sempre raggiunto. In alcuni casi (Africa, Brasile) il ricavato dei nostri concerti lo abbiamo portato direttamente a destinazione ed è stata la cosa più bella: avvicinare di persona la destinazione della donazione, venendo a conoscenza della “vera” realtà».

Laura Robuschi aggiunge: «Solidarietà e musica sono da sempre uno dei claim principali del Free Voices. La quasi totalità dei nostri concerti è a scopo benefico, legati a iniziative umanitarie. Abbiamo appoggiato con la nostra presenza e vicinanza decine di associazioni di estrazione religiosa e laica operanti in ambienti totalmente differenti. Il volontariato, nelle sue varie forme, compresa la nostra, è una reale e concreta ricchezza del nostro tempo. Arriva dove le istituzioni sono carenti, dove serve un certo tipo di attenzione che parta soprattutto dall’uomo e per l’uomo, ma soprattutto aiuta noi a dare un senso a ciò che cantiamo e a far sentire incoraggiato chi sosteniamo».

Il Free Voices Gospel Choir in concerto nel santuario di Santa Rita da Cascia a Milano

Il Free Voices Gospel Choir in concerto nel santuario di Santa Rita da Cascia a Milano.

È stato Pietro Catanese, direttore di Jazz Gospel Alchemy Choir di Zelo Surrigone, a sud di Milano, ad avere l’idea, nel novembre del 2007, di creare Feder Gospel Choirs, di cui oggi è direttore artistico: un’associazione democratica, apartitica e aconfessionale, per «la promozione, lo sviluppo, la diffusione e la valorizzazione della passione e dell’esercizio dell’arte musicale, in primo luogo di quella corale negro spiritual e gospel», che riunisse e fosse punto di riferimento per le centinaia di cori gospel italiani. «C’è la Feniarco, la Federazione nazionale delle associazioni corali regionali», spiega, «ma il mondo gospel ne rappresentava un discorso minore. Si stava perdendo l’occasione di parlarci: il pericolo era disperderci. La Federazione non vuole uniformare, ma capire il territorio e creare un ambiente comune di condivisione e di scambio: non vogliamo creare un coro nazionale, ma interpretare il messaggio del Vangelo». La Feder Gospel è attivissima: organizza workshop per direttori e coristi, master class, festival (tra tutti Milano da… gospel, rassegna di concerti per beneficenza), ha una sua rivista online e un sito web con gli eventi, le novità, più una sorta di “censimento” dei cori italiani.

«Nel gospel il messaggio è parte integrante, non si può separare la performance dal messaggio. Se un coro gospel è finto si percepisce subito: non funziona», afferma Michele Marando, basso in Jazz Gospel Alchemy Choir e chairman di Feder Gospel: «Il gospel ha successo perché è di facile ascolto, semplice da cantare, di grande energia. Il solista del coro gospel è il rappresentante del coro, non è la primadonna: è il preacher. Come il direttore è lo specchio del coro, il solista è la sua voce: se non funziona a livello personale lo capisci subito. Quando canti in un coro condividi con gli altri una serie di cose: le regole (le note e le parole), ma soprattutto le emozioni. Non puoi emozionarti con gli estranei. Nasce spontaneamente uno spirito di partecipazione, la creazione di relazioni interpersonali che ti fanno cantare in un certo modo. A volte si raggiungono certe intensità che ti portano alle lacrime, di cui non ti vergogni».

Un’altra realtà è Gospel Connection, che nasce da Alma Music Project di Perugia, la cui missione è «radunare in un’unica compagine organizzata la grande moltitudine di amanti del gospel sparsi in tutto il mondo attraverso una rete di eventi e progetti collegati fra loro». Un appuntamento annuale per circa 150 coristi provenienti da tutta Italia: seminari, momenti di preghiera, liturgical dance, feste. «Si è creato un rapporto di stima, affetto e, con alcuni, di grande amicizia», ci racconta Fausta Molfini. «Siamo diventati una grande famiglia, non c’è competizione né invidia tra di noi e aspettiamo con ansia il momento di ritrovarci tutti lì a scambiarci esperienze e vivere insieme intense e ricche giornate di puro gospel»

Differente il progetto di Francesco Zarbano, un entusiasta piacentino che quasi due anni fa ebbe l’idea di creare, dalla Federazione italiana ricerca di musica e arte (Firma), l’Italian Gospel Choir, che riassume così: «Vuole essere un coro gospel nazionale. Il calcio ha tante squadre, ma una sola nazionale: noi vogliamo fare lo stesso. In Italia ci sono tanti cori gospel, si superano le 3 mila unità, è un sottobosco vivo e attivo che coinvolge e unisce le famiglie (moglie, marito, figli) in un ciclo vitale. Dire “viva il Signore” in gregoriano ottiene una risposta, dirlo in gospel un’altra. Per noi importante è il coinvolgimento, lanciare un messaggio. La matrice religiosa è tutto: tutti i brani hanno un messaggio molto profondo legato a Dio e alla fede, ma proprio perché riteniamo che la fede sia nella totale libertà di ciascuno, non vogliamo condizionare nessuno: in Italian Gospel Choir, dunque, entra qualsiasi confessione. Noi parliamo a Dio per Dio con quello che cantiamo: io lo faccio da cattolico, ma se tu sei musulmano e ti piace… perché no? La musica deve essere un fattore di unione: Italian Gospel Choir è nata per unire e creare un momento unico di condivisione artistica, che va oltre ogni protagonismo». Zarbano considera il battesimo di Italian Gospel Choir il concerto del 10 settembre 2011 sul sagrato del duomo di Milano: «Non conoscevamo nessuno, eravamo degli sconosciuti da Piacenza: monsignor Luigi Manganini, l’arciprete del duomo, ha subito creduto in questo progetto: 450 coristi da ogni parte d’Italia a cantare gospel sul sagrato e un pubblico in piazza di 40 mila spettatori: abbiamo avuto problemi logistici enormi, ma tutto è filato alla perfezione… Forse Dio era con noi quel giorno!».

Donatella Ferrario

jesus novembre 2012