Un respiro regalato con la magia di un clic

di Silvia Guidi

"Funziona così anche nella vita normale, fuori da qui, in ufficio, in azienda o in fabbrica; se l’ambiente dove si lavora è bello, a fine giornata ci si sente meno stanchi – spiega Alessandra, infermiera professionista con tanti anni di esperienza alle spalle – quando entri in un ospedale da paziente, la prima impressione, oltre alla paura di soffrire e di essere tagliato fuori dal mondo reale che continua a esistere là fuori, è il terrore di essere "espropriato di te stesso"; per questo è ancora più importante che le stanze, i corridoi, il paesaggio che si vede dalle finestre, insomma tutto ciò che circonda il malato lo aiuti a non sentirsi un pacco postale spedito da un ambiente all’altro, ma sempre – e, talvolta, nei casi più fortunati, più di prima – una persona". Alessandra sta visitando "Il sogno della natura. Dal curare al prendersi cura. La persona e l’ambiente: un dialogo per la salute", una mostra fotografica allestita al piano terra e nelle unità di ricovero ai piani di degenza del policlinico Tor Vergata; è venuta a Roma perché vorrebbe proporre un’iniziativa simile anche all’ospedale dove lavora, Villamarina di Piombino. L’allestimento a Tor Vergata, inaugurato nel giugno scorso e visitabile fino alla fine di settembre, non è fisso, ma in movimento permanente; le immagini di Giancarlo Mancori, fotografo specializzato in wild life, vengono spostate a rotazione perché tutti i pazienti possano vederle comodamente. Un progetto realizzato a costo zero per l’ospedale e "grazie alla sensibilità dello staff di Tor Vergata" ci tengono a precisare gli organizzatori. "Allocchi, balestrucci, cavalieri d’Italia, farfalle vanesse, folaghe, lupi, cerbiatti, orsi, svassi, upupe, verzellini. In queste fotografie animali dai nomi spesso dimenticati o confinati ai manuali di zoologia si muovono con eleganza, guardando verso lo spettatore – si legge nel catalogo della mostra – le immagini riportano la natura a chi, in un letto di ospedale, riesce solo a sognarla. Gliela consegnano così com’è all’esterno, nella sua realtà selvaggia e splendida". Da anni Alessandra applica nel suo posto di lavoro quella che chiama "la terapia dei cinque cuscini". Villamarina è una "normale" struttura pubblica, ma quasi tutte le stanze, grazie alla posizione panoramica dell’edificio, sono camere con vista sul blu accecante della lingua di mare che separa il promontorio roccioso di Piombino dall’isola d’Elba. "Le correnti disegnano diagonali turchesi, azzurro cupo o celeste acquamarina, variamente intrecciate a seconda delle ore e del giorno e del variare della luce – racconta Alessandra – io stessa le guardo con occhi diversi dopo aver letto la bellissima citazione di Antoine de Saint-Exupéry che una paziente mi ha spedito via mail appena tornata a casa dopo un lungo periodo di degenza: "Se vuoi costruire una nave non radunare gli uomini per raccogliere il legno e distribuire i compiti, ma insegna loro la nostalgia del mare ampio e infinito". Nel tempo, diventa sempre più chiaro che se vogliamo costruire insieme la nave della guarigione dei nostri pazienti non possiamo limitarci a somministrare le terapie giuste, ma dobbiamo anche aiutarli a trovare la motivazione per seguire il programma terapeutico quando è forte la voglia di lasciarsi andare" continua Alessandra. "I cinque cuscini in più che porto in stanza messi dietro la schiena, permettono al malato di "alzare lo sguardo" e vedere il mare, nel senso materiale ma anche spirituale del termine. "Alzare lo sguardo" è possibile anche nel caso di malattie terminali, o molto gravi e invalidanti; i farmaci che abbiamo a disposizione permettono nella maggior parte dei casi di togliere il dolore ma non la lucidità. Ricordo una paziente che a tre giorni dalla morte aveva ancora l’energia di ridere alle barzellette del fratello che era venuto a farle visita, portandole vecchie foto e vinili graffiati anni Sessanta, e di salutarmi ripetendo in un soffio, ma con il sorriso negli occhi durante un arrivederci che non sapeva quanto potesse essere lungo, "Non dimenticarti i cinque cuscini"". La terapia della Bellezza (con la maiuscola) è sempre stata presente nella tradizione cristiana dell’accogliere e del curare che ha dato vita ai primi "spedali" nel medioevo. "Li infermi deggano essere ricevuti benignamente e graziosamente" si legge nell’antico statuto di Santa Maria della Scala a Siena; malati, poveri, pellegrini e bimbi orfani, quelli che all’epoca venivano chiamati "i gettatelli", venivano accolti in ambienti spaziosi e riccamente decorati "affrescati da pittori del calibro di Simone Martini – chiosa Carlo Valerio Bellieni, neonatologo dell’ospedale Santa Maria alle Scotte di Siena -. Tutto questo è stato accantonato in nome dell’efficienza, un criterio teoricamente giusto, ma che ha fatto dimenticare completamente la bellezza; il paziente dev’essere protagonista della propria cura e della propria guarigione anche in questo senso". In una lettera ricevuta recentemente dallo staff medico dell’ospedale di Tor Vergata, un paziente descrive gli "effetti collaterali" della mostra; il testo che riportiamo di seguito è leggermente modificato per tutelare la privacy della persona che l’ha spedito. "Vorrei ringraziarvi per aver esposto "Il sogno della natura" lungo i corridoi del policlinico – scrive il paziente – sono immagini che possono regalare "respiro" ai malati (almeno così è successo a me) nel loro duro percorso che avanza in mezzo a timori, aspettative e speranze. Come malato oncologico conosco il policlinico da un anno e da quella data ho posto attenzione a cosa significa respirare, non solo nel senso materiale del termine. La degenza in ospedale mi ha insegnato ad amare e apprezzare ogni singolo giorno, ho capito che un solo giorno vissuto con la consapevolezza di essere importante per qualcuno, di essere portatore (al momento non) sano di un valore vale una vita e visto il mio percorso questa affermazione non è un’esagerazione o una frase detta tanto per dire. Tutto è nato dal consiglio che mi ha dato un medico, una persona adesso a me carissima, nel momento della difficoltà, ovvero: la vita si gioca nell’istante, focalizza i pensieri sull’oggi, domani è altro, domani sarà altro. Il giorno prima dell’operazione ho pensato che, comunque sarebbe andata, niente avrebbe cambiato il giudizio di cui mi sentivo capace.

Fino a oggi, da quel momento di crisi di un anno fa ho vissuto più di cinquecento giorni di "respiro". Con le parole sto provando a dare immagine al respiro; l’autore della mostra è riuscito a farlo con le foto esposte". Alla mostra in corso si stanno aggiungendo altre iniziative, volte a coinvolgere attivamente i pazienti nella lettura "artistica" della propria esperienza. "Il kit "Una cartolina per dare voce al prendersi cura" è ormai pronto – si legge in una mail inviata da un membro dello staff – ora tocca a noi della Medicina Narrativa fare della bellezza delle immagini e dell’oggetto un’occasione di scrittura. Stiamo partendo con tanti micro-progetti in tante situazioni diverse e con tanti destinatari differenti. Ti faremo sapere come sta andando, ma già i primi passi sono entusiasmanti. Non riesco a descriverti la meraviglia e lo stupore di chi apre il cofanetto e trova quelle immagini così evocative". (©L’Osservatore Romano – 25 agosto 2010)