L’ecumenismo della vita ci conduce verso l’unità

L’ecumenismo della vita ci sta conducendo verso la comunione: ne è convinto il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, che interviene alla Radio Vaticana in occasione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani che si svolge da oggi al 25 gennaio sul tema “Quel che il Signore esige da noi“, frase tratta dal libro del profeta Michea. Ascoltiamo il porporato al microfono di Mario Galgano:

R. – Ich denke, dass in den letzten 50 Jahren sehr, sehr viel geschehen ist. …
Io credo che negli ultimi 50 anni siano accadute molte cose. Ci sono stati tanti dialoghi, abbiamo trovato tanti avvicinamenti – penso in particolare al grandioso evento che si è verificato poco prima della fine del Concilio, quando le scomuniche tra la Chiesa cattolica e quella ortodossa sono state affidate all’oblio della storia; penso alla grandiosa Dichiarazione tra la Federazione luterana mondiale e il Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani sulla Dottrina della Giustificazione, cioè proprio sul punto che all’epoca della Riforma ci aveva divisi … Accanto a questo, nel frattempo, si è sviluppata una rete mondiale di amicizie ecumeniche e questo lo ritengo ancora più importante, perché non saranno le “carte” ecumeniche a condurci nel futuro, ma la comunione nella vita. Eppure, nonostante tutto quello che abbiamo fatto, dobbiamo dire che la meta dell’ecumenismo non è stata raggiunta: non abbiamo ancora trovato l’unità e c’è ancora molto da lavorare per trovarla …

D. – Per quanto riguarda il dialogo con gli ortodossi, una delle maggiori difficoltà è data dalle divisioni all’interno della stessa ortodossia …

R. – Wir habe ja eine große internationale Kommission zwischen der …
Esiste una grande Commissione internazionale tra la Chiesa cattolico-romana e le Chiese ortodosse, della quale fanno parte delegazioni di quasi tutte le Chiese – ad eccezione della Bulgaria. Si rilevano, in effetti, alcune tensioni tra gli ortodossi; per questo credo che sarebbe un evento importantissimo l’eventuale svolgimento di un Sinodo pan-ortodosso. Seguo questa evoluzione con grande simpatia perché sono convinto che se si riuscisse a realizzare lo svolgimento di questo Sinodo pan-ortodosso, questo significherebbe un grande aiuto anche per il dialogo ecumenico con noi.

D. – Quale il ruolo dell’Anno della fede in questa Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani?

R. – Also, ich denke für das ganze Jahr spielt das eine zentrale Rolle, weil …
Credo che svolga un ruolo centrale per tutto l’anno, perché l’elemento fondante dell’ecumenismo è la fede! L’ecumenismo non è una faccenda semplicemente diplomatica o politica: è una questione di fede. E quello che ci unisce maggiormente è il Battesimo – riconosciuto da tutti – e il Credo apostolico. In questo senso, l’Anno della fede è una grande sfida a ritrovare le radici dell’ecumenismo che si trovano proprio nella fede.

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Al via la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Il Papa: insieme siamo volto e forza di Cristo

“Quel che il Signore esige da noi”: su queste parole del Profeta Michea si fonda il tema dell’edizione 2013 della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, che inizia oggi. Sin dall’alba del suo Pontificato, Benedetto XVI ha posto il dialogo ecumenico tra le priorità del suo ministero e in molte circostanze le sue parole hanno espresso con forza l’auspicio che tutti i credenti in Cristo ritrovino l’unità della prima ora della Chiesa. Alessandro De Carolis ricorda alcune affermazioni del Pontefice sull’argomento:

L’unità della Chiesa nasce a poche ore dalla sua apparente fine. Nasce nel Cenacolo – in quella splendida, intensa preghiera di Gesù che affida al Padre gli Apostoli – e sembra distrutta di lì a poco, quando l’autore della preghiera pende crocifisso sul Golgota. Tra il Getsemani e il Calvario gli Apostoli rinnegano, scappano, si danno per vinti. E in quel loro disperdersi sembra annidarsi il segno di ciò che, nei secoli avvenire, sarà della comunità cristiana, creata sul sangue di un Dio morto e risorto ma incapace di restare unita come il suo Artefice l’aveva pensata e benedetta. Riflettendo sui primi anni del cristianesimo, Benedetto XVI notò in una occasione l’intervento cui fu costretto San Paolo già ai tempi dei primi fedeli corinzi:

“L’Apostolo, infatti, aveva saputo che nella comunità cristiana di Corinto erano nate discordie e divisioni; perciò, con grande fermezza, aggiunge: ‘E’ forse diviso il Cristo?’ (1,13). Così dicendo, egli afferma che ogni divisione nella Chiesa è un’offesa a Cristo; e, al tempo stesso, che è sempre in Lui, unico Capo e Signore, che possiamo ritrovarci uniti, per la forza inesauribile della sua grazia”. (Angelus, 23 gennaio 2011)

La tentazione della discordia è davvero antica pur tra chi è stato creato per essere una cosa sola. E la conseguenza di quella “offesa a Cristo” – ha messo più volte in risalto il Papa – è che la divisione tra i cristiani è sovente uno schermo nero che non lascia trasparire appieno la presenza di Dio al resto dell’umanità:

“Il mondo soffre per l’assenza di Dio, per l’inaccessibilità di Dio, ha desiderio di conoscere il volto di Dio. Ma come potrebbero e possono, gli uomini di oggi, conoscere questo volto di Dio nel volto di Gesù Cristo se noi cristiani siamo divisi, se uno insegna contro l’altro, se uno sta contro l’altro? Solo nell’unità possiamo mostrare realmente a questo mondo – che ne ha bisogno – il volto di Dio, il volto di Cristo”. (Udienza generale, 23 genn. 2008)

E il primo e più immediato modo di testimoniare l’unità tra cristiani divisi è quello di pregare assieme:

“Nella preghiera comune, le comunità cristiane si pongono insieme di fronte al Signore e, prendendo coscienza delle contraddizioni generate dalla divisione, manifestano la volontà di ubbidire alla sua volontà ricorrendo fiduciosi al suo onnipotente soccorso (…) La preghiera comune non è quindi un atto volontaristico o puramente sociologico, ma è espressione della fede che unisce tutti i discepoli di Cristo”. (Udienza generale, 23 genn. 2008)

Preghiera, certo, ma non solo, per non essere cembali squillanti. Ci vuole anche l’azione, quella della carità. Ed è ciò che Benedetto XVI ha sempre auspicato del dialogo ecumenico. Affiancare alla preghiera condivisa anche dei gesti concreti di condivisa solidarietà:

“Ciò favorisce il cammino dell’unità, perché si può dire che ogni sollievo, pur piccolo, che i cristiani recano insieme alla sofferenza del prossimo, contribuisce a rendere più visibile anche la loro comunione e la loro fedeltà al comando del Signore”.

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All’inizio della Settimana ecumenica l’invito a pregare per l’unità

Il desiderio di “vedere il volto di Dio” appartiene alla natura di ogni uomo, anche di chi non crede. Lo ha detto il Pontefice all’udienza generale svoltasi stamattina, mercoledì 16 gennaio, nell’Aula Paolo VI. Proseguendo le sue riflessioni settimanali sull’Anno della fede, Benedetto XVI ha parlato della rivelazione di Dio, che in Gesù “giunge al suo culmine, alla sua pienezza”. L’incarnazione, infatti, esprime “la novità del nuovo Testamento, quella novità che è apparsa nella grotta di Betlemme: Dio si può vedere, Dio ha manifestato il suo volto, è visibile in Gesù Cristo”.
Mentre nell’antico Testamento l’accento è posto soprattutto sulla necessità di non ridurre Dio a “un oggetto” o a una semplice “immagine che si prende in mano” – tanto che allo stesso Mosè il suo volto rimane ancora nascosto – con l’incarnazione “la ricerca del volto di Dio riceve una svolta inimmaginabile, perché questo volto si può ora vedere: è quello di Gesù, del Figlio di Dio che si fa uomo”. Cristo dunque – ha spiegato il Papa – “ci mostra il volto di Dio e ci fa conoscere il nome di Dio”, indicandolo come “Colui che è presente tra gli uomini”. Così egli “inaugura in un modo nuovo la presenza di Dio nella storia, perché chi vede Lui, vede il Padre”: una realtà che la tradizione patristica e medievale riassume efficacemente nella definizione di Gesù come Verbum abbreviatum, “il Verbo abbreviato, la Parola breve, abbreviata e sostanziale del Padre, che ci ha detto tutto di Lui”.
Il desiderio di vedere il volto di Dio si realizza dunque “seguendo Cristo” e imparando a riconoscerlo “nel povero, nel debole, nel sofferente”. Questo è possibile – ha concluso il Pontefice – “solo se il vero volto di Gesù ci è diventato familiare nell’ascolto della sua Parola”.

(©L’Osservatore Romano 17 gennaio 2013)

Come ogni anno dal 18 al 25 gennaio si celebra la Settimana di preghiera per l’Unità dei Cristiani

Quest’anno la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani ci invita a riflettere sull’importantissimo e ben noto testo del profeta Michea: “Quale offerta porteremo al Signore, al Dio Altissimo, quando andremo ad adorarlo? Gradirà il Signore migliaia di montoni e torrenti di olio? Gli daremo in sacrificio i nostri figli, i nostri primogeniti per ricevere il perdono dei nostri peccati? In realtà il Signore ha insegnato agli uomini quel che è bene quel che esige da noi: praticare la giustizia, ricercare la bontà e vivere con umiltà davanti al nostro Dio” (6, 6-8).

Il libro del profeta Michea esorta il popolo a camminare in pellegrinaggio: “Saliamo sulla montagna del Signore, ed Egli ci insegnerà quel che dobbiamo fare e noi impareremo come comportarci” (4, 2). Di grande rilievo, dunque, è la sua chiamata: “camminare in questo pellegrinaggio, a condividere nella giustizia e nella pace, ove troviamo la vera salvezza”.

È verità indiscutibile che la giustizia e la pace – ricorda il profeta Michea -, costituiscono una forte e salda alleanza fra Dio e l’umanità, attraverso cui si crea una società costruita sulla dignità, sull’uguaglianza, sulla fraternità e sul reciproco “svuotamento” (kenosis) delle passioni.

È poi incontestabile che la vera fede in Dio è inseparabile dalla santità personale, come anche dalla ricerca della giustizia sociale.

Al tempo della predicazione del profeta Michea il popolo di Dio doveva affrontare l’oppressione e l’ingiustizia di coloro che intendevano negare la dignità e i diritti dei poveri.

Lo sfruttamento dei poveri era – ed è – un fatto reale: “Voi divorate il mio popolo. Lo spellate, gli rompete le ossa”, dice il profeta (3, 3).

In modo simile, oggi, il sistema delle caste, con il razzismo e il nazionalismo, pone severe sfide alla pace dei popoli, e in tanti paesi; altre caste, con diversi nomi, negano l’importanza del dialogo e della conversazione, la libertà nel parlare e nell’ascoltare. A motivo di questo sistema delle caste, i Dalits, nella cultura indiana, “sono socialmente emarginati, politicamente sotto-rappresentati, sfruttati economicamente e soggiogati culturalmente”.

Noi, come seguaci del “Dio della vita e della pace”, del “Sole della giustizia”, secondo l’Innologia dell’Oriente Ortodosso, dobbiamo camminare nel sentiero della giustizia, della misericordia e dell’umiltà, realtà e tema di eccellente significato e di attualità che saranno sviluppati con dinamismo dalla X Assemblea generale del Consiglio Ecumenico delle Chiese, in programma nel 2013 a Busan, nella Corea del Sud.

“Dio della vita, guidaci verso la giustizia e la pace” è il tema dell’Assemblea, e risuonerà come un forte appello a tutti i popoli a camminare insieme, comunitariamente, nel sentiero della giustizia che conduce alla vita e alla salvezza.

Dunque, la nostra salvezza dalla schiavitù e dall’umiliazione quotidiana più che semplicemente con riti solo formali, sacrifici e offerte (Mic 6, 7), richiede da noi il “praticare la giustizia, ricercare la bontà e vivere con umiltà davanti al nostro Dio” (6, 8).

Con chiarezza il profeta Michea mette in evidenza, da una parte, il rigetto dei rituali e dei sacrifici impoveriti dalla mancanza del senso della misericordia, dell’umiltà e della giustizia, e dall’altra dimostra l’aspettativa di Dio che la giustizia debba essere al cuore della nostra religione e dei nostri riti. È la volontà di Dio, il suo desiderio di procedere nel sentiero della giustizia e della pace, facendo quel che Dio esige da noi.

Giovanni Paolo II ha affermato che “qualsiasi espressione di pregiudizio, basata sulle caste, in relazione ai cristiani, è una contro-testimonianza dell’autentica solidarietà umana, una minaccia alla genuina spiritualità e un serio ostacolo alla missione di evangelizzazione della Chiesa”. Mentre il Papa Benedetto XVI proclama così: “Anche se nel mondo il male sembra sempre prevalere sul bene”, a vincere alla fine è “l’amore e non l’odio”, perché “più forte è il Signore, il nostro vero re e sacerdote Cristo, e nonostante tutte le cose che ci fanno dubitare sull’esito positivo della storia, vince Cristo e vince il bene”, il Patriarca Ecumenico Bartolomeo I ha dichiarato con fermezza: “Promuoviamo l’universalità della carità al posto dell’odio e dell’ipocrisia, promuoviamo l’universalità della comunione e della collaborazione al posto dell’antagonismo”. In modo simile si sono pronunciati anche gli altri Capi delle diverse chiese e confessioni cristiane.

La celebrazione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani è un vero e forte segno di amore e di speranza, di aiuto spirituale e morale, e l’unità dei cristiani sarà un dono dello Spirito Santo.

Camminare umilmente con Dio significa anzitutto camminare nella radicalità della Fede, come il nostro padre Abramo, camminare in solidarietà con coloro che lottano per la giustizia e la pace, e condividere la sofferenza di tutti, attraverso l’attenzione, la cura e il sostegno verso i bisognosi, i poveri e gli emarginati. Infatti, camminare con Dio significa camminare oltre le barriere, oltre l’odio, il razzismo e il nazionalismo che dividono e danneggiano i membri della Chiesa di Cristo.

San Paolo afferma: “Con il battesimo, infatti siete stati uniti a Cristo e siete stati rivestiti di Lui come di un abito nuovo. Non ha più alcuna importanza l’essere Ebreo o pagano, schiavo o libero, uomo o donna, perché uniti a Gesù Cristo, tutti voi siete diventati un solo uomo” (Gal 3, 28).

Ogni uomo è “icona di Dio”, secondo la dottrina dei Santi Padri Greci della Cappadocia, e, conseguentemente, incontrandolo nella strada, incontriamo Cristo, e, servendolo, serviamo lui, che “infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mc 10, 45).

Amore e giustizia si incontrano e conducono alla salvezza, hanno la stessa origine e conducono alla vita eterna.

Il monaco Efrem il Siro, grande asceta dell’Oriente Ortodosso ed eccellente scrittore di preghiere mistiche, sottolinea: “Se amerai la pace trapasserai il grande mare della vita con serenità. Se amerai la giustizia troverai la vita eterna”, prospettiva che ci fa comprendere che la pace e l’unità sono piene solo se si fondano nella giustizia: “Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati” (Mt 5, 6).

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“Tutti saremo trasformati dalla vittoria di Gesù Cristo, nostro Signore” (cfr. 1 Cor 15, 51-58)

Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani 18-25 gennaio 2012

Quest’anno i cristiani in Polonia hanno offerto alla nostra meditazione la loro esperienza di trasformazione e di preghiera. La trasformazione a cui si riferiscono è compresa nella sua profondità solo nella resurrezione di Gesù. Ogni cristiano battezzato nella morte e resurrezione di Cristo comincia un cammino di trasformazione. Morendo al peccato e alle forze del male, i battezzati cominciano a vivere una vita di grazia. Questa vita di grazia permette loro di sperimentare concretamente la potenza della resurrezione di Gesù, e l’apostolo Paolo li esorta: “[ …l siate saldi, incrollabili. Impegnatevi sempre più nell’opera del Signore, sapendo che, grazie al Signore, il vostro lavoro non va perduto” (l Cor 15,58).

Qual è, dunque, l’opera del Signore? Non è forse l’edificazione del Regno di giustizia e di pace? Non è forse la vittoria sulle forze del peccato e sulle tenebre per la potenza dell’amore e della luce della verità? Nella vittoria Gesù Cristo nostro Signore, a tutti i cristiani viene data la capacità di indossare le armi della verità e dell’amore e di superare tutti gli ostacoli che impediscono la testimonianza del Regno di Dio. Nonostante ciò, un ostacolo permane, e può impedirci di portare a termine il nostro compito. È l’ostacolo della divisione e della mancanza di unità fra i cristiani. Come può il messaggio del vangelo risuonare autentico se non proclamiamo e non celebriamo insieme la Parola che dà la vita? Come può il vangelo convincere il mondo della propria intrinseca verità, se noi, che siamo gli annunciatori di questo vangelo, non viviamo la koinonia nel corpo di Cristo?

La preghiera per l’unità, dunque, non è un accessorio opzionale della vita cristiana, ma, al contrario, ne è il cuore. L’ultimo comandamento che il Signore ci ha lasciato prima di completare la sua offerta redentiva sulla croce, è stato quello della comunione fra i suoi discepoli, della loro unità come Lui e il Padre sono uno, perché il mondo creda. Era la sua volontà e il suo comandamento per noi, perché realizzassimo quell’immagine in cui siamo plasmati, quella comunione di amore che spira fra le Persone della Trinità e che li rende Uno. Per questo motivo la realizzazione della preghiera di Gesù per l’unità è una grande responsabilità di tutti i battezzati.

L’unità dei cristiani è un dono di Dio; la preghiera ci prepara a ricevere questo dono e ad essere trasformati in ciò per cui preghiamo. Nel presentare questo testo di preghiera per l’unità di tutti i cristiani, ne raccomandiamo l’utilizzo; incoraggiamo la creatività dei pastori e dei fedeli nel porre nuovo vigore non solo nel pregare per l’unità, ma anche nel procedere, passo dopo passo, verso quella trasformazione che sarà operata dalla preghiera. Lasciamo che il nuovo anno ci trovi più aperti, come individui e come comunità, alla potenza del mistero della morte salvifica di Cristo.

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