Lasciarsi sorprendere dalla vita

“Ciascuna vita, anche quella più segnata da limiti, ha un immenso valore ed è capace di donare qualcosa agli altri”; “nessuna vita va mai discriminata, violentata o eliminata in ragione di qualsivoglia considerazione”.
Lo si legge nel messaggio del Consiglio episcopale permanente della Cei per la quarantaseiesima Giornata nazionale per la vita, che si celebra domenica 4 febbraio sul tema “La forza della vita ci sorprende. ‘Quale vantaggio c’è che l’uomo guadagni il mondo intero e perda la sua vita?’ (Mc 8,36)”.

https://laliberta.info/2024/01/30/preghiera-e-testimonianze-per-la-giornata-per-la-vita/

“Quante volte – osservano i vescovi nel testo – il capezzale di malati gravi diviene sorgente di consolazione per chi sta bene nel corpo, ma è disperato interiormente. Quanti poveri, semplici, piccoli, immigrati… sanno mettere il poco che hanno a servizio di chi ha più problemi di loro. Quanti disabili portano gioia nelle famiglie e nelle comunità, dove non ‘basta la salute’ per essere felici. Quante volte colui che si riteneva nemico mortale compie gesti di fratellanza e perdono. Quanto spesso il bambino non voluto fa della propria vita una benedizione per sé e per gli altri. La vita, ogni vita, se la guardiamo con occhi limpidi e sinceri, si rivela un dono prezioso e possiede una stupefacente capacità di resilienza per fronteggiare limiti e problemi”.

A Reggio Emilia il Cav

Di questa sorprendente forza della vita sono esperti soci e volontarie del Centro di Aiuto alla Vita (Cav) di Reggio Emilia, che quotidianamente accompagna donne e famiglie che si trovano a vivere una gravidanza inattesa o difficile. Il Cav ha sede in via Kennedy 17 a Reggio Emilia (recapiti: 0522.451197; info@cavreggioemilia.it; per appuntamenti 346.9794520 da lunedì a venerdì ore 9-13; per emergenze 335.8790797) e offre un ascolto riservato, empatico e non giudicante che tiene conto dei tempi e delle emozioni di chi parla e che aiuta a stare nel “qui e ora” in modo più chiaro e sereno.

Attraverso lo sportello psicologico “Donne in ascolto”, in particolare, un’équipe di professioniste va incontro alle donne che vivono la gravidanza con disagio, ansia o intense preoccupazioni o a quante abbiano vissuto l’esperienza di una gravidanza interrotta.
Mamme e volontari, a partire dalle loro doti e capacità personali, sono chiamati a contribuire attivamente alla vita dell’associazione.
Il colloquio e le attività proposte sono occasioni per ascoltarsi e conoscersi, in un luogo riservato e curato, per creare un progetto di affiancamento condiviso con la donna.

Gli aiuti materiali e concreti sono frutto della generosità di tanti sostenitori e vengono destinati alla donna con progetti personalizzati che tengono conto delle sue reali esigenze, delle sue risorse, del suo progetto di vita e dei suoi preesistenti legami nel territorio in cui abita. Il rispetto della vita – come ricordano ancora i nostri vescovi – non va ridotto a una questione confessionale, poiché una civiltà autenticamente umana esige che si guardi ad ogni vita con rispetto e la si accolga con l’impegno a farla fiorire in tutte le sue potenzialità, intervenendo con opportuni sostegni per rimuovere ostacoli economici o sociali.
Anche perché, come Papa Francesco ebbe a dire all’associazione Scienza & Vita il 30 maggio 2015, “il grado di progresso di una civiltà si misura dalla capacità di custodire la vita, soprattutto nelle sue fasi più fragili”.
L’inverno demografico attuale dovrebbe costituire uno sprone a tutelare la vita nascente.

In ogni caso la Giornata nazionale per la vita richiama i fedeli di ogni credo a onorare e servire Dio attraverso la custodia e la valorizzazione delle tante vite fragili che ci sono consegnate, “testimoniando al mondo che ognuna di esse è un dono, degno di essere accolto e capace di offrire a propria volta grandi ricchezze di umanità e spiritualità a un mondo che ne ha sempre maggiore bisogno”.

LALIBERTA.INFO

Piccolo Enea voce di tutti i bimbi scartati

La Culla per la vita della Mangiagalli di Milano

Un miracolo davvero, perché la sorte di Enea – il neonato che una mamma anonima ha lasciato la domenica di Pasqua nella Culla per la Vita della Clinica Mangiagalli di Milano – poteva essere tragicamente diversa senza quella culla. Ecco la grandezza delle piccole culle per la vita: il percorso dalla solitudine alla comunione, dalla disperazione alla speranza, perché «quel bambino nato o non ancora nato è stato creato per una grande cosa: amare ed essere amato». Non abbandono, ma affidamento: è il gesto di deporre un bimbo o una bimba nella culla. Chi lo compie vuole salvare, chiede aiuto e protezione per quella piccola creatura. Le culle sono una benedizione: se tu, mamma, non ce la fai o non puoi, pensiamo noi al tuo bimbo o alla tua bimba. Non temere. Sarà accolto e amato! Questo dicono le culle. Molto probabilmente le culle hanno salvato molti più bambini di quelli che vi sono stati posti dentro. In ogni caso, anche poche vite salvate giustificano la predisposizione di strumenti idonei a evitarne la morte: «chi salva una vita salva il mondo intero». Le parole, i gesti, le immagini, veicolano messaggi; così anche la presenza silenziosa di una culla comunica accoglienza, speranza, fiducia. Così è stato per il piccolo Enea la cui esistenza, il cui nome e la cui storia appena iniziata dicono qualcosa di grande: tu sei prezioso per noi, per tutta la società. Come non interrogarci, a questo punto, su quella moltitudine di bambini ai quali viene impedito di nascere? Bambini che, invece, la società non vuole vedere, ma che esistono; bambini che vengono scartati in nome di falsi diritti e di una interpretazione corrotta della libertà. Anche questi bambini non nati, anche loro, ha detto papa Francesco, «sono figli di tutta la società, e la loro uccisione in numero enorme, con l’avallo degli Stati, costituisce un grave problema che mina alle basi la costruzione della giustizia, compromettendo la corretta soluzione di ogni altra questione umana e sociale» (2 febbraio 2019). In sostanza la questione è tutta qui: nello sguardo che riconosce l’umanità dell’altro.
È necessario che le culle per la vita siano conosciute. Siamo tutti responsabili. Ma Enea non era lo stesso Enea che poche ore prima si trovava nel seno della mamma? E non è lo stesso Enea che ha iniziato a esistere nove mesi prima della nascita? Dobbiamo riflettere sul non raro rifiuto dei bambini buttati via appena nati, meno fortunati perché nessuno li ha visti o sentiti. Ma soprattutto dobbiamo riflettere su quella moltitudine di bimbi cui viene impedito di nascere in nome della “libertà” degli adulti, in nome dei “diritti” e della “civiltà”. Questo supremo rifiuto prima che fisico è mentale, perché il rifiuto è nel pensiero, nella mente, nel cuore: di questi bimbi viene cancellata anche la possibilità di essere guardati, si vogliono relegare nell’irrilevanza, come se non esistessero. Di loro, come esseri umani a pieno titolo, non si deve parlare. Addirittura è giudicata una minaccia al sistema affermare che deve essere data alla donna la libertà di non abortire, il diritto di accogliere i propri figli. La giustissima e doverosissima attenzione verso il neonato trovato mesi fa nelle campagne del trapanese vale per tutti i bambini, anche per quelli non nati, perché ciascuno di loro ci ricorda che in ogni vita umana c’è un “mistero da venerare”.
I nostri Centri di aiuto alla Vita si trovano in ogni regione, isole comprese, e spesso sono abbinati a case di accoglienza; della rete del Movimento per la Vita italiano fanno parte anche i servizi Sos Gemma e Sos Vita; esiste poi il cosiddetto “parto in anonimato” che tutela la mamma e il figlio; spesso associate a ospedali, sono installate le “culle per la vita”.
di Marina Casini Presidente del Movimento per la Vita italiano

avvenire.it

Nel 1981, dopo il referendum sull’aborto, un settimanale cattolico titolò «Ripartiamo da 32»: la percentuale di chi aveva votato contro la 194. Ma oggi ci crediamo ancora che quel grumo di cellule è un uomo?

Colpisce il singolare understatement con cui – in generale – il mondo cattolico italiano ha accolto la sentenza della Corte costituzionale Usa che fa retromarcia sul diritto di aborto. Io che sono abbastanza anziano da ricordare il mitico «Ripartiamo da 32» (la percentuale dei contrari all’aborto nel referendum del 1981) con cui l’altrettanto mitico settimanale ciellino «Il Sabato» accolse con tono di rivincita la sconfitta elettorale, sono francamente perplesso.

Certo: sono passati quarant’anni e il clima (anche cattolico) è molto cambiato. In generale c’è assai più individualismo e soprattutto meno fiducia nella possibilità di «cambiare il mondo». Tuttavia certe cose non cambiano – non dovrebbero cambiare: per esempio che una vita è una vita. O non lo è.

Invece leggo titoli concilianti, secondo i quali è «l’ora di riflettere insieme», è tempo di «dialogo», bisogna «riaprire un dialogo non ideologico»… E come no? Ci mancherebbe, parlare fa sempre bene e aiuta a chiarirsi le idee. Senza contare che il superamento di certi steccati favorisce una ricerca più seria e condivisa del bene comune. Ma poi, giunti al dunque?

Le proposte ­che ho letto – anche di autorevoli prelati, responsabili di organismi preposti proprio alla materia – sono quelle di dare «una solida assistenza alle madri che coinvolga tutta la comunità», «garantire un’assistenza sanitaria accessibile a tutti», «predisporre misure legislative a tutela della famiglia e della maternità», favorire «la possibilità per le madri in difficoltà di  portare avanti la gravidanza e di affidare il bambino a chi può garantirne la crescita», persino «assicurare un’adeguata educazione sessuale» (arrivare alla contraccezione no, quello no: non esageriamo…). Bene! E chi mai sarebbe contrario a proposte del genere? Nemmeno un abortista, credo.

Ma poi? Ci crediamo ancora oppure no -­ come noi giovani sventolammo con orgoglio e convinzione 40 anni fa -­ che quel grumo di cellule è già un uomo? E, se lo è, a parte tutte le doverose migliorie e facilitazioni possibili per farlo nascere, davanti alla decisione finale della madre anche se non esistono ragioni terapeutiche o d’altro genere (stupro, eccetera), davanti al puro e semplice «diritto di aborto»: cosa diciamo, da cattolici?

Quarant’anni fa ci schierammo con estrema decisione e parole forti contro la 194; oggi – almeno dalle reazioni lette -­ sembriamo rassegnati a considerarla il meno peggio: e forse è proprio così. Io stesso non mi sento di reclamarne una revisione. Però mi chiedo se tanto vale allora lasciare allo Stato il compito di legiferare (in questo e in altri casi) secondo la maggioranza e riservare al santuario inviolabile della coscienza personale la decisione ultima sulle varie possibilità lasciate aperte alla scelta…

Alla fine, trovo persino più schietto il ragionamento di Vittorio Feltri che ­– dopo aver narrato una vicissitudine familiare legata a un possibile aborto – conclude: «La gente si lamenta che in Italia le culle sono vuote. Io penso che l’aborto abbia contribuito a svuotarle». Brutale ma vero.

vinonuovo.it

Pandemia e rinascita della vita

Settimana News

di: Fabrizio Mastrofini

covid vita

Il secondo documento della Pontificia accademia per la vita chiede un coraggioso sforzo per salvaguardare la salute dell’humana communitas.

Si intitola L’Humana Communitas nell’era della Pandemia. Riflessioni inattuali sulla rinascita della vita, ed è il secondo documento – il primo è del 30 marzo 2020 – che la Pontificia accademia per la vita dedica alle conseguenze della crisi sanitaria mondiale e alla sua interpretazione.

Il testo non è lungo (9 pagine) ma molto denso di contenuti e apre con un deciso e duro giudizio sul presente politico e sociale. Se, «nella sofferenza e nella morte di così tante persone, abbiamo imparato la lezione della fragilità», allora serve un cambio di passo: sforzi globali e una decisa cooperazione internazionale; un futuro più equo e più giusto le cui parole-chiave siano migliore assistenza sanitaria per tutti e vaccinazioni.

«Ancora non abbiamo dato sufficiente attenzione, soprattutto a livello globale, all’interdipendenza umana e alla vulnerabilità comune. Il virus non riconosce le frontiere, ma i paesi hanno sigillato i propri confini. A differenza di altri disastri, la pandemia non ha colpito tutti i paesi allo stesso momento. Sebbene questo avrebbe potuto offrire l’opportunità di imparare dalle esperienze e dalle politiche di altri paesi, il processo di apprendimento a livello globale è stato minimo. Addirittura, alcuni paesi si sono, a volte, impegnati in un gioco cinico di reciproca accusa».

I frutti di un “ethos” di prevaricazione

«Il fenomeno del Covid-19 non è solo il risultato di avvenimenti naturali. Ciò che avviene in natura è già il risultato di una complessa interazione con il mondo umano delle scelte economiche e dei modelli di sviluppo, essi stessi “infettati” con un diverso “virus” di nostra creazione: questo virus è il risultato, più che la causa, dell’avidità finanziaria, dell’accondiscendenza verso stili di vita definiti dal consumo e dall’eccesso. Ci siamo costruiti un ethos di prevaricazione e disprezzo nei confronti di ciò che ci è dato nella promessa primordiale della creazione. Per questo motivo, siamo chiamati a riconsiderare il nostro rapporto con l’habitat naturale. A riconoscere che viviamo su questa terra come amministratori, non come padroni e signori».

Tuttavia, «se paragonate alle difficoltà dei paesi poveri, soprattutto nel cosiddetto Sud Globale, le traversie del mondo “sviluppato” appaiono piuttosto come un lusso: solo nei paesi ricchi le persone possono permettersi di rispettare i requisiti di sicurezza. In quelli meno fortunati, d’altra parte, il “distanziamento fisico” è semplicemente impossibile a causa delle necessità e delle circostanze tragiche: ambienti affollati e impraticabilità di un distanziamento sostenibile costituiscono per intere popolazioni un ostacolo insormontabile. Il contrasto tra le due situazioni mette in luce un paradosso stridente, che, ancora una volta, racconta la storia della sproporzione di benessere tra paesi ricchi e poveri».

La crisi ha mostrato le possibilità e i limiti dei modelli focalizzati sull’assistenza ospedaliera: «Certamente, in tutti i paesi, il bene comune della salute pubblica deve essere bilanciato in rapporto agli interessi economici» e le case di cura e gli anziani sono stati duramente colpiti.

Si deve poi aggiungere che «discussioni etiche sull’allocazione delle risorse si sono soprattutto basate su considerazioni utilitaristiche, senza prestare attenzione alle persone più vulnerabili ed esposte a più gravi rischi. Nella maggioranza dei paesi, il ruolo dei medici di base è stato ignorato, mentre per molti, sono il primo punto di contatto con il sistema assistenziale. Il risultato è stato un aumento di decessi e di disabilità provocate da cause diverse dal Covid-19».

covid e vita

Decisioni chiare e coraggiose

Sul piano dell’etica e della salute pubblica a livello globale, sono necessari tre passi:

  1. Un’assunzione e una distribuzione equa dei rischi ineliminabili nello svolgimento della vita umana, anche per quanto riguarda l’accesso alle risorse sanitarie, fra cui le vaccinazioni hanno un ruolo strategico
  2. Un atteggiamento responsabile riguardo alla ricerca scientifica, che ne tuteli l’autonomia e l’indipendenza, superando forme di sottomissione a interessi particolari di tipo economico o politico, che ne distorcono i risultati e la comunicazione
  3. Un coordinamento e una cooperazione a livello internazionale e globale per rendere effettivo il diritto universale ai livelli più elevati di cura della salute, come espressione di tutela dell’inalienabile dignità della persona umana.

«Siamo chiamati a un atteggiamento di speranza, che va oltre l’effetto paralizzante di due tentazioni opposte: da una parte, la rassegnazione che sottende passivamente agli eventi, e dall’altra, la nostalgia per un ritorno al passato, che si riduce al desiderare ciò che esisteva prima. Invece, è tempo di immaginare e attuare un progetto di coesistenza umana che consenta un futuro migliore per ciascuno. Il sogno recentemente immaginato per la regione amazzonica potrebbe diventare un sogno universale, un sogno per l’intero pianeta “che integri e promuova tutti i suoi abitanti” perché possano consolidare un “buon vivere” (Querida Amazonia, 8)».

Un’etica della solidarietà

Hanno contribuito alla stesura del documento, tra gli altri, il prof. Henk ten Have, accademico della Pontificia accademia per la vita e uno dei massimi esperti di Bioetica globale, e il prof. Roberto Dell’Oro, docente alla Loyola Marymount University.

Il prof. Henk ten Have nota che «la pandemia del Covid-19 come fenomeno globale dimostra che oggi siamo intrinsecamente interconnessi. Condividiamo tutti la stessa vulnerabilità perché abitiamo nella stessa casa comune. Questa esperienza ci rende consapevoli che il nostro benessere individuale dipende dalla comunità umana. Pertanto – come spiega la nota della Pontificia accademia per la vita –, dovrebbe essere applicata una prospettiva etica globale che articoli l’importanza morale della solidarietà, della cooperazione, della responsabilità sociale, del bene comune e dell’integrità ecologica».

Dal canto suo il prof. Roberto Dell’Oro fa presente che «l’intenzione del documento non è quella di dare ricette economiche, ma di riconoscere che insieme, come famiglia umana (humana communitas), dobbiamo tornare alle lezioni che abbiamo imparato. È la vita stessa che ci insegna, ma dobbiamo essere consapevoli e attenti. In tal senso dobbiamo cambiare insieme, per disporre di un atteggiamento diverso nei confronti della vita nel suo insieme.

La Chiesa ci chiama a interrogare le nostre esperienze più profonde, senza essere predicatori, ma con realismo: la nostra finitudine, i limiti della nostra libertà, la vulnerabilità condivisa che porti ad aprire gli occhi verso coloro che soffrono molto, specialmente nel Sud del mondo. Il documento richiede inoltre sforzi globali e cooperazione internazionale e un’etica della solidarietà. Spero personalmente che le persone di buona volontà, i credenti e i non credenti, vedano questo documento come un invito alla conversione, che è prima di tutto un cambiamento nel nostro modo di guardare alla realtà e di costruire i nostri sforzi su una rinnovata consapevolezza».