Ballottaggi: insediati seggi, domani e lunedì voto per 65 Comuni 5 milioni elettori, si sceglie sindaco anche a Roma e Torino

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Si sono insediati i seggi e sono cominciate le operazioni preliminari degli uffici elettorali di sezione in vista dei ballottaggi di domani e lunedì prossimo che coinvolgeranno 65 Comuni. Le urne saranno aperte domani dalle 7 alle 23 e lunedì dalle 7 alle 15.

E lo scrutinio avrà inizio subito dopo la chiusura della votazione di lunedì.
L’appuntamento elettorale coinvolgerà circa 5 milioni di elettori e interesserà anche 10 capoluoghi, tra cui Roma, Torino e Trieste. Si voterà per eleggere il sindaco, inoltre, a Varese, Savona, Latina, Benevento, Caserta, Isernia e Cosenza.
Pur essendo entrato in vigore da ieri l’obbligo del Green pass, il possesso della certificazione verde non è richiesto per i componenti dei seggi normali (lo è invece per quelli ospedalieri e per la raccolta del voto domiciliare) ed i rappresentanti di lista accreditati, come indicato da un’apposita circolare del Viminale. (ANSA).
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Musica. Torino si aggiudica l’Eurovision Song Contest

Scelta fra 17 candidate la città che ospiterà la grande kermesse televisiva che torna in Italia dopo 30 anni grazie alla vittoria dei Maneskin. Gran finale al PalaOlimpico il 14 maggio 2022
I Maneskin, vincitori dell'Eurovision Song Contest 2021

I Maneskin, vincitori dell’Eurovision Song Contest 2021

Avvenire

Alla fine la sfida è stata vinta da Torino che sarà la città ospitante del 66° Eurovision Song Contest, dopo aver trionfato su altre 16 concorrenti. L’Italia si è aggiudicata il diritto di organizzare l’Eurovision Song Contiest 2022, dopo che Måneskin hanno regalato al proprio Paese la sua prima vittoria dal 1990 con la canzone «Zitti e Buoni» alla gara dello scorso maggio. La Grand Final dell’Eurovision Song Contest 2022 si svolgerà al PalaOlimpico, una delle arene indoor più grandi d’Italia (18,500 posti), sabato 14 maggio con le Semifinali il 10 e 12 maggio.
La Rai, insieme all’European Broadcasting Union (EBU), organizzerà l’evento e formalizzerà i relativi accordi insieme alla Città di Torino nelle prossime settimane. Un totale di 17 città e regioni italiane hanno gareggiato per ospitare il più grande evento di musica dal vivo del mondo, che ha raggiunto quasi 190 milioni di spettatori in TV e online nel 2021.

Il supervisore esecutivo dell’Eurovision Song Contest Martin Österdahl ha accolto con favore la scelta: «Torino è la città ospitante perfetta per il 66° Eurovision Song Contest. Come abbiamo visto durante le Olimpiadi invernali del 2006, il PalaOlimpico supera tutti i requisiti necessari per mettere in scena un evento globale di questa portata e siamo rimasti molto colpiti dall’entusiasmo e dall’impegno della Città di Torino che accoglierà migliaia di appassionati il prossimo maggio. Questo sarà il primo Eurovision Song Contest che si terrà in Italia dopo 30 anni e, insieme alla nostra emittente ospitante Rai, siamo determinati a renderlo speciale».

L’Amministratore Delegato della Rai Carlo Fuortes ha aggiunto: «Siamo felici che Torino ospiti la prossima edizione dell’Eurovision Song Contest, il festival internazionale amato da un vasto pubblico in ogni paese. La scelta fatta dalla Rai, insieme all’EBU, non è stata facile visto l’altissimo livello delle proposte fatte dalle città concorrenti, che ringrazio per la loro entusiastica partecipazione. Da oggi inizia un viaggio emozionante per la Rai e la città di Torino che ci condurrà a maggio 2022. Una grande sfida per la Rai e per il nostro Paese». Anche il sindaco uscente di Torino, Chiara Appendino, è entusiasta che il Contest si svolga nella propria città nel maggio 2022: «Ospitare l’Eurovision Song Contest 2022 a Torino è, allo stesso tempo, un grande onore e un grande risultato per la nostra città e il nostro Paese. Dopo aver inaugurato una nuova stagione di grandi eventi, Torino sarà un palcoscenico per la musica e la cultura, in un evento internazionale dinamico e inclusivo che coinvolgerà tutta la città».

L’Italia ospiterà l’Eurovision Song Contest per la terza volta dopo aver già organizzato l’evento a Napoli nel 1965 e a Roma nel 1991. Ulteriori dettagli sugli spettacoli, i biglietti e gli eventi di accompagnamento saranno rivelati nelle prossime settimane e mesi. Per maggiori dettagli segui i canali ufficiali Dell’Eurovision Song Contest Twitter, Instagram, TikTok e Facebook.

IL DISASTRO Fuoco e paura, tocca a Torino

Dopo Milano, ieri le fiamme hanno avvolto i piani alti dei palazzi nel centro del capoluogo piemontese L’incendio ha causato l’esplosione di alcune bombole di gas: 5 feriti e 100 evacuati, isolata tutta la zona

Torino

Una colonna di fumo nero e denso che rapidamente si alza in cielo segna l’inizio di una lunga giornata di fuoco per Torino. Alla fine, sono quasi duemila i metri quadrati bruciati, circa 20 mansarde completamente distrutte, altri appartamenti danneggiati, cinque feriti nessuno però in modo grave. Ma il centro storico della città per ore rimane bloccato, così come i treni in arrivo in stazione, blindata tutta l’area, evacuati e chiusi tutti i negozi al di sotto del palazzo ristrutturato da poco.

È la tarda mattinata, in pieno centro proprio dirimpetto alla stazione ferroviaria di Porta Nuova, vanno in fiamme le mansarde di uno dei palazzi storici che si aprono su piazza Carlo Felice, una delle più belle della città. Il fuoco cresce rapido, si sentono le prime sirene dei vigili del fuoco, la colonna di fumo prende forza e continua a salire, tutti iniziano ad uscire dai negozi. Una signora si sente male e viene subito soccorsa, poi altri feriti. Alla fine il conto è di cinque persone che devono ricorrere alle cure dei sanitari: due poliziotti e un operaio, due condomine, fuori casa quando scoppia l’incendio, si sentono male dallo spavento. A sera si saprà che alcuni operai edili erano bloccati sul tetto e che sono stati salvati dai pompieri. A metà giornata tutto sembra risolto, poi, invece, il fuoco riprende forza e minaccia di scendere lungo la verticale del palazzo: cede un solaio che così apre la strada verso il basso alle fiamme. Poi una serie di esplosioni: le bombole di gas nelle mansarde nel lato dove si trovano le abitazioni più popolari. Ma i vigili del fuoco ormai sono in forze (alla fine sono oltre 40 con 30 mezzi accorsi da tutta la regione). Le fiamme poco a poco vengono contenute, il rogo alle 19 viene quasi spento. «Abbiamo bloccato le fiamme», dice Agatino Carrolo, comandante provinciale dei vigili del fuoco, che aggiunge: «Le operazioni di spegnimento continueranno per tutta la notte. La conformazione del tetto ha consentito che le fiamme si propagassero solo in orizzontale». È stato comunque un lavoro improbo: ogni mezz’ora gli uomini si sono dati il cambio a 22 metri di altezza.

Ma cosa potrebbe essere accaduto? Colpa, si dice, di alcune scintille prodotte da una macchina saldatrice usata da un fabbro per sistemare la cassaforte in un attico. Un’ipotesi da verificare. Per ora l’obiettivo è mettere in sicurezza tutto. A sera la sindaca Chiara Appendino fa visita agli sfollati e assicura che il Comune farà la su parte. Una postazione mobile della Protezione civile viene allestita nell’area per offrire una prima assistenza agli sfollati; chi rimane fuori casa ha garantita l’accoglienza in un housing sociale. Intanto dal palazzo si alza ancora un filo di fumo. A fine giornata le persone ancora per strada sono circa cento.

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Le persone che hanno dovuto lasciare le proprie abitazioni sono assistite dalla Protezione civile. L’ipotesi (da verificare) di alcune scintille partite dalla saldatrice di un fabbro che lavorava in un attico

Le fiamme sui tetti di Torino

Un laboratorio per mettere a sistema le competenze legate alla robotica educativa e sociale con i bisogni dei bambini e ragazzi con disabilità

Si chiama Sugar, Salt & Pepper – Robot umanoidi per l’autismo ed è stato sviluppato dal Dipartimento di Informatica dell’Università di Torino, Fondazione Paideia, Jumple e Intesa Sanpaolo Innovation Center.

Il concetto di intelligenza artificiale (specialmente quando non si applica alla semplice elaborazione di dati o allo svolgimento di operazioni meccaniche, ma coinvolge le relazioni umane) tende, di solito, a spaventarci. Istintivamente ci immaginiamo scenari alla Aldous Huxley, con macchine pensanti – e non sempre benevole – che prendono decisioni autonome e quindi ci controllano, interagendo con le parti più profonde del nostro essere, compresa la sfera dei sentimenti e degli affetti. Il tema, certo, è immenso e delicatissimo, ma non c’è bisogno di essere, per forza, così apocalittici. A volte la tecnologia rivela il suo lato gentile. Ci sono, ad esempio, dei robot umanoidi in grado di aiutare i ragazzi con autismo a migliorare la propria vita quotidiana. Se usati in contesti specifici e in modo mirato, questi strumenti ipertecnologici possono rivelarsi alleati preziosi per i terapeuti. Il progetto “Sugar, Salt & Pepper”, sviluppato nel capoluogo piemontese da Dipartimento di Informatica dell’Università di Torino, Fondazione Paideia, Jumple e Intesa Sanpaolo Innovation Center, ne è una chiara dimostrazione.

La sperimentazione è iniziata a febbraio, nel contesto delle attività di Fondazione Paideia, con un laboratorio settimanale, pensato per un gruppo di bambini e ragazzi tra gli 11 e i 14 anni, cui sono stati diagnosticati disturbi dello spettro autistico. Interagendo con un robot umanoide, chiamato Pepper e fornito dal Centro Innovazione di Intesa Sanpaolo, i giovanissimi imparano a potenziare alcune abilità, come la comunicazione, le capacità linguistiche, la coordinazione dei movimenti, la manifestazione delle emozioni, le abilità sociali. Naturalmente Pepper non è che uno strumento: le attività sono curate e seguite da una squadra di esperti, composta da psicologi, neuropsicomotricisti, educatori, logopedisti. Tra i punti di forza del progetto c’è il tentativo di ricreare le situazioni del quotidiano, spingendo i ragazzi a cimentarsi con azioni per loro molto importanti, dal preparare la merenda e riordinare la cucina al fare i compiti.

In tutto questo, come detto, l’umanoide Pepper fa semplicemente da “spalla” ai terapeuti, riuscendo però a catalizzare l’attenzione dei ragazzi e a funzionare da strumento motivante. Non solo; il robot è stato programmato per avere un comportamento flessibile, modulando le attività a seconda delle risposte e dei risultati ottenuti. Inoltre, interagendo con i piccoli pazienti, la macchina è in grado di rilevare, in maniera oggettiva, alcuni parametri (come il contatto visivo, le iniziative di comunicazione, gli stati emotivi), utili per calibrare le terapie in modo mirato. Proprio per potenziare questi aspetti, il Dipartimento di Informatica dell’Università di Torino è al lavoro per arricchire il robot con ulteriori strumenti di intelligenza artificiale, quali, appunto, un sistema di tracciamento dello sguardo e un rilevatore di emozioni.

Insomma, grazie al fecondo lavoro di rete che lo ha programmato e messo in campo, Pepper è un robot utile e buono: un amico un po’ speciale, che lavora al fianco di bambini fragili, per aiutarli a scoprire le loro potenzialità e vivere un po’ meglio nel mondo degli umani. «L’innovatività del progetto risiede proprio nel particolare contesto di utilizzo di Pepper, ossia accogliere i bambini per lavorare sulla formazione della loro autonomia» spiega Cristina Gena, docente del Dipartimento di Informatica e coordinatrice del progetto. A proposito, dicevamo che il laboratorio si chiama “Sugar, Salt & Pepper” (cioè, in inglese, “Zucchero, Sale e Pepe”). Pepper, ormai lo sappiamo, è il nome dato al robot. Ma gli altri ingredienti? «Sugar è il pizzico di zucchero che mettiamo nel nostro lavoro, che si accompagna alla competenza professionale, Salt, il sale, è la fatica dell’altro che può addolcirsi in compagnia dello zucchero. E Pepper, il pepe, è ciò che dà un sapore particolare al tutto» spiega Fabrizio Serra, direttore della Fondazione Paideia. «Il laboratorio incarna perfettamente la nostra idea di innovazione – aggiunge Luigi Ruggerone, responsabile Analisi di Tendenza e Ricerca Applicata del Centro Innovazione di Intesa San Paolo – vale a dire l’applicazione di tecnologie di frontiera, come la robotica e l’intelligenza artificiale, a contesti reali. Il nostro auspicio, sostenuto anche dagli incoraggianti risultati ottenuti, è che questo laboratorio possa contribuire fin da subito a migliorare le vite dei partecipanti e delle loro famiglie e che possa dare inizio a un percorso, verso soluzioni sempre più

Famiglia Cristiana

Taizè: il coronavirus rimanda al 2021 l’incontro dei giovani di capodanno.

L’evento si svolgerà sempre a Torino ma è stato rinviato di un anno per garantire la sicurezza a tutti i pellegrini

Lisa Zengarini – Città del Vaticano

A causa dell’emergenza Coronavirus è stato rinviato al Capodanno 2021 il 43.mo Incontro europeo dei giovani, l’ormai tradizionale appuntamento celebrato dalla Comunità di Taizé alla fine di ogni anno. L’incontro doveva tenersi dal 28 al 31 dicembre prossimo a Torino ma, considerata l’incertezza sull’evoluzione del contagio nei prossimi mesi, le comunità cristiane promotrici dell’evento, tra cui l’arcidiocesi di Torino, hanno deciso per il rinvio.

Un pellegrinaggio in sicurezza

Sulla decisione – spiega un comunicato dell’arcidiocesi ha pesato anche la considerazione che il pellegrinaggio dei giovani deve svolgersi in condizioni sicurezza per tutti, proprio perché si tratta di un incontro con l’intera città e il suo territorio. I giovani saranno infatti ospiti delle famiglie torinesi e piemontesi, visiteranno i nostri musei, incontreranno persone e comunità dell’intera realtà torinese. I loro incontri di riflessione e di preghiera, come anche il momento di contemplazione della Sindone per i giovani che lo vorranno, si inseriscono nella vita dell’intera città.

Attese circa 20 mila persone

Il tempo impiegato finora non è comunque andato perduto – precisa il comunicato – perché si sono presi contatti e impegni in vista del Pellegrinaggio, individuando le strutture e i locali destinati all’ospitalità e iniziando a studiare la complessa macchina logistica che richiede l’accoglienza di circa 20 mila persone in pochi giorni. La Pastorale giovanile dell’arcidiocesi rimane il punto di riferimento di questo cammino di preparazione.

L’impegno ecumenico torinese

L’iniziativa dell’incontro nel capoluogo piemontese è nata nell’ambito dell’impegno ecumenico torinese. Il primo invito risale al 2017, e venne firmato dai responsabili delle Chiese Valdese, Battista, Ortodossa rumena, Evangelica luterana, Avventista insieme con l’arcivescovo Cesare Nosiglia e con i responsabili delle Commissioni cattolica ed evangelica per l’ecumenismo, il Segretariato Attività Ecumeniche e i giovani dei gruppi che fanno riferimento a Taizé.

Nel 2019 a Breslavia

L’ultimo Incontro europeo dei giovani di Taizé si è tenuto a Breslavia, in Polonia sul tema “Sempre in cammino, mai sradicati” e ha visto la partecipazione di circa 15mila ragazzi e ragazze provenienti da tutta Europa, tra cui anche gruppi dal Libano e dal Giappone. Ulteriori informazioni sulla prossima edizione si troveranno sui siti di www.upgtorino.it, www.sindone.org, www.taizetorino.it.

Torino. De Chirico e «l’antichità come futuro»

Alla Galleria d’Arte Moderna una mostra indaga l’influenza del “pictor optimus” sull’arte contemporanea, in particolare quello dell’ultimo periodo “neometafisico”

De Chirico e «l'antichità come futuro»

da Avvenire

Facciamo l’appello. Una mostra su Giorgio de Chirico è in corso fino al primo settembre a Genova a Palazzo Ducale. Finita questa, il 25 settembre è preannunciata da settimane una grande retrospettiva “tutto De Chirico” a Milano, nelle sale di Palazzo Reale, a cura di Luca Massimo Barbero, che radunerà circa cento opere anche da grandi musei stranieri. Nei primi mesi di quest’anno alla Fondazione Magnani Rocca è stata messa in scena l’accoppiata De Chirico-Savinio, un vecchio mantra che ripete e insinua il dubbio se Alberto non sia, in fondo, pittore più importante di Giorgio (certo fu un gigantesco scrittore, critico teatrale, musicologo e altro ancora). Alla fine dello scorso anno ha visto la luce la corposa (e faticosa: oltre cinquecento pagine) ricostruzione semiotica e analitica dei valori estetici delle immagini metafisiche di De Chirico, condotta da Riccardo Dottori e pubblicata dalla Nave di Teseo. Infine, questa mostra della Galleria d’Arte Moderna di Torino su De Chirico e la sua influenza sull’arte contemporanea (“Giorgio de Chirico. Ritorno al futuro”; fino al 25 agosto), in particolare l’ultimo De Chirico, quello più svalutato dalla critica, che si condensa nella categoria della Neometafisica. Si può considerarlo il conatus di De Chirico, una sorta di divertito gioco postmoderno che diventa metalinguismo riferito alle proprie fasi artistiche precedenti, dal periodo ferrarese della Metafisica (ma anche prima, in realtà, per esempio la formazione durante l’infanzia greca e poi il soggiorno parigino) fino alla citazione, i manichini e i gladiatori, ai ritorni su se stesso, ai depistaggi, al disinvolto esercizio della firma. Come dirà Andy Warhol, che lo amava particolarmente proprio per questa libertà che sconfina talvolta nella contraffazione di sé, «ripeteva i suoi dipinti di continuo». In mostra, una foto di Gorgoni del 1972 li riprende a New York rivelando nel chiaroscuro le loro contrapposte personalità: ironica e istrionica.

Prima di affrontare lo spunto che ci offre la mostra torinese curata da Lorenzo Canova e Riccardo Passoni, è giusto domandarsi che cosa possa significare questa concentrazione ravvicinata di mostre dedicate al pictor optimus. Indica forse che il pittore offre nuove suggestioni e ispirazioni? Non ne sono sicuro. Anche se la sua fantasia sontuosa e l’uso spregiudicato di una pittura che dall’eleganza scarta improvvisamente nella sciatteria, come accade appunto nella Neometafisica, può far pensare a un nume adatto al nostro tempo. L’affastellarsi di mostre in un tempo così contratto fa piuttosto pensare a un nuovo tentativo di sostegno del mercato di De Chirico, e magari proprio quei periodi che la critica ha spesso rifiutato. La critica, ma non gli artisti, come recita il motto – “Ritorno al futuro” – su cui si sdipana la mostra torinese. Scrive Canova che De Chirico ha decostruito il sistema dell’immagine stravolgendone i canoni tradizionali, «mettendo in crisi i suoi stessi codici fondativi». Se il primo De Chirico metafisico divide col dadaismo – come sostenne Maurizio Calvesi – «il recupero dell’oggetto così com’è», in realtà la categoria che opera trasversalmente sull’intero percorso creativo di De Chirico è proprio quella del metalinguismo, l’idea che la finzione sia a sua volta la finzione di una coscienza di quello che si sta facendo. Per De Chirico l’oggetto dipinto è inevitabilmente di testimone di qualcosa che sopravvive come dettaglio muto, è il reperto che ci parla dell’ultima Thule, dell’isola perduta (o che va a perdersi): l’arte stessa, travolta dalle distruzioni di un mondo che sembra non rendersi conto di ciò che produce: vuoto, morte, rovine, cancellazioni di ciò che ricordava alla nostra umanità quanto avevamo saputo osare anche contro il volere degli dèi. Attraverso De Chirico – scrive Canova – i contemporanei hanno riscoperto «uno scenario dove la rappresentazione iconica, esclusa e dannata per lungo tempo, si riproponeva come una nuova possibilità di salvezza per un’arte che doveva confrontarsi con la potenza visiva della comunicazione contemporanea». Ma è proprio su questa china che è discesa, fino a perdere la propria identità, l’arte contemporanea, divorata dalle regole della comunicazione.

Attenzione però, Canova parla di rappresentazione iconica, cioè di qualcosa che rimanda a una tradizione, ma in sé non è meno concettuale di altre esperienze che dominano la scena degli anni Settanta, quando De Chirico batte i soldoni della sua Neometafisica (e permea persino l’Arte Povera, come si capisce anche dalla foto di Claudio Abate su Kounellis- Apollo). Questo, in realtà, De Chirico lo pensava fin dagli anni Dieci: come definire, altrimenti, dipinti come Il canto d’amore del 1914 oggi al MoMA oL’incertezza del poeta del 1913 oggi alla Tate Gallery? La Neometafisica è dunque una dichiarazione aperta di ciò che negli anni Dieci e Venti era sottinteso: di che cosa parliamo quando parliamo d’arte? La mostra di Torino si avvale, per le opere del pittore, dei prestiti della Fondazione De Chirico e vi accosta opere di artisti contemporanei degli ultimi decenni del Novecento, che rendono davvero evidente e sorprendente l’influenza che il pittore ha giocato sulle loro menti. Non si tratta qui di discutere la qualità pittorica dell’ultimo De Chirico, ma di riscontrare la citazione che egli induce nel-l’altro: Mimmo Rotella gli rende omaggio con una grande lamiera nel 1988 rievocando la musa inquietante e lo intitola eloquentemente De Chirico; Emilio Tadini, Concetto Pozzati, Mario Schifano negli anni Settanta disseminano teste di manichini e muse in contrappunto al loro immaginario; Warhol lo celebra nell’82 con le Muse inquietanti quadruplicate e attraversate da intersezioni grafiche che rendono astratto (cioè reale) il senso dell’immagine dechirichiana; di grande impatto le “mediazioni” di Valerio Adami ( Pour Vous Madame, Pour Vous Monsieur, 1964), Philip Guston ( Wall, 1971) e Alessandro Mendini (Senza Titolo, 1986); un po’ troppo autoreferenziali i gladiatori di Salvo del 1978. Se in Interno metafisico con mano di David del 1968 De Chirico sembra ridurre un brano di anatomia michelangiolesca a un feticcio iconico, in realtà alcuni suoi notevoli disegni degli anni Cinquanta ne testimoniano l’attrazione forte per il genio toscano. E di seguito, quasi come trait-d’union fra i due, troviamo esposti alcuni smalti di Tano Festa che rendono più esplicita questa liaison artistica. Metafisico ma dechirichiano per sottrazione d’immagine è il grande pittore Fabrizio Clerici; poetico ma secondo il teatro d’ombre di matrice avanguardistica e tedesca è l’Oasi d’ombra di Gino Marotta; lontani, su una verticale zenitale, i parallelepipedi cementizi di Giuseppe Uncini; del tutto liberi da ogni ossequio al maestro, anzi con un intento competitivo, i due autoritratti (a trent’anni di distanza fra loro) di Luigi Ontani; allusivo rimando filosofico alla pittura di De Chirico, infine, La caduta del mondo di Giulio Paolini e di “pesante” contrappunto stilistico l’ala appesa a un telaio vuoto con la tela a sua volta appesa al chiodo, l’opera Senza titolo di Claudio Parmiggiani del 1988.

Altri ancora sono gli artisti esposti, in una mostra che persuade, più di ogni dimostrazione sui documenti, riguardo all’influenza della “Musa De Chirico” sulla scena artistica di fine secolo scorso. E il titolo della mostra potrebbe forse fare pendant con quello di un celebre saggio di Rosario Assunto del 1973, che fu uno dei testi filosofici fondanti del postmoderno italiano e del ritorno alla pittura, L’antichità come futuro. Una ipotesi che manca dall’agenda critica contemporanea (sempre che i critici di oggi dispongano ancora di un’agenda).