Tre chiavi per una nuova cultura economica

La saggia valorizzazione del legame tra crescita, finanza e infrastrutture
può contribuire a dare risposte adeguate alle sfide del nostro tempo

Tre chiavi
per una nuova cultura economica

di Enrico dal Covolo

Crescita, finanza e infrastrutture sono le parole-chiave del contesto socio-economico attuale. E il mio intento dunque è di illustrare l’intimo legame fra queste tre parole chiave e le ragioni per cui ritengo sia necessario, sul fronte prettamente economico, sviluppare politiche in grado di liberare la crescita attraverso lo sviluppo delle infrastrutture. Vorrei illustrare infine le opportunità che, a tale scopo, possono essere offerte dalle istituzioni finanziarie.
Non c’è dubbio che molti dei problemi con i quali oggi ci confrontiamo affondano le proprie radici nell’incapacità di dare risposte adeguate alle sfide del nostro tempo: sfide, queste, su cui si è fermato a lungo il Papa nell’enciclica Caritas in Veritate. Negli anni scorsi la globalizzazione ha prodotto ricchezza e sviluppo a un ritmo finora sconosciuto. Nello stesso tempo, però, la globalizzazione ha evidenziato straordinarie e inedite disuguaglianze, a fronte delle quali le istituzioni politiche e economiche devono offrire risposte concrete, affiancando alla giustizia commutativa, tipica dei rapporti di mercato, forme di giustizia distributiva, che siano in grado di introdurre nei processi economici la necessaria coesione sociale.
Di fatto, è urgente che cresca il grado di fiducia reciproca, senza la quale il mercato stesso “non può pienamente espletare la propria funzione economica” (cfr. Caritas in Veritate, n. 35). Si tratta, quindi, di tracciare una “via istituzionale della carità” di fronte alle sfide della “globalizzazione plurale e poliarchica”, così come è stata definita nel simposio sulla Dottrina sociale della Chiesa organizzato dalla nostra area internazionale di ricerca Caritas in Veritate. La nuova cultura economica, che ci proponiamo di far crescere nei prossimi anni, dovrà essere in grado di liberare energie e risorse per la crescita, di superare le resistenze degli interessi corporativi, le aree di privilegio e di rendita, e di saper creare nel contempo stabili condizioni per quel benessere diffuso, di cui devono beneficiare anche coloro che fino ad oggi ne restano esclusi. A tal fine, occorre introdurre riforme tese a valorizzare il capitale umano e sociale, a promuovere il talento, l’iniziativa individuale e collettiva, la capacità e la voglia di intraprendere, di sperimentare, di innovare, di competere, e di assumerne il ragionevole rischio. Nello stesso tempo, occorre conciliare competizione, flessibilità, dinamismo e innovazione, con la salvaguardia di alti livelli di solidarietà e di coesione sociale, di tutela dei diritti e delle libertà dei cittadini, di qualità della vita, di sostenibilità ambientale e di qualità dei servizi sociali.
In giorni così difficili per la tenuta finanziaria della nostra Europa, ritengo opportuno concludere citando un economista tedesco, un padre del progetto europeo, al quale dobbiamo in gran parte la formalizzazione dei Trattati istitutivi dell’Unione europea firmati a Roma nel 1957. Il professor Alfred Müller-Armack, docente di Economia Politica all’Università di Colonia e, in seguito, consigliere economico del Cancelliere Ludwig Erhard, in un saggio del 1969, affermava: “Entrambi [scienziati, economisti e moralisti] debbono tentare di trovare una soluzione che non deve essere né un’utopia né una caparbia insistenza sull’esistente, ma una sintesi realistica in cui giustizia sociale, libertà personale e formazione democratica della volontà trovino un soddisfacimento allo stesso modo di ciò che richiede il nostro mondo tecnico, capillarmente organizzato dal punto di vista economico e in continua trasformazione in questa direzione, in termini di giudizio severo, chiara decisione, nuove concezioni e forme dell’organizzazione”

(©L’Osservatore Romano 12 agosto 2012)