Una parabola per Mons. Alberto Aguzzoli nel suo centesimo compleanno

Siamo qui oggi riuniti per un giorno di festa. Mons. Aguzzoli, con il passo del montanaro che non perde mai il senso del cammino e lo sguardo verso la méta, ha raggiunto il traguardo dei suoi primi 100 anni di vita, i 75 di vita sacerdotale, i 66 di ministero pastorale qui a Carniana, i 10 anni di Monsignore della montagna. Ho letto una volta il racconto di una vocazione alla vita monastica intitolato “Il monaco come parabola”. Mi chiedo oggi, se anche la vita sacerdotale di un prete possa essere letta come una parabola, una parabola lunga da raccontare: “la parabola della quercia centenaria”. Lo farò ricorrendo a delle immagini.

 
Il seme
 
Charles Péguy, lo scrittore francese convertito alla fede cristiana dopo un pellegrinaggio alla cattedrale di Chartres, inizia così una sua poesia: “E quando si vede l’albero, quando guardate la quercia, la rude scorza della quercia centenaria, la dura scorza rugosa e i rami che sono un guazzabuglio di braccia enormi e le radici che affondano e impugnano la terra come un guazzabuglio di gambe enormi, quando vedete tanta forza e tanta rudezza, la piccola tenera gemma scompare del tutto … EPPURE È DA LEI CHE AL CONTRARIO TUTTO VIENE.
Sì, arrivare alla bellezza dei 100 anni di vita, caro Mons. Alberto, è fare memoria delle radici dell’albero della vita: del paese di Gavasseto, che ti ha dato i natali, della casa che ti ha accolto chiamato per nome da mamma e papà, della parrocchia dove hai ricevuto il Battesimo, entrando a far parte della vita della comunità guidata da Don Gardino Maffei, parroco di Gavasseto per ben 58 anni: una bella scuola di longevità per te, già da piccolo.
Anche la vocazione sacerdotale come il seme gettato dal Signore nel terreno ha bisogno di maturare nel tempo, lungo le diverse stagioni dell’anno, di anno in anno segnate dall’impegno negli studi, dalle ore della preghiera comunitaria e personale, dai momenti di prova, di esami, di discernimento vocazionale, fino al giorno della tua Ordinazione presbiterale, che ti è stata conferita per imposizione delle mani del vescovo Eduardo Brettoni nella Cattedrale a Reggio.
 
L’albero
 
Qui nel cuore della vita della Chiesa, dove il vescovo ha la cattedra per l’annuncio della fede, l’altare per la celebrazione del sacrificio di Cristo e la vicina Mensa del povero per l’esercizio della carità verso tutti, il seme della vocazione sacerdotale di don Alberto ha iniziato a crescere come l’albero. “Come albero piantato lungo corsi d’acqua, che dà i suoi frutti nella sua stagione e le sue foglie non appassiscono mai”, recita il Salmo che inizia l’intero Salterio (Sal 1,3).
Per la verità, diventato prete, don Alberto viene mandato come vicario parrocchiale a San Martino in Rio, grossa parrocchia del correggese, già dal 1200, eretta a colleggiata a scapito della pieve di Prato e di Gazzata, ridotte a curazie. Arrivato giovane curato – così mi confidavi un giorno – per nove anni hai potuto svolgere il tuo ministero con generosità, eccetto che nella predicazione che restava riservata all’arciprete. Un arciprete, Mons. Guido Iori, che parlava chiaro, che si esponeva, correndo con te rischi fino ad essere messi ambedue in prigione.
Ed eccoti finalmente parroco qui a Carniana dal 1945, nell’immediato dopo guerra: parroco tra la gente. Mi confidava un giorno don Gino Castellini parroco di Cerré Sologno: “Appena arrivato a Cerré Sologno, prima mi bastava suonare la campana e la gente si muoveva per andare alla chiesa: piccoli e grandi, donne e uomini. Poi è il parroco che ha imparato a uscire di casa, visitare gli anziani e gli ammalati, portare parole di speranza nelle case provate dal lutto, correre a Genova o a Milano vicino ai propri parrocchiani emigrati in cerca di lavoro”.
Anche la montagna ha vissuto e sta vivendo una profonda trasformazione: lo spopolamento di alcune sue zone, l’invecchiamento dei suoi abitanti, il venire meno dei mestieri tradizionali come l’agricoltura e la pastorizia che davano lavoro a tante famiglie. Eppure, anche la montagna, come ho già detto tante volte, è parte della Diocesi, con la sua storia, le sue tradizioni e cultura. Pensare alla montagna solo come patrimonio ambientale o risorsa per il turismo sarebbe troppo riduttivo. I campanili, le chiese, le case sparse lungo le sue valli e i crinali custodiscono ben altri messaggi per chi li vuole ascoltare.
 
I frutti
 
Mi sono commosso quando ho letto di un mio confratello nel sacerdozio — padre D. M. Turoldo, qunad’era a Milano — il quale tutte le volte che entrava in una chiesa, per prima cosa invocava i santi di quella particolare chiesa, e non solo i Santi degli altari, ma quelli che vi sono passati. I santi qui, che su queste panche hanno pregato, fatto festa, magari pianto nei momenti di prova: santi nascosti  e dimenticati, santi oscuri i cui nomi — stupenda calligrafia di Dio — sono scritti in cielo.
Dovremmo abituarci, venendo qui in chiesa, anche noi a pregare così: “Santi che ho incontrato nella mia vita, pregate per me”. Senza saperlo, chissà, ci capiterà a questo modo di invocare qualche amico o familiare, forse nostro padre e nostra madre che ci hanno dato quello che nessun altro ci ha saputo dare: l’intelligenza del cuore, la saggezza della vita.
Nomi cari, nomi familiari. Nomi di parroci che come San Paolo, lo abbiamo sentito nelle letture, possono dire: “So vivere nella povertà, come nell’abbondanza… Tutto posso in colui che mi dà forza”. Nomi di preti che negli anni bui della guerra sono diventati vittime con altri delle violenze di opposti totalitarismi: Don Pasquino Borghi, parroco di Tapignola, e Don Giuseppe Iemmi, curato di Felina, per citarne due di questa zona.
Preti come te, caro Mons. Alberto, con don Gino Castellini (parroco a Cerrè Sologno), don Raimondo Zanelli (paroco a Cavola, Corneto, Cerrè Marrabino), don Battista Giansoldati (emerito di Castelnovo Monti), don Aldo Orienti (parroco a Cagnola), don Pietro Gallerini (parroco a Leguigno e Migliara)… siete come alberi secolari, che più di ogni altra barriera in caso di frane, tengono su la montagna.
Vorrei, caro Mons. Alberto, con te e la tua gente qui riunita, ringraziare il Signore per il dono del Sacerdozio, testimoniato in tanti anni di ministero in montagna, accompagnato dalla tua fedele domestica Pierina, e pregare anche per te un altro Salmo in proposito: “Nella vecchiaia daranno ancora frutti, saranno verdi e rigogliosi”. È il Salmo 92.
Per alberi come te, la vita non è questione di età, ma di radici profonde nel terreno della fede, di vitalità del tronco nella carità, di aria e di clima sereni e propizi, nell’attesa che “per il fedele compimento del dovere ci sia dato in futuro il premio eterno”.
 
+ Adriano VESCOVO
 
Carniana, 9 ottobre 2011, Omelia nel centenario della nascita di Mons. ALBERTO AGUZZOLI, attuale parroco di Carniana.