Educazione. Vestiti griffati e foto sui social: cosa succede a mio figlio? Chiede amore

Se un adolescente veste in modo strano, pazienza. Anche l’abbigliamento contribuisce a costruire l’identità. I consigli dello psicologo Ezio Aceti e dell’esperta di costume, Maria Luisa Frisa
Vestiti griffati e foto sui social: cosa succede a mio figlio? Chiede amore

Cercare se stessi anche in una felpa o in un berretto, nel trucco accurato piuttosto che in una chioma volutamente incolta. Adeguarsi agli altri, pescare nell’armadio della mamma oppure visitare un mercatino dell’usato, cercare il capo firmato a ogni costo: per gli adolescenti l’abbigliamento ha un peso importante. Aiuta a comprendere chi si è oppure chi si vuole diventare, è un modo per sperimentare, per far uscire aspetti del proprio carattere, per esplicitare scelte etiche e di vita. Oppure per non sentirsi esclusi dal gruppo dei pari.

Gli adolescenti insistono per quel capo di marca, e possono mettere in difficoltà i familiari per il costo esorbitante che ha, oppure percorrono nuove strade, lasciando stupiti mamme e papà. Si muovono nella rete per trovare capi di seconda mano, aprono le ante degli armadi dei nonni per scovare quella giacca che si potrebbe pensare passata di moda, ma che in realtà è rientrata nel circolo di ciò che può piacere. La scelta del capo di “seconda mano” può assumere anche un altro accento, perché alcuni ragazzi si interrogano su che cosa stia alle spalle di un singolo capo d’abbigliamento, si pongono quesiti etici, vogliono, anche attraverso scelte concrete, offrire un contributo per la salvaguardia dell’ambiente.

Come per altri aspetti, anche nella scelta del vestiario, i più giovani ricercano qualcosa: chi sono, chi desiderano essere, quanto vogliono essere accettati. Non sempre mamme e papà apprezzano come i propri figli sono abbigliati. In una società in cui l’immagine e l’apprezzamento, il sentire su di sé un “mi piace” in più fa la differenza, il come vestire diventa un punto importante.

Ezio Aceti, psicologo, che si occupa anche di supporto alla genitorialità, legge il fenomeno dell’importanza dell’abbigliamento per un ragazzo. «In una società in cui l’immagine è fondamentale, l’abbigliamento rappresenta la prima cosa che vedo di una persona. Vedo come la persona è vestita: è lo specchio esterno del sé, dell’immagine di sé. Nell’adolescenza il sé è la cosa più importante che esiste, perché l’adolescente ha appena abbandonato l’infanzia, non è ancora una persona adulta e deve dire a sé stessa chi è. Sta costruendo l’idea che ha di sé, ed è per questo che è fondamentale l’abbigliamento».

L’affidarsi a un capo noto diventa più “consolatorio”: «L’adolescente ha bisogno di uno specchio per sapere chi è – aggiunge lo psicologo -. Lo specchio esterno è dato dal marketing, dalle pubblicità che mostrano successo, realizzazione; avere il capo firmato perciò, significa pensare di valere. La seconda cosa di cui tener conto è l’appartenenza al gruppo delle persone che hanno avuto successo, che si sono realizzate. È un’illusione, ma l’adolescente ha bisogno di queste cose… è una sorta di utopia, falsa, che vuole realizzare».

Poi c’è l’adolescente che si vuol distinguere, c’è chi vuole staccarsi dal gruppo. Anche se la domanda fondamentale resta: “Come dovremmo vestirci?”. «Dovremmo essere vestiti – argomenta Ezio Aceti – in modo tale che, se si avvicina la persona più stracciona, si senta bene, ma anche se ci si accosta la persona più ricca. Il vestito è accogliente. Pensiamo alla tunica di Gesù: era bella. In chi cerca l’abbigliamento usato c’è la tendenza ad accogliere in una comunanza chi non è al top; oppure ci può essere una ricerca più elaborata, perché l’adolescente vuole distinguersi. Non stupisce comunque che un ragazzo passi da un modo di vestire all’altro».

Frequentando i social, si vedono i ragazzi che imperversano con le loro performance, il loro modo di truccarsi e di acconciarsi, di indossare una maglietta oppure di avere una determinata borsa oppure un paio di scarpe. «Non condanniamo i ragazzini che si mettono in mostra sui social – aggiunge Aceti -: mendicano l’amore, mendicano i follower. Che cosa mendicano? Vogliono essere considerati. Il modo può essere sbagliato, ma la domanda è giusta».

Sul portafoglio alcune scelte pesano: «Chi siamo noi adulti? Siamo la realtà che sostiene. Non si più rispondere al desiderio eccessivo dei ragazzi. Diamo la nostra idea. Si possono creare tensioni in famiglia – conclude lo psicologo -, ed è corretto che si litighi, bene, in famiglia, senza umiliare l’altro, dando spiegazioni. L’educazione è aiutare i ragazzi a scoprire la bellezza che è in loro».

D’altro canto, le sperimentazioni che compiono i giovanissimi, il loro sondare nuovi terreni per trovare un’immagine di se stessi che sia rispondente alla propria personalità in crescita, è affascinate. «Ho un osservatorio che mi mette in contatto con ragazzi di età compresa tra i 18 e i 22 anni – commenta Maria Luisa Frisa, teorica della moda, docente all’Università Iuav di Venezia –. Nell’arco della vita, che si può far partire dagli 11 anni ai 20, è naturale che ci sia un periodo di tentativi e di curiosità, e ciò dipende anche dai modelli che hai, anche letterari, dai film che vedi, dalla musica, dagli amici che frequenti. C’è una grande varietà di scelte. Sotto certi aspetti mi sembra che il desiderio del pezzo firmato stia calando, ma c’è la curiosità verso altro, ad esempio versi marchi indipendenti che catturano l’attenzione di ragazze e di ragazzi, c’è la voglia di crearsi un proprio stile. Sono sempre affascinata nel vedere i miei studenti, dalla capacità di scegliere cose interessanti anche con pochi soldi. Se, paradossalmente, noi viviamo sotto il potere della moda, che è un sistema che innerva ogni strada, c’è anche molta libertà interpretativa. Oggi le fisicità sono cambiate; non c’è molta diversità tra il guardaroba maschile e quello femminile. Ci sono ragazze che condividono gli armadi, lavorando sui vestiti, creando qualcosa di unico. C’è un fatto: viviamo nell’epoca degli archivi, che siano della moda, o di altro. Siamo sempre più legati a un immaginario del passato. Anche gli adolescenti – prosegue l’esperta – scoprono gli stili del passato e li reinterpretano a modo loro. Ed è interessante, rispetto a una società che persegue una sensibilità verso il consumismo. Poi c’è un altro aspetto, quello della sicurezza. Se mi metto quel capo che indossano tutti, mi sentirò parte di un gruppo, ma vedo anche molta libertà e immaginazione».

Per trovarsi, gli adolescenti sperimentano nuove strade, usano tutta la loro corporeità per parlare di sé: «Ragazze e ragazzi sono molto concentrati sulla personalità del volto, attraverso il trucco, attraverso la ricerca di una pelle trasparente come gli orientali – conclude la professoressa Frisa -. Anche qui c’è molta creatività. La moda oggi è un arcipelago, con molte insenature nelle quali muoversi. E l’adolescenza è un periodo di grandi sperimentazioni».
avvenire.it

Università, dalla Regione 5 milioni di euro per finanziare i dottorati su transizione ecologica e sostenibilità

Formare una nuova generazione di esperti in grado di fronteggiare al meglio le complesse sfide scaturite dalla transizione ecologica, promuovendo al contempo la crescita e lo sviluppo sostenibile delle comunità e dei territori.

È con questo obiettivo che in Emilia-Romagna nasce il nuovo programma avanzato regionale di  dottorato, frutto della partnership tra le Università di Bologna, Modena e Reggio Emilia, Parma, Ferrara, il Politecnico di Milano e l’Università Cattolica del Sacro Cuore (sedi di Piacenza), con il coinvolgimento di stakeholder pubblici e privati, in grado di offrire ai dottorandi corsi e attività di formazione in collaborazione tra i diversi atenei, sia specialistici, sia interdisciplinari e trasversali. Temi centrali dei percorsi proposti, le questioni più urgenti che riguardano il futuro del Pianeta, dalla crisi climatica al contrasto alle disuguaglianze, dal Green Deal alla transizione digitale.

Un progetto che la Giunta regionale dell’Emilia-Romagna ha deciso di sostenere stanziando quasi 5 milioni euro (esattamente 4 milioni 880mila euro) che serviranno a finanziare 56 borse di ricerca destinate ad altrettanti dottorandi.

Il programma, denominato “Territorio Sostenibile 2.0”, punta in particolare alle nuove sfide di carattere globale, costruendo reti di innovazione sul territorio per formare esperti in grado di coniugare le esigenze del sistema produttivo locale con la tutela dell’ambiente, la lotta ai cambiamenti climatici e la riduzione delle disuguaglianze. In sintonia con gli obiettivi del PNRR e con i programmi europei Erasmus+ e Horizon Europe, ed in linea con i principi fondamentali del Patto per il Lavoro e per il Clima e la Strategia regionale 2030, che punta a un’Emilia-Romagna sempre più Regione della conoscenza e dei saperi.

23 borse di ricerca fanno capo all’Università di Bologna, 10 all’Università di Modena e Reggio Emilia, 10 all’Università di Parma, 10 all’Università di Ferrara, 1 all’Università cattolica del Sacro Cuore e 2 al Politecnico di Milano.

Gli ambiti di studio e ricerca

Sostenibilità e welfare, scelte economiche in un contesto di scarsità delle risorse ambientali, culturali e socioeconomiche, analisi del territorio per la pianificazione di invasi idrici in ambiente montano e di sistemi per la ricarica artificiale degli acquiferi in ambiente di pianura. Ancora, sviluppo di intelligenze artificiali affidabili e adattabili a specifiche soluzioni verticali, procedure, strategie e tecniche di intervento inclusive per l’efficientamento energetico, la decarbonizzazione e la resilienza dei borghi storici nel rispetto del loro valore culturale, storico e paesaggistico.

Sono alcuni dei 51 progetti di formazione alla ricerca, di durata tri e quadriennale, che saranno attivati nell’anno accademico 2024-2025 (40esimo ciclo) e uno nel 2025-2026 (41esimo ciclo), nell’ambito del programma “Territorio sostenibile 2.0”, dalle sei Università emiliano-romagnole partner per indagare, secondo un approccio multidisciplinare, internazionale e intersettoriale, le molteplici sfaccettature della transizione verso la sostenibilità. La Regione, in questo contesto, finanzierà l’attivazione di 56 borse di ricerca, con un investimento complessivo di quasi 5 milioni di euro.

L’obiettivo del programma è sperimentare collaborazioni tra un vasto spettro di corsi e progetti di dottorato delle università coinvolte, per creare una comunità dottorale regionale incentrata sui cambiamenti culturali, economici, tecnologici e sociali necessari a uno sviluppo equilibrato e sostenibile della società, con particolare attenzione al contesto territoriale.

Oltre ai corsi e alle attività di formazione comuni tra le diverse Università, il programma prevede anche collaborazioni e soggiorni internazionali in enti di ricerca e atenei stranieri distribuiti in tutto il mondo, con l’obiettivo di formare competenze che supportino il potenziamento dell’ecosistema di ricerca e sviluppo emiliano-romagnolo, e ne favoriscano crescita e innovazione. A questo scopo, il progetto contempla una vasta rete di partner di ricerca, coinvolgendo anche le imprese del territorio.

stampareggiana.it

L’Università nel cammino sinodale

Sabato 20 maggio presso l’Aula Magna Artigianelli del Dipartimento di Educazione e Scienze Umane, in Seminario a Reggio, dalle 10 alle 12, si tiene l’incontro “Università e società, la Chiesa reggiano-guastallese in ascolto.

Si tratta di una nuova tappa del cammino sinodale questa volta rivolta al mondo dell’istruzione universitaria.

Dopo i saluti della professoressa Annamaria Contini, direttrice del Dipartimento di Educazione e Scienze Umane, interverranno il rettore di UniMoRe, professor Carlo Adolfo Porro e Lucia Maggipinto, recentemente laureatasi in Scienze della Formazione Primaria e rappresentante degli studenti presso il Nucleo di Valutazione di UniMoRe.
Ci sarà infine spazio per alcune domande e la mattinata si concluderà con una riflessione del vescovo Giacomo.

diocesi.re.it

Chiesa e Università, ascoltare i giovani

Gli anni dell’Università sono un tempo decisivo, fatto di incontri, esperienze, responsabilità, scelte. Un tempo in cui prende forma la vocazione personale, l’orientamento di fondo della propria vita.

In questo contesto si è tenuto l’Incontro nazionale degli studenti e dei ricercatori universitari che l’Ufficio nazionale per l’educazione, la scuola e l’università e l’Ufficio nazionale per la pastorale delle vocazioni della Cei hanno promosso dal 10 al 12 marzo ad Assisi, sul tema “Dove lo Spirito è di casa”.

L’appuntamento ha offerto un’occasione di fraternità e di ricerca comune, in cui ascoltare la Parola, la vita, le persone. Un passo importante anche per il Cammino sinodale della Chiesa italiana. A partire dall’Incontro di Assisi, abbiamo chiesto a Ernesto Diaco, direttore dell’Ufficio nazionale per l’educazione, la scuola e l’università, quali sono le prospettive future della pastorale universitaria.

Ernesto Diaco

Perché è stato importante l’appuntamento di Assisi?

L’Incontro nazionale di Assisi è stato importante per almeno due ragioni: la prima, perché, a differenza delle iniziative promosse negli anni scorsi, non ci siamo rivolti ai responsabili diocesani o ai cappellani universitari, ma direttamente agli studenti e ai ricercatori universitari, per i quali il convegno è stato pensato e strutturato.

La seconda ragione è che l’abbiamo esplicitamente collegato al Cammino sinodale della Chiesa italiana e, in particolare, al primo dei “Cantieri di Betania”, quello “della strada e del villaggio”, che prevede l’ascolto dei “mondi vitali” e dei contesti sociali e culturali in cui i credenti operano accanto alle altre persone.

Quali sono gli obiettivi di questo rinnovato interesse per il mondo universitario?

Il primo obiettivo è lo stesso del Cammino sinodale: avere occasioni di ascolto, di dialogo e di riflessione comune per cogliere le domande e i bisogni, ma soprattutto i contributi positivi, gli apporti che arrivano dai giovani stessi e le provocazioni emergenti dall’esperienza che loro fanno nel mondo della ricerca e della cultura. Inoltre, vogliamo mandare un segnale di attenzione non solo nei confronti dell’Università come struttura, ma delle persone che la abitano e la costruiscono ogni giorno.

La pastorale universitaria non è solo rapporto fra istituzioni, ma relazioni tra giovani e adulti, consacrati e laici, credenti e non credenti. Il dialogo tra Chiesa e l’Università avviene soprattutto nei territori, dove si promuovono momenti di approfondimento, di studio, di scambio reciproco. È importante dunque conoscere e sostenere tutte quelle occasioni che vedono le comunità ecclesiali e le Università incontrarsi in vari modi.

Nel dialogo riavviato con i giovani ad Assisi quali richieste sono emerse da parte loro?

Sia il dialogo in assemblea sia i laboratori sono stati molto partecipati e vivaci. Prendendo spunto dai “Cantieri” sinodali, abbiamo chiesto quando si sentono a casa nella comunità cristiana e come l’esperienza universitaria può provocare la pastorale della Chiesa. Nelle loro risposte i giovani hanno evidenziato il bisogno di essere accolti e ascoltati senza venire prima giudicati, l’importanza di essere accompagnati e valorizzati senza essere sfruttati e anche di essere presi sul serio. In una parola, di sentirsi amati. Di percepire l’abbraccio di Dio. C’è una grande richiesta di condivisione e di comunità, a volte si sentono anonimi anche nei luoghi ecclesiali.

Molti di loro esprimono delusione per quanto offre il mondo di oggi; per questo si aspettano proposte diverse e testimoni credibili. Ci chiedono sincerità e coerenza, una Chiesa che vada al senso delle cose, calandosi nella quotidianità e dando a tutti la possibilità di esprimere il proprio pensiero. Dal loro vissuto universitario traggono la proposta di incrementare il confronto della Chiesa con la scienza, l’economia, la cultura. Occorre “parlarsi di più”, insistono molto su questo punto. Personalmente, ho raccolto un forte bisogno di speranza, insieme alla disponibilità a essere loro stessi protagonisti di questa speranza.

L’appuntamento di Assisi è stato organizzato da due Uffici Cei…

Sì, l’Incontro nazionale è stato promosso insieme dall’Ufficio nazionale per l’educazione, la scuola e l’università e dall’Ufficio nazionale per la pastorale delle vocazioni. Non possiamo più lavorare da soli. A maggior ragione nel contesto della sinodalità e dopo il Sinodo dedicato ai giovani, che ha evidenziato come ogni esperienza formativa abbia una forte valenza vocazionale e di discernimento esistenziale.

Ad Assisi abbiamo pregato nei luoghi di San Francesco e Santa Chiara e riflettuto sulle parole della “Christus vivit”, dove il Papa scrive: “Tante volte, nella vita, perdiamo tempo a domandarci: ‘Ma chi sono io?’. Tu puoi domandarti chi sei tu e fare tutta una vita cercando chi sei tu. Ma domandati: ‘Per chi sono io?’”. Rispetto a questa domanda si apre un ventaglio molto ampio di risposte, che comprende sì la strada verso il sacerdozio e la vita consacrata, ma anche quella che passa dal matrimonio, dal modo di vivere lo studio e la professione, dall’impegno nella società… Una vita donata secondo le mille forme che la realtà provoca e che lo Spirito suscita nella vita quotidiana di ciascuno.

Dopo Assisi come proseguirete il cammino?

Abbiamo davanti diversi impegni. Il primo è quello di far arrivare al Comitato nazionale del Cammino sinodale il frutto di questo ascolto e dialogo con gli studenti universitari, cosicché la loro voce possa arrivare a chi elabora gli strumenti e le proposte per il prosieguo del Cammino sinodale. Una seconda direzione di lavoro l’hanno data i ragazzi stessi al termine dell’Incontro di Assisi, con la loro proposta di creare un’équipe nazionale per la pastorale universitaria che comprenda anche studenti universitari. Esiste già una Consulta nazionale che però non si dedica solo alla pastorale universitaria perché comprende tutto il mondo dell’educazione e della scuola. L’invito che ci viene dai ragazzi ci spinge a studiare le forme attraverso le quali, oltre a quanto già esiste, si possa realizzare un coinvolgimento diretto degli universitari anche a livello nazionale. Una terza linea da approfondire è quella di proseguire nella collaborazione tra i nostri due Uffici, in tutte le occasioni possibili, in modo che dall’Incontro di Assisi possa emergere qualcosa di nuovo sia per noi sia per le diocesi.

Come la Chiesa italiana può essere vicina gli universitari?

La Chiesa può essere vicina alle persone mettendo a loro disposizione altre persone. I nostri luoghi e ambienti, come possono essere le cappellanie, i collegi universitari e i centri pastorali diocesani, esistono per educare e accompagnare, ossia generare relazioni e momenti di incontro. Non è scontato far sì che, attraverso questi spazi e strumenti, i giovani possano incontrare adulti o altri giovani come loro con cui entrare in dialogo, instaurare amicizie significative e con cui condividere esperienze di formazione, di spiritualità e di condivisione, di riflessione sulle sfide culturali che l’esperienza in Università provoca nel mondo di oggi e in ciascuno di loro.

laliberta.info