Vangelo della domenica. Dio non è dei morti, ma dei viventi (Lc 20,27-38)

(a cura Redazione “Il sismografo”)

In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni sadducèi – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto: “Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello”. C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la donna. La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie».Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: “Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».
Parola del Signore.
Commento di mons. Pierbattista Pizzaballa
Il brano di Vangelo che ci viene offerto dalla Liturgia di questa domenica (Lc 20,27-38) è ambientato in un contesto diverso rispetto alle domeniche scorse.
Se finora, infatti, abbiamo seguito Gesù nel suo cammino verso Gerusalemme, oggi lo vediamo dopo il suo ingresso nella Città santa. In questo capitolo 20 e nel contesto del tempio, l’evangelista presenta diverse diatribe tra Gesù e gli scribi, i farisei e, come in questo caso, i sadducei. Le discussioni con Gesù sono su argomenti diversi che però, letti assieme, ci aiutano ad avere una visione più completa del brano di oggi sulla risurrezione. Si inizia con il discutere sull’autorità di Gesù (v. 2); Gesù torna a parlare di Giovanni il Battista e del suo ruolo profetico (vv. 3-8); segue poi la parabola del padrone della vigna e dei vignaioli omicidi (vv.9-19), che si riferisce a Gesù, alla sua venuta a Gerusalemme e al suo destino di morte, pur essendo il profeta più grande di tutti; c’è poi la domanda sul tributo a Cesare (vv. 20-26), perché sarà ai romani che Gesù verrà consegnato per la sua esecuzione; segue quindi il brano sulla risurrezione (vv. 27-40) con la domanda sulla figura di Davide. Il Messia – dice Gesù – sarà figlio di Davide, ma anche Signore di Davide (vv.41-44).
Tutti questi brani sono importanti in sé, certamente, ma letti insieme presentano in breve la storia di Gesù, la sua vita, la sua missione e il suo destino di morte e risurrezione. Sono una sintesi di tutto il Vangelo: Gesù è unto come Messia da Giovanni il Battista. La parabola della vigna rappresenta il ministero di annuncio della Parola di Dio, dei profeti prima e infine di Gesù. Egli annuncia il Vangelo nelle città di Galilea e da ultimo a Gerusalemme, supplica i vignaioli di accettarlo, ma essi lo respingono, invocando così il giudizio su se stessi. Viene consegnato agli uomini di Cesare per l’esecuzione; e il terzo giorno è risuscitato. Dopo la risurrezione i discepoli comprendono che Gesù non è solo il figlio di David, il Messia, ma è anche il Signore di Davide (44).
In questo contesto comprendiamo che il brano sulla risurrezione anticipa ciò che sarà il destino di Gesù.
Gli interlocutori di Gesù in questa discussione sono sadducei (Lc 20,27). Finora Gesù si è scontrato soprattutto con i farisei, e con loro l’argomento delle dispute era soprattutto di carattere morale, riguardava l’interpretazione e l’osservanza della Legge.
Con i sadducei dialogo non è tanto di carattere morale: i sadducei erano un gruppo dell’aristocrazia che si rifaceva solo all’autorità del Pentateuco e rifiutava tutta la tradizione orale dei farisei e le loro dispute.
Essi non credevano nella risurrezione (Lc 20,27), per cui la loro domanda vuole essere una provocazione e una banalizzazione dell’argomento, per affermare che la risurrezione non ha senso e non risolve il dramma della vita.
Non credendo alla risurrezione, raccontano una storia di morte, che è anche una storia di dolore, in cui è evidente la vanità, l’inutilità dello sforzo umano, tutto teso a superare la morte.
Gesù nella risposta alla loro provocazione dice innanzitutto di credere nella risurrezione. E dice che il credere nella risurrezione non è frutto di disquisizioni filosofiche, ma scaturisce dalla semplice constatazione di essere figli di Dio (Lc 20,36): “infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio”.
Allora, credere nella risurrezione significa avere fiducia, fiducia in un Padre che non solo è buono, e quindi non abbandona i suoi figli, ma è anche capace di annientare il nemico della vita, che è la morte.
Gesù dice, inoltre, che c’è un altro modo di vivere. La fede nella risurrezione dà la possibilità di vivere fin da ora una vita diversa, in cui il legame con Dio è possibilità di restare liberi dalla paura della morte. Perché la morte è quel nemico capace di rendere la vita triste, come la vita della donna di cui parlano i sadducei, una donna usata per cercare di togliere alla morte un po’ del suo potere.
Ecco, sembra dire Gesù, questo non è più necessario, perché chi ha fiducia nel Padre rimane vivo, e non può più morire (Lc 20,36), non deve più cercare a tutti i costi di garantirsi una sopravvivenza, ma può pregustare, fin d’ora, una vita che sa di non morire.
Il legame con Dio è la nostra risurrezione.
E questo varrà anche per Gesù, nell’ora ormai vicina in cui sarà messo a morte: Gesù vince la morte per il suo legame con il Padre, per la sua obbedienza, per la sua fiducia.
Se la mancanza di fiducia porta l’uomo a cercare da sé la via della vita, e quindi, paradossalmente, ad allontanarsi dal Padre e cadere nella morte, la fiducia in Lui mantiene in un legame con Dio che è per sempre, e che è garanzia di vita. Muore tutto ciò che non è legato a Dio, che non rientra in una relazione con Lui, e che si ferma alla natura, o alla Legge. Non a caso i sadducei citano Mosè, e quindi la Legge.
Ma la Legge è incapace di vincere la morte e, come nel caso della donna, può solo cercare di aggirarla, nei modi più maldestri.
Chi invece si affida e consegna la sua vita a Dio, come Gesù sulla croce, non può più morire.
+ Pierbattista