Tv: che sia arrivato, con il Natale 2013, il grimaldello che mette in crisi i finti imperi?

Cari Amici,
forse è soltanto una fantasia, come la stampante a tre dimensioni che ci permetterà di realizzare la versione bonsai di ciascuno di noi. Ma quella che ho letto nei giorni scorsi sui quotidiani è comunque l’anticipazione che merita un approfondimento. I titoli, sempre troppo enfatici, l’hanno definita «La macchina che può arrestare il tempo». Di che cosa si tratta? Di un apparecchio, già disponibile sul mercato, che permetterà ai telespettatori di vedere dall’inizio il programma tv che desiderano seguire, in qualunque momento accendano la televisione.
La rivoluzione a suo tempo introdotta dal videoregistratore, e portata avanti con la geniale intuizione di My Sky (solo per la pay tv), arriva ora al suo culmine. Scriveva la grande regista e drammaturga francese Arianne Mnouckine che ogni Rivoluzione dovrebbe arrestarsi alla perfezione della felicità. Una frase ad effetto che, solo per un istante, utilizzerei per interrogarmi sul livello raggiunto dal sistema televisivo odierno. La macchina del tempo annunciata, che segue i nostri desideri e si adegua ai nostri appuntamenti, piegando ogni programma tv alle nostre abitudini, è senza dubbio − se davvero funzionerà così − una rivoluzione. Se poi porterà anche la felicità ai telespettatori (o quantomeno ristorerà la loro inquietudine di viaggiatori del telecomando), è difficile dirlo. Di certo, offrirà una straordinaria potenzialità ai creativi della Tv. Non  solo, però. Finora la Televisione si è confrontata con quello che forse è il principale dei suoi limiti: l’impossibilità di costruire programmi perfetti come tendono ad esserlo, almeno nelle intenzioni, un testo teatrale, cinematografico, letterario.
Un testo, come ogni libro, solitamente lo si legge dall’inizio. Al cinema non si entra a spettacolo iniziato, e tantomeno a teatro. Dal canto suo, un programma televisivo non gode certo del privilegio di essere fruito nella sua interezza, e soprattutto quasi mai dal suo incipit. Il che rende impossibile costruire proposte fatte di rimandi e segnali da interpretare successivamente, perché escluderebbero tutti coloro che si sintonizzano ad appuntamento iniziato. La durezza del palinsesto ha costituito un limite nella scrittura. Ora però gli alibi sono destinati a cadere. Se ogni spettatore vedrà un programma davvero dall’inizio, quale che sia la sua disponibilità oraria, allora si potrà migliorare la qualità del prodotto televisivo in maniera decisiva. E di conseguenza anche le aspettative del pubblico.
Cadranno gli alibi, dicevo. Ma con loro cadrà anche l’ultima illusione che il sistema attuale di rilevazione possa continuare ad essere ciò che fino a qui è stato, ossia il criterio di valutazione del successo (e di finanziamento) di una rete o di una trasmissione.
Pensato per una Tv a pochissimi canali, l’Auditel continua a mantenere una sovranità illimitata e ingiustificata rispetto all’evolversi dei tempi. Meno di seimila apparecchi monitorano oltre trecento canali. Di questi almeno due terzi si spartiscono «fettine» minime di pubblico, che i dirigenti Auditel si divertono a rappresentare con cifre solo virtuali. Una sorta di attribuzione forfettaria, con il sospetto dell’arbitrarietà. E comunque in una dimostrabile logica sempre e comunque gratificante per i canali storici.
Ovvio che il margine d’errore su numeri bassi sia cospicuo, e comunque più alto dello stesso valore rilevato. Perché allora intestardirsi a difendere l’indifendibile? Che senso ha l’approdo al digitale, dunque ad una logica di comunicazione più democratica, se poi si strozzano sul nascere le esperienze nuove? In quale punto della Costituzione è scritto che Rai e Mediaset possono ingrassarsi anche a spese di altri? Lo diciamo all’Autority competente, e lo segnaliamo al Parlamento della Repubblica, ammesso che a qualcuno interessi dar sviluppo al vero pluralismo e costringere tutti i marchi tv a rientrare in un alveo di legittimità e congruità con il futuro che avanza. L’oracolo Auditel è superato dai tempi. È un metodo insolente, quando non intollerabile. La sua ampia imperfezione stride con la situazione televisiva di oggi, con il dinamismo dei diversi laboratori, con i gusti e la dignità  del  pubblico.
In ogni caso: se davvero ciascun cittadino seguirà il proprio programma preferito in momenti diversi della giornata, come potrà l’Auditel rilevarne ancora con qualche grado di attendibilità l’audience? Che sia arrivato, con il Natale 2013, il grimaldello che mette in crisi i finti imperi?

Dino Boffo

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