Tra i profughi siriani in Libano

da Beirut Maria Laura Conte

Per i centocinquanta bambini tra i due e i dieci anni che scorrazzano liberi per il campo, quello è un posto allegro, essenziale certo, ma spassoso. Non importa troppo a loro se non possono cambiarsi l’abito, sono concentrati a giocare, pitturarsi il volto e trovarsi con i compagni di avventura. I loro occhi sono pieni di voglia di vita, almeno tanto quanto quelli delle loro madri sono vuoti, smarriti in un mare di desolazione. La vita nel campo dei rifugiati siriani che si trova nella periferia di Zahle, pochi chilometri a est del confine tra Libano e Siria nella regione della Bekaa, un luogo di miseria assoluta: duecento famiglie si sono rifugiate qui, la maggior parte giunge dalla periferia di Homs.
Il volto di Rasha, 26 anni, è fermo, di porcellana, incorniciato dal nero di un velo stretto che si confonde con l’abito che indossa. Non trapela alcuna emozione, solo dalla sua voce si coglie come la sua giovinezza si sia inceppata di fronte a un futuro incerto: suo marito è stato ucciso nei bombardamenti di Homs, lei ha preso i suoi due figli ed è scappata con la famiglia del cognato. La sua casa non esiste più, è stata ridotta in macerie. Ora è là, nel campo dei profughi, che aspetta. Aspetta che faccia sera, che finisca la guerra. Condividono il viaggio di Rasha in questo mondo sospeso centinaia di altre persone.

(©L’Osservatore Romano 16 settembre 2012)