Tempi nuovi per la vita della Chiesa

Papa Francesco ci ha dato già molte gioie e molte altre ce ne offrirà, ne sono certo! Con parole e soprattutto con gesti di semplicità evangelica che tutti hanno capito e aprono, credo, a tempi nuovi per la vita della Chiesa». Il cardinale brasiliano Claudio Hummes, dell’ordine di frati minori, è visibilmente entusiasta della scelta del nuovo vescovo di Roma. È contento del risultato del Conclave di cui è stato protagonista ed è particolarmente lieto del fatto che il nuovo pontefice lo abbia voluto al suo fianco – insieme al cardinal vicario Agostino Vallini – nella prima uscita pubblica sulla Loggia delle Benedizioni. Un gesto irrituale. E proprio da qui inizia il colloquio con Avvenire.

Eminenza, come spiega questo inedito privilegio?
È stata semplicemente una sua volontà, un suo gesto spontaneo. Nella Cappella Sistina, quando si è cominciata a formare la processione per recarsi alla Loggia, papa Francesco ha chiamato vicino a sé il suo cardinal Vicario e poi si è rivolto verso di me dicendo: vieni, voglio che tu mi sia accanto, visto che mi sei stato sempre vicino. E così è stato.

C’entra qualcosa il fatto che lei sia francescano e lui abbia scelto di chiamarsi Francesco?
La scelta del nome è stata per tutti, anche per noi cardinali, una sorpresa veramente inaspettata. Può darsi che anche questo sia stato un motivo per volermi vicino a lui. Non so. Io ovviamente ero molto felice di questo.

Che impressione le ha fatto la piazza San Pietro piena di fedeli?
Era veramente qualcosa di straordinario. Così come sono state straordinarie la semplicità, l’umiltà e anche la profondità dei messaggi del nuovo Pontefice. Intanto chiedendo al popolo di pregare il Signore per lui, perché è vero che i pastori hanno bisogno delle benedizioni e delle preghiere del popolo. E poi già nella scelta del nome.

In che senso?
Francesco è un nome colmo di significati e messaggi. Un nome unico e straordinario nella storia del Papato. Lui l’ha scelto, e questo vale più di tanti scritti e discorsi. Lo hanno capito tutti. Nel senso che sprona a sperimentare nuovi metodi di evangelizzazione, come ha detto oggi (ieri per chi legge, ndr) al collegio dei cardinali, e che apre nuove strade per la vita della Chiesa.

In quale direzione?
Innanzitutto verso una Chiesa più semplice, più povera e soprattutto più per i poveri. Che dà ai poveri il posto che gli ha riservato Gesù: sono loro infatti i destinatari primi dell’evangelizzazione e dell’amore della Chiesa.

Lei è stato pastore di anime per molti anni in Brasile – a Santo André, a Fortaleza e a San Paolo – ma ha anche avuto un ruolo di responsabilità nella Curia romana, come prefetto della Congregazione per il clero. Ritiene che papa Francesco aprirà una nuova porta anche nella struttura del governo centrale della Chiesa?
Il tema della Curia romana è stato molto discusso da noi cardinali nel corso delle Congregazioni generali. Moltissimi attendono una riforma della Curia e sono abbastanza certo che lui la farà, e la farà alla luce della Parola, dell’essenzialità, della semplicità e dell’umiltà richiesta dal Vangelo. Sempre nella scia del Santo da cui ha preso il nome. San Francesco aveva un grande amore per la Chiesa gerarchica, per il Papa; voleva che i suoi frati fossero cattolici e ubbidissero al «Signor Papa», come diceva lui.

Molti hanno sottolineato l’enfasi con cui papa Francesco ha ribadito di essere Pastore della Chiesa universale in quanto vescovo di Roma…
Questo ci parla di collegialità, di grande senso di fratellanza del Papa verso gli altri vescovi. Papa Francesco si sente uno di questo collegio, ma anche capo di questo collegio. E ha giustamente sottolineato ambedue gli aspetti del grande collegio episcopale, la sua unità e la sua diversità.

Papa Francesco è il primo pontefice latino-americano…
E l’America latina è molto felice di questa scelta. Ma tutta la Chiesa è felice, perché questa elezione ha dimostrato ancora di più che la Chiesa cattolica è veramente universale. Che non è una entità europea con ramificazioni altrove. È sempre stato così, ma la scelta di un Papa nella “periferia” del mondo mostra a tutti che è così anche nei fatti.

A luglio è prevista a Rio de Janeiro la Giornata mondiale della gioventù. Come si immagina questo incontro del nuovo Papa in Brasile?
Intanto sono certo che Papa Francesco ci andrà. Non ho avuto alcuna conferma formale, ma ho saputo che è sua volontà andarci. Darà questa grande grazia e grande gioia al Brasile e a tutto il mondo, perché saranno presenti anche tantissimi i giovani di ogni continente. E poi credo che ad incontrarlo, magari per curiosità nei suoi confronti, non andranno solo i ragazzi e le ragazze, ma anche i meno giovani.

Lei conosce personalmente Papa Francesco, come può descriverlo?
È un uomo di profonda spiritualità, di preghiera, che vive del Vangelo, che vive questo suo rapporto con Gesù Cristo con una semplicità profonda. Più uno si avvicina a Dio, infatti, e più semplice diventa la sua vita spirituale. In questi giorni, poi, ha avuto modo di mostrare a tutti la sua serenità d’animo. Quando ci ha salutati ad uno ad uno, lo ha fatto con una grande naturalezza, come se nulla di straordinario gli fosse accaduto, e nondimeno lui sapeva benissimo quello che gli era accaduto. Perché quando un cardinale viene eletto Papa, è Dio che lo unge.

Non le sembra paradossale che il primo Papa gesuita della storia sia anche il primo ad assumere il nome di Francesco?
È vero, lui è un gesuita. Ma è stato arcivescovo di Buenos Aires, dove ha amato il suo popolo e i poveri in particolare, essendone riamato. Lì è nato Francesco.

 

Gianni Cardinale – avvenire.it