Transnistria sempre più «trampolino» per il balzo di Putin verso la Moldavia

di Nello Scavo – Inviato a Grigoriopol (avvenire)

Imperterrito, il compagno Lenin indica la via. In cima al piedistallo che nè il tempo nè la Perestroika hanno corroso, tende il braccio destro in direzione Chisinau. A poca distanza i militari della “forza di pace russa” dipingono la “zeta” sui camion. Vanno nella direzione opposta, verso l’Ucraina. La Transnistria (“terra di mezzo” tra il confine orientale moldavo e l’Ucraina) si candida a divenire l’asso nella manica di Putin per scompigliare le carte geografiche a Sud di Kiev, addosso a Odessa e tra Moldavia e Romania, quest’ultima membro di Ue e Nato. È quello che preoccupa l’intelligence di mezzo mondo. Basta attraversare il ponte sul fiume Dnestr – presidiato dai militari russi nonostante la Transnistria non sia mai stata riconosciuta dalla Moldavia – per scorgere dietro all’apparente calma postsovietica le prime mosse dei militari mandati da Mosca. Sul terreno ce ne sarebbero almeno 1.500, ma sono numeri forniti da Mosca e che nessuno è mai riuscito a verificare davvero.

Una fonte di Avvenire ci aveva messo in guardia prima di entrare nell’enclave, dove è vietato scattare foto e soprattutto fare domande. «Le forze armate russe addette al controllo del materiale bellico sono al loro posto», avvertiva la fonte. E al loro posto vuol dire pronte a muoversi. Il governo moldavo, con l’intento di scongiurare il panico nella popolazione, minimizza le operazioni e assicura che si tratta dei soliti trucchi di Putin per fare pressione. Intanto i convogli con la “Z” si muovono verso nord. A Grigoriopol come nella capitale Tiraspol, Lenin è venerato, per modo di dire. Alle spalle della statua, il cinema Vostok, a cui si arriva dopo avere percorso il viale Karl Marx, annuncia dall’1 al 6 aprile quattro film di produzione Usa. E poco importa se falce e martello siano presenti più della segnaletica stradale. Da queste parti contano più i “narcorubli”. Ma niente è scontato. Il 40 per cento della popolazione è di origine ucraina e la “Z” non è vista di buon occhio. Ma l’opinone del mezzo milione di abitanti qui non conta nulla. La piccola Repubblica separatista filorussa, la cui indipendenza non è riconosciuta nemmeno da Mosca, era finita sotto i riflettori lo scorso 2 marzo, quando il presidente bielorusso Alexander Lukashenko aveva mostrato una cartina che sembrava indicare le possibili direttrici dell’attacco russo all’Ucraina. A sudovest, ce n’era una che punta- va sulla Moldavia attraverso la Transnistria, che appunto confina a Est con il distretto ucraino di Odessa.

Ad accelerare gli spostamenti dei battaglioni moscoviti in Transnistria sarebbe stata una notizia diffusa a Kiev e confermata a Bucarest. Merco-ledì, il ministero dell’Agricoltura ucraino ha confermato di avere avviato «trattative con la Romania per spedire le esportazioni agricole attraverso il porto rumeno di Costanza sul Mar Nero, poiché l’invasione russa ha bloccato i porti». La geografia non mente, perciò Odesa non è ancora fuori pericolo. La regione, a ovest per via terrestre, si inoltra attraverso una lingua pianeggiante verso il confine con la Romania, proprio sul Mar Nero. In mezzo c’è un ostacolo: la Transnistria. Se Kiev riuscisse a mantenere al sicuro le vie di comunicazione, i prodotti agricoli potrebbero essere trasportati via terra in Romania e lungo la fascia costiera che attraverso la Moldavia, per essere poi stivati sui cargo diretto in Europa e Usa. Il Paese, secondo le stime, ha già perso quasi 1,5 miliardi di euro in mancate esportazioni alimentari, e potrebbe andare avanti così al ritmo di un miliardo al mese. Secondo la testata specializzata Container world, prima del conflitto, il traffico di merci attraverso Costanza e altri porti rumeni è aumentato dell’8 per cento e il governo di Bucarest si è detto in grado di poter aumentare la spedizioni. A ostacolarle potrebbero essere proprio i militari della “repubblica fantasma”. Un segnale è arrivato pochi giorni fa. Il ministero degli Esteri russo ha convocato l’ambasciatore moldavo per protestare contro una manifestazione davanti all’ambasciata di Mosca a Chisinau. «La parte russa ha espresso una protesta risoluta – si legge in una nota – per una brutta azione davanti all’ambasciata russa a Chisinau il 24 marzo i cui partecipanti mostravano slogan offensivi e si comportavano in modo inaccettabile ». Il timore è che Mosca possa cercare il casus belli. «La parte moldava – si legge ancora – è stata fortemente esortata a rispettare gli obblighi internazionali e ad adottare misure per prevenire il ripetersi di azioni simili».

I movimenti delle truppe russe non sono solo uno spauracchio. Ma un nuovo messaggio all’Europa. C’è voluta la guerra in Ucraina perché un organismo internazionale strappasse il velo d’ipocrisia. A lungo l’occupazione russa in Moldavia, mascherata da “peacekeeping” nella piccola regione separatista, era stata tollerata. Ma il 15 marzo, l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, organismo da cui Mosca è in via di espulsione, ha adottato una risoluzione in cui la Transnistria viene definita come regione «occupata» dalla Russia. Su Grigoriopol il buio arriva insieme alla pioggia. Lenin indica sempre Chisinau: là tanti sperano che i comandanti russi continuino a non prendere sul serio il bolscevico.

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I MOVIMENTI

Si ammassano nuove truppe nella «terra di mezzo» a Grigoriopol: spostati altri 1.500 soldati verso la città dove la statua di Lenin indica la strada per Chisinau Ad accelerare le mosse di Mosca la notizia di trattative tra Kiev e Bucarest per far partire dal porto rumeno di Costanza le esportazioni agricole per Ue e Stati Uniti. Il blocco degli scali è costato all’Ucraina già 1,5 miliardi

La lettera «Z» appena tracciata sulla parte anteriore di un grosso camion militare russo al confine orientale ucraino/

Ansa