Tunisia / Lo Stato tunisino divorzia dall’Islam, la Tunisia no

Per volontà del presidente Kais Saied, la nuova Costituzione non conterrà riferimenti all’Islam come religione di Stato. Non si tratta tuttavia di una svolta laica

Il 20 giugno, Sadek Beleid, presidente della Commissione consultiva incaricata di porre le fondamenta delle “nuova Repubblica tunisina”, ha consegnato al presidente della Repubblica la bozza della Costituzione che dovrà sostituire quella del 2014. Secondo il calendario fissato dal capo dello Stato, il testo definitivo sarà presentato entro il 30 giugno e verrà sottoposto a referendum il 25 luglio, data dell’anniversario del colpo di mano con cui Kais Saied ha destituito il governo, congelato le attività del Parlamento (poi dissolto il 30 marzo scorso) e assunto i pieni poteri.
Ci si aspetta che la nuova Carta corregga in senso marcatamente presidenziale (e autoritario) il sistema emerso dalla rivoluzione del 2011. Tuttavia, l’unico dettaglio reso noto finora riguarda i rapporti tra Stato e religione. Due settimane prima di consegnare il suo lavoro al capo dello Stato, Beleid aveva infatti affermato in un’intervista con l’agenzia di stampa AFP che la nuova Costituzione non avrebbe contenuto riferimenti all’Islam come religione di Stato, in modo da impedire qualsiasi strumentalizzazione da parte di forze estremiste. L’anticipazione di Beleid è stata confermata il 21 giugno da Saied, anche se con argomenti diversi. Secondo il presidente tunisino, infatti, è un controsenso assegnare una religione a uno Stato. Dio – ha affermato il Saied citando il Corano – ha detto «voi siete la migliore nazione suscitata tra gli uomini», non «lo Stato migliore suscitato tra gli uomini».

Queste dichiarazioni hanno fatto e faranno discutere, ma non stupiscono. Riflettono infatti una posizione che il presidente tunisino aveva già espresso quando era un semplice professore di diritto costituzionale. A differenza di quanto sostenuto da alcuni commentatori, dunque, il divorzio tra Stato e Islam non è un semplice espediente tattico pensato per mettere all’angolo gli islamisti e compiacere osservatori e governi occidentali. Il giurista Saied non ha mai risparmiato critiche al testo costituzionale promulgato dopo la rivoluzione del 2011 e, diventato legislatore, sembra deciso a imporre la sua personale idea di Costituzione.

La novità introdotta dal presidente riapre il dibattito sull’identità tunisina e sul rapporto tra religione e politica che aveva tenuto banco tra il 2011 e il 2013. Dopo lunghe e intense discussioni, l’Assemblea costituente eletta nell’ottobre del 2011 aveva trovato un compromesso sul mantenimento dell’articolo 1 della Costituzione del 1959, secondo il quale «La Tunisia è uno Stato libero, indipendente e sovrano. La sua religione è l’Islam, la sua lingua l’arabo e il suo sistema la repubblica». La convergenza su questa formulazione non aveva però impedito divergenze interpretative, legate a una questione grammaticale. A che cosa si riferisce infatti il pronome “sua”? Alla Tunisia o allo Stato? Nel primo caso il richiamo all’Islam definisce simbolicamente l’identità nazionale del Paese, nel secondo crea invece un vincolo giuridico per le istituzioni. Inoltre, anche nell’ipotesi della confessionalizzazione dello Stato, questa poteva rispondere a intenzioni diverse. Per i partiti islamisti era una garanzia di conformità tra la religione prevalente nel Paese e l’azione politica e legislativa di Governo e Parlamento. Per gli attori anti-islamisti, noti in Tunisia come “modernisti”, il legame istituzionale tra Stato e Islam aveva invece lo scopo di porre sotto controllo la sfera religiosa, impedendo la sua monopolizzazione da parte di gruppi e partiti.

Se la nuova Costituzione sarà approvata dal referendum, la Tunisia diventerà il terzo Paese arabo a non avere l’Islam come religione di Stato dopo il Libano multiconfessionale e il Sudan post-2019. Non si tratta tuttavia di una svolta laica, almeno non nelle intenzioni di Kais Saied. Pur rifiutando il principio di una religione ufficiale, il presidente tunisino ha infatti specificato più volte che lo Stato ha il compito di realizzare gli obiettivi della religione della umma: un termine ambiguo, che rimanda sia alla comunità universale dei credenti che alla nazione, in questo caso quella tunisina. Saied ha peraltro lasciato intendere che la nuova Costituzione recepirà questo nesso tra Islam e comunità nazionale. Nell’agosto del 2020 inoltre, in un’altra delle occasioni in cui si è espresso sul tema, il presidente si era detto contrario al superamento della discriminazione contenuta nel diritto successorio (alla donna spetta la metà delle quote ereditarie dell’uomo) dal momento che le disposizioni del Corano in materia sono chiare. Meno chiare sono le implicazioni della sua volontà di svincolare lo Stato dall’Islam. Cambierà effettivamente qualcosa? Continuerà a esistere un ministero degli Affari religiosi? Chi gestirà le moschee del Paese?

Non è in ogni caso questo il terreno su cui si misurerà la riuscita del progetto dell’inquilino del Palazzo di Cartagine. Sulla Tunisia incombe infatti lo spettro di una grave crisi economica e della carestia ed è innanzitutto in questo ambito che la popolazione chiede delle risposte.