Testimoni. De Foucauld, la creatività del cristianesimo

Brunetto Salvarani dedica il suo nuovo libro al santo che visse il suo apostolato consapevole che «Dio costruisce sul nulla»
Charles de Foucauld

Charles de Foucauld – archivio

Fra le persone che sin da subito hanno colto la radicalità con cui visse il Vangelo Charles de Foucauld risalta Liliana Cavani, che negli anni Sessanta realizzò un documentario dedicato ai Piccoli Fratelli di Gesù. La regista aveva conosciuto René Voillaume, fondatore nel 1947 della prima fraternità operaia, ad Aixen- Provence. «Alcuni di loro – disse Cavani in un’intervista – lavoravano in una fabbrica metallurgica di Marsiglia, ma non era possibile filmarli all’interno dello stabilimento. Altri vivevano in Libano e in Siria. E le sorelle vivevano a Damasco, in una bidonville, una lavorava in una fabbrica di valigie, un’altra aiutava gratuitamente le famiglie in difficoltà curandosi dei figli piccoli. Si rimboccavano le maniche e facevano servizio, lavorando e pregando. Vivevano mescolati alla gente. Un’attività silenziosa ma molto efficace, un modo di vivere simile ai francescani primitivi». La testimonianza della regista è contenuta nel volume Fino a farsi fratello di tutti. Charles de Foucauld e papa Francesco (Cittadella, pagine 184, euro 14,90) scritto da Brunetto Salvarani in occasione della canonizzazione del monaco francese nel maggio scorso. Teologo e giornalista, Salvarani ricorda i numerosi passi in cui Bergoglio ha citato de Foucauld e ricostruisce come la sua scelta di vivere in mezzo ai tuareg, nel deserto algerino, unico testimone di Cristo in una terra dominata dall’islam, sia il segno di quella Chiesa in uscita che il papa ha richiamato sin dall’inizio del suo pontificato. «Charles de Foucauld – disse il papa il 3 ottobre 2015 in piazza San Pietro –, forse come pochi altri, ha intuito la portata della spiritualità che emana da Nazaret. Questo grande esploratore abbandonò in fretta la carriera militare, affascinato dal mistero della Santa Famiglia, del rapporto quotidiano di Gesù con i genitori e i vicini, del lavoro silenzioso, della preghiera umile. Fratel Charles avvertì la sterilità della brama di ricchezza e di potere. Attratto dalla vita eremitica, capì che non si cresce nell’amore di Dio evitando la servitù delle relazioni umane. Perché è amando gli altri che si impara ad amare Dio, è curvandosi sul prossimo che ci si eleva a Dio». Con poche parole Bergoglio sintetizzò perfettamente l’intento del monaco: modello di dialogo certo, ma soprattutto fautore di una maniera nuova di vivere il cristianesimo, capace di reinventarlo con una straordinaria creatività. Dopo la conversione, Charles de Foucauld sperimentò varie possibilità di essere cristiano, prima entrando nell’abbazia trappista di Notre-Dame des Neiges, nell’Ardèche, poi recandosi in Terra Santa dalle clarisse di Nazaret, infine, fattosi sacerdote, decidendo di scegliere una forma di vita contemplativa ed eremitica nel deserto. «Sono qui – scrisse – non per convertire in un sol colpo i tuareg, ma per cercare di comprenderli». Niente proclamazione della verità cristiana: il suo fu un apostolato vissuto nel nascondimento, nella preghiera e anzi nell’abiezione, come amava ripetere. La sua non era «la semina del Vangelo, ma il dissodamento preparatorio». Prima di tutto, occorreva «preparare il terreno in silenzio con la bontà, col contatto, col buon esempio… amarli dal profondo del cuore, farsi stimare ed amare da loro; con ciò far cadere i pregiudizi ottenere fiducia, acquistare autorità, e questo richiede tempo», come avrebbe detto in una lettera a Joseph Hours nel 1911. Si trattava di partire dall’annullamento di sé, nella consapevolezza che «Dio costruisce sul nulla». Poco prima di trovare la morte fortuitamente per mano di una banda di senussiti provenienti dalla Libia, il 1° dicembre 1916, aveva scritto: «Dieci anni che dico messa a Tamanrasset e non un solo convertito!». Vista con criteri mondani, la sua vita sembra essere stata un fallimento, ma l’essersi spogliato di tutto ed essersi fatto compagno di strada di un popolo che viveva fra le montagne del deserto, lontanissimo dai centri più importanti, a duemila chilometri a sud di Algeri, fa di lui un esempio per noi cristiani del XXI secolo, in un’Europa contrassegnata dal postsecolarismo. Lo ha spiegato bene Madeleine Delbrêl: «Charles de Foucauld è, da solo, la coincidenza di molti opposti, e ci appare radicato nel crocicchio della carità… Egli fa coincidere i due estremi dell’amore: il prossimo immediato e il mondo intero».

Avvenire