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Si pianificano viaggi di sei mesi verso Marte o si ipotizzano colonie spaziali: per queste future missioni, la dimensione culinaria diventa importante e da approfondire. Unimore ha avviato il progetto G.Astronomica

REGGIO EMILIA – I nuovi investimenti nell’industria aereospaziale stanno creando un indotto che per tante aziende, anche del nostro territorio, sta diventando interessante. Reggio Emilia potrebbe in futuro diventare un riferimento nell’ambito cibo. Unimore ha avviato un progetto che parte della nostra tradizione per creare innovazione.

Spiega Luigi Grasselli, docente di Geometria presso il dipartimento di Ingegneria di Unimore: “E’ chiaro che quando si comincia a parlare di un viaggio di sei mesi verso Marte o di colonie spaziali in un senso prossimo la dimensione del cibo sulle navicelle spaziali diventa importante e da studiare”. E chi meglio degli emiliani può raccogliere questa sfida? Unimore è scesa in campo e ha schierato i dipartimenti di ingegneria e di Scienze della vita, attraverso i laboratori En&Tech e Biogest del Tecnopolo, dove è stato avviato il progetto G-astronomica. Le diverse competenze sono integrate e coordinate da Francesco Bombardi, architetto, designer e docente di design industriale ad Ingegneria. L’obiettivo è creare una meal box, un pasto che vada ben oltre quello che si consuma nello spazio oggi: “Non solo dobbiamo garantire solo la qualità organolettica legata alla salute, all’equilibrio fisico dell’astronauta, del viaggiatore nello spazio o del colono nello spazio, ma anche associare al cibo una serie di valori legati alla cultura, alla memoria e anche alle emozioni che sappiamo essere importanti”, ha aggiunto Bombardi.

Il progetto è aperto al contributo di soggetti esterni che, se interessati, possono una scrivere una mail a g.astronomica@unimore.it. Perché la forza è proprio nella interdisciplinarietà. “Ottenere un alimento di qualità ha la necessità di dover partire da una materia prima di qualità – dice il vicedirettore di Biogest Enrico Francia – e poi di applicare tutte le tecnologie necessarie per la sua trasformazione e per la sua conservazione in un ambiente come quello senza gravità dello spazio”. “Il contributo dei nostri ingegneri riguarda tutto quello che sta attorno al prodotto – aggiunge Mauro Dell’Amico, direttore del centro En&Tech -, nello spazio ci sono delle sfide tecnologiche particolarmente importanti per poter fruire e conservare il cibo nello spazio”.

Abbiamo visto Samantha Cristoforetti bere un caffè sulla Stazione Spaziale Internazionale da una tazzina, oggi esposta al Moma di New York: un rito tipicamente italiano. La speranza è quella di vedere in futuro gli astronauti gustare i nostri prodotti tipici. Conclude Bombardi: “Io credo che sia arrivato il momento di sfruttare quel valore che abbiamo ereditato dalla nostra tradizione così forte e proiettarlo in scenari di futuro dove possiamo essere competitivi con gli americani e con gli altri paesi coinvolti in questa ricerca”.

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