A più di tre giorni dal violento terremoto che, nella notte del 6 febbraio, ha fatto tremare la Turchia meridionale e la Siria settentrionale, il bilancio delle vittime continua ad aggravarsi: i morti sono ormai 20mila. Secondo le autorità governative e sanitarie, sono morte 16.170 persone in Turchia e 3.162 in Siria. Nella sola Turchia i feriti sono almeno 62.914, rende noto l’Agenzia per le emergenze e i disastri di Ankara.
Non si fermano le operazioni dei soccorritori, tra i quali ci sono anche italiani, anche se si ritiene che siano le prime 72 le ore utili per trovare persone in vita sotto le macerie. Le temperature glaciali della notte, come quella di Gaziantep, scesa a 5 gradi sottozero rende la sopravvivenza ancora più difficile. Eppure qualche storia a lieto fine c’è ancora.
“Stiamo ancora trovando persone vive. È sorprendente, ma è incoraggiante il modo in cui questi edifici sono crollati. Le persone che sono state recuperate ieri erano molto disidratate, in ipotermia a causa delle condizioni meteo estremamente fredde” ha detto il capo della squadra internazionale di ricerca e salvataggio del Regno Unito, David O’Neill. Il fatto che quelle persone fossero a letto e avvolte nelle coperte al momento del primo terremoto di lunedì ha aumentato le loro possibilità di sopravvivenza.
La storia che arriva da Belen, nella provincia di Hatay, ha dell’incredibile. Dopo 82 ore dal sisma è stata tirata fuori dalla macerie di un condominio una famiglia di 5 persone: padre, madre e tre figli, tutti vivi. Tra gli applausi della folla, sono stati affidati alle cure dei medici.
A Kahramanmaras stamani è stato estratto vivo Mohammed Emin, di circa 9 anni: aveva trascorso 80 ore tra le macerie di un palazzo di quattro piani crollato. Trasportato dai soccorritori su una barella, era in pigiama e calzini. Un altro bambino, dall’apparente età di 3 o 4 anni, è stato salvato stamani dai soccorritori sudcoreani ad Antakya.
Sempre ad Antakya, le squadre di emergenza che hanno lavorato tutta la notte sono riuscite a estrarre una ragazzina dalle rovine di un edificio e due ore dopo hanno estratto vivo anche suo padre. A Diyarbakir, a est di Antakya, nelle prime ore del mattino i soccorritori hanno liberato una donna ferita da un edificio crollato, ma le tre persone accanto a lei non ce l’hanno fatta.
Nella giornata di oggi dovrebbe essere ripristinato l’uso di Twitter nelle province turche colpite dal sisma.”Il governo turco ha informato Twitter che l’accesso sarà ripristinato a breve” ha annunciato in un tweet il proprietario del social network, Elon Musk. Le restrizioni decise dalle autorità a seguito delle critiche al governo e della “disinformazione” che sarebbe stata diffusa tramite la piattaforma di microblogging. Prima del tweet di Musk, NetBlocks, un osservatorio internazionale specializzato che monitora l’accesso alla rete, aveva indicato che era in corso un blocco di Twitter da parte dei tre principali provider di internet del Paese, TurkTelekom, Turkcell e Vodafone.
Siria, mancano acqua e cibo. Solo oggi i primi aiuti nell’area dei ribelli
Tra ieri e oggi sono stati riaperti dalle autorità turche i tre principali valichi di frontiera con la Siria (Bab as Salama, Bab al Rai e Bab al Hawa) e a fine mattinata è passato il primo convoglio umanitario nelle province siriane confinanti con la Turchia e fuori dal controllo del governo centrale di Damasco. “Troppo poco e troppo tardi”, denuncia l’Osservatorio per i diritti umani in Siria il primo blocco di aiuti umanitari inviato dall’Onu. “Dopo quasi 80 ore dal sisma sono riusciti a mandare solo sei camion contenenti coperte, materassi e poco altro… è una vergogna!”, afferma Rami Abderrahman, direttore dell’Osservatorio, organizzazione non governativa siriana, basata all’estero ma che da anni si avvale di una fitta rete di fonti sul terreno.
Da Damasco gli aiuti vengono invece distribuiti alle zone sotto controllo governativo,
La situazione nel nord-ovest della Siria è incredibilmente sconfortante. I terremoti hanno colpito aree in cui le famiglie stavano già affrontando enormi sofferenze: molti erano già sfollati a causa di 12 anni di conflitto, vivevano nei campi ed erano già dipendenti dagli aiuti umanitari per soddisfare i loro bisogni essenziali.
Pro Terra Sancta riferisce le prime notizie dai villaggi di Knayeh e Yacoubieh, controllati dai ribelli jihadisti vicini ad Al Nusra, dove l’organizzazione umanitaria che fa capo ai francescani della Custodia ha attivi due centri di emergenza e accoglie le persone terremotate. Un collaboratore, il francescano padre Louay, ha inviato un messaggio vocale allo staff: “Il Signore veramente mi ha salvato da una morte certa. La mia chiesa e gran parte del convento sono completamente fuori uso. Tutto il tempo stiamo con la gente per curarli e visitarli. La maggior parte delle case sono danneggiate. Grazie a Dio, il Signore ha salvato le nostre vite, ma tantissimi vicini sono morti anche se non riusciamo ancora a dare un numero preciso”. Gli aiuti fanno fatica ad arrivare e le comunicazioni sono spesso interrotte”.
Un altro collaboratore, Giacomo Pizzi, si è spostato da Aleppo a Latakia per un sopralluogo. Ecco il suo racconto: “Ieri sono arrivato a Latakia. Qui ci sono circa 200 persone nel convento e vari sfollati in altri centri. Adesso non ho ancora i dati, ma diciamo che la situazione è simile ad Aleppo. La parte centrale della città non ha avuto crolli importanti se non per due edifici. Gli edifici non sono crollati, ma già due o tre sono stati evacuati ieri perché a rischio di crollo. Si vede infatti che sono instabili, per questo vedo molti sfollati che non possono rientrare nelle loro case. Inoltre, siccome continuano lievi scosse, questi edifici probabilmente o crolleranno da soli, (come quelli di Beirut), oppure ad un certo punto verranno abbattuti, perché in queste condizioni non sono vivibili”.
“Le parti più intaccate di Latakia sono la periferia settentrionale, dove c’è un piccolo villaggio, e la periferia meridionale – prosegue -. Nella periferia sud si trova un insediamento di palestinesi già dal 1948 o più recenti. Mentre invece a nord vi sono in gran parte le famiglie sfollate di Idlib. Gli sfollati della guerra (palestinesi e questi di Idlib, Knayeh e Yacoubieh in particolare) sono dunque sfollati di nuovo. Durante la guerra cercavano una casa qui e adesso non ce l’hanno più. È iconica la storia di questa donna Jameela che ha 90 anni ed era fuggita da Idlib con la sua famiglia per fuggire da al-Nusra. Ieri stavano per rientrare nella loro casa che ballava tutta e li hanno fatti uscire e ora non hanno una casa”.
Pro Terra Sancta spiega che “il tema grosso in questo momento in Siria, quando stiamo per entrare nel 13° anno dall’inizio della guerra, è che le persone si sentono completamente dimenticate perché nessuno parla più di loro. Il bisogno concreto è al momento veramente basico. Lo era anche prima del terremoto e anche per persone che non erano povere. Senza dimenticare che tutti i lavoratori specializzati, chi poteva dare una marcia in più, sono partiti. Ora per chi è rimasto mancano cibo, acqua, coperte. E poi quando capiremo l’entità dei danni, bisognerà intervenire per la ricostruzione delle case”.
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