Un gesto di generosità viene criticato e condannato prima sui social e poi sui giornali. Ma l’amore fraterno è gratuito e universale

«La cura per la natura è parte di uno stile di vita che implica capacità di vivere insieme e di comunione. Gesù ci ha ricordato che abbiamo Dio come nostro Padre comune e che questo ci rende fratelli. L’amore fraterno può solo essere gratuito, non può mai essere un compenso per ciò che un altro realizza, né un anticipo per quanto speriamo che faccia. Per questo è possibile amare i nemici. Questa stessa gratuità ci porta ad amare e accettare il vento, il sole o le nubi, benché non si sottomettano al nostro controllo. Per questo possiamo parlare di unafraternità universale” (LS 228).

Certo non tutti sono d’accordo, ahimé talvolta cristiani cattolici compresi, ma è proprio così. Parola di Pietro, quello attuale che di nome fa Francesco.

Non è certo una novità, o una sua rivoluzione: è Vangelo, rivela candidamente. Dovremmo già esserne informati, da duemila anni.

E qualche volta succede davvero, anzi, per fortuna succede assai spesso che vengano compiuti gesti di fraternità, in assoluta e totale gratuità.

A partire dalla vita di una famiglia dove i genitori non chiedono nulla in cambio per la cura dei figli piccoli, né, da grandi, li sfiorerà il pensiero di ricordare loro le notti passate in bianco o quant’altro, ci mancherebbe. Il gratis è gratis.

Così quella mamma che, appena tornata dal lavoro, accoglie per qualche ora in affido temporaneo un bimbo che avrà l’occasione di fare i compiti insieme ai suoi figli (trovando un tavolo e una briciola di tranquillità che a casa sua sarebbero una chimera), o quell’avvocato che presta gratuitamente il suo patrocinio per chi non potrebbe pagare, e ancora quel commercialista o quell’ingegnere che preparano ogni cosa per la sistemazione di una casa fatiscente senza chiedere nulla in cambio come l’artigiano che offrirà gli infissi o il commerciante che procura un mobilio di base o un po’ di alimenti per quella famiglia che non ce la fa: tutto gratis.

Come sappiamo bene, la destra spesso non conosce neanche cosa fa la sinistra. Eppure le cose si fanno e sono tante.

Ma nessuno aveva fatto ancora i conti coi social e … l’egoismo delle persone.

Così quanto accaduto nei giorni scorsi ha dell’incredibile ed è un segnale inquietante di una mentalità che va esattamente all’opposto della “fraternità universale” indicataci dalla Laudato Si’ e, ben prima, dal Vangelo.

I fatti sono stati ripresi a livello nazionale: alcuni maestri di sci hanno deciso, in accordo con la loro Scuola e alcuni commercianti noleggiatori di attrezzature sportive, di offrire – gratuitamente, perché no? – qualche ora del loro lavoro per allietare la vita di alcuni ospiti nel centro di accoglienza profughi gestito dalla Caritas (alcuni che la neve non l’avevano mai vista). Occorre dire che siamo in una valle alpina dove il volontariato è di casa e quei maestri di sci sono anche vigili del fuoco volontari o fanno parte, sempre a titolo gratuito, del Soccorso alpino (in una valle vicina in questi giorni si sono mobilitati in 50, sempre gratis, per andare alla ricerca di due ragazzi di pianura che si erano avventurati, senza chiedere informazioni, in un’escursione inadatta alla stagione e li han trovati solo alle prime luci dell’alba …) o della banda folkloristica (che non suona solo per i turisti, ma fa servizio ai funerali, ai momenti di festa, educa i ragazzi alla musica ecc.) o sono avvezzi ad aiutare gli anziani del paese al bisogno (portare la spesa o fornire medicinali e legna, accudire nella stalla, ripulire l’orto, fare attenzione che davanti alla porta di casa ci sia sempre del sale per evitare il formarsi del ghiaccio..).

Come dire: donare gratuitamente il proprio tempo non è niente di eccezionale per quanti hanno respirato certi comportamenti e li han fatti propri fin da piccoli. E in quell’ambiente è così: si fa, senza alcuna pubblicità, ovvio.

E poi uno potrebbe sempre obiettare: ma ciascuno non è libero di occupare come crede il proprio tempo? (sempre che non si tratti di procurar male al prossimo). E invece no.

Evidentemente nel nostro Paese di battezzati e di cattolici al cubo (soprattutto quando si tratta di chiacchiere e dichiarazioni di principio) molti han preferito ripetere quanto descritto nella parabola degli operai dell’ultima ora (Mt 20, 1-16). «Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure sei invidioso perché sono buono?», dice il padrone a quanti si lamentavano per aver ricevuto la stessa paga di quelli arrivati per ultimi. Appunto “gli ultimi saranno i primi”.

Ma quanti l’hanno capito? Non certo quelli che hanno inondato di insulti quei ragazzi, da ogni parte d’Italia. Perché, secondo loro, questo proprio non si doveva fare. Far trascorrere qualche ora di sano relax ad alcuni poveri cristi (tra l’altro senza intasare – leggi dar fastidio – funivie, seggiovie o altro, solo in un “campetto” scuola) quello no. La tesi è semplice: in tempo di crisi, i profughi non possono avere nulla gratis (tra parentesi in moltissime stazioni di Trentino e Sudtirolo i bambini sciano gratis, in presenza dello skipass dei genitori…).

Vero che i social sono anche veicolo delle peggiori sensibilità che si trasmettono per tam-tam, ma è altrettanto tremendamente vero che dobbiamo recuperare il senso di un bene comune, di una civile convivenza, di fraternità “gratuita”: quel sentimento che permette di agire, senza chiedere nulla in cambio. Occorre recuperare quello che ancora una volta ci indica la Laudato Si’: i diversi livelli dell’equilibrio ecologico. “Quello interiore con se stessi, quello solidale con gli altri, quello naturale con tutti gli esseri viventi, quello spirituale con Dio” (LS 210).

Quando ci poniamo quella domanda, che attraversa tutta l’enciclica: «Che tipo di mondo desideriamo trasmettere a coloro che verranno dopo di noi, ai bambini che stanno crescendo?» (LS 160), occorre rendersi conto, che quello che c’è in gioco è “la dignità di noi stessi”. «Siamo noi i primi a trasmettere un pianeta abitabile per l’umanità che verrà dopo di noi. È un dramma per noi stessi, perché ciò chiama in causa il significato del nostro passaggio su questa terra» (LS 160).

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