Piccolo Enea voce di tutti i bimbi scartati

La Culla per la vita della Mangiagalli di Milano

Un miracolo davvero, perché la sorte di Enea – il neonato che una mamma anonima ha lasciato la domenica di Pasqua nella Culla per la Vita della Clinica Mangiagalli di Milano – poteva essere tragicamente diversa senza quella culla. Ecco la grandezza delle piccole culle per la vita: il percorso dalla solitudine alla comunione, dalla disperazione alla speranza, perché «quel bambino nato o non ancora nato è stato creato per una grande cosa: amare ed essere amato». Non abbandono, ma affidamento: è il gesto di deporre un bimbo o una bimba nella culla. Chi lo compie vuole salvare, chiede aiuto e protezione per quella piccola creatura. Le culle sono una benedizione: se tu, mamma, non ce la fai o non puoi, pensiamo noi al tuo bimbo o alla tua bimba. Non temere. Sarà accolto e amato! Questo dicono le culle. Molto probabilmente le culle hanno salvato molti più bambini di quelli che vi sono stati posti dentro. In ogni caso, anche poche vite salvate giustificano la predisposizione di strumenti idonei a evitarne la morte: «chi salva una vita salva il mondo intero». Le parole, i gesti, le immagini, veicolano messaggi; così anche la presenza silenziosa di una culla comunica accoglienza, speranza, fiducia. Così è stato per il piccolo Enea la cui esistenza, il cui nome e la cui storia appena iniziata dicono qualcosa di grande: tu sei prezioso per noi, per tutta la società. Come non interrogarci, a questo punto, su quella moltitudine di bambini ai quali viene impedito di nascere? Bambini che, invece, la società non vuole vedere, ma che esistono; bambini che vengono scartati in nome di falsi diritti e di una interpretazione corrotta della libertà. Anche questi bambini non nati, anche loro, ha detto papa Francesco, «sono figli di tutta la società, e la loro uccisione in numero enorme, con l’avallo degli Stati, costituisce un grave problema che mina alle basi la costruzione della giustizia, compromettendo la corretta soluzione di ogni altra questione umana e sociale» (2 febbraio 2019). In sostanza la questione è tutta qui: nello sguardo che riconosce l’umanità dell’altro.
È necessario che le culle per la vita siano conosciute. Siamo tutti responsabili. Ma Enea non era lo stesso Enea che poche ore prima si trovava nel seno della mamma? E non è lo stesso Enea che ha iniziato a esistere nove mesi prima della nascita? Dobbiamo riflettere sul non raro rifiuto dei bambini buttati via appena nati, meno fortunati perché nessuno li ha visti o sentiti. Ma soprattutto dobbiamo riflettere su quella moltitudine di bimbi cui viene impedito di nascere in nome della “libertà” degli adulti, in nome dei “diritti” e della “civiltà”. Questo supremo rifiuto prima che fisico è mentale, perché il rifiuto è nel pensiero, nella mente, nel cuore: di questi bimbi viene cancellata anche la possibilità di essere guardati, si vogliono relegare nell’irrilevanza, come se non esistessero. Di loro, come esseri umani a pieno titolo, non si deve parlare. Addirittura è giudicata una minaccia al sistema affermare che deve essere data alla donna la libertà di non abortire, il diritto di accogliere i propri figli. La giustissima e doverosissima attenzione verso il neonato trovato mesi fa nelle campagne del trapanese vale per tutti i bambini, anche per quelli non nati, perché ciascuno di loro ci ricorda che in ogni vita umana c’è un “mistero da venerare”.
I nostri Centri di aiuto alla Vita si trovano in ogni regione, isole comprese, e spesso sono abbinati a case di accoglienza; della rete del Movimento per la Vita italiano fanno parte anche i servizi Sos Gemma e Sos Vita; esiste poi il cosiddetto “parto in anonimato” che tutela la mamma e il figlio; spesso associate a ospedali, sono installate le “culle per la vita”.
di Marina Casini Presidente del Movimento per la Vita italiano

avvenire.it

Nel 1981, dopo il referendum sull’aborto, un settimanale cattolico titolò «Ripartiamo da 32»: la percentuale di chi aveva votato contro la 194. Ma oggi ci crediamo ancora che quel grumo di cellule è un uomo?

Colpisce il singolare understatement con cui – in generale – il mondo cattolico italiano ha accolto la sentenza della Corte costituzionale Usa che fa retromarcia sul diritto di aborto. Io che sono abbastanza anziano da ricordare il mitico «Ripartiamo da 32» (la percentuale dei contrari all’aborto nel referendum del 1981) con cui l’altrettanto mitico settimanale ciellino «Il Sabato» accolse con tono di rivincita la sconfitta elettorale, sono francamente perplesso.

Certo: sono passati quarant’anni e il clima (anche cattolico) è molto cambiato. In generale c’è assai più individualismo e soprattutto meno fiducia nella possibilità di «cambiare il mondo». Tuttavia certe cose non cambiano – non dovrebbero cambiare: per esempio che una vita è una vita. O non lo è.

Invece leggo titoli concilianti, secondo i quali è «l’ora di riflettere insieme», è tempo di «dialogo», bisogna «riaprire un dialogo non ideologico»… E come no? Ci mancherebbe, parlare fa sempre bene e aiuta a chiarirsi le idee. Senza contare che il superamento di certi steccati favorisce una ricerca più seria e condivisa del bene comune. Ma poi, giunti al dunque?

Le proposte ­che ho letto – anche di autorevoli prelati, responsabili di organismi preposti proprio alla materia – sono quelle di dare «una solida assistenza alle madri che coinvolga tutta la comunità», «garantire un’assistenza sanitaria accessibile a tutti», «predisporre misure legislative a tutela della famiglia e della maternità», favorire «la possibilità per le madri in difficoltà di  portare avanti la gravidanza e di affidare il bambino a chi può garantirne la crescita», persino «assicurare un’adeguata educazione sessuale» (arrivare alla contraccezione no, quello no: non esageriamo…). Bene! E chi mai sarebbe contrario a proposte del genere? Nemmeno un abortista, credo.

Ma poi? Ci crediamo ancora oppure no -­ come noi giovani sventolammo con orgoglio e convinzione 40 anni fa -­ che quel grumo di cellule è già un uomo? E, se lo è, a parte tutte le doverose migliorie e facilitazioni possibili per farlo nascere, davanti alla decisione finale della madre anche se non esistono ragioni terapeutiche o d’altro genere (stupro, eccetera), davanti al puro e semplice «diritto di aborto»: cosa diciamo, da cattolici?

Quarant’anni fa ci schierammo con estrema decisione e parole forti contro la 194; oggi – almeno dalle reazioni lette -­ sembriamo rassegnati a considerarla il meno peggio: e forse è proprio così. Io stesso non mi sento di reclamarne una revisione. Però mi chiedo se tanto vale allora lasciare allo Stato il compito di legiferare (in questo e in altri casi) secondo la maggioranza e riservare al santuario inviolabile della coscienza personale la decisione ultima sulle varie possibilità lasciate aperte alla scelta…

Alla fine, trovo persino più schietto il ragionamento di Vittorio Feltri che ­– dopo aver narrato una vicissitudine familiare legata a un possibile aborto – conclude: «La gente si lamenta che in Italia le culle sono vuote. Io penso che l’aborto abbia contribuito a svuotarle». Brutale ma vero.

vinonuovo.it

Pandemia e rinascita della vita

Settimana News

di: Fabrizio Mastrofini

covid vita

Il secondo documento della Pontificia accademia per la vita chiede un coraggioso sforzo per salvaguardare la salute dell’humana communitas.

Si intitola L’Humana Communitas nell’era della Pandemia. Riflessioni inattuali sulla rinascita della vita, ed è il secondo documento – il primo è del 30 marzo 2020 – che la Pontificia accademia per la vita dedica alle conseguenze della crisi sanitaria mondiale e alla sua interpretazione.

Il testo non è lungo (9 pagine) ma molto denso di contenuti e apre con un deciso e duro giudizio sul presente politico e sociale. Se, «nella sofferenza e nella morte di così tante persone, abbiamo imparato la lezione della fragilità», allora serve un cambio di passo: sforzi globali e una decisa cooperazione internazionale; un futuro più equo e più giusto le cui parole-chiave siano migliore assistenza sanitaria per tutti e vaccinazioni.

«Ancora non abbiamo dato sufficiente attenzione, soprattutto a livello globale, all’interdipendenza umana e alla vulnerabilità comune. Il virus non riconosce le frontiere, ma i paesi hanno sigillato i propri confini. A differenza di altri disastri, la pandemia non ha colpito tutti i paesi allo stesso momento. Sebbene questo avrebbe potuto offrire l’opportunità di imparare dalle esperienze e dalle politiche di altri paesi, il processo di apprendimento a livello globale è stato minimo. Addirittura, alcuni paesi si sono, a volte, impegnati in un gioco cinico di reciproca accusa».

I frutti di un “ethos” di prevaricazione

«Il fenomeno del Covid-19 non è solo il risultato di avvenimenti naturali. Ciò che avviene in natura è già il risultato di una complessa interazione con il mondo umano delle scelte economiche e dei modelli di sviluppo, essi stessi “infettati” con un diverso “virus” di nostra creazione: questo virus è il risultato, più che la causa, dell’avidità finanziaria, dell’accondiscendenza verso stili di vita definiti dal consumo e dall’eccesso. Ci siamo costruiti un ethos di prevaricazione e disprezzo nei confronti di ciò che ci è dato nella promessa primordiale della creazione. Per questo motivo, siamo chiamati a riconsiderare il nostro rapporto con l’habitat naturale. A riconoscere che viviamo su questa terra come amministratori, non come padroni e signori».

Tuttavia, «se paragonate alle difficoltà dei paesi poveri, soprattutto nel cosiddetto Sud Globale, le traversie del mondo “sviluppato” appaiono piuttosto come un lusso: solo nei paesi ricchi le persone possono permettersi di rispettare i requisiti di sicurezza. In quelli meno fortunati, d’altra parte, il “distanziamento fisico” è semplicemente impossibile a causa delle necessità e delle circostanze tragiche: ambienti affollati e impraticabilità di un distanziamento sostenibile costituiscono per intere popolazioni un ostacolo insormontabile. Il contrasto tra le due situazioni mette in luce un paradosso stridente, che, ancora una volta, racconta la storia della sproporzione di benessere tra paesi ricchi e poveri».

La crisi ha mostrato le possibilità e i limiti dei modelli focalizzati sull’assistenza ospedaliera: «Certamente, in tutti i paesi, il bene comune della salute pubblica deve essere bilanciato in rapporto agli interessi economici» e le case di cura e gli anziani sono stati duramente colpiti.

Si deve poi aggiungere che «discussioni etiche sull’allocazione delle risorse si sono soprattutto basate su considerazioni utilitaristiche, senza prestare attenzione alle persone più vulnerabili ed esposte a più gravi rischi. Nella maggioranza dei paesi, il ruolo dei medici di base è stato ignorato, mentre per molti, sono il primo punto di contatto con il sistema assistenziale. Il risultato è stato un aumento di decessi e di disabilità provocate da cause diverse dal Covid-19».

covid e vita

Decisioni chiare e coraggiose

Sul piano dell’etica e della salute pubblica a livello globale, sono necessari tre passi:

  1. Un’assunzione e una distribuzione equa dei rischi ineliminabili nello svolgimento della vita umana, anche per quanto riguarda l’accesso alle risorse sanitarie, fra cui le vaccinazioni hanno un ruolo strategico
  2. Un atteggiamento responsabile riguardo alla ricerca scientifica, che ne tuteli l’autonomia e l’indipendenza, superando forme di sottomissione a interessi particolari di tipo economico o politico, che ne distorcono i risultati e la comunicazione
  3. Un coordinamento e una cooperazione a livello internazionale e globale per rendere effettivo il diritto universale ai livelli più elevati di cura della salute, come espressione di tutela dell’inalienabile dignità della persona umana.

«Siamo chiamati a un atteggiamento di speranza, che va oltre l’effetto paralizzante di due tentazioni opposte: da una parte, la rassegnazione che sottende passivamente agli eventi, e dall’altra, la nostalgia per un ritorno al passato, che si riduce al desiderare ciò che esisteva prima. Invece, è tempo di immaginare e attuare un progetto di coesistenza umana che consenta un futuro migliore per ciascuno. Il sogno recentemente immaginato per la regione amazzonica potrebbe diventare un sogno universale, un sogno per l’intero pianeta “che integri e promuova tutti i suoi abitanti” perché possano consolidare un “buon vivere” (Querida Amazonia, 8)».

Un’etica della solidarietà

Hanno contribuito alla stesura del documento, tra gli altri, il prof. Henk ten Have, accademico della Pontificia accademia per la vita e uno dei massimi esperti di Bioetica globale, e il prof. Roberto Dell’Oro, docente alla Loyola Marymount University.

Il prof. Henk ten Have nota che «la pandemia del Covid-19 come fenomeno globale dimostra che oggi siamo intrinsecamente interconnessi. Condividiamo tutti la stessa vulnerabilità perché abitiamo nella stessa casa comune. Questa esperienza ci rende consapevoli che il nostro benessere individuale dipende dalla comunità umana. Pertanto – come spiega la nota della Pontificia accademia per la vita –, dovrebbe essere applicata una prospettiva etica globale che articoli l’importanza morale della solidarietà, della cooperazione, della responsabilità sociale, del bene comune e dell’integrità ecologica».

Dal canto suo il prof. Roberto Dell’Oro fa presente che «l’intenzione del documento non è quella di dare ricette economiche, ma di riconoscere che insieme, come famiglia umana (humana communitas), dobbiamo tornare alle lezioni che abbiamo imparato. È la vita stessa che ci insegna, ma dobbiamo essere consapevoli e attenti. In tal senso dobbiamo cambiare insieme, per disporre di un atteggiamento diverso nei confronti della vita nel suo insieme.

La Chiesa ci chiama a interrogare le nostre esperienze più profonde, senza essere predicatori, ma con realismo: la nostra finitudine, i limiti della nostra libertà, la vulnerabilità condivisa che porti ad aprire gli occhi verso coloro che soffrono molto, specialmente nel Sud del mondo. Il documento richiede inoltre sforzi globali e cooperazione internazionale e un’etica della solidarietà. Spero personalmente che le persone di buona volontà, i credenti e i non credenti, vedano questo documento come un invito alla conversione, che è prima di tutto un cambiamento nel nostro modo di guardare alla realtà e di costruire i nostri sforzi su una rinnovata consapevolezza».

PAPA: VITA È SACRA, DIFENDERLA GIÀ DAL CONCEPIMENTO

Ansa

‘NON VA DISTRUTTA O FARNE OGGETTO SPERIMENTAZIONI’ Nuovo appello del Papa contro l’aborto. “La vita è sacra perché è dono di Dio. Siamo chiamati a difenderla e servirla già dal concepimento nel grembo materno fino all’età avanzata, quando è segnata dall’infermità e dalla sofferenza. Non è lecito distruggere la vita, renderla oggetto di sperimentazioni o false concezioni. Vi chiedo di pregare affinché sia sempre rispettata la vita umana”. Lo ha detto il Papa salutando i pellegrini polacchi che domenica hanno partecipato ai ‘Cortei per la vita’. (ANSA).

Una riflessione sul valore profetico dell’«Humanae vitae». Il paradosso dell’oblio del corpo femminile

Vaticano

L’Osservatore Romano

Vita e Pensiero. Anticipiamo un articolo in uscita sul prossimo numero di «Vita e Pensiero», intitolato La dignità della donna e l’Humanae Vitae.
(Hanna-Barbara Gerl-Falkovitz) In che cosa risiede l’elemento “sconveniente” che tutt’oggi risuona nell’enciclica Humanae vitae di papa Paolo VI, uscita in quell’anno inquietante che fu il 1968? Nella frase «che qualsiasi atto matrimoniale deve rimanere aperto alla trasmissione della vita» (Humanae vitae, 11). E ancora, che questa dottrina si fonderebbe «sulla connessione inscindibile, che Dio ha voluto e che l’uomo non può rompere di sua iniziativa, tra i due significati dell’atto coniugale: il significato unitivo e il significato procreativo» (ibidem 12).

Movimento per la Vita. Dall’Emilia al Nepal, una “piccola goccia” per i bambini

da Avvenire

I volontari italiani a Kathmandu

I volontari italiani a Kathmandu

Una piccola delegazione del Movimento per la Vita è in questi giorni a Kathmandu, capitale del Nepal, per un progetto di sostegno avviato dopo il disastroso terremoto che il 25 aprile 2015 devastò un Paese fragilissimo causando 8mila morti. Il progetto «Sanu Thoppa» (Piccola Goccia in nepalese) è stato voluto e promosso dal Movimento per la Vita di Finale Emilia – città che sperimentò il sisma nel maggio 2012 – a sostegno delle mamme e dei bambini di questa terra bella quanto povera.

Insieme alle suore Missionarie della Carità

Insieme alle suore Missionarie della Carità

Tra le persone che hanno accolto e accompagnato la delegazione italiana anche le eredi della santa che ha ispirato il titolo stesso del progetto, Madre Teresa di Calcutta. Uno dei grandi problemi del Nepal oggi è la vita nascente tra maternità surrogata, con bambini venduti alla nascita sfruttando la condizione di povertà, alla selezione di genere. Uccise in grembo per un antico pregiudizio, le bambine stanno ancora subendo una discriminazione orribile, nell’indifferenza del mondo. La missione del MpV a cavallo tra fine 2018 e inizio del nuovo anno è un piccolo gesto di solidarietà che ha potuto contare in questi anni del sostegno di tanti finalesi.

Un robot a caccia di vita su una luna di Giove

Entro il 2030 un robot sottomarino potrebbe ‘camminare’ a testa in giù sotto i ghiacci della luna di Giove che nasconde un oceano sotto i ghiacci Europa, a caccia di tracce di vita. “Non sarei sorpreso se un giorno trovassimo forme di vita su Europa o sulle lune di Saturno Titano ed Encelado. Adesso non abbiamo prove, ma non è una pazzia pensarlo”. È un racconto già proiettato al futuro dell’esplorazione del Sistema Solare quello rivolto da Charles Elachi, uno dei papà della missione Cassini suSaturno, agli studenti di tecnologie aerospaziali della facoltà d’ingegneria dell’Università Sapienza di Roma dove è stato ospite per una conferenza su “Cassini e l’epoca d’oro dell’esplorazione spaziale”.

Un’epoca in cui “in una generazione abbiamo fatto ciò che avevamo sognato per migliaia di anni”, ha detto lo studioso. “Viviamo in un universo sorprendente“. Per 15 anni a capo di uno dei laboratori di eccellenza della Nasa, il Jet Propulsion Laboratory (Jpl), Elachi ha riavvolto il nastro del viaggio ventennale di Cassini, “una delle più eccitanti della Nasa, destinata a rimanere nei libri di storia per secoli”.

Lanciata il 15 ottobre 1997, Cassini è una missione di Agenzia Spaziale Italiana (Asi), Agenzia Spaziale Europea (Esa) e Nasa. In 20 anni ha collezionato molti record. È stata la prima, il 14 gennaio 2005, con la sonda Huygens a scendere tra monti, fiumi e laghi d’idrocarburi di Titano. Ha inoltre scoperto un oceano sotto i ghiacci di Encelado, che potrebbe ospitare la vita e da cui originano geyser che “sulla Terra arriverebbero fino agli aerei. Sono proprio gli oceani – ha detto Elachi – i luoghi dov’è più probabile trovare vita. Su Cassini non c’era un laboratorio attrezzato per identificarla direttamente, mafuture missioni potrebbero invece trovarla, prelevando ad esempio campioni di materiale da questi geyser e riportandoli a Terra. Del resto – ha concluso – noi scienziati siamo abituati a guardare ciò che nessuno aveva mai visto prima e a farlo diventare realtà”.

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Giornata per la vita. «Io, mamma a dodici anni, grido il mio no all’aborto»

La testimonianza di Aurora: «Ero sola contro gli adulti, in difesa del mio bambino»

«La Chiesa intera e in essa le famiglie cristiane guardano alla gioia degli uomini, perché il loro compito è annunciare la buona notizia». Con questa raccomandazione si conclude il messaggio della Cei per la 40esima Giornata Nazionale per la Vita, che si celebra dopodomani. E a partire da queste parole anche l’arcidiocesi di Udine ha organizzato la Festa diocesana per la Vita, inaugurata il 26 gennaio con le testimonianze forti di due adolescenti speciali, la campionessa paralimpica Nicole Orlando (affetta da sindrome di Down) e Aurora Leoni.

«Far nascere questo figlio sarebbe la tua rovina, la tua vita finirebbe qua». Stefano era alto 7 centimetri e già era un pericolo pubblico, insomma, da annientare prima che combinasse danni irreversibili. Ma sveglio com’era (era l’agosto del 2011 quando lo scoprirono rannicchiato nel piccolo utero di sua madre) sfoderò il primo dei suoi assi nella manica: «Per settimane non ci accorgemmo che ero incinta, perché al primo mese ebbi ugualmente il ciclo», spiega Aurora Leoni, «così io e nonna Valentina lo scoprimmo con un mese di ritardo. Vivevo con lei da sempre, perché mia mamma se n’era andata quando avevo un anno e mio padre non l’ho mai conosciuto, per questo ero sotto i servizi sociali di Forlì e ovviamente ci rivolgemmo a loro: avevo 12 anni, ero una bambina e aspettavo un figlio. Tutto il mondo degli adulti si mosse per ‘aiutarmi’, ma aiutarmi ad abortire, invece quel fagiolino era già mio e io non avevo mai provato la felicità che sentivo da quando lo avevo dentro».

Matura come una madre e acerba come l’adolescente che è, Aurora (oggi 19 anni) oscilla tra le sue due anime e prova ad armonizzarle, certa soltanto di una cosa: «Allora ero ribelle e trasgressiva, un colpo di testa dopo l’altro… ma il mio bambino è stato il colpo in testa mandato dal Cielo per salvarmi. Senza di lui oggi sarei sicuramente alla rovina». L’esatto opposto di quanto le diceva l’assistente sociale, cioè, che provava a farla ragionare: «Se lo tieni cosa dirà la gente? Anche i giornali ne parleranno».

Come da copione, pure il padre del bambino trovava saggio eliminare il problema alla radice, anche se in questo caso – bisogna ammetterlo – con l’attenuante dell’età (solo due anni più di Aurora). Motivo per cui quando la bambina raggiante di gioia gli rivela la notizia, la sua sola preoccupazione è «non dirlo a mia mamma», pretesa impossibile. Persino nonna Valentina, pur contraria all’aborto e affezionata alla nipote, sa che non c’è alternativa e attorno ad Aurora il cerchio si stringe. A 12 anni si è in grado di generare la vita ma non si ha voce in capitolo, la legge per lei non prevede il diritto di scelta, così in quattro e quattr’otto i servizi sociali prenotano le visite al consultorio pubblico e la data per l’aborto viene fissata. Ma Stefano ha quell’asso nella manica e ribalta la situazione: «Il ginecologo ha scoperto che era già di tre mesi e mezzo, i termini di legge per abortire erano già scaduti. Lui era seccato, io felicissima. Se non che la legge 194 prevede che per gravissimi problemi a livello psichico si può interrompere la gravidanza anche dopo, così mi portarono di corsa da un neuropsichiatra infantile, che ci desse lui la soluzione». Ma niente da fare neanche lì: rimasta da sola a colloquio con lui, Aurora sfodera la prima delle sue due anime, quella della madre già matura, ripete che quel figlio è suo e lei lo vuole… E Stefano si avvia indenne verso gli 8 centimetri di lunghezza.

I servizi sociali a questo punto chiedono almeno ad Aurora di entrare in comunità, e lei per la gravidanza approda al Cav di Forlì, il Centro di Aiuto alla Vita, dove tuttora vive. «È difficile perché non è come a casa tua, ci sono delle regole, orari da rispettare, vivi in mezzo a tanti bambini», racconta oggi, ma anche dove «ho trovato la mia famiglia e la mia seconda mamma, quella che mi è sempre stata vicina e tuttora lo è», Angela Fabbri, attivissima presidente del Cav e da 30 anni responsabile della Casa d’accoglienza ‘La Tenda’.

È lì che i due bambini, mamma e figlio, crescono uniti, immersi in quel condensato di vita vera che è la casa famiglia, dove altri sette bambini non sono fortunati come Stefano: «Io so bene cosa vuol dire da piccoli non avere la mamma, per questo in casa do una mano a operatori e volontari, anche se di giorno faccio il servizio civile in una scuola elementare a sostegno degli scolari problematici – racconta Aurora –. Di notte invece studio per l’ultimo anno di odontotecnico». Con la stessa forza con cui ha lottato perché Stefano nascesse, ha subito chiarito che non lo avrebbe affidato a nessuno, «non volevo fare con lui lo stesso errore che mia madre aveva fatto con me. Io sono figlia di una donna che ha dato alla luce otto figli da quattro padri diversi, Stefano invece dovrà sempre sapere che lui è la mia priorità, tutto il mondo viene dopo di lui».

Per questo non le importa che il padre non lo abbia riconosciuto e che dopo il primo anno e mezzo abbia anche smesso di venirlo a trovare, «gli alimenti? non li ho mai chiesti e non so che farmene, io ho Stefano e quindi ho tutto », spalanca gli occhi azzurri sotto il caschetto rosso. Il suo bambino, stessi occhi ma capelli d’oro, in sei anni ha già cambiato tre cognomi, il primo scelto dall’ostetrica al parto, il secondo dall’anagrafe, «finalmente a 16 anni la legge mi ha consentito di dargli il mio. E a 18 ho subito iniziato a testimoniare: le donne devono sapere la verità, non è umano ingannarle, si deve dire che abortire significa uccidere tuo figlio. La legge parla chiaro, gli assistenti sociali dovrebbero aiutare la maternità quando è difficile, non farti credere che l’aborto sia una cosa normale. Il giorno in cui ho fatto la prima ecografia l’ho visto, era piccolissimo ma così bello, era il mio dolce maschietto già amato e desiderato. Se avessi dato retta agli adulti, ok, oggi andrei in discoteca e sarei libera, ma la mia vita sarebbe disperata: allora frequentavo una compagnia poco bella e vedo come sono finiti male gli altri, come sono angosciate le mie amiche che hanno abortito. Quella piccola cosina dentro di me mi ha salvata». L’assistente sociale di una volta è stata la prima a portare un regalo a Stefano quando è nato. E oggi uno dei medici del consultorio ogni volta che mi incontra con lui mi dice: «Guarda cosa stavi per perderti».

Avvenire

Il Vangelo della vita, gioia per il mondo

“L’amore dà sempre vita”, si apre con queste parole di papa Francesco il Messaggio del Consiglio Episcopale Permanente per la 40ª Giornata Nazionale per la Vita, che si celebrerà il 4 febbraio 2018.

La Giornata è incentrata sul tema “Il Vangelo della vita, gioia per il mondo” e il Messaggio dei Vescovi italiani sottolinea che “la gioia che il Vangelo della vita può testimoniare al mondo, è dono di Dio e compito affidato all’uomo”.

Un dono “legato alla stessa rivelazione cristiana” e “oggetto di richiesta nella preghiera dei discepoli”.I Vescovi richiamano l’ammonimento del Santo Padre sui “segni di una cultura chiusa all’incontro” che “gridano nella ricerca esasperata di interessi personali o di parte, nelle aggressioni contro le donne, nell’indifferenza verso i poveri e i migranti, nelle violenze contro la vita dei bambini sin dal concepimento e degli anziani segnati da un’estrema fragilità”.

Il Papa ricorda che “solo una comunità dal respiro evangelico è capace di trasformare la realtà e guarire dal dramma dell’aborto e dell’eutanasia”, una comunità che “sa farsi ‘samaritana’ chinandosi sulla storia umana lacerata, ferita, scoraggiata”, una comunità che cerca il sentiero della vita.Allora, si legge nel Messaggio “punto iniziale per testimoniare il Vangelo della vita e della gioia è vivere con cuore grato la fatica dell’esistenza umana, senza ingenuità né illusorie autoreferenzialità”.

Così, concludono i Vescovi, “la Chiesa intera e in essa le famiglie cristiane, che hanno appreso il lessico nuovo della relazione evangelica e fatto proprie le parole dell’accoglienza della vita, della gratuità e della generosità, del perdono reciproco e della misericordia, guardano alla gioia degli uomini perché il loro compito è annunciare la buona notizia, il Vangelo”.

Ecco il testo completo

GIORNATA PER LA VITA 2018

Messaggio del Consiglio Episcopale Permanente per la 40a Giornata Nazionale per la Vita (4 febbraio 2018)

IL VANGELO DELLA VITA, GIOIA PER IL MONDO

“L’amore dà sempre vita”: quest’affermazione di papa Francesco, che apre il capitolo quinto dell’Amoris laetitia, ci introduce nella celebrazione della Giornata della Vita 2018, incentrata sul tema “Il Vangelo della vita, gioia per il mondo”. Vogliamo porre al centro della nostra riflessione credente la Parola di Dio, consegnata a noi nelle Sacre Scritture, unica via per trovare il senso della vita, frutto dell’Amore e generatrice di gioia. La gioia che il Vangelo della vita può testimoniare al mondo, è dono di Dio e compito affidato all’uomo; dono di Dio in quanto legato alla stessa rivelazione cristiana, compito poiché ne richiede la responsabilità.

Formati dall’Amore

La novità della vita e la gioia che essa genera sono possibili solo grazie all’agire divino. È suo dono e, come tale, oggetto di richiesta nella preghiera dei discepoli: “Finora non avete chiesto nulla nel mio nome. Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena” (Gv 16,24). La grazia della gioia è il frutto di una vita vissuta nella consapevolezza di essere figli che si consegnano con fiducia e si lasciano “formare” dall’amore di Dio Padre, che insegna a far festa e rallegrarsi per il ritorno di chi era perduto (cf. Lc 15,32); figli che vivono nel timore del Signore, come insegnano i sapienti di Israele: «Il timore del Signore allieta il cuore e dà contentezza, gioia e lunga vita» (Sir 1,10). Ancora, è l’esito di un’esistenza “cristica”, abitata dallo stesso sentire di Gesù, secondo le parole dell’Apostolo: «Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù», che si è fatto servo per amore (cf. Fil 2,5-6). Timore del Signore e servizio reso a Dio e ai fratelli al modo di Gesù sono i poli di un’esistenza che diviene Vangelo della vita, buona notizia,
capace di portare la gioia grande, che è di tutto il popolo (cf. Lc 2,10-13).

Il lessico nuovo della relazione

I segni di una cultura chiusa all’incontro, avverte il Santo Padre, gridano nella ricerca esasperata di interessi personali o di parte, nelle aggressioni contro le donne, nell’indifferenza verso i poveri e i migranti, nelle violenze contro la vita dei bambini sin dal concepimento e degli anziani segnati da un’estrema fragilità. Egli ricorda che solo una comunità dal respiro evangelico è capace di trasformare la realtà e guarire dal dramma dell’aborto e dell’eutanasia; una comunità che sa farsi “samaritana” chinandosi sulla storia umana lacerata, ferita, scoraggiata; una comunità che con il salmista riconosce: «Mi indicherai il sentiero della vita, gioia piena alla tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra» (Sal 16,11).

Di questa vita il mondo di oggi, spesso senza riconoscerlo, ha enorme bisogno per cui si aspetta dai cristiani l’annuncio della buona notizia per vincere la cultura della tristezza e dell’individualismo, che mina le basi di ogni relazione.

Punto iniziale per testimoniare il Vangelo della vita e della gioia è vivere con cuore grato la fatica dell’esistenza umana, senza ingenuità né illusorie autoreferenzialità. Il credente, divenuto discepolo del Regno, mentre impara a confrontarsi continuamente con le asprezze della storia, si interroga e cerca risposte di verità. In questo cammino di ricerca sperimenta che stare con il Maestro, rimanere con Lui (cf. Mc 3,14; Gv 1,39) lo conduce a gestire la realtà e a viverla bene, in modo sapiente, contando su una concezione delle relazioni non generica e temporanea, bensì cristianamente limpida e incisiva. La Chiesa intera e in essa le famiglie cristiane, che hanno appreso il lessico nuovo della relazione evangelica e fatto proprie le parole dell’accoglienza dellavita, della gratuità e della generosità, del perdono reciproco e della misericordia, guardano alla gioia degli uomini perché il loro compito è annunciare la buona notizia, il Vangelo. Un annuncio dell’amore paterno ematerno che sempre dà vita, che contagia gioia e vince ogni tristezza.
Avvenire

Giornata del Dono 2017. «La vita è il dono più grande»

Il dono più grande che Dio ci ha fatto è la vita. E la vita fa parte di un altro dono divino originario che è il Creato. Ricevendo i partecipanti all’Incontro promosso dall’Istituto Italiano della Donazione, in occasione della Giornata del dono 2017, che si celebrerà il prossimo 4 ottobre, il Papa è andato alla radice del nostro essere uomini e donne. Creature immerse nel disegno d’amore che il Padre buono ha voluto offrire, in Cristo, ai propri figli.

E nella misura in cui ci apriamo e lo accogliamo – ha sottolineato Francesco –, possiamo diventare a nostra volta dono d’amore per i fratelli. «Ce lo ha ricordato Gesù durante l’Ultima Cena, quando lasciò ai suoi discepoli il “comandamento nuovo” dell’amore». Nuovo certo, perché «non si tratta di un amore qualsiasi, ma dell’amore stesso di Gesù, che ha dato la sua vita per noi. Un amore che si traduce nel servizio agli altri: poco prima, infatti, Gesù aveva lavato i piedi ai discepoli. Un amore che sa abbassarsi, che rifiuta ogni forma di violenza, rispetta la libertà, promuove la dignità, respinge ogni discriminazione. Un amore disarmato, che si rivela più forte dell’odio. Questa è la regola dell’amore per quanti vogliono seguire Gesù: lasciarsi afferrare da Lui, amare con Lui, modellare le proprie azioni sulla sua infinita generosità».

E seguire Cristo è sinonimo di vita riuscita, felice. «La Giornata del dono» allora – ha proseguito il Papa – «è un’opportunità stimolante prima di tutto per i giovani: perché possano scoprire che il dono è una parte di noi stessi che viene gratuitamente regalata all’altro, non per perderla, ma per aumentarne il valore. Donare fa sentire più felici noi stessi e gli altri; donando si creano legami e relazioni che fortificano la speranza in un mondo migliore». Una consapevolezza che si traduce anche in responsabilità. Verso gli altri e verso il Creato che ci è casa. «Abbiamo il compito – ha osservato il Pontefice – di conservare e consegnare integro alle future generazioni il pianeta, che abbiamo ricevuto come dono gratuito dalla bontà di Dio. Di fronte alla crisi ecologica che stiamo vivendo, la prospettiva del dono ricevuto e da consegnare a chi verrà dopo di noi è motivo di impegno e di speranza».

avvenire

Parolin: procreazione, rispettare dignità della donna

Il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin ha partecipato oggi a Roma all’inaugurazione del nuovo Laboratorio dell’Istituto Scientifico Internazionale Paolo VI di ricerca sulla fertilità e infertilità umana per una procreazione responsabile. Nell’occasione il porporato ha potuto vedere in funzione l’ecografo donato da Papa Francesco, “a significare l’attenzione con cui segue l’attività dell’Istituto”.

La struttura, che ha ormai 15 anni – ha sottolineato il cardinale Parolin – è “una concreta risposta” all’appello rivolto dal Beato Papa Paolo VI agli uomini di scienza perché “chiarissero più a fondo le diverse condizioni che favoriscono un’onesta regolazione della procreazione umana” (Lettera enciclica Humanae Vitae). Ha quindi ricordato Benedetto XVI quando ha definito l’Istituto “esempio eloquente di quella sintesi tra verità e amore che costituisce il centro vitale della cultura cattolica” (Discorso in occasione dell’inaugurazione dell’Anno accademico dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, 25 novembre 2005).

La recentissima partecipazione dell’Istituto al Congresso Mondiale di Endocrinologia “ENDO 2016”, svoltosi a Boston dal primo al 4 aprile – ha aggiunto – “testimonia come la qualità della ricerca che ivi si svolge, venga riconosciuta dalla comunità scientifica internazionale”.

Infine, il segretario di Stato ha salutato le famiglie presenti all’inaugurazione, rivolgendo un pensiero “a tutte le coppie che si affidano all’Istituto per vedere coronato il loro desiderio di maternità e paternità. Il loro il ricorso a tale centro – ha concluso – oltre che risposta ad istanze di natura morale-religiosa, è anche una scelta appropriata per l’accesso a tecniche e metodi scientificamente molto validi e rispettosi della dignità della donna. L’Istituto Scientifico Internazionale Paolo VI è al servizio di tutti!”.

A 20 anni dall’Evangelium Vitae Manifesto per la vita firmato Cei e associazioni

da Avvenire

Si è svolto a Roma, al Nobile Collegio Chimico Farmaceutico – Universitas Aromatariorum Urbis ai Fori Imperiali, il convegno “Il Vangelo della Vita per un nuovo umanesimo. Sfide e prospettive a 20 anni dalla pubblicazione dell’Evangelium Vitae”, organizzato dall’Ufficio Nazionale per la pastorale della salute in collaborazione con l’Associazione Medici Cattolici Italiani, l’Associazione Cattolica Operatori Sanitari, l’Unione Cattolica Farmacisti Italiani, l’Associazione Italiana Pastorale Sanitaria e il Forum delle Associazioni Socio Sanitarie. Nell’occasione è stato redatto un “Manifesto per la vita”. Ecco il testo:

AMA LA VITA, TUTTA LA VITA, LA VITA DI TUTTI!
Manifesto per la Vita

A vent’anni dalla pubblicazione dell’enciclica Evangelium Vitae, facciamo nostro e rilanciamol’accorato appello di San Giovanni Paolo II: «In nome di Dio: rispetta, difendi, ama e servi la vita, ogni vita umana! Solo su questa strada troverai giustizia, sviluppo, libertà vera, pace e felicità!» (EV 5).

1. Annunciare, servire e celebrare il Vangelo della Vita, significa annunciare la persona stessa di Gesù Cristo, nel quale è definitivamente e pienamente donata a tutti la vita divina ed eterna; un evento di salvezza in cui viene accolto, elevato e portato a compimento quel valore della vita racchiuso nella stessa esperienza e ragione umana e in qualche modo scritto nel cuore stesso di ogni uomo e donna (cfr. EV 29-30).

2. Annunciare la vita è la missione della Chiesa, un mandato ricevuto da Cristo Gesù che la impegna fino alla fine del tempo, e che deve fare i conti, non soltanto con le mutate condizioni culturali e sociali, ma anche con la fragilità della stessa Chiesa.

3. Un mandato da compiere dentro un orizzonte e un contesto ancora più ampio e complesso qual è quello della cura e della custodia del creato, come indicato da Papa Francesco nell’enciclica Laudato si’. Difendere e promuovere la vita, come prendersi cura e custodire il creato, esigono l’accoglienza dell’atto creativo e redentivo di Dio nella dinamicità del suo sviluppo e fin alle sue ultime conseguenze: la vita eterna e la comunione perfetta con Lui, nel Suo Regno.

4. Per questo rinnoviamo il nostro impegno a favore della vita, rivolgendo anche un accorato appello per un nuovo slancio missionario:

ai Pastori della Chiesa perché siano annunciatori instancabili del Vangelo della Vita in ogni loro azione apostolica.

Alle comunità cristiane perché condividano e promuovano una cultura della vita che consideri l’uomo nella sua totalità e integrità, dal concepimento fino al suo compimentoe non si stanchino di operare concretamente a favore delle persone più fragili e nelle situazioni più difficili.

Ai professionisti della sanità perché siano a servizio della vita nell’esercizio della loro missione “astenendosi da recar qualsiasi danno o offesa” ad alcuno (cfr. Giuramento di Ippocrate), soprattutto se malato, povero e fragile, e di non essere condizionatinell’esercizio della professione da interessi economici o di potere, liberi di esercitare il diritto di obiezione di coscienza (cfr. Costituzione Italiana, art. 2).

Ai responsabili delle istituzioni sanitarie, anzitutto quelle di ispirazione cristiana, perchéanche di fronte alle trasformazioni organizzative e tecnologiche degli ultimi anni,contribuiscano con decisione a realizzare luoghi di evangelizzazione, di promozione e difesa della vita in ogni suo momento e manifestazione.

Al mondo della politica e a quanti sono amministratori del bene comune perché la vita umana e la sua dignità sia tutela in ogni sua stagione, soprattutto quando essa si manifesta fragile, debole e indifesa, in un contesto sociale dove appaiono sovente fenomeni della cultura della morte. Inoltre auspichiamo una maggior attenzione alle politiche familiari, garanzia di futuro e di sviluppo del nostro Paese.

A tutti, perché si promuova ad ogni livello e in ogni circostanza, nel rispetto della verità,una nuova cultura della vita, dell’incontro e della pace, radicati in una solida spiritualità evangelica, fondamento di identità e impegno.

5. Facciamo nostro, nella concretezza della storia e della quotidianità, l’invito rivolto da Papa Giovanni Paolo II a essere il Popolo della Vita che ha ricevuto in dono il Vangelo della Vita per annunciarlo, celebrarlo e servirlo.

Il Popolo della Vita annuncia:

il Dio della speranza e della gioia, vicino all’uomo, desideroso di entrare in comunione con lui.

La sacralità, l’inviolabilità e l’indisponibilità della vita, che ha senso e pienezzanell’amore ricevuto e donato.

Il Popolo della Vita celebra:

la bellezza, la grandezza e la dignità della vita umana, riflesso della stessa immagine di Dio e icona di Cristo Suo Figlio.

Il dono di sé di quanti, quotidianamente, nel silenzio e nell’umiltà, servono la vita in famiglia, sul lavoro e in ogni altro ambito.

Il Popolo della Vita serve:

tutta la vita e la vita di tutti, obbedienti al comandamento dell’Amore reciproco.

Una coraggiosa ed efficace opera educativa per un nuovo umanesimo in Gesù Cristo.

A Maria, Madre dei viventi, affidiamo questo rinnovato appello e impegno a favore della vita, di tutta la vita e della vita di tutti.

Roma, 30 ottobre 2015

Associazioni mobilitate per la vita

Qualcosa si muove nel mondo pro life italiano. La quasi totalità dei movimenti e delle realtà ecclesiali italiane si è ritrovata venerdì presso la fondazione Vaticana “Centro internazionale Famiglia di Nazareth” in un seminario dedicato alla difesa della vita nascente.

Una giornata di lavori a porte chiuse organizzata dal Movimento per la vita insieme al Rinnovamento nello Spirito Santo per riflettere sul “comune impegno in risposta all’evolvere delle aggressioni alla vita umana, specie nelle sue fasi più deboli”. A fare gli onori di casa Carlo Casini, presidente e fondatore di MpV, e Salvatore Martinez, presidente nazionale di RnS, che hanno condotto e moderato gli interventi dei rappresentanti di una trentina di sigle dell’associazionismo cattolico e di Marco Tarquinio, direttore di Avvenire.

Ciascuno dei presenti, dai Medici ai Giuristi cattolici, da Cl a Sant’Egidio, dal Forum delle famiglie a Scienza & Vita, dai Focolari ai Neocatecumenali, ha portato una riflessione mirata e un contributo alla discussione, evidenziando nodi e opportunità legati a questo particolare momento storico in cui la società italiana attraversa un passaggio più che delicato in materia di vita e famiglia: “Bisogna meditare sul da farsi – ha detto Casini – perché la situazione è cambiata”.

Il workshop ha preso le mosse dalla celebrazione di un triplice anniversario. Ricorrevano infatti i quarant’anni dall’apertura del primo Centro di aiuto alla vita a Firenze, inizio dell’attività e della presenza del Movimento per la vita, si avvicinano i 20 anni dell’Enciclica di san Giovanni Paolo II “Evangelium Vitae” (25 marzo) e si conclude il secondo anno di pontificato di Papa Francesco (e ancora i presenti non sapevano dell’indizione dell’Anno Santo straordinario). Il dibattito ha preso avvio proprio dalle parole di Papa Bergoglio, cui i partecipanti hanno inviato un messaggio di auguri e di testimonianza (LEGGI), e dalla sua più che presunta “distrazione” sui temi legati alla difesa della vita nascente.

“Il Magistero della vita di papa Francesco è ben saldo e presente”, ha ricordato Salvatore Martinez, che ha raccolto un florilegio di dieci densi interventi del Pontefice. Il focus sui passaggi significativi dei suoi discorsi, spesso volutamente ignorati o sminuiti dai grandi media, dimostra come, a dispetto delle insinuazioni su un supposto disinteresse, il Papa sia intervenuto sulla vita in maniera rilevante, eloquente e senza spazio per fraintendimenti.

Dal “rispetto per la vita umana fin dal concepimento” del maggio 2013 (Marcia per la Vita e “Uno di Noi”) alla “falsa compassione” di chi favorisce l’aborto o propone un figlio come un prodotto (ai Medici cattolici), passando per la cultura dello “scarto” del più debole e più fragile come se fosse “non necessario” e il grande paletto della Evangelii gaudium sul valore della persona umana: “Non ci si deve attendere che la Chiesa cambi la sua posizione su questa questione”.

Vita e famiglia dunque al centro della riflessione, soggetti legati a doppio filo su cui è doveroso e indispensabile tenere alta l’attenzione per impedire che prosegua l’opera di destrutturazione dell’umano condiviso. “Il Papa ci ha rimessi nelle condizioni di usare tutto un lessico che ci era stato sottratto”, ha evidenziato Marco Tarquinio, sottolineando come molti “ci vogliono sottrarre le parole, le opere e anche la scienza, che quando fornisce risultati di segno diverso viene tacitata. Ma sono ottimista, perché il senso comune della gente è ben saldo”. “Un incontro che è un primo passaggio significativo – ha concluso Casini, tirando le somme del seminario – perché l’unità non si fa teoricamente ma lavorando insieme”.

avvenire.it

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