Umanesimo. I codici greci di Niccolò V, un ponte di libri tra Roma e Bisanzio

I manoscritti, registrati in un inventario del 1455, sono stati rintracciati nei volumi della Biblioteca Vaticana. Una caccia al tesoro che illumina storia e senso di un patrimonio unico al mond
Il Salone Sistino della Biblioteca Apostolica Vaticana

Il Salone Sistino della Biblioteca Apostolica Vaticana – WikiCommons

Un catalogo di manoscritti greci raccolti dalle assidue ricerche di un papa umanista nel XV secolo sembra un lavoro da e per specialisti. E in parte lo è, non fosse altro per la sua mole di quasi mille pagine a stampa: nel senso però che necessariamente determinati lavori passano attraverso lunghe ricerche, perfezionamenti di metodo, tempi che non possono misurarsi con produttività a rigida scadenza.

È così che ci si presenta I codici greci di Niccolò V, a cura di Antonio Manfredi e Francesca Potenza (Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 2022, pagine 968, euro 52,00) edizione “introdotta e commentata” del catalogo dei manoscritti greci di papa Niccolò V, il sarzanese Tommaso Parentucelli, papa dal 1448 al 1455, al quale si devono gli inizi della biblioteca che oggi chiamiamo Biblioteca Apostolica Vaticana.

Della biblioteca di Niccolò V si è conservato un prezioso inventario compilato nel 1455 da Cosimo di Monserrat, bibliotecario di Callisto III, successore immediato del papa di Sarzana: è il più antico elenco fra i non pochi che nei decenni successivi descrivono la Biblioteca Vaticana nel suo progressivo evolversi dai primordi umanistici alla piena età moderna. L’inventario di Cosimo riguarda sia i codici latini, in numero di 824, sia quelli greci, in numero di 415. La sezione latina era già stata edita diversi anni fa. Dalla pubblicazione di quella greca è emerso un panorama notevole: i tre quarti dei codici allora catalogati ancora sono presenti nei fondi antichi della Vaticana. Una conservazione eccellente: unica al mondo per queste quantità. La biblioteca del Papa quindi conserva quasi integro il suo nucleo umanistico fondativo.

E allora che senso ha questo libro? Prima di tutto la volontà di documentare minutamente nient’altro che un restauro: i codici erano tutti lì, l’inventario era già edito. Il restauro consisteva quindi nel combinare finalmente codici e inventario. Ed è iniziata così una vera e propria caccia al tesoro: cercare dentro più di un migliaio di manoscritti del fondo più antico vaticano, quelli descritti nel 1455, sviluppando tecniche di identificazione sicure e affidabili. Rimettere in ordine insomma le tessere di un mosaico che pian piano ha svelato il suo disegno di pietre colorate e contrastanti. Ed è successo in piccolo ciò che deve essere accaduto quando si è messo mano a grandi o piccoli restauri pittorici. Ma se per i restauratori una fatica è, ad esempio, quella di pulire senza cancellare o alterare, per due filologi e paleografi, gli autori del volume – Antonio Manfredi, scrittore latino della Biblioteca Vaticana, e Francesca Potenza, allieva della Scuola Vaticana di Biblioteconomia e attualmente assegnista di ricerca a Palermo – si trattava di accostarsi a libri e documenti con estrema prudenza, senza prendere abbagli nelle identificazioni, ma anche con il coraggio di svelare guasti, perdite, approssimazioni, e di rimettere a fuoco i molti tesori librari riscoperti.

Era poi necessario prima di tutto di non farsi abbagliare da certi miti, per esempio due, tra i più ingannevoli. Quello di una specie di riconquista trionfale del greco da parte degli umanisti latini nel primo Quattrocento e quello dei cosiddetti papi mecenati. La riscoperta del greco, raccontata poi dagli umanisti stessi come una specie di cavalcata vittoriosa, fu invece un durissimo incontro con una cultura altra e forte, rimasta distante dalle certezze scolastiche e dalle affannose ricerche testuali dei primi umanisti. In questo senso costituiscono una vera svolta gli oltre quattrocento codici greci recuperati da Niccolò V e dai suoi collaboratori, organizzati a Roma in una biblioteca greca completa sia per la classicità profana, sia per gli scritti biblici e patristici, antichi e moderni.

Bisognava anche uscire dalle generalizzazioni dei papi mecenati: figure incasellate tra potere e velleitarismi culturali, tra riforme e controriforme, tra riaffermazione delle prerogative pontificie e ambizioni mondane, in una specie di eterna contraddizione tra spiritualità e giochi di potere. Come se poi tutto sempre andasse a finir lì, al potere e alle sue manifestazioni e giustificazioni esteriori. Niccolò V, papa di passaggio tra prima e seconda parte del secolo dell’Umanesimo, non fu certo un papa mecenate, ma un teologo serio e un ricercatore di testi antichi, biblici e patristici; un uomo con le doti per lanciare un vero dialogo culturale tra le due sponde del Mediterraneo.

E infatti il mosaico ricostruito della biblioteca greca rivela non una semplice collezione di opere, ma una ricca raccolta libraria bizantina, completa non solo degli scritti dell’antichità, ma anche di teologi orientali del tempo. E per questo mezzo il papa che da giovane aveva collaborato attivamente al concilio di Ferrara e Firenze per l’unione delle due Chiese, intendeva fornire alla Santa Sede uno strumento fondamentale per un dialogo direttamente posto sotto la sua persona: una biblioteca bilingue, basata sullo spirito culturale degli umanisti, quello di andare alle fonti; una biblioteca in cui convivessero due anime profonde, quelle che papa Francesco chiama i due polmoni della cristianità. Ed è tragicamente significativo che un dialogo di questo tipo si sia infranto proprio durante il pontificato di Niccolò V, con la caduta nel 1453 di Costantinopoli e con il distanziarsi sempre più marcato delle due Chiese che avevano provato a parlarsi negli anni vivacissimi del concilio fiorentino. Non dunque un papa meramente umanista, ma un uomo che volle guardare al presente e al futuro, e fornire strumenti di confronto tra le culture, senza il ricorso alle armi, alle più volte rinnovate e fallimentari crociate.

Il mosaico restaurato della prima Vaticana e dei suoi codici rivela dunque un progetto sorprendente, che guarda molto oltre i suoi tempi e che potrà ora essere studiato con cura. Restauri di questo tipo si possono compiere in luoghi dove un’accurata conservazione nei secoli permette di operare con tecniche nuove su materiale ampiamente disponibile: uno di questi luoghi è certamente la Biblioteca Vaticana, oggi ricca di tecnologie e di progetti per il futuro, che però poggia ancora sulla prospettiva fondamentale della disponibilità al dialogo e al confronto, secondo l’intuizione del suo papa fondatore.