Volontari e bambini malati: angeli tra gli angeli

clown-dottori

Tanti piccoli pazienti trascorrono il Natale in corsia, ma ad alleviare la loro pena è la presenza di clown-dottori e di tante altre figure che donano senza chiedere nulla in cambio
Di Sabrina Pietrangeli
ROMA, 28 Dicembre 2012 (Zenit.org) – Natale in ospedale: Per molti operatori sanitari, una necessità dettata dalla professione. Per alcuni, colpiti dalla malattia, una costrizione che crea sconcerto e fa sentire in modo più pesante la già difficile esperienza di una salute precaria. Ma quello che rende il Natale in corsia quasi contro natura è l’ospedalizzazione di un bambino. Nell’immaginario collettivo, il posto di quel piccolo non sarebbe lì… il suo posto sarebbe in casa, a saltar giù dal letto la mattina del 25 e, in punta di piedi, arrivare a quell’albero sotto il quale i pacchetti regalo brillano come stelle comete.
Per il genitore che è al capezzale del piccolo paziente, questa consapevolezza è molto forte e la cosa rende il tutto quantomai pesante da vivere. I medici, quando è possibile, fanno di tutto per dimettere i piccoli pazienti nei periodi delle festività, ma non sempre questo è possibile, e allora bisogna cercare di vivere un clima di festa anche in corsia. Ma come viene vissuto questo tempo da parte delle mamme, dei bambini ricoverati, del personale di reparto? Noi glielo abbiamo chiesto e il risultato è, come sempre, sorprendente. Perché tutti proviamo orrore  anche alla sola idea di vivere una festività tra le mura dell’ospedale. Ma starci dentro è un’altra cosa…
“Durante le festività, cerchiamo di creare un clima gioioso, anche quando l’ambiente non predispone a questi stati d’animo – racconta Sonia, infermiera in un reparto di Neurochirurgia Pediatrica -. Tradizioni come l’albero di Natale o il Presepe in reparto, rappresentano un entusiasmante diversivo per i bambini, che riescono a vivere ogni piccola cosa nella gioia, nonostante le loro sofferenze. E anche i genitori si lasciano contagiare dal buon umore dei piccoli pazienti. Molte volte vengono a visitarli personaggi famosi, calciatori, attori, portando doni ai bambini e loro reagiscono in modo entusiastico!”.
In effetti è bello sapere che c’è una sensibilità da parte di questi personaggi “pubblici”, che spesso vengono a telecamere spente. “Sono quelli che apprezzo di più! Questi gesti si fanno nel nascondimento, altrimenti è solo investire sulla propria immagine”, aggiunge Patrizia, infermiera dello stesso reparto. Anche la presenza dei clown, che nei giorni di festa si fa più numerosa ed è un enorme aiuto per far passare le ore, i giorni, a volte i mesi. Normalmente già presenti due volte la settimana, nel periodo delle feste intensificano il servizio. Questo significa più volontari e più tempo da dedicare gratuitamente al benessere dei piccoli pazienti. Succede nel reparto di Chirurgia Pediatrica di un altro ospedale romano.
“Sono meravigliosi – ci racconta Mirella, mamma di Giulia, 2 anni – sembra una cosa da poco, ma vedere gli occhi gioiosi di mia figlia che per un attimo si distolgono da flebo e medicine, incantati a guardare come un semplice palloncino si trasforma magicamente in un cagnolino o una farfalla… questo non ha prezzo! Benedico queste persone”.
Mamma Laura ricorda: “Quel giorno, alcune persone portarono lasagne e altre cose buonissime. Le infermiere hanno apparecchiato nella stanza del day-hospital e tutti i genitori con i piccoli pazienti, hanno potuto godere di un ottimo pasto in fraternità”. Laura ha vissuto un lungo periodo in un reparto di Oncologia Pediatrica per curare la sua piccola Anna Lucia, colpita da un tumore alla vescica alla tenera età di 3 anni. Fortunatamente la sua bambina è uscita dal tunnel dopo due anni di lotte, ed oggi vive una vita normale.
Insomma, anche in un momento di prova le feste cristiane vengono in aiuto alla nostra debolezza e sono portatrici di speranza e pace. È opportuno ricordare l’insostituibile lavoro di tanti volontari le quali associazioni prestano servizio quasi in ogni ospedale pediatrico, un servizio prezioso fatto di dedizione e amore gratuito.
In questi tempi di “tagli di spesa” in cui molti di noi sono spaventati solo all’idea lontana di potersi ammalare, è bene ricordare che il lavoro non retribuito di tante persone di buona volontà ci aiuta davvero ad entrare nel mistero del Natale… una festa che parla di gratuità, di amore disinteressato, in poche parole ci parla di Gesù. Allora, per quest’anno la mia letterina sotto l’albero chiedeva che non ci sia più bisogno di ospedali. Ma se questo desiderio non potesse essere esaudito, che almeno le istituzioni si prendano cura dei malati nel miglior modo possibile.

«Sbarrette» di cioccolato. Caffè, dolci e pizza: così i detenuti imparano l’alta cucina

Si cucina secondo le regole della cucina in cella, e quindi con coltelli e ferraglia al bando, ma è gara vera. Di sapori e di fantasia. I detenuti della casa circondariale di Rebibbia, alla periferia di Roma, italiani e stranieri, hanno cominciato stamani presto, nel cortile del carcere, a improntare un pasto, con ingredienti dei rispettivi territori di provenienza, consegnati oggi per l’occasione, e utensili ricavati da barattoli e scatolame, che, per chi s’arrangia e sa vivere d’ingegno, possono diventare grattugie e scolapasta. Le pentole ci sono, ma nei formati mini consentiti.

L’obiettivo è presentarsi a mezzogiorno davanti a una giuria di esperti per vincere la gara di cucina galeotta. Ma soprattutto per vivere una giornata piena di sapori di casa, in una mattinata di scambio con la società oltre le sbarre. Per un convivio che ha anche il buon sapore dell’orgoglio e della condivisione.

Sono otto le squadre i gara, tra le quali la “Rappresentanza dell’Africa unita”, il “Venezuela” e il “Magreb”, in questa iniziativa ‘Incontro tra i popolì promossa da una dozzina di anni dall’associazione Vic-Volontari in Carcere. Hanno vinto la squadra della ‘Fraschettà, per il gusto, il “Venezuela”, per l’estetica del piatto, e gli “Amici per sempre”, per l’originalità della pietanza.

Ma nei carceri italiani c’è anche l’alta cucina. A Napoli i corsi per diventare pizzaioli, mentre a Torino, nella casa circondariale Lorusso e Cutugno, c’è una torrefazione rinomata che lavora chicchi di caffè presidio Slow Food e seleziona cacao per poi fornire miscele tostate e “sbarrette” cioccolato ai negozi più in voga nel mondo gourmet.

Crescono la produzione alimentare di provenienza carceraria, e l’attenzione del pubblico, ma anche della critica di settore, per il fenomeno che ormai trova esempi in oltre 60 penitenziari italiani. In alcuni casi con produzioni squisite, come la pasta di mandorla realizzata dai detenuti di Siracusa o la ‘cucina galeottà, tema della gara odierna tra detenuti della casa circondariale di Rebibbia, a Roma.

Secondo una recente rielaborazione Gambero Rosso, su dati Aiab, in una sessantina di penitenziari sono circa 400 i reclusi impegnati nel food & wine, ai quali vanno aggiunti i circa 220 delle colonie agricole, dalla Sardegna all’isola di Gorgona, che rappresentano il 4,4% della popolazione carceraria che lavora. A questi numeri si devono aggiungere le aziende agricole, le Onlus, le cooperative che ospitano ex carcerati e detenuti in articolo 21, quelli che svolgono attività lavorative fuori dell’istituto. Numeri poco ‘ristrettì dunque, che comprendono anche attività artigianali, di ristorazione e del catering.

Nel pieno rispetto delle tipicità di territorio. A Sulmona per l’aglio rosso, a San Gimignano per lo zafferano, le uova di quaglia a Milano Opera, e ovviamente a Pozzuoli per il caffè “Lazzarelle”. Con nomi di fantasia che indicano tanta libertà almeno di pensiero, come i vini del carcere di Velletri: Fuggiasco, Le Sette Mandate, Recluso, Fresco di Galera. E il “Valelapena”, un corroborante vino rosso frutto della vigna di
un ettaro nella casa circondariale G. Montalto ad Alba (Cuneo).

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